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C'era una volta HARD & HEAVY

Very ‘Eavy Days: Addio a Ken Hensley, simbolo dei classici Uriah Heep

Di 11 Novembre 2020Dicembre 17th, 202026 Commenti

Pochi giorni fa, avevo rispolverato uno dei miei album preferiti degli anni ’90, “Bloody Kisses” dei Type O Negative; riascoltavo l’arcana, cavernosa versione di “Summer Breeze”, un innocuo numero uno del ’72 di Seals & Crofts. Ho sempre interpretato l’inedita appendice suonata all’organo Hammond come un richiamo dell’effetto “a spirale” conclusivo di “Forever Free” dei WASP, opera del keyboards-maestro Ken Hensley. E mi ritornavano in mente le prodezze del tastierista londinese in “Look At Yourself” degli Uriah Heep, particolarmente in sintonia con quegli assoli d’organo di decenni posteriori. All’indomani, attonito, scoprivo che il 4 novembre era scomparso a 75 anni in Spagna proprio Kenneth William David Hensley, questo musicista dalla figura longilinea e dalla riccioluta criniera leonina, presto eletto fra i miei idoli giovanili, che con gli Uriah Heep aveva lasciato un’impronta indelebile nei Seventies, la belle époque dell’heavy rock progressivo.
Per fatale casualità, a fine ottobre era uscito un ingente box super deluxe, “50 Years In Rock”, sostanzialmente l’opera omnia degli Uriah Heep, con le inevitabili delizie per collezionisti.
Ken era un personaggio dominante nel quintetto ormai riconosciuto negli storici Big Four dell’hard britannico, accostato ai grandi Led Zeppelin, Black Sabbath, Deep Purple. Vi aveva militato dal 1969 al 1980, imponendosi come artista completo; non solo tastierista extraordinaire, ma anche compositore di primo piano, cantante e chitarrista. Addirittura è stato il protagonista indiscusso – voce solista e chitarra acustica – di uno dei maggiori successi degli Uriah Heep, l’indimenticabile ballata “Lady In Black”. Nell’occasione aveva relegato in secondo piano un cantante del calibro di David Byron, ed anziché risentirne, il singolo raggiungeva il primo posto della classifica tedesca.

