Belle e preziose! Opere d'arte "underground" per collezionisti
Nella seconda metà degli anni ’80, abbiamo assistito ad un deflagrante risorgimento d’interesse verso l’Era Progressiva britannica d’inizio anni ’70.
In quel ribollente calderone storico, si riversavano anche l’eredità della psychedelia di fine sixties e le contaminazioni con il nascente hard rock: materiale che costituisce un capitolo aperto fin dalle prime battute di Rock Around The Blog. Erano tempi in cui il successo internazionale di Yes, EL&P, Genesis, Jethro Tull, Pink Floyd, oscurava una quantità imprecisabile di formazioni affini, alla disperata ricerca di un contratto discografico che spesso si traduceva in una distribuzione alquanto limitata delle loro operine, nel migliore dei casi affidate a succursali underground delle major come Vertigo, Harvest, Deram Nova, Neon.
Questi “oscuri” reperti vinilici diventeranno oggetto di caccia da parte di appassionati o avidi collezionisti, incrementando esponenzialmente la loro quotazione, dopo anni di triste abbandono, a cifre risibili, fra i polverosi scaffali dell’usato. Infatti il diluvio punk aveva sospinto alla deriva il progressive e generi affini, liquidati come deviazione abominevole della vera essenza rock. Al contrario, il boom dell’heavy metal agli albori degli ’80 ed il successivo affacciarsi della scena neo-prog inglese (Marillion, Pallas, IQ, Twelfth Night etc.) portavano alla riscoperta di comuni radici “classic rock”. Cito un solo, eclatante esempio: la storica rivista metal francese Enfer aveva realizzato un’illuminante volume, “Hard Rock Anthology 1968-80” che pullulava di rarità psyche e progressive, esorbitando di gran lunga i confini del rock duro. In omaggio a questo pionieristico contributo, aggiungerò nella rassegna a seguire gli Arcadium, che avevano particolarmente affascinato l’autore, Dennis Meyer.
All’inizio degli anni ’90, il protrarsi dell’accanita ricerca di tesori nascosti fra le vestigia rock del passato, portava alla scoperta e alla consacrazione di un altro filone aurifero, la scena delle “stampe private”. Numerose formazioni dell’epoca si impegnavano a produrre in autonomia album in tiratura estremamente esigua, come veicolo promozionale da offrire a organizzatori locali e a case discografiche importanti, oppure per venderli ai concerti. Le etichette erano semplicemente il marchio di fabbrica delle stampe, perché gli artisti ne detenevano tutti i diritti.
Alcune reliquie underground, oggi assai dispendiose, erano prodotte in 99 copie per non incorrere in un’iniqua tassa inglese che imponeva un extra-costo eccessivo a partire da “quota 100”! Da rilevare che le formazioni folk “sotterranee” perseguivano con minori patemi la prassi delle private pressings, giungendo anche a tirature di 500 copie, perché nei loro club e festival, le vendite erano migliori rispetto ai “concorrenti” rock. E la qualità era spesso sublime, l’abbiamo appurato ascoltando a posteriori ristampe di Spriguns Of Tolgus, Oberon, Bracken, Stone Angel, Mountain Ash Band, Tickawinda, Caedmon, Vulcan’s Hammer, Water Into Wine Band.
Tornando al tema generale, la maniacale ricerca del raro ha ispirato nel ’92 anche l’invenzione di un’autentica chimera collezionistica, “Nostradamus”, inesistente album attribuito agli sconosciuti Dodo Resurrection. Le tipiche fantasie inglesi sulle arti segrete in questo caso generarono un eclatante “falso”, un’opera maledetta focalizzata sui rituali seicenteschi dei Rosacroce a Parigi (gli stessi che ispirarono la terrorizzante serie televisiva “Belfagor”) e ricercata dagli stessi occultisti, poiché illustrava complesse pratiche di evocazione del Maligno. Per questa ragione i musicisti si sarebbero convinti a bruciare le copie in loro possesso dell’album, seguendo anche nel “rogo” un procedimento magico!
