Il 1973 è stato un anno speciale per la musica popolare ? Possiamo ricordarlo oggi come un momento importante per il rock ? Proviamo a riflettere su una storia di 50 anni fa.
Come ci si siede davanti a una pagina vuota per scrivere ? Come nascono le idee o come si scelgono i temi da affrontare ? E’ la classica domanda che viene posta a chi si diletta nell’arte dello sporcare immacolate pagine di un programma di computer o, un tempo, di carta. E’ altrettanto notorio che chi scrive veramente per lavoro ne abbia scritto, direttamente o indirettamente. Tanto per citare il primo esempio che mi rimbalza in mente, Stephen King ne ha scritto raccontando la vicenda di Jack Torrance in Shining, che resta, magari sottotraccia, il dramma dello scrittore che cerca silenzio ed ispirazione prima di venire avvolto dai suoi stessi incubi. Altrove King ha esplicitamente affrontato il tema in “On Writing”, ne ha raccontato i dubbi e le crisi nella novella “Ratto”.
Io, che non sono King e neppure l’ultimo dei narratori, trovo idee nella casualità della musica, di una mezza frase citata in un discorso tra amici, in una battuta di un film o nella mia stessa memoria che fa riaffiorare parole e indicazioni che si erano perse nei meandri dei ricordi. Nei miei tre libri o nella dozzina di racconti che ho scritto… tranquilli, tutti inediti, non vedranno mai la luce… l’idea, l’ispirazione arrivava dalla casualità del momento, dalla semplicità di un gesto o una riflessione. E dato che considero un blog, il nostro blog, una conseguenza di una serie di considerazioni che hanno una loro “continuità concettuale”, rispondo così a chi mi ha posto la medesima, comune domanda : perché e come ti succede ?
In questo caso l’idea per quello che state leggendo è l’incrocio di due scintille occasionali che ho trovato in linea con quanto scritto recentemente. Se avete avuto la pazienza di leggere il mio precedente scritto… “non avere più tempo da dedicare alla brutta musica, perché troppa di eccellente ne è stata prodotta fin’ora”… troverete questa una corretta prosecuzione di quel discorso che, devo ammetterlo, ha riscosso consensi e condivisioni (molti) e altrettanto giuste prese di distanza (poche grazie a cielo!).
Giorni fa un amico, un vecchio compagno di merende di avventure lontane, mi chiama per le due periodiche chiacchiere da anzianotti… lui preferisce dire vintage… che servono anche a tastarsi il polso e ritrovarsi ancora lucidi e vivi dentro.
E dato che Guido ha ancora tempo e passione per gestire un periodico, uno dei pochi sopravviventi, mi chiede se avessi voglia di partecipare a una sorta di scritto a più mani dedicato alle uscite del 1973. “Su Prog metteremo i cento dischi di quell’anno che secondo cento diversi amici sono, per noi, degni di menzione”. Accetto volentieri perché la sfida è divertente e poi so già che anche Beppe parteciperà.
La prima domanda che mi pongo non è però di cosa scrivere, ma perché proprio quell’anno. Molte volte ognuno di noi si è posto la domanda su quale fosse stato l’anno magico, quello della svolta, quello che ha tracciato il solco della nostro musica e sono certo che ognuno ha trovato argomenti sufficienti per dare una risposta diversa. Su due piedi ho sempre pensato al 1967 o al 1969, due anni che per diverse motivazioni hanno innescato molto di quello che ne è conseguito.
Ma il 1973 ? Così mi sono messo a ripensare a cosa avessi acquistato quell’anno e cosa mi fossi invece perso per poi correre a rimediare. Molti nomi importanti sono riaffiorati dalla nebbia delle memorie e poco per volta sono riaffiorati dubbi insieme a quei nomi : che sia stato il 1973 davvero un anno importante ? E perché? Così, con la scusa di scegliere il mio disco di quell’anno… è stato facilissimo ma non voglio adesso togliervi il piacere di scoprirlo quando il giornale uscirà... ho ripensato in modo un po’ più analitico non solo alle uscite ma anche al periodo, mio personale e del mercato. Ed è così che il fiume di musica e situazioni, di occasioni e episodi di vita, di letture e fameliche ricerche di fonti e notizie mi ha fatto tornare indietro nel passato.