A conferma della sua autorevolezza in seno al gruppo, Ken scriveva di proprio pugno stimolanti note di presentazione degli album, a partire da quelle riportate nell’iconica copertina sepolcrale di “Very ‘Eavy Very ‘Umble”: era infatti un musicista rilevante prima dell’ingresso nei misconosciuti Spice, pronti alla metamorfosi in Uriah Heep.
In quel giardino rigoglioso di misteriose essenze che era l’underground inglese di fine anni ’60, si era già affacciato con The Gods, costituiti nel ’65, dove facevano fugace comparsa le future stelle Mick Taylor e Greg Lake. I due album “Genesis” (1968) e “To Samuel A Son” (1969) tratteggiavano in fase sperimentale l’heavy-prog che si evolverà negli Uriah Heep, miscelato con il diffuso retaggio dell’era psichedelica. Ken vi appariva anche nel ruolo di cantante, con inusuale capigliatura afro, ed insieme a lui il bassista Paul Newton ed il batterista Lee Kerslake, a loro volta destinati a far parte degli Uriah Heep.
Ma non a ritrovarsi, perché Paul era sostituito dopo il terzo album “Look At Yourself”, mentre nel successivo “Demons And Wizards” (1972) faceva il suo esordio Lee. Cogliamo l’occasione per rendere onore anche a lui. Disgraziatamente, Kerslake era deceduto il 19 settembre scorso a 73 anni, soccombendo ad un tumore diagnosticato alla fine del 2018. Non è stato solo il batterista per eccellenza degli Heep, ma ha fatto parte della formazione che rilanciò Ozzy Osbourne negli anni ’80, nei classici “Blizzard Of Ozz” e “Diary Of A Madman”. Non venne accreditato sul secondo album, vincendo poi la battaglia legale con l’inflessibile Sharon Osbourne, costretta a riconoscergli il dovuto…
Tornando alle vicende dei Gods, i suoi membri avevano colto l’occasione di un terzo album sotto mentite spoglie; adottarono infatti pseudonimi per incidere “Orgasm”, a nome Head Machine, una rarità uscita nel 1970 su etichetta Major Minor. Vi suonavano sia Hensley (alias Ken Leslie) sia Kerslake (Lee Poole). Nell’occasione “Leslie” si faceva notare soprattutto per saggi di chitarra heavy e per le sue doti di front-man, ed a quanto si tramanda, il titolo dell’LP era riferito alle sue insaziabili brame sessuali!
Per rendere l’idea della vorticosa successione degli eventi, nel giugno del 1969 il duo Hensley-Kerslake partecipava alla fondazione dei Toe Fat, ma quando veniva pubblicato l’omonimo album nel 1970 (Parlophone), l’organista era già emigrato negli Heep, dall’inverno 1969; nello stesso periodo, Kerslake si univa alla National Head Band.
Nel 1971, nonostante i tempi stretti fra un album e l’altro, nell’intervallo fra “Salisbury” e “Look At Yourself”, il frenetico Ken trovava il tempo di volare in Germania per stringere alleanza con un gruppo locale, Virus. Insieme allestivano Weed, autori di un eponimo album (Philips, 1971).
Ma a dispetto delle ampollosità di una critica ostile, il debut-album degli Uriah Heep, “Very ‘eavy ‘very ‘umble” (giugno 1970, Vertigo) li consacrava come astri nascenti del nuovo decennio. Il sigillo d’apertura, “Gypsy”, è uno dei più grandi classici hard rock d’ogni tempo e fra le tante virtù, sfido chiunque a citare un assolo di organo Hammond altrettanto furente. Che il suo esecutore fosse particolarmente ispirato, lo dimostra l’onirico preludio di “Dreammare”, sospeso fra sogno ed incubo, nel proprio genere un inattaccabile segmento musicale. La vena progressiva del gruppo, illuminata dal tastierista, raggiungeva verosimilmente la sua massima enfasi in “Salisbury”, la suite orchestrale che si estendeva sulla seconda facciata dell’album così intitolato. Un autentico assalto sinfonico, purtroppo tardivamente rinomato per i suoi reali meriti.

Segnalo doverosamente che i primi due Uriah Heep, su “swirl label” Vertigo, entrambi gli LP dei Gods e l’unico Head Machine sono tutti presenti nella nuovissima Guida di Record Collector alle 100 più costose stampe inglesi del Prog.
Sebbene gli Uriah Heep fossero allo zenit del loro successo nel 1973, con un doppio “Live” che rappresentava il compendio della fertile creatività di cinque album di studio, Hensley riusciva ad inaugurare con l’LP “Proud Words On A Dusty Shelf” una carriera solista, invero non particolarmente fortunata.
La seconda metà dei ’70, pur consolidando la statura internazionale degli Heep, li coglieva però in manifesta fase calante nella produzione discografica, ed un Hensley ormai avverso alla sfuocata direzione musicale, lascerà il gruppo dopo “Conquest”, del 1980. Mossa tutt’altro che felice; mentre il leader superstite Mick Box, con una rinnovata formazione, ritroverà la strada maestra orientandosi verso l’hard melodico degli Eighties, la figura di Ken finirà in secondo piano. La sorprendente scelta di unirsi ai “sudisti” Blackfoot, dall’82 all’85, ratificata dagli album “Siogo” e “Vertical Smiles”, avviene quando Rickey Medlocke ed i suoi hanno già sparato i colpi più letali, dunque bisogna aspettare la fine degli ’80 per apprezzare l’artista in altre sporadiche comparse americane, in “Headless Children” dei WASP (Blackie Lawless era un suo acceso ammiratore) ed in “Heartbreak Station” dei Cinderella.
Ken Hensley si avviava così verso una dignitosa, avanzata maturità, accedendo al Terzo Millennio a fianco del vecchio compagno d’avventura John Lawton (già voce degli Heep e dei Lucifer’s Friend). Fra gli episodi salienti, citiamo la collaborazione con l’altro gran veterano, John Wetton, ed un cameo nel progetto Ayreon, alquanto apprezzato dagli appassionati di prog-metal.
Ormai, tutto è stato scritto e consegnato alla storia.
Ken Hensley ha raggiunto Keith Emerson, Jon Lord, Vincent Crane, nel Paradiso dei Supereroi delle tastiere…Insieme, staranno organizzando una jam session illuminata dalla luce abbacinante delle stelle. Per quanto mi riguarda, nessuna combinazione possibile di concorrenti sulla Terra potrebbe mai eguagliarla.

