Malice
It’s Only Rock ’n’ Roll (But I Like It)…Questo celeberrimo aforisma degli Stones mi tornava in mente quando meditavo sull’argomento di un prossimo articolo, che avesse la “leggerezza” di una playlist senza vinti né vincitori: semplicemente una raccolta di dieci brani rimarchevoli dei nostri amati anni ’80 (penso di poter estendere il sentimento ai lettori che ci seguono) solo in parte appagati dal successo, ma che restano nel cuore di chi ha seguito con passione lo scenario Hard’n’Heavy dell’epoca.
Non ho deliberatamente fatto distinzioni di sub-genere, perché l’itinerario si snoda dagli Anvil ai New Frontier, passando dall’Heavy Metal a graduali declinazioni melodiche fino all’AOR, cercando di svariare un po’ nell’ambito dei miei interessi musicali.
Pur in un contesto di nicchia, voglio rendere giustizia ad artisti che si sono battuti contro la fortissima concorrenza dell’epoca, uscendone forse e ripeto, forse, sconfitti se le aspettative erano di altisonante successo, ma ai quali va sicuramente riconosciuto l’onore delle armi e la devozione da “culto” di numerosi esperti.
Lo ammetto, mi fa un po’ specie che gruppi di questo tenore siano finiti ai margini, mentre oggi si inneggia a “redentori del rock” come il luccicante quartetto citato nel titolo…Non amo polemizzare, ma non capisco perché negli anni ’90 la critica istituzionale infamasse le “pose” dell’hair metal, inneggiando alla rivoluzione grunge, mentre ora la stampa che conta si prostra di fronte all’immagine preconfezionata delle nuove glorie nazionali del rock; e nemmeno capisco, sarà per la non più verde età, come mai non si considerasse la capacità di scrivere canzoni che resistono nel tempo, dimostrata da vituperati esponenti dell’hard rock e dell’heavy metal degli Eighties, ed oggi sbalordisce una cover baciata dalla buona sorte (occorre dirvi quale?) sebbene sia lecito nutrire qualche dubbio sulla gran personalità dei “fenomeni” che l’hanno restaurata. Insomma, non si tratta davvero dei Van Halen che rilanciavano “You Really Got Me”…
Però gli Abba cantavano a buon diritto “The Winner Takes It All”, e se per i trasgressivi giovincelli “le porte di Sanremo 2022 sono spalancate”, oppure Roma sogna un loro inno per aggiudicarsi l’Expo 2030, certe perplessità servono a ben poco. Potrà questo successo riversare nuova linfa vitale sul rock?
Intanto, mi sono ripromesso di non utilizzare mai e poi mai massime abusate dagli Scopritori di Talenti come “questo cantante spacca!” oppure “stavolta non mi è arrivato” per non dire “sottolineo il percorso…”. No, non fanno per me.
Andando oltre, voglio rendere omaggio a chi, nel proprio ambito, porta avanti da decenni, con indomito entusiasmo e competenza, la diffusione radiofonica delle mutazioni hard’n’heavy. Parlo di Marco Garavelli, un vero professionista che dall’alba degli anni ’80 ad oggi, da Radio Peter Flowers all’attuale Radio Lombardia – senza dimenticare Rock FM – ha proseguito incessantemente nella sua “Linea Rock”, un programma in perfetto equilibrio fra storia ed innovazione. A lui va il nostro ringraziamento, mio e di Giancarlo, per ospitarci a scadenza mensile con le proposte di Rock Around The Blog, senza altro interesse all’infuori delle comuni emozioni per la musica. Un “grazie” che va esteso anche al suo ex collaboratore, l’amico e scrittore Mox Cristadoro, per l’attivazione in merito.
Spero che il revival dell’heavy rock d’annata qui condensato possa piacere anche a loro.
N.B.: Come già premesso nel precedente articolo “Under Cover!” la sequenza riflette l’ordine cronologico di pubblicazione degli album che includevano i brani, non si tratta di una classifica.
HEAVY LOAD: “Heathens From The North”
Tratta dal Maxi-Singolo 12”: “Metal Conquest” (Thunderload 1981)
Si iniziò a parlare insistentemente di epic-metal con l’invasione dei guerrieri d’Oltreatlantico Manowar, Cirith Ungol, Warlord, Virgin Steele e Armored Saint, ma il diritto di primogenitura potrebbe spettare agli svedesi Heavy Load, quando ancora la Scandinavia era lontana dall’essere territorio di conquista per il rock ad alto voltaggio. A maggior ragione, si potrebbe far risalire a questi pionieri nordici le radici di sotto-generi come il viking metal, successivamente attribuito a formazioni più estreme nella formula musicale.
Gli Heavy Load hanno dato i primi segnali di vita discografica addirittura nel 1977, con un album dal titolo promettente, “Full Speed At High Level”, ma non altrettanto riuscito.
Invece, il metallo ispirato alla mitologia del proprio paese prendeva pienamente forma nel trittico di opere licenziate dall’etichetta Thunderload, dal 1981 all’84: “Metal Conquest”, “Death Or Glory” e “Stronger Than Evil”, inseguiti dai ricercatori di eccentricità hard’n’heavy anche per inserti (poster) di pregio. Fra le cinque tracce di “Metal Conquest” svetta proprio per connotati epici “Heathens From The North”, che si appropria di un tema già cantato dagli inglesi Audience in “Raid”, all’epoca delle intemperie dark che infuriavano sul rock progressivo. Anche gli Heavy Load resuscitano il clima di terrore, morte e violenza che gravava sulle scorrerie dei “Barbari del Nord, venuti per depredare ogni cosa, sfidando i poteri del mare misterioso”; la ricostruzione delle efferate razzie avviene attraverso un mid-tempo angoscioso, sovrastato da un coro ricco di pathos e diretto dalle livide intonazioni della voce di Ragne Wahlquist, chitarrista del quartetto. Si narra che gli Heavy Load disponessero anche di uno spettacolare apparato scenico, ma decisamente i tempi non erano ancora maturi per conquiste più ambiziose.
