"Promenade"...alle origini dei 3
Robert Berry, chi era costui? All’inizio dell’88 era ammissibile domandarselo, quando giunse notizia di un nuovo triumvirato presieduto dai titani del progressive Keith Emerson e Carl Palmer, di fama ELP.
Dopo il tentativo, esaurito nel breve volgere di un album, di rilanciare la mitica sigla con gli stessi Emerson, Lake ed il celebre batterista Cozy Powell, stavolta l’illustre assente era Greg Lake, ed a sostituirlo ecco un cantante-multistrumentista californiano, allora 38enne e senza precedenti eclatanti. Mi affrettai a pubblicare la notizia su Metal Shock (febbraio 1988), che vi ripresento più avanti nell’articolo, in omaggio ad una foto assai riuscita del Maestro Keith.
Solo rovistando poi nel mio archivio discografico, senza internet a disposizione, mi accorsi che si trattava dello stesso Bob Berry effigiato sul retro-copertina del primo LP degli Hush, un quartetto della sua città natale, San José, che esordiva nel 1977 per la piccola etichetta Asi. Ma il suo passato non si riduceva a quei misconosciuti pomp-rockers; nel 1985 aveva debuttato da solista con l’album “Back To Back”. In seguito incontrava a San Francisco Walter “Herbie” Herbert, il manager che gettò le basi per la fondazione dei Journey e si occuperà anche degli Storm (Rolie, Valory, Smith etc.) nonché dell’”importazione” in USA dei fenomeni svedesi Europe e Roxette. Fu lui ad organizzare uno showcase per Berry alla presenza del plenipotenziario della Geffen, John Kalodner. Questi propose al musicista un futuro a fianco di Sammy Hagar, oppure con Carl Palmer, reduce dall’esperienza vincente degli Asia per la stessa Geffen, con l’ambizione di replicarne il successo sotto l’egida dell’“arena rock”. Le prospettive non si esaurivano qui; infatti Robert volò in Inghilterra per confrontarsi con Steve Howe e discutere di un suo futuro nei GTR, altro supergruppo di derivazione prog ma dagli intenti di espansione commerciale, condizionati però dallo scarso feeling fra l’ex-chitarrista degli Yes e Steve Hackett. A Londra, Berry conobbe Keith Emerson, che stava collaborando con Sue Shifrin, moglie dell’attore e icona pop David Cassidy. Si potrebbe descrivere questa compositrice come una Holly Knight “minore”; ha comunque scritto canzoni per artisti del calibro di Tina Turner, Heart, Cher e Meat Loaf. Inizialmente doveva far parte del progetto che oltre a riunire Emerson e Palmer, includeva lei e Berry. Lo testimonia la firma della Shifrin su “Chains”, il brano più maliziosamente pop dell’album a venire, “…To The Power Of Three”. Ma il gruppo si definirà, come da tradizione, con assetto a…3!
A distanza di oltre trent’anni, finite nell’oblio le riserve dei “dissidenti”, innamorati ad oltranza degli ELP sulla cresta dell’onda progressive, non posso che riconoscere “…To The Power Of Three” come un capolavoro sottovalutato, al vertice degli slanci sinfonici dell’AOR.
L’album era orientato verso un maturo stile melodico, allontanandosi in parte dalle elaborate trame strumentali del passato, e perorava la causa di una formazione che ambiva a colmare il vuoto lasciato da Asia e Journey, sciolti rispettivamente nel 1986 e nell’87.
“…To The Power Of Three” era dunque superbo AOR barocco, con un taglio più sintetico dei brani rispetto ai virtuosistici trascorsi emersoniani, ma sempre saldamente nelle mani di magici strumentisti. Robert Berry vi appare come figura centrale, tutt’altro che offuscato dai gloriosi compagni, come attesta il modernismo della produzione, ad alta componente tecnologica, condivisa con Palmer. Ne traggono giovamento anche i preziosi arrangiamenti, che svelano inconfutabilmente la regale paternità di Emerson. Dotato di una bellissima e classica intonazione vocale, degna del paragone con gli indimenticabili Greg Lake e John Wetton, Berry è il compagno ideale per la nuova avventura dei 3, ed il suo canto si staglia mirabilmente sulla profondità del suono nel singolo “Talkin ‘Bout”, promettente successo radiofonico, e in “Lover To Lover”, entrambi luminosi gioielli AOR. Quando Keith lascia libero sfogo alla sua arte, emerge l’epica magnum opus “Desde La Vida”, che al pari del classico “Pirates” illustra la creatività “cinematografica” del Maestro in chiave rock, già sperimentata in varie colonne sonore, mentre la militaresca fanfara di “On My Way Home” stabilisce un ideale trait d’union con il ritorno in grande stile degli ELP anni ’90 di “Black Moon”. Infine, l’eccentrica, incalzante versione pomp-rock di “Eight Miles High” dei Byrds, è verosimilmente un tributo di Berry alle sue radici West Coast.