Tanto clamore per nulla, che di certo non ha scomposto i preminenti soloni del rock che non solo giudicano irriguardose le cifre di vendita delle rarità collezionistiche, ma ne disdegnano i contenuti in ossequio alla teoria “chi ha successo è il migliore”. Non neghiamo che molti speculatori gravitino nel mercato dell’”introvabile”, ma è opinione diffusa fra gli specialisti che (fatte le debite eccezioni) il costo dei dischi rari cresce parallelamente alla qualità della proposta musicale. Non stiamo ovviamente parlando di artisti famosi, che detengono miriadi di collezionisti esclusivamente dedicati al loro repertorio, con obiettivi differenti.
Comunque, la grande espansione delle ristampe vi offre l’occasione di giudicare autonomamente tutte le principali “reliquie” del passato. Nonostante la reperibilità delle medesime, è indicativo che il prezzo degli originali continui a levitare.
Cito le quotazioni in sterline dal 1987 ad oggi di alcune Top Rarities di cui mi sono già occupato sul Blog, quindi escluse da questo nuovo intervento: “Growers Of Mushroom” dei Leaf Hound, stimato £.50 nell’87, attualmente ne vale 2500; “Three Parts To My Soul” dei Dr.Z, da 80 a 2000£.; l’omonimo “Spring” da 65 a 1000£. E sappiate che nelle aste, facoltosi “irriducibili” se li aggiudicano a cifre ben superiori.
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Per presentarvi la mia selezione di alcuni dei più agognati “sogni per collezionisti”, mi sono attenuto ad una fonte oggettiva ed autorevole, Record Collector. Le quotazioni in sterline sono le stesse riportate dal mensile, mentre fra le dieci rarità illustrate, le prime cinque sono le più costose in assoluto riconoscibili nell’area prog U.K. (ad eccezione dei già trattati Leaf Hound e Dr.Z, che invito a riscoprire sul Blog se l’argomento è d’interesse), mentre le posizioni dalla sesta alla decima sono scelte a mia discrezione, con particolare attenzione all’hard rock “preistorico”, ma pur sempre con stime non inferiori alle 1000 sterline. Il periodo trattato è il quinquennio 1970-1974, con l’eccezione citata dei misteriosi Arcadium (fine ’69).
Se desiderate visionare una classifica comparabile ad una “croce rovesciata”, dove ai primi posti non figurano superstar come Beatles, Stones e Zeppelin ma illustri sconosciuti, siete pregati di accomodarvi! Forse vi convincerete che la musica rock difficile a scovarsi, spesso è anche attraente…
Immagini: In apertura, Dark. Al centro: Catapilla dal vivo. Dall’alto verso il basso: Mellow Candle: il Box ltd. edition Rise Above; il “fake album” dei Dodo Resurrection; Dr.Z: “Three Parts To My Soul” (Vedi articolo sul Blog).
Dieci gioielli della corona britannica :
10) HUMAN BEAST: “Volume One” (Decca)
L’anima oscura dell’heavy-psychedelia è profondamente radicata nel “Volume One”, senza repliche, degli Human Beast, che a suo tempo catturò l’attenzione dei cultori dark, risalendo al ferale 1970 ed ammantato da una macabra copertina, dove una sorta di zombie impazzito avanza di fronte ad una donna nuda e prona, dallo sguardo senza luce…Si trattava di un trio di Edinburgo – e la Scozia recita una parte rilevante in questa rassegna – apparso alla fine del 1968 con il nome di Skin, sulla scia dei capiscuola Cream e Jimi Hendrix Experience. Nella loro città suonarono in apertura dei concerti di Pink Floyd, Taste e Fleetwood Mac, assicurandosi un contratto Decca. Ma la casa discografica si dimostrò avara nei loro confronti, costringendoli a registrare l’album a Londra nell’arco di dodici ore. Prima della pubblicazione, per evitare dispute legali sul nome Skin, si ribattezzarono Human Beast, ispirandosi al testo della loro filosofica “Appearance Is Everything, Style Is A Way Of Living”; la musica invece richiamava i tenebrosi fraseggi lisergici degli album postumi degli High Tide, non i più violenti dunque, ma costellati da liquidi fraseggi wah-wah della chitarra di Gill Buchan. L’iniziale “Mystic Man” era invece un assalto marcatamente hendrixiano, sottolineato dalla carica propulsiva del basso di Edward Jones, e con un interludio recitativo, degna soundtrack degli incubi di HP Lovecraft. In evidenza anche la versione di “Maybe Someday” dell’Incredible String Band, dalla melodia evocativa, pervasa da sonorità orientali.
