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Reliquie PROG

Balletto di Bronzo: Riedito “YS”, punta di diamante del Prog italiano

Di 3 Dicembre 2020Dicembre 17th, 202023 Commenti

Il Rock Progressivo sulle sponde del Mediterraneo

Novembre 1987: nel primo anno della rivista Metal Shock, era caccia aperta alle novità discografiche e alla “nuova sensazione” rock, mentre i dischi del passato sembravano destinati ad un interesse alquanto marginale.
In tempi dunque non sospetti, in apertura della puntata di Shock Relics del n.10, ostinatamente dedicata a stagionati album per conoscitori, presentavo il Balletto di Bronzo con una provocazione: “anche gli italiani meritano la Rock & Roll Hall Of Fame”. Poco importava dell’ambita quanto discussa istituzione americana che premia i campioni storici del rock: impensabile la candidatura del quartetto di Napoli, comunque leggendario. Si trattava invece di porre l’accento sulla prima escursione di quella rubrica nel nostro scenario musicale d’inizio anni ’70. Non certo per malcelati intenti patriottici, ho sempre considerato un autentico classico il secondo album del Balletto di Bronzo, “YS”, pregno dell’esoterico spirito underground che dall’Inghilterra si era propagato nel Vecchio Continente, originando fioriture al di fuori di ogni schema, in quell’epoca favolosa.
La qualità artistica supera il test del tempo, ed il 27 novembre 2020, circa trentatré anni dopo l’uscita di quella rivista, la Universal inaugura una serie di preziose ristampe in vinile, Prog Rock Italia, proprio con l’opus magnum del Balletto di Bronzo.
Torniamo ai primi fuochi del progressive italiano; è opinione diffusa che abbia rappresentato la stagione più feconda del rock “tricolore”. Oserei dire che mai come allora i musicisti più creativi della nostra scena si avvicinarono alle nuove tendenze d’Oltremanica non solo per spirito emulativo, ma con proposte originali, tuttora avvincenti.
Ancor prima, la nostra scena beat negli anni ’60 aveva fatto la sua parte; complessi come Equipe 84, Camaleonti, Dik-Dik, Quelli, Corvi, Giganti, Ribelli, ed i famosi “poli opposti” Nomadi e Pooh, prendevano d’assalto la classifica di Hit Parade, in competizione con gli inglesi (Rokes, Sorrows, Motowns, Primitives etc.) emigrati in cerca di fortuna nell’Eldorado nostrana. Il materiale esibito era prevalentemente costituito da cover – pur ben riuscite – di successi angloamericani, con testi talora stravolti dai parolieri per risultare più orecchiabili, con qualche eccezione di canzoni originali, come nel caso dei coraggiosi New Trolls, oppure composte dalla coppia d’oro Mogol-Battisti.

Il salto di qualità sarebbe avvenuto proprio con l’indipendenza creativa dei nuovi gruppi del “pop romantico”, non più subordinati a talenti (o nel peggiore dei casi, mestieranti) altrui e quindi in grado di indirizzare i propri orizzonti espressivi. Anche i nostri artisti prog avevano vissuto il periodo di trapasso dal “dopo” beat ai crescenti slanci verso le contaminazioni stilistiche, nell’Anno Domini 1970.
Le Orme, eredi nazional-popolari del retaggio flower power psichedelico con l’LP “Ad Gloriam” del ’69, mutavano in formazione triangolare orfana delle chitarre, virando verso il nuovo modello egemone degli ELP. Confezionavano così il primo, eccellente compromesso fra prog dominato dalle tastiere e melodie mediterranee, nell’album “Collage” del 1971. Dopo di loro, era la volta di gruppi prediletti dalla critica come Premiata Forneria Marconi e Banco Del Mutuo Soccorso. La PFM nasceva da un’evoluzione dei Quelli, luminari del pop milanese anni ’60, in cui aveva militato il giovane Teo Teocoli (!), mentre i romani del Banco avevano pur iniziato con proposte di musica leggera, scongiurate in vista del famoso album d’esordio del 1972, con copertina a forma di salvadanaio. Anche il primo PFM, “Storia Di Un Minuto”, usciva nello stesso anno, ed entrambi riflettevano un peculiare gusto della canzone, arricchito dagli spunti innovativi del rock britannico e naturalmente, tastiere in grande evidenza. Non a caso, PFM e BMS verranno scritturati dall’etichetta Manticore di proprietà degli Emerson Lake & Palmer, riformulando il loro repertorio con versioni in lingua inglese. La “Premiata” diventerà così il maggior fenomeno d’esportazione del rock italiano. Anche gli Area, gruppo-pilota di rivoluzionarie istanze sociali & musicali, affondavano le loro radici nel beat italiano degli anni ’60. L’inimitabile voce di Demetrio Stratos aveva infatti caratterizzato uno dei più classici singoli dell’epoca, “Pugni Chiusi/La Follia” dei Ribelli.