Inevitabilmente, gli strenui seguaci dell’Era Progressiva di ELP avevano accolto con diffidenza l’album d’esordio dei 3, ed il suo rock melodico da stadio incline all’airplay. Questi due Live postumi rimettono le cose a posto, dimostrando un brillante bilanciamento fra il classico repertorio degli ELP e la raffinata tendenza “radiofonica” dei 3… senza dimenticare che alle origini del successo USA del supergruppo inglese non c’era nulla di complicato, ma un’incantevole ballata, “Lucky Man”.
Entrambi registrati nel 1988, rispettivamente al Paradise Theater di Boston e al Ritz di New York, presentano la stessa line-up, ampliata a quintetto, ed una successione dei brani quasi equivalente…Al trio si uniscono infatti il chitarrista Paul Keller (già negli Hush di Berry) e la corista Jennifer Steele; “Rockin’ The Ritz” presenta due brani in più: la pianistica “Dream Runner” di Emerson, tratta dalla sua colonna sonora del film “Best Revenge” e la sorprendente versione di un hit del ’66 dei Four Tops, “Standing In The Shadow Of Love”, a mio avviso ben calata nel contesto del gruppo.
I “monumenti” degli ELP (e dei Nice) vantano comunque una collocazione di privilegio negli spettacoli, inaugurati dalla bombastica “Fanfare For The Common Man”, con escursioni in “Hoedown”, “Creole Dance” e nell’impetuosa medley “America/Rondo”, già presentata con furore nel concerto del 40° Anniversario Atlantic. In evidenza anche i cavalli di battaglia di “…To The Power Of”, da “Talkin ‘Bout” all’imperiosa “Desde La Vida”, fino al vistoso finale affidato alla dilatata rivisitazione di “Eight Miles High”. Performances rilevanti per i completisti, che possono “cacciare” in rete anche il bootleg “Three Live Power In Atlanta”…
3.2: “The Rules Have Changed” (Frontiers, 2018)
L’avventura dei “Tre” non si risolse nell’auspicato successo, ma per Berry, l’esperienza con musicisti che stimava fra i suoi “miraggi” artistici non finiva qui. Tutt’altro che scoraggiato dalla rifondazione degli ELP, nell’anno stesso del loro “Black Moon” (1992), il polistrumentista californiano rispondeva con un eccellente lavoro solista, “Pilgrimage To A Point”, dove metteva orgogliosamente a frutto la lezione di Emerson, senza dimenticare che lo stesso Berry non era solo un virtuoso di chitarra & basso, essendo cresciuto dividendosi fra il rock e gli studi classici al pianoforte. Coltivando il rapporto amichevole con colui che considerava il più prestigioso musicista conosciuto durante la sua carriera, Robert aveva incontrato Keith nel gennaio 2016 a L.A., gettando le basi per il prossimo album dei 3.2 (assente Palmer), provvisoriamente intitolato “1”! Purtroppo il medesimo uscirà solo nell’estate 2018 a nome “The Rules Have Changed”, orfano di Keith, tragicamente scomparso.
Più vicina al progressive rock di quanto lo fosse il primo “…Three”, l’opera esordisce con la malinconica melodia di “One By One”, racchiusa fra parti pianistiche del compositore classico norvegese Edvard Grieg ed assai rappresentativa della svolta musicale dei 3.2. “Powerful Man” risulta invece di maggior impatto, e nelle solenni note del synth è arduo riconoscere se la mano sia quella del maestro o dell’allievo. Un interrogativo che si pone ripetutamente nel corso dell’ascolto, specie in “Somebody’s Watching” (firmata da entrambi), a conferma della fervida applicazione esibita da Robert sui tasti d’avorio. La title-track è dedicata ad un altro valoroso organista deceduto pochi mesi dopo Keith nel 2016, Trent Gardner dei Magellan. Non meraviglia dunque che “The Rules…” abbia suscitato ovazioni nei circoli prog.