* * * * *

Per un approfondimento sui classici Uriah Heep, dall’album d’esordio al quarto “Demons And Wizards”, considerato dagli inglesi il loro migliore, riporto quanto scrissi su Rockerilla n.271 e 273, nel 2003.

26 Commenti

  • giorgio ha detto:

    Mamma che brividi Beppe, Uriah heep, Ken , Lee, Mick , David che band fantastica quanto ho sognato sulla loro musica. Ho avuto la fortuna di vedere Ken qualche anno fa’ al FIM seconda edizione di Genova. Che concerto, mi sembra che l’ accompagnasse Roberto Tiranti e la sua band. Che sconcerto quando acquistai Siogo dei Blackfoot, pensai subito ad un connubio strano, il southern che incontra la fantasia gotica anglossasone, due artisti che amavo alla grande e come giustamente hai segnalato un disco in caduta privo di entrambi. L’ Heepster mania e dura a morire . Grazie Beppe per il Return to fantasy

    • Beppe Riva ha detto:

      Si Giorgio, i media ci hanno messo un po’ ad avvicinare i classici Uriah Heep al livello di Zeppelin, Sabbath e Purple, ma infine è accaduto. Mai avuto dubbi sulla loro qualità, nemmeno sul fatto che è arduo sradicare i pregiudizi. Allarghiamo la schiera dei loro “die hard” fans!

  • Giovanni Loria ha detto:

    buongiorno Beppe,
    leggo sempre con piacere l’intero blog, ma con il tuo sentito omaggio a Ken Hensley hai particolarmente vellicato le mie emozioni.
    gli Uriah Heep sono uno dei miei gruppi favoriti di sempre: amo anche le loro imperfezioni, le ingenuità, certe cadute di tono al limite del kitsch.
    amo i costanti saliscendi della loro carriera, i continui cambi di formazione che per effetto domino mi hanno consentito negli anni di scoprire altri valorosi gruppi e musicisti ad essi collegati.
    amo la loro discografia così intricata, che lascia al di fuori dei loro lp originali dozzine di canzoni, sovente eccellenti, confinate tra i singoli, magari addirittura nell’umile ruolo di una facciata b.
    adoro Mick Box e gli riconosco il merito di aver portato avanti il glorioso vessillo per mezzo secolo, ma non posso certo disconoscere il ruolo di Hensley, alla cui severa leadership afferisce il periodo aureo del gruppo.
    a titolo personale, fatico a distinguere fra le mie preferenze un album rispetto ad un altro: ad esempio la triade con John Lawton (oltre ad un quarto disco fantasma rimasto a lungo inedito che di recente ha trovato una pubblicazione carbonara in vinile, deogratias!) a mio parere è di livello altissimo, anche se ormai lontana, ‘Firefly’ a parte, dalle influenze progressive degli esordi.
    e persino ‘Conquest’, il cui insuccesso spinse Ken all’abbandono, è a mio parere un buon album, per grande merito del magico timbro di John Sloman, abile emulo di Stevie Wonder e del divino Glenn Hughes.
    ti abbraccio con virile deferenza e continuo a seguirti con immutata ammirazione, sperando in futuri nuovi incontri dalle parti di un palco!