Quotazione: £.1000
Ultime Ristampe: LP (Sunbeam , 2008); CD (Sunbeam, 2007)
Dalle bianche scogliere di Dover, nel Kent, si è diffusa una leggenda dell’hard rock antidiluviano, Mirkwood, quintetto che si autofinanziò per realizzare un omonimo LP, stampato in 99 copie.
La genesi risale addirittura al 1961, quando i due chitarristi Jack Castle e Mick Morris si incontrarono in un gruppo chiamato Rolling Stones, frettolosamente costretti a cambiare identità per l’inarrestabile ascesa di Mick Jagger e compagni. Rinominati Playboys, ebbero la chance di suonare con luminari del tenore di Cream, Jimi Hendrix, John Mayall, ma all’inizio del ’71, la poderosa avanzata della musica heavy, indusse i due chitarristi a schierarsi con quelle forze armate, fondando i Mirkwood. Come riportato nella prima ristampa Tenth Planet (500 copie numerate, 1993) l’album venne inciso nel 1973 e non nel ’71. Nonostante la produzione inevitabilmente disadorna e carente d’impatto, le scorrerie istrioniche delle chitarre infiammano “Take My Love” e “Lavendula”, fra echi distanti di Cream, Groundhogs, Wishbone Ash. Davvero caratteristiche le armonie vocali a tre voci condotte dal cantante Derek Bowley con il contributo degli stessi Castle e Morris, ben esemplificate in “The Leech”.
Capitolo a sé riguarda “Love’s Glass Of Sunshine”, che replica in apertura la cadenza di “Child In Time” e soprattutto nella progressione finale di chitarra rasenta il plagio del classico dei Deep Purple!
Quotazione: £.1000
Ultime Ristampe: LP (Machu Picchu, 2013); CD (Thors Hammer, 2008)
Estrema rarità fra le stampe private del rock progressivo, l’unico album degli scozzesi Bodkin fu realizzato in soli 100 esemplari nel 1972, fra i quali una ventina con stampa serigrafica della copertina, oggetto dell’elevatissima quotazione…Il quintetto si segnalò in un concorso nazionale organizzato dal Melody Maker per l’elezione della “miglior nuova band britannica”, ma nonostante un elettrizzante stile heavy rock dominato dall’organo Hammond di Doug Rome, Bodkin non riuscirono a conquistare quel contratto discografico che li avrebbe resi agguerriti concorrenti di Atomic Rooster, Uriah Heep e Quatermass. Probabilmente il loro approccio, più incline alla stesura di lunghe composizioni strumentali, non ha giovato alla causa, ma il solitario album resta un meraviglioso reperto heavy-prog, per certi versi comparabile al più noto e contemporaneo, “Heavy Rock Spectacular” dei Bram Stoker. L’iniziale “Three Days After Death (Part I-II)” presagisce il tono oscuro e minaccioso del repertorio, ma è altrettanto vero che la musica del quintetto riflette i colori sempre mutevoli del cielo che incombe sulle Highlands, i paesaggi austeri della Scozia rurale e nelle maestose combinazioni di chitarra ed organo rivivono le suggestioni celtiche e vichinghe dell’antica storia di quella nazione. “Bodkin” ne è ideale colonna sonora.