3.2: “Third Impression” (Frontiers, 2020)
Un tentacolare Robert Berry, all’opera su tutti gli strumenti nonché deus ex machina in sala di registrazione, disegna ogni architettura del suono nel nuovo 3.2, “Third Impression”: un titolo che si riallaccia idealmente al finale di “Karn Evil 9”, imponente suite del classico di ELP, “Brain Salad Surgery”. Non si giunga però a scontate conclusioni; indubbiamente il musicista americano persegue il suo scopo, attualizzare gli insegnamenti di Emerson con rinnovato vigore, ma è dotato di personalità poliedrica, in grado di conquistare frange di pubblico competente, affascinate dal rock melodico come dal prog ai confini con il metal.
Basti ascoltare l’iniziale, grandiosa “Top Of The World”, che si dischiude su una fantastica melodia acustica – con un cantato di prima qualità – poi scandita dalla solista che ci guida verso potenti affreschi musicali, nemmeno tanto distanti dai Led Zeppelin “contaminati” dal folklore di Marrakesh e dal viaggio nel Sahara…Altrettanto epica e similarmente inaugurata da fasi acustiche è “Missing Peace”; si risolve in un imperioso crescendo pomp-rock, naturalmente nell’accezione migliore del termine, ossia prog e melodia fusi all’americana come nei classici Asia e nei primi 3.
Nel seguire le dinamiche tastiere di “What Side You’re On”, oppure un raro quanto memorabile innesto dell’organo Hammond in “The Devil Of Liverpool”, il dilemma da porsi è ancora lo stesso: vi suona il discepolo o addirittura il Maestro?
Non si può svelare l’arcano, ma certo è che i contatti fra Berry ed Emerson sono proseguiti fino alla scomparsa del veterano inglese ed è ben noto come le parti strumentali siano ormai facilmente trasferibili. Un indizio in più: i due sono accreditati come unici componenti della band. Si può comunque andar oltre, contemplando le numerose qualità di “Third Impression”. Del primo singolo “A Fond Farewell” abbiamo già riferito a suo tempo su “Short Talks”, ma a testimonianza della varietà dell’opera, c’è una ballata arrangiata con squisita eleganza e fuga classicheggiante nel finale, “A Bond Of Union” (nell’edizione giapponese è aggiunta una versione unplugged) o il raffinato feeling jazz del pianoforte di “Emotional Trigger”. Di grande effetto anche il riff di synth in pugnace stile Braveheart, ed il bridge pianistico d’atmosfera in “Black Of Night”. Il finale, superbo, è affidato a “Never”, l’unica composizione dichiaratamente di Emerson/Berry, che sfiora i 9 minuti, combinando ogni strategia dei due artisti; piano ed organo dall’enfasi “church”, improvvisazioni piacevolmente old-fashioned fra Hammond e chitarra solista, oltre naturalmente alla voce, ai cori suggestivi intonati da Berry.
Possiamo affermarlo: Keith Emerson non è più fra noi, ma il suo spirito sopravvive anche grazie al rispetto e alla sensibilità artistica del suo bravissimo partner. E sia finalmente resa gloria al protagonista assoluto di questo sofisticato disco, Robert Berry, e al suo talento purtroppo mai abbastanza riconosciuto.
Altro articolo ovviamente eseguito a regola d’arte. Ammetto che devo ancora comprare il T.I. di Berry, ma considero il primo un classico, dove ci sono canzoni alla ‘Lover to Lover’ che formeranno la spina dorsale dei suoi secondo me buoni dischi solisti ( monumentale resta ‘Last ride Into the sun’). Ho avuto molto piacere nel costatare che hai citato gli EL&Powell, perché secondo me con the power of 3 ci sono dei contatti, e mi ricordo perfettamente che tu inseristi l’album su Rockerilla come disco del mese, ben fatto! Come sempre, sono un grande fan di quel disco, ‘The score’ ripristinava l’incantesimo verniciandolo di ’80 , sotto la loro matrice originale da acrobati dell’impossibile, come li avevi definiti in un altro tuo mirabolante articolo sullo speciale Hard&Heavy.