Con un po’ di coraggio e di raffronto a ciò che stiamo vivendo oggi, vorrei poter dire che in realtà questa mia personalissima analisi dovrebbe chiamarsi “Indietro nel futuro”, tanto di bellezza e stupore il girovagare in quel passato mi ha fatto rivivere. Nel 1973 ero in seconda liceo classico, in un anno travagliato non solo per la mia poca voglia di continuare a misurarmi con latino e greco, ma anche per quel mondo che stava sbriciolandosi e cambiando anche, è proprio il caso di dirlo, grazie o a causa dagli spintoni dati in precedenza dalla cultura portata dalla musica. Noi, al solito viaggiavamo in un universo parallelo lontano dalle rivoluzioni culturali musicali, noi che la cultura la avevamo inventata ed esportata nel mondo secoli prima, ma mentre in California si era già fatto il funerale al movimento da ben sei anni e nel resto degli Stati si sperimentavano nuove rivoluzioni, mentre i ragazzi continuavano a fuggire in Canada per non finire nel massacro del Vietnam, una guerra ufficialmente chiusa nel gennaio del 73 ma che realmente si chiuse solo due anni dopo, mentre in Germania nonostante Willy Brandt la cultura alternativa ribolliva di idee personali e in Inghilterra si seppellivano i vecchi miti per crearne di nuovi all’ombra di Sir George Heath, in Italia circolavano armi e idee malsane che sarebbero sfociate in stragi che già avevamo conosciuto. In Italia si moriva al suono della migliore musica che a cavallo di quei due decenni avremmo mai potuto ascoltare mentre i nostri governi si alternavano con la velocità di una pallina di un flipper.
Il sottoscritto, quell’anno, era riuscito a mettere da parte con lavoretti estivi e l’aiuto di papà una somma che allora mi pareva astronomica e che oggi non pagherebbe una pizza per quattro amici per acquistare la sua prima moto : un Puch 125 di seconda o terza mano il cui rumore della marmitta ho ancora nelle orecchie oggi. Comprare dischi ed accumulare cassettine per registrare quelli che non potevo permettermi ma mi ripromettevo a futura memoria di portare a casa era la mia attività principale. E dato che le 1800/3200 lirette per ogni 33 giri erano sangue da estrarre da inesistenti casse personali, la dedizione a lavoretti di ogni genere era obbligata : in estate tutto era più facile. Si scaricavano camion di gelati prima della distribuzione, si stacciava la rena di spiaggia pagati a prestazione dal bagnino di turno, si vendevano vecchi giocattoli che a possederli oggi verrebbero esposti alla Tate Modern, si caricava l’apino del giardiniere che aveva potato le siepi dei giardini del quartiere.
Ma per poi comprare cosa ?
Ecco, alcune di quelle uscite mi sono immediatamente tornate in mente, luminose e speciali nella loro freschezza, dischi di cui avevo sognato l’acquisto e che avevo goduto nel portarli a casa nel loro sacchetto quadrato, grande, con cui mi pavoneggiavo passeggiando sul lungomare prima di tornare a casa per dar vita al rito dell’apertura e del primo ascolto.
Ricordo perfettamente che fu marzo il mese che mandò in crisi le mie finanze e la voglia sfrenata di limitare le spese a un disco soltanto per volta : nel marzo del 1973 uscirono in sequenza Houses of the Holy, Thick as a Brick, Dark Side of the Moon, For your Pleasure e Larks’ Tongues in Aspic. Per chi non avesse idea di cosa questo potesse significare per un appassionato, provi a pensare che gli ultimi tre uscirono, credo di ricordare correttamente, nel medesimo giorno.
Scegliere chi portare per primo a casa fu una sofferenza fisica. Ai tempi le uscite dei gruppi importanti avvenivano su due livelli : il disco di importazione, che arrivava praticamente quasi in contemporanea alla uscita del paese d’origine, e la stampa italiana. Comprare il disco importato significava in una elevata percentuale di casi spendere quasi il doppio ma avere la certezza di assicurarsi l’artwork…la copertina… originale a casa. Gli Zeppelin avevano per la prima volta dato un nome al proprio disco; la copertina, quella famosa che fessbuk censura non avendo capito che si tratta di arte visiva, non avendo nome né indicazione portava una fascetta bianca verticale con le indicazioni mancanti. I Jethro Tull avevano optato per un intero giornale che faceva il verso ai quotidiani scandalistici inglesi; il St.Cleve Chronicle si apriva e leggeva, nella sua interezza, proprio come un giornale, dove il vinile era nascosto all’interno in una piega dell’ultima pagina. In Italia la copertina, evidentemente troppo costosa, divenne una banale copertina neppure apribile. La copertina di Dark Side venne riportata come in origine…mentre per il successivo Wish si fu costretti ad apporre un adesivo sul sacchetto nero vinilico che conteneva…beh ne parleremo quando capiterà di discutere del 1975. La cover dei Roxy non venne toccata così come quella dei Crimson.
Copertine a parte, limitandosi ai soli primissimi ricordi di quel lontano 1973, siete in grado di rendervi conto che stiamo parlando del Gotha del rock mondiale ? E non ci siamo allontanati dall’Inghilterra, nel solo mese di marzo. Sembra folle, rifletteteci un momento solo, ma sul serio in quel marzo è stata pubblicata musica immortale, senza una etichetta ben definita, materiale che ha influenzato decenni di composizioni a seguire. Musica che ascoltiamo praticamente ogni giorno ancora oggi, cinquant’anni dopo… e chi non lo fa o peggio non lo ha mai fatto merita di essere condannato a vita nel terzo girone del settimo cerchio dell’inferno dantesco, quello dedicato ai bestemmiatori, sodomiti e usurai.