ANVIL: “Mothra”
Tratta dall’Album: “Metal On Metal” (Attic 1982)
Con una sequenza di LP dai titoli iconici nella prima metà degli ’80 (“Hard’n’Heavy”, “Metal On Metal” e “Forged In Fire”) i canadesi Anvil sembravano destinati a dominare il decennio metallico, con l’approvazione dell’influente stampa britannica. Personalmente ne rimasi colpito, e le mie recensioni su Rockerilla dell’epoca restano a testimonianza; forse inconsapevolmente, adottai per primo il termine Hard’n’Heavy come titolo della rubrica, che a mio avviso ben rappresentava il passaggio di consegne dall’hard rock all’heavy metal, in corso fra la fine di un’era (i Seventies), ed il nuovo che avanzava.
Il quartetto nasceva a Toronto nel 1978 ed inizialmente si faceva chiamare Lips, nome d’arte del chitarrista e vocalist Steve Kudlow. Si ribattezzavano più opportunamente Anvil (Incudine) con l’intento di forgiare il suono più duro in circolazione, dichiarato da proclami bellicosi come quello del batterista Robb Reiner: “Nulla di più soffice dei Motörhead può averci influenzato!”
Scritturati dalla Attic, etichetta storica del rock duro canadese, gli Anvil produssero la loro massima eruzione di lava siderurgica con il secondo “Metal On Metal”, album del mese (giugno 1982) su Rockerilla. La leggenda narra di amplificatori distrutti, sacrificati alla miglior resa del suono, durante le sessioni di registrazione presiedute da Chris Tsangarides, noto per recenti exploit nel circuito NWOBHM, con Tygers Of Pan Tang e Girl.
Probabilmente il brano più devastante è l’inno ad una divinità pagana che semina morte e distruzione, “Mothra”, sintomatico dei vertici di aggressività di certo heavy metal che di lì a poco si sarebbe radicalizzato in thrash (non è un mistero che i Big Four di quel genere siano stati influenzati dagli Anvil!). I riffs si accavallano impietosamente in un crescendo travolgente, costituendo un autentico bolide sonico, insuperato in quell’anno solare.
Dopo decenni di strenua militanza nel rock ad altissima energia, il gruppo ha meritato un decisivo rilancio nel 2008, grazie al film autobiografico di imprevisto successo, “Anvil! The Story Of Anvil”.
CONEY HATCH: “Hey Operator”
Tratta dall’album: “Coney Hatch” (Mercury 1982)
A loro volta generati dalla prolifica scena di Toronto (Canada), ed emersi all’inizio degli ’80, Coney Hatch erano invece potenziali eredi della tradizione hard rock dei Seventies con sapiente infusione di melodia (April Wine, BTO, Streetheart, Teaze!); si trovarono nella scomoda posizione di anticipare di qualche tempo il dorato ritorno di quel genere, mentre i loro contemporanei – gli stessi Anvil – ostentavano un’identità musicale più aggressiva e metallica.
Nel 1983 fecero lungamente da supporto agli Iron Maiden nel World Piece Tour; nonostante l’imponente esposizione e l’ottimo rapporto instaurato con i campioni della NWOBHM, non si trattava del palcoscenico più adatto per Coney Hatch, che fallirono il salto di qualità commerciale.
Certamente a livello di musica avrebbero meritato ben altro. Un anno prima, l’omonimo album d’esordio era stato accolto con entusiasmo dalla stampa specializzata, ed il loro mentore era un’autorità del Canuck rock, Kim Mitchell dei Max Webster, che si incaricò della produzione. Il singolo “Hey Operator”, scritto dal leader Carl Dixon (voce e chitarra), rimane fra i più riconoscibili degli anni ’80 per l’indimenticabile linea melodica punteggiata dal piano. Sono convinto che i Foreigner l’avrebbero accolto con gaudium magnum nel loro repertorio.
Invece lo fece suo un altro “supremo” dell’AOR, Aldo Nova, che ne realizzò due anni dopo una versione dal sound tecnologico sul secondo album “Subject”. Così i Coney Hatch dovettero difendere la “proprietà” della canzone, ripresa da un artista più popolare. Sciolti dopo tre album, il bassista e cantante Andy Curran ha ottenuto buoni riconoscimenti come solista mentre Dixon, dopo esser andato in coma per un grave incidente automobilistico, ha ripristinato la sua creatura con l’album “Four” del 2013.
WHITE SISTER: “Walk Away”
Tratta dall’Album: “White Sister” (EMI America 1984)
Costituiti nel 1980 a Burbank, contea di Los Angeles, i White Sister sono stati grandi epigoni dell’hard rock pomposo degli anni ’70, che oltre alle celebrità Styx e Kansas, godeva di vasta diffusione dagli U.S.A. al Canada, con esponenti di spicco fra i quali Trillion, Zon, Alpha Centauri, Starcastle, Rose, Avalon e naturalmente i primi, torreggianti Angel. Proprio l’incomparabile tastierista Gregg Giuffria decise di valorizzare i talenti dei White Sister, producendo il loro primo, eponimo album ed assumendosi l’onere dei sofisticati arrangiamenti; non pago, vi suonava in due brani.
Ed i legami con gli Angel non finivano qui, perché nel disco appare un inedito scritto da Punky Meadows con Frederiksen/Phillips, “Whips”, nel fallito tentativo di rilanciare una nuova line-up degli Angel nell’81. Manco a dirlo, si trattava di una risposta alla sarcastica (e di cattivo gusto) “Punky’s Whips” di Zappa. Da segnalare anche il contributo compositivo di David Einsley, allora cantante dei Giuffria, in “One More Night”. Fra i gioielli dell’opera, spicca “Walk Away”, solo omonima del pezzo dei Legs Diamond, ma che regge valorosamente il confronto, con maggior impeto. Infatti White Sister si distinguevano da più melliflue formazioni AOR/pomp per gli incisivi fraseggi della chitarra di Rick Chadock, mentre il bassista Dennis Churchill si alternava alle parti vocali con il tastierista Garri Brandon. In “Walk Away” è Brandon a tradurle in un chorus celestiale, con il contrappunto del pianoforte dello stesso Giuffria e di sonorità estetizzanti. L’assolo di Chadock, virtuosistico ma altrettanto espressivo, suggella un bellissimo brano. Purtroppo White Sister non si impone, il secondo e brillante “Fashion By Passion” viene “declassato” all’indie FM Records, ed il gruppo compie la metamorfosi verso l’hard rock meno caratteristico dei Tattoo Rodeo. Sia il batterista Richard Wright, sia Chadock, ci hanno lasciato negli anni 2000.
