Un affettuoso ricordo di Klaus Byron, amico e compagno di avventure.
Il dolore e il dispiacere per una perdita sono cose private, che non andrebbero esposte pubblicamente. E’ anche vero che se vola via un personaggio pubblico, conosciuto e apprezzato, è giusto che anche noi, Beppe e Giancarlo, lo salutiamo per un’ultima volta.
Klaus Byron è improvvisamente mancato per quegli scherzi orribili che la vita ci riserba. E’ stato un amico ed un compagno di viaggio in un paio di avventure, Metal Shock e Flash, che ci hanno visti tutti e tre coinvolti.
Un ragazzo semplice, rispettoso, poco o niente altezzoso e decisamente alla mano, con uno sguardo sempre un po’ timido di chi non è abituato a stare a testa alta pur potendoselo permettere, Klaus aveva fatto di una opportunità che aveva avuto, un lavoro che svolgeva con puntiglio e una passione sfrenata.
Crediamo giusto affidare un ricordo schietto, esplicito, sentito e intimamente vissuto a Luca Cicero, un amico, che aveva collaborato con Klaus e che, da musicista, ha avuto da lui stimolo e consiglio.
La vita è imprevedibile e cruda e ci propone troppo spesso prove che davvero non vorremo mai affrontare, per noi e per i nostri cari, per gli amici. Questa è una prova di cui avremmo fatto volentieri a meno, Cla’.
Il ricordo di Luca Cicero
“Cicero, la fai finita con questi gruppi di merda?”
Se penso a Klaus Byron, il mio mentore Klaus Byron, ma soprattutto il mio amico Klaus Byron, la prima frase che mi balena alla mente è questa, allegoria di una bagarre intergenerazionale tra un entusiasta adolescente metallaro di provincia alla fine dei turbolenti anni ’90, sempre alla ricerca dell’acquisto più “sensazionale” che sostanziale ed un’istituzione del rock duro che ne aveva viste, sentite e scovate di cotte e di crude nel sottobosco underground e che, dall’alto della sua esperienza e competenza, comprendeva davvero quando una band era meritevole di attenzione o meno.
“Invece di rompermi i coglioni con gli Highway Chile, che sono mosci da morire, compra questi… li ho inventati io!” e mi sbatte in faccia, senza remore, col petto rigonfio di orgoglio e il sorriso beffardo di chi ne sapeva una più del diavolo, “Passions” dei Moon Of Steel.
“Questa è roba di qualità, non i troiai che garbano a te! Se questi fossero stati tedeschi o americani avrebbero sfondato, te lo dico io, questi avevano le carte in regola, furono fregati solamente dalla provenienza!”.
E chi ero io per poter rimandare al mittente un consiglio prescrittomi da Klaus Byron, uno dei decani dell’Heavy Metal italiano? Nessuno, sia chiaro, ma tentennai prima di accaparrarmi quel cd, perché per me Klaus Byron era un secondo padre, un fratello maggiore ideale, non era nessun altro, era un amico esente da quell’aura di misticismo che si era creato negli anni di militanza all’interno della scena Rock italiana e alla quale la maggior parte dei suoi interlocutori faceva più che caso. Ma non io, forse per demeriti anagrafici indipendenti dalla mia volontà. Era semplicemente Klaus, oppure Claudio, quando volevo farlo incazzare.
Mi imbattei in lui per puro caso, quando, da giovincello, bazzicavo una birreria a Viareggio nel quale, ogni mercoledì sera, una combriccola di pittoreschi “metalheads” lungocriniti provenienti da ogni parte della Toscana e rivestiti di tutto punto con rivetti, cinture e bracciali borchiati, toppe e spille disparate, organizzava raduni bagnati da fiumi di birra e musica Heavy a volumi da codice penale.
