Sono quegli incontri che capitano così, per caso. Ero a Firenze per lavoro e ci venne offerta la possibilità di parlare con un famoso direttore d’orchestra. La motivazione non la ricordo più. Di solito evitavo qualsiasi intervista o incontro che non fosse assolutamente necessario – da molto tempo avevo capito che i nostri adorati musicisti sono troppo spesso esattamente come i calciatori : persone che hanno un grande talento ma che non hanno nulla da spiegare a nessuno e quasi sempre non conoscono le parole per dirtelo, tranne, ovviamente, le eccezioni che confermano la regola. Ma questa era un’occasione particolare. Il direttore aveva lavorato con Zappa e per me era interessante capire se e cosa ricordasse e cosa ne pensasse a decenni di distanza dal quel maggio di decenni prima.
Finimmo per parlare dei Beatles. Ricordo che a un certo punto lui mi disse : “Le melodie delle canzoni dei Beatles sono così perfette che le armonie nascono da sole.”. La cosa mi colpì al punto che sono quasi trent’anni che ogni volta che ascolto i Beatles, mi torna in mente. Ecco : la melodia, una cosa così importante nella musica che qualsiasi genere uno scribacchino o una casa discografica si siano inventati per descrivere una corrente, questa resta ob-bli-ga-to-ria-men-te essenziale per andare oltre la porta della definizione sterile.
Così, un giorno, qualcuno si inventò l’etichetta “progressive” : la musica che “progrediva”, che andava oltre. Ma oltre a che cosa, esattamente ? Me lo sono chiesto per anni. Fino a immaginare che si fosse trattato di una necessità di un riconoscimento da parte della semplice musica popolare nei confronti della più nobile Classica.
Come se scrivere e creare pagine indelebili della musica popolare, fino a quel momento, non fosse stato sufficiente, i musicisti popolari, nel frattempo divenuti “rock”, avessero per forza bisogno di una consacrazione universale, per essere accettati. Quando dare inizio al progressive ? Non saprei dire. Se alle orchestrazioni degli stessi Beatles operate da Phil Spector per il supremo sdegno di Lennon oppure dalle mescolanze cercate dai Nice, dai Procol Harum, dai Tull o dagli E.L & P. con citazioni dotte da Bach a Musorgskij o ancora dall’utilizzo , talvolta infantile, di unire una orchestra classica in esecuzione di musiche rock o per strumenti amplificati. Difficile dirlo. Così come resta difficile individuare esattamente i confini del medesimo progressive. Erano prog i Traffic ? O lo è stato Oldfield ? Lo era l’intera scena di Canterbury o lo erano i Pink Floyd ? Lo erano i tedeschi o erano semplicemente elettronici ? Se l’uso di orchestre ne fosse un elemento distintivo, anche Zappa, che ha composto e inciso per sole orchestre, e tutti coloro che hanno aggiunto archi alle loro registrazioni, lo dovrebbero essere ?
In realtà, chi se ne frega… “importa sega”, avrebbe correttamente affermato il nobile Conte Mascetti. Quello che distingue la musica progressiva da quella che tale non è, non può che essere la sola melodia. Quell’elemento assolutamente necessario a una qualsivoglia composizione affinché il nostro orecchio lo trovi piacevole, quella cosa spesso posta in secondo piano da altri generi…più sbrigativi, definiamoli così. Il gusto è poi altra cosa.
E di melodie meravigliose, di momenti indimenticabili, di respiri profondi a polmoni pieni, la musica progressiva ne è grondante, grazie a Dio. Impossibile dimenticare le aperture su immagini di largo respiro di una “And you and I”, i contorcimenti barocchi di “Thick as a brick”, impreziositi da un testo di difficile lettura persino dai madrelingua, le fughe impossibili del piano di Emerson o le leziosità di Ron Geesin aggiunte ad “Atom heart mother”, le follie di Fripp. Pedanti ? Ridondanti ? Strabocchevoli ? Logorroici ? Beh, meno male. Meno male che è esistita e sopravvive ancora, una corrente che si preoccupa principalmente di avere grande tecnica, compositiva ed esecutiva, che pone abbondanti armonie strumentali e vocali su melodie lineari, ampie, dalla visuale infinita, perché senza di essa chissà cosa avremmo dovuto digerire… in un minuto e mezzo…
Già, perché se è esistita una musica progressiva, che ha cercato di andare oltre, ne è scaturita una direttamente contraria che è nata – episodio incredibile nella storia della musica – proprio per opporsi alla grandiosità e opulenza della prima. Perché se esiste una musica progressiva, positiva, deve necessariamente essercene una retrograda, negativa. Una per cui saper suonare era una colpa, saper comporre del tutto irrilevante, utilizzare melodie superfluo. A voi decidere se sia stata più musicalmente dannosa la musica etichettata come punk…non dimenticate il significato originale della parola, vi prego… o il rap…e anche qui è necessario non perdere di vista l’etimologia.
Dunque, chi ha avversato la “pesantezza” del progressive, lo ha fatto definendosi “rifiuto” o utilizzando una “chiacchierata”. No, non mi permetterei mai e poi mai di giudicare i gusti musicali altrui. Dico solo che per me, la Musica nasce da una serie di sette note, ben assemblate, utilizzate e scelte ed eseguite con maestria e sentimento. Se cantate, cantate con intonazione e condite con tanto, tantissimo, gusto musicale e amore. Poi, se diverse etichette e generi, debbano confluire, se jazz, blues, psichedelia, hard, country & western, folk, musica popolare si debbano mescolare per dar vita agli unici estratti che questa Terra dovrà sperare di tramandare a chissà quali posteri, beh…molto meglio.
Una chitarra scordata, fuori tempo dalla batteria o una bella, inutile chiacchierata con la vita dei calzoni alle ginocchia non fanno per me. Perché non potrei mai eseguire una Bouree, ma quasi sicuramente potrei parlare su un rap o sbraitare un pezzo da un minuto e mezzo. E le cose belle, per i miei gusti, sono quelle che non potrei mai fare da solo. Ma solo ascoltare. E goderne.
Ecco perché il progressive, se sia davvero mai esistito, mi piace : perché lì ascolto cose bellissime, composizioni perfette che, forse, come diceva Zappa e come mi disse quel maggio un direttore d’orchestra indiano… non potremo mai più veder eseguite su un palco. Ma che resteranno per sempre, come le melodie dei Beatles, quelli che componevano con le armonie che si scrivevano da sole.
Condivido Giancarlo. Non so come Beatles , Pink Floyd, Jethro Tull e compagnia bella trovassero queste melodie e armonie ( chimica? ), di sicuro hanno stimolato e stimolano ancora a distanza di decenni emozioni psichiche e spirituali ( ebbene si, spirituali!) meravigliose e luminosissime (no non mi drogo)!
Figurati…non è necessario drogarsi per creare emozioni. Vedi Zappa che ha sempre odiato ed evitato le droghe, tranne le sigarette… io e Beppe siamo astemi e non fumiamo. E se ancora ti si rizzano i peli delle braccia quando senti un buon pezzo, vuol dire che hai la giusta adrenalina. 😉