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Giovanni, mi fa piacere che continui a seguirci e che ti abbia colpito il tributo a Ken Hensley, personaggio fondamentale di un gruppo con il quale sono cresciuto e che rientra fra i tuoi favoriti, com’è evidente dal tuo appassionato intervento. Giusto render merito al grande veterano Mick Box per aver guidato gli Uriah Heep oltre la soglia del mezzo secolo di vita, con i loro alti e bassi; altrettanto giusto ricordare adeguatamente Ken ed il grande vocalist David Byron che ne hanno caratterizzato l’epoca più “classica”, purtroppo entrambi scomparsi. Grazie e speriamo di incontrarci quando torneremo in…libertà.

  • LucaTex ha detto:

    Una grande mancanza anche questa di ken purtroppo. Tributo dovuto ad un grande tastierista della musica hard rock…..R.I.P.

    • Beppe Riva ha detto:

      Certamente Tex, fra i miei/nostri tastieristi preferiti di quegli anni indimenticabili! Grazie del commento sul grande Ken. A risentirci.

  • Luca ha detto:

    Poco da aggiungere a quanto da te scritto. Il suono dell’hammond mi ha sempre affascinato e lui ne è stato uno dei sommi maestri. Un gruppo per me notevole.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Luca. Colgo l’occasione per ricordare, in tema di organo Hammond, un maestro molto popolare nella seconda metà dei ’60, Brian Auger, con il suo gruppo Trinity e la cantante Julie Driscoll. Ricordo che fece almeno un’apparizione TV alla RAI. Ormai è 81enne e forse dimenticato, ma è stato un notevole virtuoso.

  • Gianluca CKM Covri ha detto:

    Ciao. Grazie per il ricordo di Ken, ma anche di Lee, passato un po’ sottotraccia. Quando da ragazzo mi sono imbattuto in D&W, ho passato un’intera estate a girare praticamente l’Emilia Romagna alla ricerca dei loro dischi. Li trovai tutti fino a conquest, nelle sezioni delle offerte….beh, meglio per me. Feci fatica ad introdurli ai miei amici, ma alla fine li ho convinti anche grazie agli ultimi lavori che hanno fatto negli anni 2000. Un pensiero però anche al meraviglioso David Byron. Alla prossima.

    • Beppe Riva ha detto:

      Gianluca ciao. Su Hensley ci siamo abbondantemente espressi. Posso aggiungere che ho letto recentemente su una delle più importanti riviste britanniche, che il grande David Byron era “il più inglese, nel senso buono del termine, degli Dei del rock dei ’70”. Un importante riconoscimento per chi, agli esordi, era stato definito un pò sarcasticamente “voce tipica di chi cade d’inverno in un fiordo norvegese”…Se ben ricordo, durante un soggiorno in Italia, David aveva anche salvato una ragazza che stava affogando in piscina. Era doveroso ricordare anche Lee Kerslake; certamente meritava più spazio, ma purtroppo i “caduti del rock” si susseguono, ad un ritmo funesto.

  • Roberto ha detto:

    E quest’anno si è portato via un altro gigante dell’epopea dell’hard rock, a poca distanza tra l’altro da un suo collega…
    Hensley era innegabilmente l’anima compositiva degli Heep nonché un musicista dal talento smisurato.. Per me Demons and wizards rimane uno dei top album del decennio settantiano nonché la line up che vi suonò la formazione per eccellenza del gruppo inglese..anche se trovo interessante tutto il proseguito dello stesso.
    Purtroppo quei tempi sono finiti, chi lo ha vissuti non li ha dimenticati e non ha dimenticato questi eroi che hanno segnato un epoca, un suono, un genere… La speranza è che non siano pochi oggi quelli che tributino un giusto riconoscimento a personaggi come Hensley, musicisti rimasti lontani dalle mode, musicisti veri e reali che hanno lasciato un impronta indelebile nel loro cammino nella storia della musica popolare… Il dubbio permane..