Timido, impacciato, madido e sinceramente impaurito, dentro le tasche del mio chiodo imbottito io portavo sempre un piccolo blocco notes e una biro di ordinanza e ogni qualvolta il dj trasmetteva una canzone di una band che non conoscevo, mi avvicinavo a lui, me la facevo rivelare e annotavo l’autore di modo da potermi procurare nei giorni successivi il cd dell’artista in questione, tra l’ilarità bonaria degli astanti, incuriositi dal mio comportamento naïf, ma soddisfatti dalla sincera curiosità che animava il mio puerile atteggiamento. Il problema di fondo era che certi album nei negozi di dischi “normali” non riuscivo assolutamente a trovarli. Fu lì che uno di loro, mi prese sottobraccio e mi consigliò di recarmi alla “Paranoid Records, da Klaus Byron”.
“Klaus Byron quello che dirige la rivista Flash? Lo leggo sempre! Perché…è di qui?” “Sì, c’ha il negozietto al Marco Polo!” (quartiere residenziale di Viareggio – ndr) “Ma come…uno così tosto…io pensavo che stesse a Milano o a Roma…”
Il giorno dopo mi catapultai in via Beato Angelico alla Paranoid Records, varcai la soglia del piccolo negozietto che solitamente non vendeva al pubblico, ma solo a “pochi selezionati” e fui accolto con diffidenza e tipica incertezza versiliese proprio da Klaus, Muratti Ambassador fumante in mano e voglia di rotture di coglioni pari a zero.
“Buonasera, volevo ordinare “Operation Mindcrime” dei Queensyrche e “Refuge Denied” dei Sanctuary. Per caso lei è Klaus Byron?”
“Ma che cazzo fai, mi dai del Lei?”
“No, sa…sai, perché Lei, cioè te, sei il direttore di Flash, sei uno importante…”
“Come ti chiami te?”
“Luca Cicero”
“Ecco, Cicero, vai a cacare e dammi del tu!”
“Klaus Byron quello che dirige la rivista Flash? Lo leggo sempre! Perché…è di qui?” “Sì, c’ha il negozietto al Marco Polo!” (quartiere residenziale di Viareggio – ndr) “Ma come…uno così tosto…io pensavo che stesse a Milano o a Roma…”
Il giorno dopo mi catapultai in via Beato Angelico alla Paranoid Records, varcai la soglia del piccolo negozietto che solitamente non vendeva al pubblico, ma solo a “pochi selezionati” e fui accolto con diffidenza e tipica incertezza versiliese proprio da Klaus, Muratti Ambassador fumante in mano e voglia di rotture di coglioni pari a zero.
“Buonasera, volevo ordinare “Operation Mindcrime” dei Queensyrche e “Refuge Denied” dei Sanctuary. Per caso lei è Klaus Byron?”
“Ma che cazzo fai, mi dai del Lei?”
“No, sa…sai, perché Lei, cioè te, sei il direttore di Flash, sei uno importante…”
“Come ti chiami te?”
“Luca Cicero”
“Ecco, Cicero, vai a cacare e dammi del tu!”
E da lì iniziai a frequentare quell’angolo di paradiso sottoforma di sgabuzzino tutti i giorni della mia vita, diventando parte integrante della mobilia della Paranoid Records e scoprendo, in sequenza, gruppi incredibili e personaggi altrettanto incredibili che, molto probabilmente, al tempo ritenevo esistessero solamente nei film di azione statunitensi.
Ebbi modo di costruirmi con particolare dovizia e celerità una cultura veterometallica sana grazie ai suoi preziosi input da navigato guru, sebbene lui rifiutasse quest’etichetta, dall’alto della sua smisurata umiltà e dalla sua succitata voglia di rotture di coglioni pari a zero ed ebbi modo di “fare quadrato” ed essere accettato come mascotte dalla “comunità metal” giunta da ogni lato della Toscana che, ogni sabato, soleva radunarsi al di fuori delle mura della Paranoid Records a bere birra, chiacchierare e ascoltare Heavy Metal a palla. Negli anni, quando la passione divenne ossessione, era solito dipingere me e l’oramai quasi cinquantenne Stefano Giusti, come suoi potenziali eredi, per attitudine e sfacciataggine, sebbene in me denotasse qualche punto debole, primo fra tutti il tifo sfegatato ed ecumenico per la Juventus (da lui definita “il male assoluto” nell’ultima conversazione che ebbi modo di fare con lui, non più tardi di dieci giorni fa,) e in secundis la propensione per i titoli più ad effetto che “di contenuti”, un “difetto di fabbrica” che negli anni Klaus ha provato a smussarmi senza, ahimè, riuscirci.