"YS" ed altre storie

Il 1972 resterà un anno cruciale per le sorti del nuovo rock che invadeva la Penisola, non solo per il debutto di PFM e Banco, ma anche per la svolta progressiva del Balletto di Bronzo di “YS”, a mio avviso l’album da culto per eccellenza dell’intero panorama.
La genesi del gruppo napoletano risale ai Battitori Selvaggi, già attivi negli anni ’60, dai quali scaturiva il nucleo originale costituito da Marco Cecioni (voce e chitarra), Gianchi Stinga (batteria), Michele Cupaiolo (basso) ed infine Lino Ajello (chitarra); sceglievano di ribattezzarsi Balletto di Bronzo in omaggio ad un quadro che raffigura eliche navali della Seconda Guerra Mondiale, esposto alla Tate Gallery (nella foto). In verità, nel museo londinese potevano trovare miglior fonte d’ispirazione per il clima gotico del futuro “YS”, a partire dai capolavori dei pittori Preraffaelliti, Millais e Waterhouse! L’album d’esordio “Sirio 2222” (RCA) è già un rimarchevole classico, ma di tutt’altra natura. Si tratta forse del primo album hard rock realizzato in Italia, nello stesso 1970 che ha assistito all’esordio dei maestri inglesi Black Sabbath, Deep Purple e Uriah Heep. “Sirio 2222” non risente affatto di quelle esperienze contemporanee, avendo radici che affondano nel pop psichedelico, filtrato attraverso la tradizione melodica del beat italiano. Semmai sul sipario del Balletto sembra stagliarsi l’immane ombra dello Zeppelin, decollato con qualche tempo d’anticipo rispetto al boom del rock duro… Il dirompente singolo apripista del ’69, “Neve Calda”, con maggior fortuna avrebbe potuto replicare il successo di “Questo Folle Sentimento”, hit della Formula 3 nello stesso anno. Si distinguono dal contesto generale il brano che dà il titolo all’LP, “Missione Sirio 2222”, stupefacente archetipo space-rock, e “Meditazione”, l’unico tentativo proto-progressive, con melodioso arrangiamento a base di archi e spinetta, preludio della ricchezza strumentale del successivo, imponente, “YS”.
Il quadro cambia sostanzialmente verso la fine del ’71, con l’ingresso di Gianni Leone (tastiere e voce), già nei Città Frontale, nucleo originario degli Osanna, il più famoso gruppo partenopeo. Lui ed il bassista Vito Manzari sostituivano rispettivamente Cecioni e Cupaiolo, scontenti della nuova direzione musicale. Infatti, Leone è il re del castello adornato dai tasti d’avorio, che si erge sul maestoso afflato sinfonico di un capolavoro ricco di pathos come “YS”; il nome del secondo LP è tratto dal mito medievale di una sorta di ”Atlantide” bretone, inabissata nelle acque del golfo per volere perfido del Demonio.
In un clima angoscioso e drammatico, il concept di “YS” racconta invece il viaggio senza speranza dell’ultimo uomo sopravvissuto sulla Terra, che vaga alla ricerca dei suoi simili per tramandare la “verità” sussurrata da una voce soprannaturale; ma un Fato malevolo si accanisce su di lui, straziandone i sensi fino alla sua morte.