Quotazione: £.1200
Ultime Ristampe: LP (a nome “Three Days After Death”: Acme, 2012); CD (Universum, 2008)
Ristampa Consigliata: LP con gimmick cover apribile a forma di croce, 12 facciate (Akarma, 2000)
Arcadium sono un affascinante ed irrisolto enigma dell’era psyche-progressive: dei cinque componenti si sa ben poco, se non che hanno trasfuso nella loro musica quello spleen decadente e gli impulsi angosciosi poi diffusi nelle nuove forme rock d’inizio Settanta. Incisero nel 1969 un album, “Breathe Awhile”, ed un singolo, “Sing My Song”/”Riding Alone” per l’indipendente londinese Middle Earth, dedita ad artisti innovativi ma presto estinta.
Al cantante e chitarrista Miguel Sergides, compositore di tutti i brani, si deve l’atmosfera sofferta e malinconica che incombe sull’album. Il suo stile ha inconsapevolmente anticipato svariate tipologie dark-gothic dagli anni ’80 in poi, risolte in musiche rarefatte e senza luce di speranza. Sul piano strumentale, l’organista Allan Ellwood riecheggia i momenti più spettrali di Ray Manzarek dei Doors con avvolgenti fraseggi a spirale, specie nelle articolate ed estese, “I’m On My Way” e “Birth, Life And Death”; anche la chitarra solista di Robert Ellwood sembra rifarsi ad intensi slanci acid rock. Qualche affinità con la nuova fenomenologia dark-prog si riscontra in “Walk On The Bad Side”, che prelude a “Woman Of The Devil” dei Warhorse, nella trama d’organo e nei cori.
“Breathe Awhile” é pertanto un disco unico nel maestoso panorama underground dell’epoca, da conoscere assolutamente.
Quotazione: £.1250
Ultime Ristampe: LP (Ethelion, 2019); CD (Repertoire, 2012)
Natale 1970: nei sobborghi ovest di Londra venne alla luce una delle formazioni più originali e misteriose del celebrato catalogo Vertigo, Catapilla.
Il suo stile verteva su un’inusuale formula prog-jazz sperimentale, caratterizzata da una vistosa sezione di fiati e da inquietanti atmosfere dark, sulle quali si erge la voce spettrale di Anna Meek. Forse i toni crepuscolari del suono colpirono Pat Meehan, manager di Black Sabbath e Black Widow, che si offerse di produrre l’omonimo “Catapilla”, del 1971; resta il loro album migliore (quotato £.600), con echi di Affinity e del misticismo occulto del Graham Bond di “Holy Magick”. Divergenze musicali costrinsero però il gruppo a rivoluzionare l’organico in vista del successivo “Changes” (1972). Nonostante la presenza dei fiati sia ridotta al solo sassofonista Robert Calvert (non è il “poeta” degli Hawkwind), le fasi jazz-rock sono ulteriormente accentuate, anche per il tocco del nuovo tastierista Ralph Rolinson, specie al piano elettrico. Anche la Meek concorre a creare l’atmosfera, usando i suoi registri vocali come un vero e proprio strumento in “Reflection”, ed anticipando modalità d’inserimento di eteree voci soprano, tipiche del rock gotico a venire. A tratti il tono cerebrale delle composizioni avvicina i King Crimson di “Lizard”, ma l’alta valutazione, oltre alla rarità e al valore artistico, è dovuta alla copertina sagomata apribile.