Voglio spingervi a capire prima che il solito tizio si alzi dicendo che “viviamo nel passato” e non guardiamo al…bello che ci circonda oggi. L’incredibile di quell’epoca musicale stava tutto nella stupefacente emozione di non sapere cosa si stava per ascoltare… voglio spiegarmi meglio : oggi credo che non esista chi non abbia perfettamente in mente i contenuti di quei dischi, ma provate a far finta di essere immersi dentro una di quelle vasche ermetiche che il dottor Walter Bishop utilizzava in Fringe per isolare il soggetto dal mondo esterno e indurlo al pensiero puro, non viziato. Voi non avete mai ascoltato nessuno di quei dischi. Vi rendete conto che non sapete cosa esattamente state per ascoltare ? Vi rendete conto della sconfinata diversità, della poliedricità di quelle composizioni ? Potete immaginare gruppi ed etichette discografiche alle prese con la forza di penetrazione di quel materiale che andava ad invadere ogni stanza in ogni angolo del mondo ?
E ditemi, con una mano sulla coscienza, vedete intorno a voi un qualcosa che possa anche lontanamente andare a competere non con uno di quegli album, ma anche solo con uno dei brani contenuti in quei dischi ? Io, no.
Adesso pensate all’intero anno 1973… e a questo assolutamente parziale elenco di quello che mi viene in mente senza andare a ricercare in mezzo alla lunga lista che Google vi può fornire. Pensate al resto… a parte del resto… Kevin Ayers, Black Sabbath, Blue Oyster Cult, Faust, Fripp & Eno, Genesis, Free, Gentle Giant, Mahavisnu Orchestra, Todd Rundgren, Soft Machine, Yes, The Who, Weather Report, Uriah Heep, Traffic, Santana, Queen, Mike Oldfield, Popul Vuh, The Mothers of Invention, Mc Laughlin/Santana, John Martyn, James Gang, If, Guru Guru, Greenslade, Gong, Family, E.L. &P., Amon Duul, Deep Purple, Nucleus, , Caravan, Budgie, Ash Ra Tempel… tutti gruppi o artisti che hanno pubblicato musica fondamentale nella loro storia e in quella, più generalmente, della musica contemporanea.
Non so se avrete mai il desiderio di andarvi a cercare ed ascoltare quanto e che cosa sia stato distribuito cinquant’anni fa…ma anche 45 o 55… e che non avete mai avuto modo di ascoltare; ma vi posso giurare che troverete più stimoli, fantasia e sperimentazione lì che in tutto quello che avete potuto trovare nella “musica liquida” degli ultimi trent’anni.
D’altra parte, Miles Davis … un signore che, invitato alla Casa Bianca, seduto a un tavolo dove gli veniva chiesto, forse perché di colore, “cosa avesse fatto di così importante per meritarsi un invito in quel luogo” rispondeva serenamente “ho cambiato il corso della musica cinque volte nella mia vita”… intervistato un giorno sulla genesi della musica di quegli anni disse che il trucco stava nel “non suonare quello che c’è : suona quello che non c’è”.
E per me è esattamente quello che abbiamo avuto la fortuna di ascoltare noi…che c’eravamo… ascoltavamo le note che non c’erano. Ed era bellissimo.
Sono sempre più convinto che nei prossimi decenni, forse tra una ventina di anni, questo importantissimo periodo musicale del Novecento (diciamo dal 1966 al 1974) che oggi sembra essere semplicemente consegnato a un passato “vintage”, appunto, verrà alla ribalta e sarà approfondito ed esaltato anche dal mainstream e anche con conseguenti, massicce operazioni di riproposta e studi in larga scala. E’ una miniera eccezionale che, per adesso, giace riposta in un passato forse ancora troppo recente?
Bene, sarà allora che, chi ci sarà, si renderà conto davvero del “tempo perso” durante gli anni duemila e seguenti ad ascoltare il NULLA.
Grazie ancora per essere ritornato sull’argomento e in maniera sempre così impeccabile, chiara e intellettualmente onesta.
Di niente, grazie. È solo il mio pensiero.
Però la foto dei Led Zeppelin in apertura dell’articolo risale al tour del 1975 ; scusami Giancarlo per questo appunto pignolo!
Per il resto condivido tutto e sai cosa rispondo quando chi sa che sono appassionato di Rock mi chiede cosa ne penso dei Maneskin?
Semplice rispondo: “non mi servono a niente! ”
Ho già la musica degli anni 70-80 che mi basta ed avanza (oltretutto sono ancora in piena scoperta di quell’epoca leggendo i Tuoi articoli e quelli di Beppe Riva): ad esempio oggi Beppe mi ha fatto scoprire il bellissimo disco dei The Boyzz Too wild to tame
Baccio…in merito alla foto, me lo concedi, senza polemica ? …e ‘sti cazzi ? 🙂
Certo Giancarlo, no problem, mi sono infatti scusato con Te in anticipo. È solo che per me i LZ sono come per Te FZ 🙂 ed il 1973 è stato un anno particolarmente importante per il dirigibile dal vivo ( chiedere a Tim Tirelli per conferma)
😄😄🤣