La musica è analogamente gravida di tenebrose rimembranze, compete con le sinistre atmosfere di gruppi inglesi di cui ci siamo ampiamente occupati (gli Atomic Rooster di “Death Walks…”, i Black Widow di “Sacrifice”, i Dr.Z di “Three Parts Of My Soul”, i Quatermass, gli Uriah Heep di “Very ‘Eavy…”) ed aggiungerei Bram Stoker (la band, non lo scrittore!).
L’ho sempre definita dark-progressive, ma con una destrezza strumentale ben superiore alla media. Si colgono squarci di virtuosismo Emersoniano nella sfavillante tecnica di Gianni Leone, aggressivo ma raffinato stregone delle tastiere che citava ispirazioni classiche e dodecafoniche, da Debussy a Schönberg. Suo contraltare era il chitarrista Lino Ajello, il volto hard del gruppo; furoreggiava in assoli lunghi e tormentati, ma perfettamente funzionali al contesto. Manzari e Stinga completavano l’opera sostenendo tempi ritmici assai complessi ed altrettanto dinamici: protagonisti, non comprimari. Motivati dall’ansiosa ricerca di novità, caratteristica di quegli anni, i quattro del Balletto di Bronzo avevano elaborato un genere di musica in apparenza disarmonica, imperniata sui tempi 7/4, 5/4, 3/4, anziché sul tipico 4/4, senza mai risultare astrusi e tanto meno tediosi.
Attribuita a tale Nora Mazzocchi, la composizione dei brani è in realtà frutto della creatività di Leone, che non poteva firmarli poiché non registrato alla SIAE.
L’album, uscito nell’estate 1972 su Polydor, è articolato in cinque movimenti, o meglio, un’introduzione, tre “incontri” ed un epilogo; una sorta di itinerario dantesco dal lirismo ermetico ed ottenebrato da profezie esoteriche, dove il comune denominatore è la raggelante inquietudine nella trasposizione dei testi sulla musica.
Il tastierista indica subito la via da seguire: dopo un prologo pastorale, i barocchismi dell’Hammond e le fughe del Moog alimentano “Introduzione”, con accenti di ELP e Quatermass rivisitati in chiave gotica, mentre la solista di Ajello riprende la leadership negli insistenti fraseggi centrali, che cavalcano una ritmica vorticosa. Il finale è sferzato dalle gelide folate del mellotron, che rendono magnificamente “la poesia di un giorno di vento” evocata dalle liriche.
Versi sepolcrali aleggiano sulle tetre cadenze del “Primo Incontro”, fra l’angoscioso riverbero della chitarra distorta e le lugubri sonorità dell’organo: “…Un uomo è là con la faccia all’ingiù – e già l’edera abbraccia il suo corpo – nero è tutto il sangue che ha – su ferite di orecchie strappate…”. E’ forse il momento più dark in assoluto, accentuato dal convulso terminale in stile “Sacrifice”, che si sgretola negli accordi infusi di romanticismo della spinetta. Cori da brivido, arazzi di mellotron Crimsoniano, improvvisazioni ispirate e di grande forza figurativa, atmosfere paranoiche, si alternano sapientemente nel comporre la versatilità policroma della prima facciata, ma il seguito non è da meno.