WARLORD “Soliloquy”
Tratta dall’Album: “And The Cannons Of Destruction Have Begun” (Metal Blade 1984)
Una delle più epiche formazioni tramandate dalla leggenda dell’heavy metal, i Warlord erano emersi dalle tenebre nel 1983 con un autentico sortilegio musicale, il mini-LP per la Metal Blade “Deliver Us”. Allora non mi sarei azzardato a scriverlo, ma conoscete la famosa canzone “Alla Fiera dell’Est” del nostro menestrello Angelo Branduardi? Ammantate di accenti dark le strofe dai simbolismi biblici, appesantite il suono con potenti fendenti hard’n’heavy ed otterrete la geniale commistione folk-metal dal titolo emblematico, “Deliver Us From Evil”, antesignano di qualsiasi durezza espressiva ispirata a tradizionali arie medievali.
Ma voglio andar oltre nel porgere il mio tributo al gruppo di Hollywood guidato dall’ispirato “Destroyer”, il chitarrista Bill Tsamis, inventore di tutte le loro musiche, e dal “Figlio del Tuono”, il batterista Mark Zonder, poi rinomato nei Fates Warning.
Nel primo album completo, “And The Cannons Of Destruction Have Begun”, propagandato come colonna sonora di un video “live” in studio, riappaiono prevalentemente tracce già note, registrate per l’occasione con i nuovi membri, il cantante Damien King II ed il bassista Archangel, ma soprattutto un eccezionale inedito, “Soliloquy”; un inno al malessere esistenziale vissuto in solitudine, realizzato con la maestosa orchestrazione delle tastiere di Diane “Sentinel” Kornarens, che conferiscono una straordinaria enfasi di cupo romanticismo.
Peccato davvero che colpevolmente ignorati nel loro ruolo di maestri dell’epica metallica, i Warlord si siano presto estinti, nonostante future riunioni celebrative. Ormai non avrebbero più senso; a posteriori rendiamo onore all’eroe di origine greca (come i miti dell’Iliade) William J. “Bill” Tsamis, scomparso nel maggio 2021, a 60 anni.
MALICE: “Stellar Masters”
Tratta dall’Album: “In The Beginning…” (Atlantic 1985)
All’inizio degli anni ’80, si cominciò a parlare di “Nuova Onda” dell’American Metal (modificando l’etichetta NWOBHM, creata da Geoff Barton per le nuove leve inglesi), quando uscirono le due storiche compilation “U.S. Metal” (1981, Shrapnel) e “Metal Massacre” (1982, Metal Blade).
Soprattutto la seconda metteva in luce le future stelle Metallica e Ratt, ma gli unici a presentare addirittura due brani erano i Malice. Questi ultimi procrastinarono a lungo l’esordio discografico a 33 giri, puntando esclusivamente su un contratto major. Le origini del gruppo risalivano al 1978; nell’Oregon strinsero patto d’alleanza i due chitarristi e fondatori Jay Reynolds e Mick Zane, ma l’atto di nascita ufficiale è datato 1 ottobre 1982, quando si riunivano i cinque musicisti che figurano su “Metal Massacre”, tutti provenienti da città e stati differenti, migrati a Los Angeles.
Finalmente è l’Atlantic a scritturarli, ed il primo album “In The Beginning…” è frutto di una commistione fra un’apprezzata demo prodotta da Michael Wagener e registrazioni ex novo con il produttore Ashley Howe.
Il compromesso funziona assai bene, e con l’abituale retorica paragonai il suono dei Malice alle deflagrazioni del vulcano indonesiano Krakatoa, che a fine ‘800 provocarono il rumore più violento che la storia ricordi, oltre ad inenarrabili catastrofi… Un’esagerazione naturalmente, per rendere l’idea di volumi a picco ed una voce supersonica, come si può immaginare ascoltando “Stellar Masters”; pur rasentando il plagio, questo brano memorabile trasforma i Malice nei più credibili, potenziali successori dei Judas Priest.
La voce del cantante texano James Neal emula le tonalità sferzanti ed acuminate di Rob Halford, le chitarre decollano alla maniera dei “gemelli” Downing/Tipton in “British Steel”, sorretti da ritmi debitamente tellurici. Un classico di puro metal al di là di qualsiasi sotto-genere.
Lo stesso quintetto replicherà nell’87 con il bombardiere “License To Kill”, prima che le strutture d’acciaio tendano ad incrinarsi, disgregandone la coesione. Nel 2012 il reunion-album “New Breed Of Godz”, funestato quattro anni dopo dal decesso di Mick Zane.
JAG WIRE: “Made In Heaven”
Tratta dall’Album: “Made In Heaven” (Target 1985)
Dichiarati “Rubacuori dell’Hard Rock” per il loro ascendente sull’estasiato e folto pubblico femminile – fattore piuttosto diffuso nell’epoca dell’hair metal – i Jag Wire si distinguevano però dalle formule di routine per capacità di raggiungere vette inaccessibili di pomp superiore nell’unico album “Made In Heaven”, capace di soddisfare i palati musicali più esigenti, come sentenziavano contemporanee cronache di Sounds e Kerrang!
Jag Wire nascevano a Los Angeles dalle rovine dei Sin, formati dall’ex bassista degli Steeler di Ron Keel e Malmsteen, Rick Foxx, e autori di un picture disc sagomato, “On The Run/Captured In Time” (1984). Foxx entrò in rotta di collisione con il resto del gruppo che si orientava verso un suono particolarmente “inquinato” dalle tastiere di Vince Gilbert, in grado di suscitare il paragone con Gregg Giuffria non solo per la fluente criniera, ma per le probanti doti di tastierista che reclamava prepotentemente il suo spazio. Il ruolo vacante di bassista era assegnato a Joey Cristofanilli, corresponsabile di un classico dei Ratt, “Wanted Man”.