    • Beppe Riva ha detto:

      Mi fa davvero piacere leggere vari attestati di stima nei confronti di un artista come Ken Hensley, che temevo ormai dimenticato. Ho ritenuto necessario rendergli omaggio; per le emozioni che mi ha regalato, è stato parte attiva della mia “formazione” da appassionato. Non entro in merito ai tributi altrui, dico solo che talvolta mi sembra di leggere notizie d’agenzia riportate con l’ormai abusato “copia e incolla”. E’ triste e fa male scrivere di grandi musicisti che ci lasciano, noi non lo possiamo fare sempre (R.A.T.Blog è di sole due persone, che scrivono per passione e null’altro) però purtroppo capita spesso. Auspichiamo sia apprezzato. Grazie del pensiero, Roberto

  • Baccio ha detto:

    Amo da sempre gli Uriah Heep, mentre non conosco la successiva carriera del grande Hensley sia da solista che in collaborazione con altri artisti ; mi piacerebbe leggere un Tuo “Focus” sull’argomento, se non chiedo troppo!
    In ogni caso grazie , penso che leggerei con piacere anche la lista della spesa se scritta da Beppe ( sicuramente comprerebbe le Ostriche Blu e la Papera Confusa!)

    • Beppe Riva ha detto:

      Grazie dell’apprezzamento con un tocco di humour che non guasta mai, Baccio. Se ti riferisci ai Fuzzy Duck prima o poi dovrò occuparmene…Heepsteria forever, a risentirci

      • Baccio Bacci ha detto:

        Certo Beppe, mi riferisco ai fuzzy duck autori di un disco bellissimo! Ti leggerò volentieri quando ti occuperai di loro

  • Fulvio ha detto:

    Ciao Beppe,
    Riguardo Ken Hensley alla tua esaustiva e meritata celebrazione posso solo aggiungere un grazie a lui per la musica che ci ha lasciato (R.I.P.)
    Riguardo gli Uriah Heep continuo a seguirli con piacere. Visti live abbastanza recentemente (2016) e la prestazione è stata degna di nota (Phil Lanzon non sarà Ken Hensley ma sa il fatto suo).
    Anche la loro produzione discografica recente non mi dispiace affatto, come ad esempio l’ultimo “Living the Dream’ del 2018.
    Li trovo più freschi ed accattivanti degli odierni Deep Purple per fare un esempio. Certo, non suonano più l’ heavy prog dei ’70 ma secondo me si sino re-inventati in modo coerente ed al passo coi tempu.
    Un saluto

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Fulvio, mi ripeto, ma anch’io condivido l’apprezzamento per gli ultimi Uriah Heep, che mi pare decisamente diffuso, e per la bravura degli ex-Grand Prix, Lanzon e Shaw. Grazie a te

  • francesco angius ha detto:

    Sinceramente a me piacciono molto anche gli Heep dagli anni 80 in poi.
    Certo i primi album sono inarrivabili, ma anche in seguito malgrado i cambi di formazione sono stati molto validi.
    Il primo album è alla stregua della triade sacra deep-ledzep-black, assolutamente con inferiore.
    Il suono Hammond mi ha sempre intrigato e Ken ha esaltato le possibilità di tale strumento.
    D’accordo con te, un grande musicista che non ha avuto in vita il riconoscimento che meritava, ma che tra gli addetti ai lavori era molto stimato.
    Giusta la tua revocazione e il rendergli merito !

    • Beppe Riva ha detto:

      Grazie Francesco, anch’io apprezzo lavori degli Uriah Heep dagli anni 80 in poi; però non li metto sullo stesso piano di quelli dal 1970 al 1975 (“Return To Fantasy” incluso). Ciao

  • Fabio Zavatarelli ha detto:

    Prima di tutto, GRAZIE ancora una volta Beppe per questo ricordo-celebrazione-biografia di un personaggio imprescindibile per il Rock dei ’70s (ma anche dei Late ’60s).