Ma nonostante ciò in me vide del talento e della sana sfrontatezza propriamente giovanile e decise di “assoldarmi” nella squadra di Flash, forte della mia brama di misurarmi in un campo che oramai credevo mi fosse peculiare, collaborazione che durò fino alla svolta editoriale nel 2006, quando decisi di passare dall’altra parte della barricata e dedicarmi alla musica “attiva”, “mestiere” per il momento messo in ghiacciaia in attesa di una proposta irrinunciabile.
“Te negli anni d’oro saresti stato il tipico fan dei Mercyful Fate, sai?” mi diceva.
“In che senso? I Mercyful Fate mi fanno impazzire, lo sai!”
“Ecco, ti pareva. Quelli come te li conosco da sempre. Saresti stato il tipico “metallaro Torre di Pisa”, uno di quelli che dovevano per forza tirare fuori il nome ad effetto per stupire l’interlocutore e farsi vedere più acculturati e ganzi degli altri”
“Ma guarda che io lo sono anche ora”
“E allora lo vedi che oltre a juventino sei pure stronzo?”
“E che dovrei ascoltare allora, secondo te, visto che sono stronzo?”
“Judas Priest, Saxon, Scorpions e Strana Officina. Il resto è tutto superfluo”.
Sembrava burbero, sembrava tosto, sembrava chiuso il buon Klaus, ma era tutto cinema. In cuor suo voleva bene a tutti, anche a chi ogni giorno si faceva trovare fuori dalla Paranoid Records ben prima che alzasse la saracinesca e non gli lasciava un minuto di respiro. Un altro, al posto suo, avrebbe chiamato i carabinieri o, ancor peggio, i genitori dei suoi “quotidiani disturbatori”. Lui invece ogni volta ci apriva la porta e ci ospitava tra quelle quattro mura anguste anche nei momenti di maggiore operosità.
Un posto per i suoi figliocci c’era sempre.
“E’ arrivato quell’altro. Che vuoi stamani? Vai a scuola!”
“Macchè scuola, ho letto su “Flash” che è uscito il disco nuovo dei Grave Digger, se ce l’hai fammelo sentire che oggi pomeriggio torno e lo compro”
“Guarda che chiamo tua madre e glielo dico!”
“Chiama, chiama, tanto se lo immagina”
E, puntuale, alle 14.30 mi presentavo fuori dalla Paranoid Records ad attendere che aprisse.
“Che palle, sei ancora qui! A casa tua ci stai male, per caso?”
“Preferisco stare con te che con mia madre, lo sai, te sei il capo del metal!”
“Ma quale capo, vai a cacare!”
E sorrideva.
Non sono certo se nella nostra ultima, fugace, conversazione a tema calcistico di qualche giorno fa, lui mi avesse o meno mandato a cacare per l’ennesima volta, ma in cuor mio ci spero, perché, il buon Byron, o Claudio (quando volevi farlo incazzare per bene) quando ti mandava a cacare significava che ti voleva bene veramente. Dribblando i difetti di fabbrica come birilli e insaccando magistralmente come avrebbe saputo fare soltanto il suo tanto amato cigno di Utrecht Marco Van Basten che, un giorno, mi confessò di aver votato in una tranche elettorale comunale.
Mancherai a tutti, ma forse a me un po’ di più, caro Klaus.
Perché per me non sei stato un’icona, sei stato semplicemente un amico e una figura fondamentale nella mia vita. E se non ti avessi mai conosciuto, molto probabilmente adesso sarei vissuto nel più bieco e totale anonimato, e senza un briciolo di cultura, cuore e interessi, senza aver inciso alcun disco e senza aver conosciuto nessuno del giro del Metal italiano e non solo.