Fabio, alcune volte voi lettori citate mie frasi del passato che neanch’io ricordo. Ovviamente che vi abbiano colpito è significativo per me. Anche se non scrivo sulle eleganti riviste che vanno per la maggiore, posso ritenere che il mio contributo non sia passato inosservato. Inoltre, saprete quanto EL&P e loro derivazioni abbiano rappresentato per me, dunque il vostro elogio lo trasferisco in toto alla memoria di questo magnifico gruppo, spesso denigrato da invidiosi ed ignoranti. Grazie, ciao
Caro Beppe, la prima volta che ho sentito parlare di Robert Berry è stato in occasione dell’album dei Tempest, “Turn of the wheel” del 1996, dove tra l’altro nella prima traccia, “The barrow man”, suonava anche Keith Emerson. Poi l’ho seguito con i 3 e mi è piaciuto, così come ho apprezzato 3.2 anche se non ho gridato al miracolo. Al contrario la seconda esperienza di 3.2 non mi ha entusiasmato e trovo difficoltà ad apprezzarlo. Credo che album di questo tipo ce ne siano in giro parecchi, ma soprattutto credo che sia meglio anche per Robert Berry staccarsi dal passato e soprattutto da Keith Emerson. È stato indubbiamente per lui il sogno di una vita condividere tanta e buona musica con Keith Emerson, ma Berry ha buone doti di pluristrumentista e probabilmente anche come autore e forse è opportuno che trovi la sua strada. Comunque di tutto l’album mi è piaciuto “Bond of Union” e, solo per affetto “Never”.
Ciao Medeo. Interessante la tua precisazione sull’album dei Tempest edito da Magna Carta/Roadrunner (la Magna Carta pubblicò anche un tributo agli ELP: “Encores, Legends & Paradox” del 1999); si trattava di un gruppo prog californiano che nulla aveva a che spartire con i ben più celebri e precedenti Tempest inglesi di Jon Hiseman (post-Colosseum). Per quanto riguarda “Third Impression”, il mio parere decisamente favorevole l’ho espresso; chi non ha apprezzato le contaminazioni del progressive con il rock melodico americano (Asia fra i capiscuola della tendenza) può non esser attratto dall’ultimo lavoro di Robert Berry. Questa componente era però evidente anche nel primo “To The Power Of Three”. Lo stile di Berry non mi sembra pertanto così derivativo. Anche “K. Emerson Band Feat. Marc Bonilla” mostrava qualche inclinazione AOR, vedi “A Place To Hide” riproposta sul Tributo “Fanfare”. Grazie dell’attenzione, ciao.
Vedere nel 2020 apparire una cover con l’icona 3 è un colpo al cuore per chi ha apprezzato il primo capito a fine anni 80. Progetto che aveva fatto storcere il naso ai puristi del prog per le contaminazioni ottantiane del sound ma che per i più aperti rappresentava un fantastico connubio tra prog e architetture mainstream (gran plauso va anche a Berry per questa alchimia). Devo ancora assimilarlo bene ma mi sembra degno dei capitoli precedenti 😉 Thx Beppe!
“…To The Power Of Three” è stato un disco imperdibile nell’ambito dell’AOR con velleità sinfoniche, e non ha perso nulla del suo fascino originale. “Third Impression” ne è degno erede, sinceramente non mi aspettavo tanto. Un plauso sentito a Robert Berry. Grazie e a risentirci, L.Tex
Belin che disco Beppe! Mi riferisco chiaramente a Third Impression. La tua recensione e relativa retrospettiva su Berry è come sempre impeccabile . Quest’ultimo lavoro è un gioiellino suonato meravigliosamente. Grazie
Grazie Paolo, si cerca sempre di fare del proprio meglio per valorizzare dischi meritevoli di attenzione, ancor più se non si tratta di artisti estremamente popolari. Ciao
Buonasera Beppe, come sempre ho letto con attenzione il tuo pezzo e stavolta più che mai, dato che la mia cultura su Robert Berry si limita(va) a materiale evidentemente “minore”. Grazie per l’input, quindi! 😉
Ciao Massimo, non so cosa tu intenda per materiale “minore”. Il mio intento era focalizzare questo excursus sui 3 (oggi 3.2) per il nuovo album uscito il 12/2/21. Nessuno scopo “discriminatorio” dunque, ma semplicemente una novità discografica e relativo approfondimento. Grazie
Ciao Beppe, mi riferivo al fatto che non avevo mai approfondito la discografia di Berry: ricordavo giusto qualcosa, risalente alla fine degli anni ’90, che però non mi aveva entusiasmato (The Wheel of Time, per esempio). Grazie ancora e buona domenica.
Preso a scatola chiusa come i precedenti e direi che la qualità della proposta lo richiedeva.
Riguardo Berry non sono proprio un “completista” ma poco ci manca: 3 (compresi i live), 3.2, Hush, Wheel of Time Soundtrack, Pilgrimage e gli altri solisti, Alliance (c’è un brano che si intitola “A Bond Of Union” nel nuovo Third Impression…).