Quotazione: £.1500
Ultime Ristampe: LP (Trading Places, 2020); CD (Repertoire, 2008)
Quartetto proveniente dall’East Yorkshire, dove si è costituito nel 1968, Red Dirt registrarono l’unico album agli studi Morgan di Londra con il produttore Geoff Gill. Nel team di questa “centrale operativa” figuravano anche Bobak, Jons e Malone (autori dell’album cult “Motherlight”) e lo stesso Wil Malone, futuro produttore del primo Iron Maiden (!) negozierà il contratto per la Fontana, sia per il suo ammaliante album solo in stile psyche-pop, sia per gli stessi Red Dirt.
Uscito nel 1970, il loro LP registrerà vendite fallimentari, nonostante l’estrema competenza della formula di transizione fra british blues e nuova “virilità” hard rock d’inizio seventies. Guidati dal bassista e cantante Dave Richardson, dalla ruvida voce à la Captain Beefheart, i musicisti esibivano uno stile versatile, con occasionali spunti di mellotron e persino fosche melodie Zeppeliniane in “Death Of A Dream”; così spezzavano il ritmo boogie quasi Status Quo di “Maybe I’m Right” e le abrasive sonorità hard-blues di “Death Letter”. Impressionante per i puristi del blues, l’evocazione del fantasma di Robert Johnson in “Song For Pauline”, con una chitarra slide trafugata dal delta del Mississippi. Un secondo album, annunciato in tour con i Mott The Hoople all’inizio del ’71, vedrà la luce solo nel 2018 (CD, Morgan B.T.).
Quotazione: £.1750
Ultime Ristampe: LP (Morgan Blue Town, 2011); CD (Morgan B.T., 2010)
Sono molti gli artisti che nel fervore d’inizio seventies portarono avanti la linea del folk elettrico “contaminato” dal progressive, senza assolutamente trascurare l’eredità lisergica post-1967. Acid folk è spesso il termine usato per descrivere quelle magie musicali, che meriterebbero un esteso capitolo a parte. In tempi tanto favorevoli, mentre gli Steeleye Span frequentavano le zone alte della classifica inglese con l’album “Below The Salt” (1972), un fato avverso tramava contro gli irlandesi Mellow Candle, che nello stesso anno pubblicavano “Swaddling Songs”, suonando in tour con gli esponenti folk-rock di maggior successo, gli stessi Steeleye ed i Lindisfarne; non servì alle fortune del quintetto, che ridotto a vivere in povertà, si sciolse nell’estate ’73.
Solo il tempo renderà giustizia alle bucoliche alchimie di “Swaddling Songs”, che diventerà la più preziosa e ricercata rarità discografica mai edita da una major. Il suo splendore si fondava sull’incantevole talento di Alison Williams, capace di intonare armonie vocali da brivido insieme a Clodagh Simonds, pianista di composta grazia classicheggiante. Classici immortali del folk progressivo quali “Heaven Heath”, “Sheep Season” e “The Poet And The Witch”, affini ai momenti più ispirati dei Renaissance, svelano barocchismi irradiati da una luce di misticismo gotico, emanata dalle vetrate di qualche sperduta cattedrale. Conquistato dal suo alone di mistero, Lee Dorrian ne ha tramandato una specialissima edizione limitata su Rise Above. Chef-d’œuvre!
Quotazione: £.2000
Ultime Ristampe: LP (Deram/Universal, 2020); CD (Esoteric, 2008)
Ristampa Consigliata: Swaddling Songs PLUS…Box Ltd. Ed.: 2 LP (originale+demos), 2 singoli e libretto, anche in vinile bianco (Rise Above Relics, 2011)
Riscoperti tardivamente rispetto alla quantità di tesori dissepolti negli anni ’90 (la loro prima ristampa è del 2010), gli scozzesi Captain Marryat hanno risalito prepotentemente le graduatorie dei cultori del “raro”, al rango di pietra filosofale dell’underground anni ’70 di matrice heavy-progressiva.