Personalmente li avevo eletti ideali rappresentanti di una nuova “Corporazione Musicale Paradisiaca”, sulla scia dell’album pubblicato dalla Target, in quel tempo etichetta dei Legs Diamond. Soprattutto la title-track era un’autentica magnificenza, che descrissi come una rapsodia bohémienne suonata dagli Angel in una notte all’opera. Introdotta dal pianoforte di Gilbert, irrobustita dall’organo e dal crescendo della chitarra di Howard Drossin, con la voce espressiva di Art Deresh accompagnata dai cori, conserva tutt’oggi ogni stilla del suo fascino, e forse non è un caso che proprio quest’anno sia uscito un remaster CD ampliato con il singolo dei Sin e vari inediti, “Made In Heaven…Not Dead Yet” (FnA Records, disponibili copie autografate).
SILENT RAGE: “Shattered Hearts”
Tratta dall’Album: “Shattered Hearts” (Chameleon 1987)
L’hair metal non si distingueva solo per capigliature ed abbigliamento fin troppo vistosi rispetto ai canoni hard’n’heavy, ma funzionali a MTV ed al mercato americano, almeno fino alla rivoluzione grunge, che ristabiliva un realismo rock più dimesso ed apparentemente antagonista allo star-system. Infatti rattrista che con il crollo dell’hard melodico, siano affondate anche formazioni che disponevano di intriganti qualità nella composizione dei brani.
Originati dal cantante Jesse Damon addirittura nei ’70, Silent Rage non hanno mai avvicinato i picchi di popolarità di Quiet Riot, Warrant e Cinderella, ma il video-clip di “Rebel With A Cause”, rilanciata sul secondo album, si era ritagliato uno spazio in rotazione su “Headbanger’s Ball”, il programma di MTV determinante per la divulgazione del loro genere di musica.
Per i conoscitori, il principale motivo d’attrazione del quartetto di L.A. era la produzione di Paul Sabu, autentico vate del rock melodico (come solista nel classico “Heartbreak” e con gli Only Child), che occupandosi del debut-album “Shattered Hearts”, vi aveva inoculato l’embrione della sua personalità di compositore, collaborando alla stesura di tre brani. Fra questi non figura la title-track, una sognante ballata nello stile romantico perseguito da numerosi heavies californiani, che si distingue per vellutata eccellenza, inevitabilmente con un inebriante andamento melodico, sottolineato da contagiose armonie vocali. Le virtù dell’opera prima convinsero Gene, il demone dei Kiss, a scritturarli per la sua etichetta Simmons Records, che non è passata alla storia per portar fortuna ai suoi protetti. Il secondo album “Don’t Touch Me There” prometteva un lusinghiero successo, ma dopo la rottura dei rapporti fra Simmons e la RCA, Silent Rage finirono ibernati fino al generale disgelo nel Terzo Millennio, che li riscopriva Still Alive.
NEW FRONTIER: “Under Fire”
Tratta dall’Album: “New Frontier” (Mika/Polydor 1988)
Il “solitario” dei New Frontier non era un album da cinque stelle, ma sicuramente l’attraente illustrazione di copertina faceva intuire il contenuto, rock melodico di pregevole fattura…Un chitarrista vi appariva disteso sul balcone con gli stivali da cowboy puntati verso l’orizzonte metropolitano, costellato dalle luci della notte.
Poteva essere la rappresentazione di Monty Byrom, il front-man che già aveva guidato una formazione da culto del rock virato verso le FM, ma con reminiscenze blues “sudiste”, Billy Satellite; ebbero anche il merito di regalare al compianto Eddie Money (scomparso nel 2019), una romantica hit, “I Wanna Go Back”.
Qualche anno dopo Monty ci riprovava a San Francisco con il quartetto New Frontier, che nelle sue file annoverava un reduce dei Gamma di Ronnie Montrose, il bassista Glen Letsch, ed era prodotto dallo stimabile Richie Zito; questi aveva rilanciato i Cheap Trick e fra l’altro, lo ritroveremo in sala di regia con gli alteri Bad English. Se il debutto dei New Frontier non eguaglia certamente quello del supergruppo di John Waite e degli ex Journey, il brano d’apertura “Under Fire” è un classico AOR a 24 carati, assolutamente irrinunciabile per gli esteti del suono che inneggiano ad opere leggendarie come “In For The Count” dei Balance ed “Everybody’s Crazy” di Michael Bolton; una superba linea melodica dal ritmo cadenzato è annunciata dal tocco raffinato delle tastiere di David Neuhauser, assolutamente essenziali in questo contesto, e la canzone è accompagnata da un video tipicamente anni ’80, dove Monty, nella parte dell’irsuto rocker sentimentale, conquista i favori di una bellezza di famiglia ricca, che forse attratta dalla vita on the road, fugge con lui dal suo mondo dorato, in sella ad una rombante motocicletta…
ROXX GANG: “Red Rose”
Tratta dall’Album: “Things You’ve Never Done Before” (Virgin 1988)
Dovevano essere la nuova sensazione glam-metal, proveniente non dalla “capitale” Los Angeles ma da Tampa, in Florida, e si erano rivelati con un album su cassetta, “Love ‘Em And Leave ‘Em”, inaspettatamente prodotto dal ruvido Carl Canedy dei Rods. Si presentavano con un’immagine ostentata nella tradizione di Mötley Crüe, Poison, Pretty Boy Floyd ed affini, ma il suono rivelava una peculiare natura selvatica e randagia, rispettata dal celebre produttore Beau Hill (Ratt, Winger, Warrant) all’atto dell’esordio major su Virgin America, “Things You’ve Never Done Before”.
Hill non insistette nel lucidare la lama del suono, lasciando spazio a fendenti di chitarre sporche e basso gutturale, complementi adeguati alla voce graffiante di Kevin Steele. Che non si trattasse di musicisti finiti per posa nelle cronache del metal commerciale lo svelava la tragica fine del chitarrista originario Eric Caroll, annegato in circostanze misteriose, presumibilmente vittima di omicidio. A partire da “Scratch My Back”, il singolo che aggrediva con un esplosivo mix di AC/DC e Mötley Crüe, la Roxx Gang aveva l’autorevolezza rock’n’roll per imporsi agli albori della nuova generazione sleaze di Guns N’ Roses, L.A. Guns e Faster Pussycat, ed in particolare, mi piace la macabra vena della ballata “Red Rose”; in apertura, il rullare dei tamburi e la cadenza mortifera della chitarra lasciano presagire un’atmosfera spaghetti-western, poi il canto sofferto di Kevin Steele esprime l’“ultimo desiderio” di un moribondo che sente avvicinarsi la fine, ed implora la sua ragazza di “posare una rosa rossa sulla sua tomba”. Ascoltatela e vi accorgerete che il funereo refrain “Sha Na Na Na, Put A Red Rose On My Grave” vi risuonerà nei timpani ed inconsciamente finirete per ripeterlo ad oltranza. Grande canzone. Peccato che la bomba glam si disinnescherà troppo presto, nonostante quest’album classico nel suo genere, ed anche la Roxx Gang si avvierà verso un rapido declino sotto l’incalzare delle nuove tendenze alternative.