In “Secondo Incontro”, la voce urlante di Gianni ricorda un grande caduto dell’italico rock, Nico Di Palo dei New Trolls, poi fra le tante sfaccettature si rintracciano influssi di Van Der Graaf, nonostante la differente strumentazione.
Inoltre, una sorprendente osmosi di dark anni ’70 e avant-garde suggella il “Terzo Incontro” ed “Epilogo”. Il clima è da colonna sonora horror, il pezzo forte è un tempo cadenzato e sospeso, che suggerisce un allucinante cammino guidato da una luce fioca, in qualche dannata e segreta oscurità…Sfocia in un riff ULTRA-DOOM che si ripete ossessivamente, pervaso da un calcolato effettismo, ed il fluire lontano e svincolato del piano jazzy, incrementa la perniciosa atmosfera. L’orrore degli abitanti di YS, inghiottiti nella marea del Maelstrom, non poteva esser meglio rappresentata.
Da segnalare il contributo agli spettrali cori di “YS” di Giuni Russo (allora 21enne) cantante di rinomata estensione vocale, che dieci anni dopo sbancherà la classifica dei 45 giri con “Un’estate al mare”. Al disco ha collaborato anche Detto Mariano, arrangiatore di gran successo della musica leggera italiana, deceduto quest’anno, causa Covid-19.
Nonostante la spiccata personalità, “YS” non ottenne l’esposizione concessa ad altre proposte all’insegna del “pop romantico” dalla stessa RAI; l’aspetto poco rassicurante dei musicisti, lungo criniti con cinturoni borchiati, l’immagine androgina da glam-rocker di Gianni Leone, sono un passo avanti rispetto ai tempi, così decisero di registrare una versione inglese dell’album a Londra, assistiti da un tecnico degli Yes. L’album non fu mai completato e solo “Introduzione” e “Secondo Incontro” vedranno la luce su CD Mellow del ’92.
Nell’aprile 1973 Lino Ajello manifestava l’esigenza di tornare ad una vena più diretta, abbandonando il labirinto dei “concept” e dei messaggi decadenti; esplodevano le controversie in seno al gruppo che si sciolse in settembre. Un ultimo singolo è inciso dai soli Leone e Stinga (“La tua casa comoda”/”Donna Vittoria”).

Dunque la strofa finale di “Epilogo”, “…Ed il buio intorno a sé – poi fu dentro di lui – e buio fu” suona come l’epitaffio del Balletto di Bronzo, e così sarà a lungo, fino alla metà degli anni ’90. A quel punto Gianni Leone, che aveva tentato l’avventura solista negli U.S.A. a nome LeoNero, resuscita la vecchia sigla con due musicisti del gruppo romano Divae, esibendosi a livello internazionale. Ritroverà i compagni di un tempo, Ajello e Cecioni, nell’album “Cuma 2016 D.C.”, poi le due versioni del Balletto proseguiranno separatamente. Le diaboliche immagini di Gianni Leone “mascherato” in concerto nel 2019 (qui riprodotte), non lasciano certo indifferenti!

Le nuove ristampe Universal

Il progressive tricolore ha da sempre raccolto un pubblico di appassionati all’estero ed in particolare in Giappone; a dimostrazione che l’album in vinile, ormai oggetto di edizioni curate e limitate è tornato in auge nel mercato discografico di qualità, ecco questa nuova serie della Universal, “Prog Rock Italia”; il Volume 1 che la inaugura è appunto “YS” del Balletto di Bronzo. L’album, rimasterizzato dai nastri analogici originali, presenta una doppia fascia “Obi” in stile nipponico su entrambe le facciate della copertina apribile, fedele all’artwork originale e quindi con il fascicolo di quattro facciate che include testi e disegni a commento. Sull’Obi strip sono riportate in sintesi note illustrative sul disco e sul gruppo.
Le tre versioni a 33 giri (non è previsto il formato CD) limitate e numerate, sono quelle delle immagini riprodotte:

  • Vinile nero 180 gr. in 899 copie numerate

  • Vinile giallo in 99 copie numerate

  • Vinile Test Pressing in 30 copie numerate

le ristampe in vinile giallo e test pressing sono acquistabili, a prezzi oggettivamente contenuti solo sul sito:

https://www.universalmusic.it/custom-shop/prog-rock-italia/

23 Commenti

  • Gianluca CKM Covri ha detto:

    Beh, album magnifico di una band magnifica, in un contesto musicale dove l’Italia è seconda solo all’Inghilterra. Sia a livello qualitativo che quantitativo a mio modesto avviso. Questo disco l’ho riascoltato proprio un mesetto fa e continuo a stupirmi delle tante sfumature ed atmosfere da qui è composto. Veramente livello altissimo.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Gianluca, considerando che la Germania è stata un “Cosmo” a parte nell’avanguardia musicale degli anni ’70, in ambito strettamente progressivo siamo in molti a pensarla così: all’epoca, Italia seconda solo ai maestri inglesi. Un traguardo mai più raggiunto in ambito rock. Grazie e buon anno

  • Luca ha detto:

    Articolo superlativo su uno dei maggiori manifesti della scena prog rock italiana e non solo. Grazie Beppe.