C’è inoltre un disco di cui sono sempre stato curioso ma non trovo materiale audio in rete per farmi un’idea: Raptorgnosis, con Berry, Trent Gardner e Jack Foster (2005).
Di Berry, oltre al suo indiscusso talento come musicista, ho sempre apprezzato anche la timbrica della sua voce.
Come sempre, Ciao e Grazie!
Ciao Fulvio, complimenti anche a te per come hai approfondito la carriera di Robert Berry. Non c’è altro da aggiungere se non che a mia volta ho evidentemente apprezzato la timbrica della sua voce. Davvero un artista completo. Grazie
Musicista moldo dotato e assolutamente all’altezza degli altri due Berry ha lasciato una traccia importante nell’aor-prog del passato, ma continua a spandere perle anche in questo nuovo disco.
Che poi ci siano tracce di Emerson non fa per me che rendere il tutto imperdibile poichè lo ritengo musicista inavvicinabile , come ho già scritto, e geniale.
Mi era già piaciuto il primo dei 3.2, mi piace il secondo.
Certo 3: “…To The Power Of Three” , è un gradino sopra, ma lì tirava le redini il GENIO.
Ricordo e ho le tue recensioni che mi spinsero, come sempre a acquistare il vinile e a non pentirmene mai.
Personalmente soffro molto la mancanza di Keith Emerson, tutto ciò che lo ricorda mi fa piacere soprattutto se lo fa uno bravo come Berry.
Bellissima retrospettiva ancorata all’oggi.
Francesco, tramandare nel tempo la memoria di Emerson è pienamente legittimo da parte di Berry, come testimonia anche il commento di Paolo. Tutti noi ne soffriamo la mancanza, Keith era un genio musicale; fa male soprattutto come ci ha lasciato e ci feriscono anche i molti attacchi subiti dalla cosiddetta “critica specializzata” nel corso della sua carriera, quella critica spesso benevola nei confronti di musicisti dal talento alquanto discutibile. Tutto ciò ci lascia profondamente amareggiati. Ma noi che continuiamo ad ammirarlo, ci incarichiamo di tener vivo il ricordo delle sue gesta artistiche. Ti saluto e ringrazio della partecipazione.
La musica riattiva le sinapsi anche dopo oltre trent’anni! La foto di Metal Shock mi ha fatto ricordare di aver letto all’epoca quell’articolo, perchè solo la stampa “hard rock” dedicava spazio e cura ai proggers, senza lasciarsi infestare dagli idoli pop. E ritrovarsi qui, tu a scrivere e noi a leggere, ha qualcosa di forte che ti scalda dentro. Non mancherò di affrontare quest’album e verificare le qualità di Berry (già ampiamente confermate dal disco precedente) perchè la sua proposta è seria e la sua mano esperta. Grazie Beppe.
Leandro ciao, bello quel “senza lasciarsi infestare dagli idoli pop”, magari ti copio…E’ vero che la stampa hard rock si prendeva cura del progressive, ma non “tutta quanta”: inizialmente, solo chi desiderava valorizzare un certo retroterra culturale. Altri, diciamolo, non andavano oltre l’HM degli anni ’80. Solo in seguito, con l’espansione del prog-metal, si è diffusa una maggior apertura in questa direzione. Grazie
Ricostruzione esemplare di un rapporto artistico e umano che Berry ha vissuto come un grande dono; da qui la riconoscenza verso Emerson e Palmer che nel 1987 lo accolsero come pari tra pari, valorizzandone le doti musicali e le conoscenze tecnologiche. Aggiungo solo che i rapporti tra lui e Keith hanno vissuto altri episodi magari meno noti , ma a mio avviso significativi. Ogni volta per esempio che il tastierista passava da San Josè non mancava di recarsi negli studi di proprietà di Berry per un saluto e più di una volta è salito sul palco ospite, non annunciato, della Robert Berry Band. Quando la musica unisce e annulla le distanze.
Caro Paolo, queste notizie/conferme aggiuntive sono sempre molto gradite. Per quanto ho potuto appurare, Robert Berry è una personaggio ammirevole, dotato di grande umanità. Sulle sue qualità di eccellente musicista, solo qualche mentecatto può dubitare…Ti ringrazio
Forte, Grazie della tua super-recensione. Questi pezzi , che praticamente non avevo mai sentito, sono molto belli.
Grazie della tua attenzione, penso sia sempre interessante ascoltare musica che non rientra strettamente nelle proprie conoscenze, soprattutto se costituisce una piacevole sorpresa. A risentirci, ciao!