Attivo nella prima metà del decennio, il quintetto pubblicò l’eponimo, solitario LP (tiratura stimata fra le 150/200 copie) nel 1974 su Thor, piccola etichetta di Glasgow, la città dei loro idoli Beggar’s Opera. Le altre influenze dichiarate dal membro più rappresentativo, il tastierista Allan Bryce, erano Uriah Heep e Deep Purple. Registrato in un paio di giorni, dal suono scarno ma lodevolmente nitido, “Captain Marryat” esordisce sulle note solenni di “Blindness”, che ci ricollegano idealmente a quell’epoca mitica, confermando i talenti del gruppo in “It Happened To Me”: l’organo Hammond è sempre protagonista nelle dilatate fughe strumentali, dove duella con la solista di Ian McEleny, nello stile dei primi Beggar’s Opera. In “A Friend” il cantante Tommy Hendry emula gli acuti dell’indimenticabile Dave Byron, mentre l’affascinante, malinconica melodia di “Songwriter’s Lament” mi ha ricordato “Working Class Hero” di John Lennon, prima di risolversi in tipici slanci prog.
Infine, il dinamico strumentale “Dance Of Thor” riesuma un’altra eccellenza, i Nice di Keith Emerson, non solo per il ruolo delle tastiere ma anche per la ritmica incalzante. Ascolto raccomandato!
Quotazione: £.2000/2500
Ultime Ristampe: LP (Shadoks, 2017); CD (Normal/Shadoks, 2010)
Le origini risalgono all’esplosione del beat negli anni ’60, quando un aspirante chitarrista di Blackpool, Brian Lee, fondò i Ramblers nel 1963 con alcuni compagni di scuola, senza andar oltre l’acetato di un singolo, “Ready Steady Blow”. Completati gli studi, ci riprovò con altri musicisti allestendo i Complex nel 1968. Stavolta il quartetto tentò la strada della “stampa privata”, registrando artigianalmente un album nel novembre 1970, nella casa della famiglia Lee e nel retro di un vicino pub! Ne furono stampate 99 copie con copertine fatta a mano, per proporle all’attenzione dei discografici. Ma in quell’anno la tendenza verteva sull’heavy-prog, mentre l’omonimo “Complex”, al di là della scadente qualità fonica, suonava come un artefatto della prima era psichedelica, quindi irrimediabilmente datato.
Proprio le composizioni in stile garage-psych dell’organista Brian Coe condurranno però all’esorbitante rivalutazione di questa rarità discografica negli anni ’90, con l’ascesa vertiginosa del collezionismo d’archeologia “lisergica”. Non senza merito, grazie alle reminiscenze di Doors e Strawberry Alarm Clock insite in “Green-Eyed Lucy” e “Witch’s Spell”, mentre la deliziosa “Funny Feeling” approcciava i Caravan di “Golf Girl”. E’ un disco riservato ai cultori della specie dichiarata; ci sarà pure un secondo atto, “The Way We Feel”, meno riuscito ma pur sempre costosissimo (£.1000).
Quotazione: £.4000
Ultime Ristampe: LP (Guerssen, 2012); CD (Kitty, 2011)
Un celebre articolo di Record Collector del ’92 elevò l’album dei Dark al rango di suprema rarità collezionistica fra le private pressings, non solo britanniche. Da allora, il valore di questo “tesoro” del quartetto di Northampton, già apparso in testa ad una graduatoria di 75 inestimabili reperti archeologici dell’Era Progressiva, non ha fatto che aumentare iperbolicamente. La prima edizione di “DRTE”, autoprodotta in 12 copie nel 1972 (su 64 in totale) con copertina apribile a colori raffigurante una ragazza affacciata ad una tipica bow-window inglese, completa di libretto con fotografie e note manoscritte, è quotata 10.000 sterline; i rimanenti formati, con copertina apribile in bianco e nero o a colori, variano da 4000 a 6000. Nel Regno Unito, solo un acetato a 78 giri dei Quarrymen del ’58 (i Beatles in fase embrionale) è quotato enormemente di più.