Quanta BELLA roba quegli anni….Sei stato grande ad inserire “Soliloquy” dei WARLORD (arte pura)….Dei MALICE ho sempre sputato sangue per Godz of thunder (riffone spettacolare e soprattutto prestazione vocale assolutamente da Oscar !!….Certo ce ne sarebbero da inserire di brani di Band minori che hanno fatto a loro modo “epoca”, tipo Heavy Metal Mania degli HOLOCAUST, Defenders of creation dei WARRIOR, Gates Of Gehenna dei CLOVEN HOOF, Life is just a game dei WILD DOGS e tantissime altre (poi chiaro che ognuno abbia le sue preferite)…..BEPPE ascolta chi ti segue sin da ROCKERILLA 🙂 e cerca di scrivere sempre qualsiasi articolo che ci rimandi al grande periodo dell HARD N HEAVY degli eighties…un periodo che ci ha forgiato tutti quanti a suon di riff e dagli articoli da te firmati…Prosit !! Alla tua!!
Ciao Morian. Lo so che parlando di Hard’n’Heavy anni ’80 raccolgo i favori di molti appassionati a cui sono GRATO, perché se il mio nome è sorprendentemente “sopravvissuto” ad anni di assenza lo devo soprattutto a voi che non avete dimenticato. Credo proprio di dimostrarlo con i fatti, però dovete capire che mi piace svariare anche nelle tante mie passioni e nell’attualità. Sono orgoglioso del fatto che mi attribuite la responsabilità di avervi “forgiato” e lo tengo ben presente. Grazie tante!
Ciao Beppe, articolo, foto come sempre interessantissimo. Alcuni gruppi che citi li ho ascoltati/seguiti altri, diciamo i piu’ cotonati li ho lasciati da parte. I soldi a disposizione erano molto pochi e a volte per acquistare (specialmente a scatola chiusa) si guardava anche al look . Avanti con Heavy load e Warlord, quest’ ultimi forse un po’ in anticipo su certo genere di metal-epic-folk ? Al confronto con Branduardi non ci ero arrivato, ma hai aperto un interessante scenario che sicuramente apre belle riflessioni musicali. E poi in quegli anni, era difficile parlare con gli amici e discutere di Anvil e Finardi, di Acid e Bertoli. Certo, tu giustamente fai dei riferimenti musicali, i miei accostamenti non hanno nulla di cio’ ma si riferiscono solo ad un mondo di ascoltatori rocker, che passavamo dalla nostra new wave, al precedente prog, al jazz rock e all’ impegno cantautorale. A cavallo della fine ’70 e primi ’80, una certa confusione (allegra e non settoriale) regnava nelle nostre teste. Tutto cio’ che non era da discoteca, sto andando fuori tema. Maneskin ? vado controcorrente. Mi sono antipatici come look, simpatici musicalmente. Hanno forse aperto qualche giovane e adolescenziale orecchio al rock ? forse si, qualche giovin virgulto si chiedera’ chi e’ Iggy Pop ? bene o magari riscopre qualche polveroso disco dei Rolling ? si creera’ un piccolo effetto valanga che fara’ riscoprire dischi importanti e meno del metal anni ’80 ? boh lo spero, con mia figlia l’ effetto sembra essere questo, i miei ascolti con lei condivisi erano da dinosauri, ora le ere si stanno assottigliando, anche grazie ai Greta V.F. e chissa’ magari un domani i Beowolf di Slice of life uscira’ dal suo stereo e di altra gioventu’ in fermento.
Un abbraccio Beppe stay on ! e scusa la confusione !!!!!!!!
Lascia stare la confusione, Giorgio, ed esprimi pure i tuoi pensieri a ruota libera. il mio sotto-titolo sui Maneskin non era niente di più che una provocazione. Quello che scrivi a loro difesa (ma non ce n’è proprio bisogno, visto come vanno per la maggiore) è pienamente plausibile. Non li paragonerei ai Greta Van Fleet, che sono molto più competenti a livello musicale, ma può darsi che producano lo stesso effetto sulle giovani generazioni. A me i nuovi astri italici non dicono nulla come rivelazione, e non mi servono perché appartengo ad un’era geologica che ha vissuto ben altro. Mi sembra di esser stato chiaro anche nell’articolo. Grazie dell’attenzione e buon anno.
Buongiorno Beppe,
leggendo questa tua disamina assieme a quelle di singoli della New wave (nostra), mi pare che per te spesso la produzione dei dischi dopo questi brani tradiva, sminuiva, ridmensionava le possibilità iniziali di molti gruppi che sparivano in mezzo alle legioni di gruppi del periodo.
Come mai?
Luca
Luca,non so se tu sia dotato dell'”ironia zappiana” del nostro Giancarlone che molto apprezzi, comunque, nel caso della NWOBHM il dilemma non si pone perché ho citato tutti i principali gruppi che poi hanno avuto maggior successo (Maiden, Leppard, Saxon, gli stessi Motorhead etc.). Per quanto riguarda quest’ultimo articolo, a differenza dei grandi scrittori che vanno per la maggiore, io non sono convinto che abbiano successo solo i più bravi ed i minori (comprese le rarità) siano da deridere. Mi piace pertanto parlare anche dei “perdenti” oppure di grandi gruppi che la critica stroncava con somma ottusità (ELP su tutti). Di conseguenza, scrivendo anche di formazioni che hanno avuto breve durata, frustrate dall’insuccesso o scaricate dalle label, può essere che si ponga il quesito da te sollevato, ma non penso affatto che in assoluto, la loro produzione poi ne risentisse. Certo può esser capitato. In generale non sono un grande fan delle reunion dopo decenni. Ciao e buone feste.