Adesso ti immagino là, assieme ai tuoi fratelli Fabio e Roberto Cappanera, davanti ad un fiasco di Chianti impagliato e una bella cofana di spaghetti, che ve la cantate e ve la suonate come ai bei tempi, nell’epoca d’oro, quando, mi raccontavi, montavate sul Ducato dei fratelli labronici e giravate tutta l’Italia con Hendrix e Rory Gallagher nel mangianastri.
Quell’epoca che non ho mai vissuto a causa della mia età ma che, per merito dei tuoi resoconti dettagliati, schietti e commossi, sento anche un po’ mia.
Grazie di tutto, amico, maestro, padre mio.
Ti voglio bene.
PS: E ricordatevi di non chiamarlo Claudio, altrimenti si incazza come una bestia!
Vengo a sapere di questa notizia con un anno di ritardo. Per capire quanto leggo ormai sui siti le notizie.
Conobbi la rivista di Byron nel 1992, a maggio se non ricordo male. Grazie alla sua rvista e alle sue recensioni venni a conoscenza di tanti e tanti gruppi, specialmente metal prog di quel periodo.
Uno fra tutti ricordo la recensione di “Labyrinth of dreams” degli ormai disciolti Elegy. La recensione del primo album si beccò 100 ed era sua.
Iniziava con “Fermate le macchine, please” me lo ricordo ancora.
Quando se ne vanno via certi pwersonaggi che hanno fatto la tua gioventù è che se una parte di te se ne andasse via per sempre.
Flash era cambiato. Byron continuò ad esserci, penso fino a metà anni 2000. Fu poi sostituito, se non ricordo male. Si perse quell’aura di scoperta che aveva il giornale e il dare notizie metal di quel periodo.
Il giornale stesso era cambiato: la formaula della suddivisione per generi rimase, ma il giornale non fu mai più lo stesso
Primo numero comprato, dicembre 1992, dopo averne sbirciati alcuni per qualche mese da un mio amico/compaesano e praticamente unico altro metallaro qui al tempo (ma pochissimi di più anche dopo in realtà), che lo comprava sempre già da almeno un anno mi pare, così come da un anno o qualcosa di più prima di me aveva iniziato l’ascolto e scoperta del metal di vario tipo. Presi tutti fino alla fine, compreso ultimo periodo senza Klaus alla direzione, e li ho ancora tutti e li terrò sempre, a differenza di tante altre annate e centinaia di numeri di altre testate prese in contemporanea fisse anche quelle o a periodi o a numeri sparsi a seconda dei casi, e che prima o dopo magari rivenderò, se qualcuno le vuole. E negli ultimi anni ho recuperato da alcune persone anche vari numeri (pure di Metal Shock) del periodo precedente a quando iniziai a prenderlo appunto a fine ’92, ma me ne mancano ancora, spero prima o dopo di trovarli, almeno tutti quelli dall’89-90, non me ne mancano moltissimi in quel caso, ma so che usciva dall’87 almeno, pur se come allegato saltuario a MS.
Sì Alessio, usciva inizialmente come costola, non come allegato, di MS. Flash incominciò come uno speciale fotografico e poi in breve tempo venne modificato in un secondo periodico. Credo che Klaus lo abbia preso in “gestione diretta” dal 1990 o giù di lì.
Una grande perdita….. R.I.P.
Un pezzo della mia gioventù che se n’è andato improvvisamente. Grazie per tutto Klaus.