    Ho scoperto solo in un tempo successivo gli Uriah Heep rispetto all’Era in cui fui folgorato da Made in Japan, In Rock, Paranoid, I-II-III-IV … & Co.
    Per il mio personale gusto alcuni aspetti del loro stile non mi hano mai convinto al 100%, ma per tanti altri mi hanno regalato emozioni veramente profonde ed onestamente … l’assolo di Gypsy è e rimarrà un affondo psichedelico ed urlante veramente speciale.
    Ho sempre avuto (ma la getto lì forse in maniera troppo semplicistica) l’impressione che gli Heep fossero – nel loro progetto musicale – in qualche modo più vicini ed imparentati (o una evoluzione) con il discorso dei Deep Purple Mk. I (anche se le Session all’Hanwell sono state marchianti) più elettrici (tipo il terzo album) ….. in ogni caso ci hanno fatto sognare tantissimo e questo essenzialmente per le Tastiere e la creatività di Hensley. Enumerare i pezzi è inutile, li sappiamo e li conosciamo tutti.

    Box era più limitato sia tecnicamente sia in fase di scrittura e potè prendere le redini della band solo dopo che Ken lasciò (anche se la fase più recente partita con Sea Of Light in poi, con Bernie Shaw alla Voce e Phil Lanzon alle Tastiere è stata per me veramente rilevante e di gran valore … almeno fino a quando ci fu Trevor Bolder al Basso), ma lo spirito dei “veri” UH non può non essere colelgato a Ken. La Reunion del 2000 per qualche concerto fu memorabile a mio avviso anche perchè Shaw si dimostrò un fedele e rispettoso ma personale omaggiante la storia della Band.

    Tutta questa tiritera in fondo per dire quello che è il pensiero più istintivo chem i viene sempre quando penso agli Uriah Heep ed ai loro inizi: Salisbury … la suite di 16 minuti. Sono solo io a pensare che in fondo in quel pezzo, gli Heep superarono palesemente i Deep Purple? Perchè Salisbury ha una compattezza coerenza, sequenzialità ed armonicità che mancò ai DP di Concerto For Group & Orchestra che è sì affascinante ma evidenza anche dei buchi compositivi.
    Am i so Fool???

    Grazie Beppe ……

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Fabio, hai fatto un articolo con le tue osservazioni personali! Il Concerto dei Deep Purple lo trovo più vicino alle opere per gruppo e orchestra dei Nice di Emerson, ispirate alla musica classica, rispetto a “Salisbury”. Dopodiché non è certo proibito preferire l’uno o l’altro. Da parte mia, definire prioritari gli Uriah Heep di Hensley non significa sottovalutare il lungo percorso del gruppo guidato fino ad oggi da Mick Box. Grazie della partecipazione.

  • Marcocardio ha detto:

    Grazie Beppe. Triste verità quel del mancato riconoscimento da parte delle nuove generazioni.
    Impossibile, a mio avviso, scegliere il miglior disco degli uriah heep fino a The Magician’s Birthdays; dischi nel quale il Nostro ebbe ruolo preponderante a livello di songwriting.
    Amo il suo approccio “fisico” con l’Hammond; il riff di rainbow demon resterà nella storia.

    • Beppe Riva ha detto:

      Giusto Marco, i primi cinque album mostravano una versatilità non comune, e non è un caso che in America gli Heep fossero apprezzati dallo stesso pubblico di ELP e Yes; quindi la loro influenza si ritrova in gruppi che vanno dall’hard melodico al pomp-rock come Starz, Angel e Styx. Gli originali Uriah Heep furono pionieri di questa tendenza, ed Hensley (tastierista e chitarrista) è stato il loro profeta. Ciao

  • Mox ha detto:

    Grazie ancora un volta, Beppe, per doverosa, quanto sacrosanta, celebrazione ed esaustiva contestualizzazione del prode Ken. Come sai, anche io, appartengo agli innumerevoli estimatori di Uriah heep, specie nell’ineguagliato periodo in cui egli vi militò . Buon viaggio…

    • Beppe Riva ha detto:

      Grazie del tuo feedback, Mox. Chi è inequivocabilmente esperto di quell’epoca, considera Ken Hensley un “mostro sacro”. Purtroppo, come altri grandi musicisti esplosi a cavallo fra gli anni ’60 e ’70, non gli è riuscito un adeguato rilancio dal 1980 in poi; questo lo ha penalizzato nel riconoscimento da parte delle nuove generazioni di fan, ma non scalfisce il suo contributo storico. Ciao!

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