Ciao,
non mi sono spiegato bene e me ne scuso: non ero ZAPPonico, c’era tanta qualità nell’undergound come fra chi vendeva e lo illustri bene. Io non conoscevo molti gruppi di queste rassegne come Sacred alien, Trespass, Shiva e trovo abbiano punti in comune con Coney hatch e Jag wire: melodicità sorprendente e mezzi limitati. Secondo me avrebbero meritato più fondi, per quanto Kim Mitchell sia un genio. Questione successo: nel caso dei ns connazionali recentemente incensati, l’indifferenza è la miglior cura per la scena rock (se ancora viva);
mentre ci sono molte persone che s’uniscono a chi stronca ELP, Kansas, Bad english, Dokken causa produzione e stile perchè va di moda dal Grunge affossarli (o dal Punk…?). Mi han sempre annoiato quelli che denigrano artisti che erano grandi musicisti, intrattenitori e talvolta persone profonde (i temi di Tarkus e Brain salad surgery son per lo meno attuali).
Buon Natale a te e grazie della disponibilità che dai a noi lettori!
P.s.: sarebbe bello vedere in edicola una rivista cartacea con lo spirito di MH…
Ciao Luca, forse non ho ben interpretato la questione posta nel precedente commento, ma ti ho espresso i miei punti di vista; concordo sui concetti di quest’ultima tua, soprattutto sull’attualità e la profondità delle tematiche di Tarkus e BSS. Grazie come sempre dell’attenzione (ma non ho capito la sigla MH dell’ipotetica rivista cartacea, che comunque non siamo in grado di allestire. Purtroppo?)
Grande Playlist Beppe, tutta incentrata sui gloriosi anni 80 come piace a me, ho tutti i dischi citati. Dei grandiosi Malice avrei visto bene, come singolo, anche Rockin with you che aveva come ben sai un refrain molto americaneggiante rispetto la media del disco più Pristiano. White Sister fantastici, tanto che il secondo, tranne April e qualche altra canzone, non mi conquistò mai pienamente. Jag Wire altra gemma. Ti ringrazio di aver citato i Teaze che per me sono una band incredibile con una voce unica e One Night Stand uno di quei pochi dischi in grado di sfidare il primo Starz. Colgo l’occasione per augurarti buone feste. ’80 rules!
Grazie Fabio, la passione per i “gloriosi anni 80” emerge chiaramente fra chi ci segue. Leggo di buon grado le vostre personali preferenze, ed in merito ai grandi Teaze di “One Night Stands”, ti faccio presente che ne ho parlato nell’articolo “1975-79: La Lost Generation dell’Hard Rock nordamericano-i Top 10” (2/7/2020, sul Blog). Se te l’eri perso, puoi leggerlo. Buone feste anche a te, naturalmente!
Ciao Beppe,
Ottimo carnet assortito con 10 perle di cui ho praticamente tutti i relativi album od EP dell’epoca: inutile ma doveroso ricordare che li ho grazie alle tue preziose “dritte” che ho cominciato a leggere su Rockerilla e dopo 40 anni eccoci ancora orgogliosamente qui!
Contento che siano presenti nei 10 gli inossidabili Anvil, antitesi perfetta del gruppo italiano citato nel titolo.
Poi ovviamente ognuno ha le sue preferenze e toglierebbe/metterebbe…mi permetto di citare solo un nome: Warrior, Fighting for the Earth fu a mio avviso un lavoro di livello stellare e che ancora oggi direbbe la sua, ma non ebbe assolutamente il successo che meritava…anche il loro look era ricercato ed azzeccato.
Grazie per l’articolo sempre approfondito ed intelligente.
I migliori Auguri di Buone Feste a te, Giancarlo ed a chi legge e commenta il Blog.
Fulvio, grazie per ricordare il contributo di noi di Rockerilla alla causa hard’n’heavy. Sui Warrior hai perfettamente ragione, dovrò riproporli sul blog, visto l’interesse che suscita il “revival” degli anni 80. Tanti auguri anche a te e a chi ti sta a cuore.
Ciao Beppe, bell’articolo anche questa volta… Purtroppo si sa che ormai il sensazionalismo anche in musica mira ad altri scopi che esulano dall’effettiva qualità della materia proposta, non è un caso che attribuire premi come disco d’oro e di platino si assegnino per cifre di vendita che non sono più quelli di un tempo proprio perché il mercato e la diffusione di materiale sonoro è totalmente cambiato.
E pure i fruitori, oggi con la tecnologia è possibile ascoltare un repertorio di tutte le correnti musicali con un click di tastiera e chiunque può attingere legalmente o meno e impossessarsi di musica senza i supporti tradizionali con conseguenze per l’industria discografica ma più per gli artisti stessi devastanti.
Ne consegue che la platea di ascoltatori non esprima neanche un gradimento preciso proprio perché assuefatto di suoni a getto continuo passa da apprezzare superficialmente ogni genere musicale e non è in grado di valutarne la qualità, non è un caso che i talent si basino in genere sull’esecuzione e il rifacimento di brani di artisti del passato..
Io sarò pure nostalgico o peggio retrogrado ma da un bel po di tempo a questa parte ho perso l’entusiasmo e la voglia di cercare nuovi stimoli nella musica di oggi per questo rimpiango gli anni in cui specie per la musica hard&heavy la scena era a livello amatoriale e scoprivi nuovi suoni e nuovi gruppi soltanto con il passaparola di radio e stampa specializzata ed andando a cercare i dischi febbrilmente nei pochi negozi che trattavano la materia.
Detto questo dalla lista che hai proposto su certi gruppi sceglierei altre canzoni come “Promises” per i White Sister oppure “The unwanted” per I Malice, altresi aggiungerei “Sound of a breaking heart” dei Prophet classico esempio di hit mancato che nelle mani di un Bon jovi avrebbe fatto sfracelli nelle charts, oppure “Stay with me” dei Roxanne un delizioso pop metal adatto a quegli anni, in ambito sleaze /hard segnalerei I Law & order di “Guilty of innocence” disco bellissimo e inascoltato e per finire con l’a.o.r di Donnie Miller che avrebbe meritato luce nelle charts con il lento”Me and you” ed il classico Heavy metal dei Fifth angel con uno delle power ballad più belle che abbia sentito”Broken dreams”virile e scevra da banalità.