Io sono del 71, quindi ho vissuto gli anni dorati dell’heavy metal, i gloriosi eighties, anni in cui furono partoriti I pilastri della nostra amata musica, poi però forse pochi ricordano come nei primi anni 90, il classico heavy metal veniva deriso da quasi tutta leditoria musicale, perfino alcune riviste metalliche cominciarono a mettere in copertina gruppi crossover, grunge o al limite black Scandinavi… Ma flash no, sotto la direzione di Klaus i gruppi HEAVY metal che rimasero fedeli alla linea e le nuove leve che ne seguivano le orme trovavano ampio spazio, il metal italiano veniva premiato. Bisogna tributare un giusto plauso a chi come Klaus (anche Grazioli su ms, pera su mh, il giusti e Cicero, Buti, raffaldini ecc) iniziò una nuova generazione culminata col boom del power del 96 al verbo metallico. Grazie Klaus you are the DEFENDER GOD HAS SENT!
In copertina o meno comunque e giustamente, perché è sempre stata una rivista (come Klaus stesso appunto) più aperta di quanto molti pensassero magari fermandosi appunto alle copertine senza mai o quasi comprarla e sfogliarla davvero e leggerla tutta o almeno vedere i contenuti, le rece, le interviste ecc., anche Flash ha dato parzialmente spazio ai generi più moderni e contaminati che stavano esplodendo lungo gli anni ’90 e poi alla fine (contemporaneamente appunto al ritorno, a livello ovviamente molto più di nicchia sia rispetto agli ’80 che rispetto ai generi moderni contemporanei che vendevano milioni di copie, almeno con le le band di punta) e inizio dei 2000, ma appunto senza mai abbandonare come dici giustamente te, anche tutti gli altri, quelli più o meno classici, o quelli estremi ma ugualmente ormai “instituzionalizzati” da anni (death metal di vario tipo, per esempio) e rispettati magari anche dai metallari che personalmente non li apprezzavano. Insomma ha sempre cercato di trattare tutto lo spettro del rock vero e derivati, dall’AOR al grindcore passando per praticamente tutto il resto.
Addio caro compagno di un momento indimenticabile della mia vita… riposa in pace.
notizia improvvisa e tristissima. Un saluto a Luca!
Voi mi avete accompagnato dall uscita del primo numero di Metal Shock ad oggi..
Klaus prendendo in mano le redini di Flash ci fece rivivere le emozioni che solo Voi di Metal Shock sapevate evocare in noi.
Fifth Angel,Malice,Queensryche,Fates Warning e tutto lo sfavillante A.O.R.statunitense e scandinavo.
Con Klaus se ne va una parte di noi.
Grazie Giancarlo e Beppe …
La notizia della sua dipartita mi ha lasciato senza parole … Klaus Byron era (ma è ancora) il marchio di fuoco di quell’era rappresentata da Riva e Trombetti (e quindi questo blog).
Mi piace ricordarlo come “sponsor” o “simpatizzante” di una band composta da miei amici – i Welcome Idiots – che passò come una meteora negli anni primissimo ’90 quando l’Hard & Heavy apriva a quello che comunque era un suo figlio (magari un po’ bastardo, ma tant’è … è il Rock ad essere bastardo), cioè il Grunge ed a tutta una serie di band composte da ragazzi che erano partiti dal Punk e dal Post-Punk ma che si erano riaperti ad alcuni marchi classici come la supremazia del Riff, ai capelli lunghi etc ….
Klaus li conobbe e sponsorizzò se non altro facendo loro accedere anche a Metal Shock (stavano passando nello stesso periodo su Rockerilla e Mucchio Selvaggio) affascinato dalla contaminazione (la band era più vicina ai Mud Honey o primi Nirvana piuttosto che ai più quadrati Soundgarden, Alice In Chains o Pearl Jam).
La band si perse e si suicidò artisticamente da sola, vittima dei propri fantasmi ed ingenuità … purtroppo ….. però loro hanno sempre ricordato con affetto, e pure io …. la spinta entusiasta, piena di voglia di fare e donare e far conoscere musica che Klaus aveva donato a loro conoscendoli.
Ciao Klaus … da uno dei tanti lettori-fan di quegli anni ….. e che non ha mai mollato ….. come il Rock e come l’Hard & Heavy.
Grande Cice. Abbiamo sempre litigato per qualsiasi cosa. Ma stavolta mi hai commosso davvero…
Luca ti ringrazia.