    • Beppe Riva ha detto:

      Grazie Luca. Noto con piacere che in un ambito circoscritto e non dedicato specificatamente al Prog italiano come il nostro, il recupero dell’opera del Balletto di Bronzo è stato accolto con effettivo interesse, nei commenti e nelle letture. I dischi di qualità raccolgono sempre proseliti nel tempo. Buon segno!

  • Leandro ha detto:

    Grazie Beppe. Hai ben descritto l’esplosione creativa di fine anni ’60. Gianni Leone nei suoi live spesso si sofferma su quel fermento irripetibile, sull’ascolto di quei rari e agognati album d’oltremanica che alimentavano nuovi stimoli. Che l’attuale sovrabbondanza di fonti musicali costituisca un limite alla creatività? Chissà.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Leandro, banalmente questa “montagna” di fonti musicali attuali partorisce un … Lascio ad altri il completamento della frase. In realtà è stato tutto talmente esplorato negli anni, che oggi non resta che ripetersi o sperimentare (questo si) cose assai distanti dalla creatività e dalle espressioni del rock che abbiamo amato. Il materiale “moderno” a base di giochini elettronici, rap, trap, hip-hop non fa per noi. Grazie a te.

  • francesco angius ha detto:

    Articolo meraviglioso (come sempre) su un disco che è l’apice insieme a pochi altri del prog italiano.
    Ancora oggi suona attuale, bello e malinconico come allora.
    Rimane per me inconcepibile che si siano separati e che non abbiamo duplicato un capolavoro del genere.
    Potevano creare un’epoca !!
    Chissà perchè andò cosi….
    Attendo altre perle da Beppe.
    Un grazie sincero .

    • Beppe Riva ha detto:

      Gentile Francesco, notizie dell’epoca danno per improvvisa ed imprevista la separazione del gruppo. Resta il grande interrogativo su come avrebbero potuto dare un seguito all’album che giustamente consideriamo un capolavoro. Le “perle” effettivamente mi costano care dal gioielliere di fiducia…Grazie dell’apprezzamento, davvero.

  • Massimo ha detto:

    Buonasera Beppe, ho avuto l’onore di intervistarti molto tempo fa sulla mia fanzine (riaperta di recente, tra l’altro). È un vero piacere leggerti di nuovo su questo blog!
    Partendo da questa ristampa di YS, però, vorrei chiederti cosa ne pensi in generale delle riedizioni rimasterizzate: non tanto dal punto di vista del valore collezionistico, quanto dell’incidenza che un remaster può avere sulla restituzione della musica originale. So che non è un argomento in cui si può generalizzare troppo, ma spero di essermi spiegato. Grazie e buon weekend 😉

    Massimo

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Massimo, ben ritrovato. Tocchi un argomento delicato, sul quale ho difficoltà a rispondere perché a mio avviso è tema peculiare per “audiofili”. Bisognerebbe davvero avere una sala d’ascolto ed un impianto di livello, per fare paragoni corretti, inoltre è variabile da caso a caso. Generalmente sono favorevole perché comunque c’è una “valorizzazione” del suono che le prime ristampe CD salvo eccezioni non avevano, spesso “appiattendo” la resa musicale. E’ pur vero che specialisti del remaster possono davvero manipolare/alterare la resa sonora; se Jimmy Page lavora sui Led Zeppelin è difficile obbiettare; ma ad esempio sono curioso di ascoltare come Steven Wilson, il più famoso specialista Prog, sia intervenuto su Vol.4 dei Black Sabbath (di prossima pubblicazione), musicalmente quasi agli antipodi rispetto allo stile da lui professato. Spesso gli artisti si sono lamentati a posteriori anche della produzione originale, quindi risposte certe forse non esistono. Buon weekend a te

      • Lorenzo ha detto:

        Buongiorno Beppe, non sapevo che Steven Wilson fosse coinvolto nella rimasterizzazione di VOL 4 dei BS…non avevo intenzione di (ri)comprarlo, ma alla luce di questa notizia dovrò farlo (tanto alcuni cd li ho già acquistati 3 o 4 volte con le ristampe…).
        Sul Balletto di Bronzo nulla da dire, un classico idolatrato in tutto il mondo, l’unico grande rimpianto è che la band non abbia dato una continuità alla propria carriera, che avrebbe sicuramente dato frutti altrettanto brillanti.
        Forse però Gianni Leone vorrà prima o poi fare uscire materiale nuovo, in tal caso lo attenderemo con entusiasmo.