Colgo l’occasione per augurare buone feste a te e tutti i fruitori di questo blog
Roberto, anche stavolta da parte tua una approfondita riflessione sul tema. Per le tattiche di marketing relative alla musica attuale lascio volentieri a voi la parola. Per quanto riguarda le mie proposte, si tratta semplicemente di una playlist che ha già suscitato molta curiosità e nulla di più. Non è una classifica, sono solo belle canzoni che mi sono rimaste nel cuore. Ognuno ha il diritto delle proprie preferenze, e accolgo con piacere ogni punto di vista (educato naturalmente, come credo di pormi a mia volta verso i lettori, che rispetto sempre). Un grazie ed un augurio di buone feste a te e a tutti coloro che ci seguono con interesse!
Buongiorno Beppe ! colgo come sempre l’occasione per salutarti e per ringraziarti perché se la mia passione non si affievolisce dopo 40 anni è anche merito tuo !
Non dico molto sulla lista dei 10 pezzi …meravigliosi aggiungerei ,non so perché oggi mi ronza in testa , You Burn in me dei Riot !
Per quanto riguarda i maneskin lasciamo stare il discorso musicale ….demoralizzante……bisogna però ammettere che da un punto di vista di Management e marketing eccetera sono stati dei fenomeni : sono riusciti sfruttando i tristi mezzi a disposizione ai tempi moderni ovvero talent show contest festival e schifezze del genere a ritagliarsi un posto nella scena “rock”…d’altronde Oggi sarebbe inimmaginabile che una bandn possa assurgere a certa celebrità facendo la trafila di una volta cioè quella dei concerti nei club del Talent scout che ti scopre e ti porta ad una major label , i tour etc
Ciao Nevio, i Riot ed altri gruppi fra cui quelli della NWOBHM, non sono stati contemplati semplicemente perché ne abbiamo già parlato sul Blog. Ai Riot (insieme a Diamond Head e Cirith Ungol) ho dedicato un articolo chiamato “Heavy Metal Losers” il 30/9/2020. Puoi recuperarlo fra gli “arretrati” se ti va. Sulla questione dei Talent etc. non aggiungo altro, lascio giustamente spazio al vostro parere in merito. Ti ringrazio delle belle parole.
Ricordo la tua recensione di “deliver us”, il nero terriccio del folk europeo da cui warlord traevano ispirazione…prenotai telefonicamente l’unica copia arrivata alla mitica contempo di via dei neri e saltai una lezione al liceo…davanti al negozio svariati fan fiorentini in febbrile ma inutile attesa@#! Un periodo favoloso che con immenso piacere rivivo su questo blog!
Grazie Roberto, i vostri ricordi di quell’epoca senz’altro “leggendaria” per gli appassionati HM in Italia, fanno parte integrante del Blog e li leggiamo con piacere. Ciao
ciao beppe . forse a torto , ma di fronte a questi gruppi molto cotonati ho sempre storto il naso . un bel ripasso comunque 🙂 ne approfitto per chiederti in futuro 2 righe su mark reale ed i suoi riot . up the hammer
Ciao Meo, la moda dei “cotonati” negli anni 80 contagiava molti in varie forme di spettacolo, anche autentiche HM bands come Warlord e Malice, ma certamente Anvil ed i vichinghi Heavy Load non rientravano in questi ranghi. Comunque ascoltiamo la musica al di là del look. Ai Riot (insieme a Diamond Head e Cirith Ungol) ho dedicato un articolo sul Blog chiamato “Heavy Metal Losers” il 30/9/2020. Puoi leggerlo negli “arretrati”. Grazie
grz beppe
la verità è che gruppi tipo anvil o venom o raven erano alfieri di una tipologia di musica in cui facevo fatica a ritrovarmi . per contro malice , new frontier , silente rage , li trovavo troppo americani come sound e produzione . mi ricordo che all’epoca partivano le prime bandglam losangelene (ho visto i ratt a los angeles: mamma mia il pubblico femminile !) e si , il look era quasi piu importante del contenuto .complimenti per il blog
Grazie per i complimenti. Il look era importante si, ma citi il caso dei Ratt, avevano anche brani di livello, indubbiamente. Comunque il look è importante anche oggi, semplicemente è molto differente: taglio di capelli, tatuaggi, piercing etc. Così è, piaccia o meno, i tempi sono cambiati, di conseguenza anche l’immagine. Ciao
Poveri Maneskin. Ma come anche nella pittura e nella scultura, sono i commercianti che decretano il successo o l’oblio degli artisti.
I tuoi idoli sono spesso di nicchia e rimangono nella memoria degli esperti. Sti Maneskin hanno dalla loro un pubblico di adolescenti che è più colpito dall’immagine casinara che dalla musica, e comprano.
Comunque sarà per la vecchiaia ma di super gruppi contemporanei non ne conosco.
Godiamo malinconicamente dei nostri ricordi…
😂😂😂
Caro Stefano, poveri no…tutt’altro. Sicuramente noi non più giovani soffriamo di un Gap generazionale che ci impedisce di valutarli con gli strumenti dei loro coetanei, ma è altrettanto vero che un marketing strapotente impone la sua legge. Ad ognuno i propri idoli, oppure, ad ognuno ciò che si merita ed aggrada. Grazie dell’intervento, ciao.
Ciao Beppe, ti leggo con piacere e ti ascolto molto volentieri nelle tue ospitate a lineaRock, unico programma serio di Rock nelle radio odierne. Tranne gli Anvil, gli altri gruppi mi sono sconosciuti, negli anni 80 ero un bambino che ascoltava il rock dalle cassette e dischi di papà e del fratello maggiore quindi non potevo approfondire più di tanto; c’è anche da dire che l’offerta era così ampia e di qualità che sarebbe stato difficile stare dietro a tutte le band, anche economicamente… Grazie per queste chicche.
Sui Maneskin devo dire sì che dal punto di vista compositivo non saranno il massimo, saranno frutto di sapiente lavoro di marketing ma devo dire che almeno hanno avuto il merito di riaccendere i riflettori sulla musica rock italiana nel mare di trap, rap e neomelodico… Solo una goccia nel mare. Abbiamo fior di gruppi italiani, io nel cuore ho i Rustless che portano avanti la tradizione dei Vanadium ma, come altri mille gruppi rock italiani di qualità, non riescono a sfondare nel mercato nonostante album di fattura notevolissima. Solo da Garavelli possiamo ascoltare questi gruppi, le grandi radio Rock sono completamente asservite a quella che Pino Scotto definiva la fottuta macchina del disco!!!
Tornando al gruppo del titolo, non sono certo la band rock che amo ma, almeno, hanno portato un po’ di distorsione in un mare di musica insulsa quindi non li biasimo ma un po’ lì ringrazio e spero sinceramente che i gruppi italiani, con le contropalle, possano giovare di un minimo di spazio in più in questo deserto culturale.
Grazie
Ciao Davide, piacere di conoscere il tuo pensiero e che tu apprezzi la mia partecipazione a Linea Rock, programma sempre ammirevole dello storico, bravissimo conduttore Marco Garavelli. Per quanto riguarda i Maneskin, la mia era una battuta un po’ provocatoria per sottolineare quanti gruppi di valore non abbiano avuto altrettanta fortuna. Fra i lettori ed amici competenti, sono in molti a sostenere: ben vengano i Maneskin se grazie a loro si riaccende l’attenzione sul rock e non solo su certe derive musicali odierne di bassa lega…Non penso certo di confutare questa teoria più che accettabile. Semplicemente voglio prendere le distanze da chi riconosce ai Maneskin qualità supersoniche, anche nella stampa di grande diffusione. Opinione personale e discutibile la mia, come tante. Ti ringrazio dell’intervento.
beh ,che dire caro BEPPE,ti seguo dal 1981 dai tempi di rockerilla,sono walter da gorizia,ci sentivamo spesso al telefono attorno al 1983-84.sei sempre stato il mio giornalista e massimo competente in materia preferito.
Grazie Walter, mi ricordo di te e della tua passione. Fa piacere che sia resistita in tanti anni anche la tua considerazione nei miei confronti. Ciao!
Grande Beppe … ti scrissi nel 1983 , e mi rispondesti. Suggerendomi una discografia HM di base !!!
Ciao Fabio, sono tempi remoti! Speriamo che allora quella discografia ti sia stata utile. Grazie.
Grande Beppe ! aggiungerei i Keel e i Wratchild di Stakk Attack!
Caro Giorgio, sono tanti i nomi che si potevano prendere in considerazione. Senz’altro i Keel, per quanto riguarda i Wratchild di “Stakk Attakk”, ho già parlato di loro nell’articolo sulla NWOBHM (Singoli, in 2 parti) pertanto potrai notare che ho deliberatamente evitato quella (prolifica) area musicale, per dar spazio ad altri. Ciao e grazie
Hai ragione, ho recuperato ciò che riguarda i Wratchild.
Che anni per l’hard Rock e per il Metal! irripetibili…
Grande Maestro Beppe!
Davvero un bell’articolo, Beppe! E la scelta di “toccare” diversi sottogeneri non disorienta affatto, anzi contribuisce a ricordare l’immane stratificazione del settore heavy di quel periodo.
Non mi esprimo invece sull’allusione ai Maneskin perché, pur non apprezzandoli, mi sono fatto la mia idea in merito ed è basata su un ragionamento che non ha a che fare granché con la musica, né con il senso del tuo articolo.
Il parallelismo tra Branduardi e i Warlord, però, è davvero un colpo da maestro. Citi giustamente un episodio popolare come “Alla fiera dell’est”, ma la tua è l’osservazione di un ascoltatore che conosce l’opera del buon Angelo decisamente a fondo, è evidente! A quando un articolo sulla discografia-medievale del Trovatore di Cuggiono? 😉
Ciao Massimo, l’intento era proprio quello di svariare fra vari settori hard’n’heavy per i quali valesse il concetto di “canzone”. Chiaramente certi estremi non facevano al caso di questo articolo, idem, in tutt’altro contesto, una lunga jam psichedelica o un esteso strumentale progressive, che comunque posso ammirare. Per quanto riguarda i Maneskin, si trattava solo di una provocazione; in ogni caso parliamo di un gruppo di rock elettrico e aggressivo. Trovo semplicemente esagerate le ovazioni nei loro confronti, buon per loro se sono superstar. Mi spiace solo che altri non abbiano avuto i riconoscimenti che meritavano. Un mio più illustre predecessore scrisse: “La grande potenza del supermercato quale mezzo di diffusione.” Non sono affatto un loro hater, ne ho abbastanza di quelli iscritti al gruppo Facebook a me dedicato che potrebbero andarsene altrove. Invece conosco piuttosto bene Branduardi, e sono contento che tu abbia apprezzato il legame di cui ho parlato fra i Warlord ed il nostro colto musicista, ma a differenza di altri che blaterano, ho l’umiltà di riconoscere che non sono abbastanza ferrato in materia per occuparmi compiutamente di lui. Grazie tante, davvero.
Grande lezione di storia!
Grazie Melodic Rock Sam! Un saluto a te.
Ciao Beppe bell’approfondimento. Intervengo solo per ringraziarvi dei bei momenti di lettura ch ci offrite e per farvi gli auguri. Aggiungo solo il consiglio di guardare il docufilm sugli anvil a chi non l avesse visto, forse in rete si trova. Mi sono commosso rivedendo Lips e la sua ostinazione ad essere un Rocker fino alla fine. Grazie poi a chi ha citato FFTH dei Warrior. Io per restare su quel tipo di gruppi e su altri piccoli capolavori mi permetto di citare anche gli Exxplorer (americani con due x non il gruppo nwobhm) di Simphonies of Steel. Forse non facilissimi all’ ascolto ma geniali nella composizione e nell arrangiamento. Buon 22! Luca
Luca, ti ringraziamo per la gentilezza di farci gli auguri (ne abbiamo tutti bisogno, stante la pandemia dilagante) nella speranza di proseguire con il blog che, fortunatamente, riscuote consensi come i tuoi, sempre apprezzati. So bene di che Exxplorer parli ed i Warrior sono ricordati positivamente dai lettori. Ne terrò conto. Auguri di buon anno anche a te.