        • Beppe Riva ha detto:

          Si Lorenzo, il “super deluxe” box di “Vol.4” è già pre-ordinabile su Amazon ed altro. Uscirà nel febbraio 2021 in versione 4 CD oppure 5 LP con varie outtakes inedite e live dell’epoca. Desta curiosità il “trattamento” in fase di remaster, perché la produzione originale era fin troppo compressa. Il rimpianto su un mancato successore di “YS” è ampiamente condiviso. Ciao

  • Gianni Leone ha detto:

    Grazie, Beppe, per il bellissimo e “appassionato” articolo.

  • LucaTex ha detto:

    Disco fondamentale del prog Italico che a tanti anni di distanza non ha perso forza e tensione emotiva dai suoi solchi. Pur infiammato dal prog Inglese il movimento Italiano si è contraddistinto con band e dischi che hanno apportato varianti al genere. Ys ne è un valido esempio e va riscoperto a dovere. Grazie Beppe per questo splendido articolo! 😉

    • Beppe Riva ha detto:

      Giusta considerazione sulla qualità del prog italiano, che in Europa é stato a mio avviso la miglior risposta ai maestri inglesi. I “corrieri cosmici” tedeschi erano di altra specie, detto per inciso. Tutti gli appassionati riconoscono “YS” fra i vertici di quella scena. Grazie, ciao.

  • Paolo Rigoli ha detto:

    Il tastierista Gianni Leone, pur avendo più volte palesato la propria ammirazione per Keith Emerson, ha dimostrato fin dall’inizio la propria personale e originale creatività. E persino nelle interviste dell’epoca dichiarava di volersi distaccare, pur amandolo, dall’influenza del prog inglese più acclamato: una scelta non comoda e che forse nell’immediato non ha pagato, ma che ha reso “Ys” un disco dalla forte carica emotiva e musicalmente fuori dagli schemi. Non è un caso che sia stato nel tempo così tanto celebrato, soprattutto grazie ad alcuni cultori e giornalisti, Beppe Riva in primis, che ne hanno a più riprese decantato i meriti.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Paolo, Gianni Leone dopo “YS” ha preso effettivamente le distanze dal prog inglese; se ascoltiamo il suo solo del 1977 “Vero” (LeoNero) il cambiamento di rotta è evidente, anche se un brano come “Tastiere Isteriche” metteva in evidenza il suo passato, al quale sarebbe poi lodevolmente tornato. Mi fa molto piacere che “YS” sia diventato un tale cult e non solo in Italia. Grazie!

      • Gianni leone ha detto:

        Ciao, Beppe, e grazie per questo articolo splendido, esaustivo e… “appassionato”. Due soli “appunti” : “Stinga”, non “Stringa” ; “LeoNero”, non “Leo Nero”. Ancora grazie! 🦁🎹🎤🎶🎵🎼🌈🖐️

        • Beppe Riva ha detto:

          Ciao Gianni, è un onore per me avere l’approvazione dell’artefice di un grande album che conservo gelosamente nella mia collezione fin dalla sua uscita. Per quanto riguarda i refusi mi scuso, eccesso di “sicurezza”, ho provveduto subito a correggere. Auguro il meritato successo di vendite della bella e diversificata ristampa di “YS”. Molte grazie!

  • Maurizio ha detto:

    Grande Beppe, articolo che spiega e rende perfettamente l’idea del periodo musicale a un neofita come me legato quasi esclusivamente ai LED Zeppelin, Pink Floyd, e Genesis prima maniera
    Continua così

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Maurizio, cerco sempre di contestualizzare l’argomento, specie quando si parla per la prima volta di una “scena”. Partendo dai gruppi basilari che hai seguito si può sempre allargare la conoscenza…Grazie

  • mox ha detto:

    mi adopero per condivisione ‘social’ immediata, Beppe. Spendere ulteriori parole su questo capolavoro… è operazione inutile. abbracci.

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