Per chi non lo sapesse, “Dark Round The Edges” è anche un eccellente album dal mood crepuscolare, dove efficacemente interagiscono elementi di psychedelia, progressive e hard rock, secondo la versatile tendenza dell’epoca. Il suono è dominato dalle chitarre fuzz del leader Steve Giles e di Martin Weaver (anche nei Wicked Lady), e dalla malinconica, espressiva voce dello stesso Giles. Da un’analisi oggettiva si evince la mancanza di una capillare produzione che avrebbe giovato ad un’orditura più accurata del tessuto musicale e delle parti vocali, ma il fascino resta inalterato. Peccato che in quegli anni solo la Island manifestò un marginale interesse per il gruppo, protagonista di un fugace riunione nel ’96, sull’onda di tanto furore collezionistico.
Quotazione: £.10.000 (6000/4000)
Ultime Ristampe: LP (Darkedge, 2017); CD (Darkedge, 2019)
Dischi questi pesanti come macigni a livello rarità nella loro stampa originale. Ovviamente molti come me arrivati a conoscere queste gemme ad inizio anni 90 non restava che virare su una ristampa spesso in cd motivo per cui il sottoscritto passò velocemente a collezionare piccoli dischetti color silver. Dark disco fantastico, Mellow candle folk delicato e contaminato….mi cogli in fallo sui Captain Marryat che mi vado subito ad ascoltare ehehehehehe ma dalla tua descrizione mi sa che saranno pane per i miei denti 😉 Thx Beppe!
Si Luca Tex (mi piace sottolineare il nome del mio idolo a fumetti!), dopo la pubblicazione dell’articolo, ho avuto conferma dal report di un’asta che i dischi in questione sono aggiudicati a cifre ben superiori di quelle della fonte citata. Se ami l’heavy-prog, non c’è dubbio che i Capt. Marryat facciano al tuo caso! Grazie
Il mercato delle rarità è dopato ma d’altronde parliamo di dischi non banali quindi quando qualcosa finisce in asta oggi sono batoste. Ottimi i Captain Merryat rari ma anche molto validi confermo 😉
C’è sempre da imparare…. anche tanto. A parte Captain Marryat, di cui avevo sentito parlare, gli altri gruppi proposti sono new entry (storiche) da scoprire. Grazie Beppe.
Ciao Luca, penso ci sia sempre da imparare…per tutti, anche per chi pensa di non averne bisogno. Arroccarsi sulle proprie posizioni non è l’atteggiamento giusto, a mio avviso. Sapevo che quest’argomento non era certo “popolare”, ma ritenevo doveroso occuparmene. Grazie
Un articolo che ti fa rialzare la testa dal peso del quotidiano ed entrare in un mondo affascinante di notevolissima qualità musicale. Al di là di ovvie nostalgie, c’è da rimanere sconvolti per la ricchezza e varietà delle proposte. Lasciare nel web questi approfondimenti è togliere tutto ciò dall’oblio. Grazie per quanto hai trasmesso a me e a chi verrà dopo, magari tra anni e anni.
Ma noi, parafrasando i Nomadi, “ci saremo”? Scherzo ovviamente. Non ho pretese di lasciare ai posteri…ma se qualcuno apprezza sinceramente come nel tuo caso, ho raggiunto il mio (modesto) scopo. Grazie Leandro, un saluto.
Ciao Beppe, un articolo veramente per cultori, che come dici tu giustamente, richiede qualche annetto di esperienza…
Relativamente al disco dei Dark, sapevo della sua immensa rarità perchè è citato in paio di bei libri che ho, dedicati al prog rock, ma francamente non l’ho mai sentito…visto che è stato ristampato recentemente vedrò di procurarmelo.
Anche perchè non ho la potenzialità finanziaria di acquistare gli originali, e la grande messe di ristampe, di tutti i generi, sta risolvendo il problema della reperibilità di molti titoli rendendoli disponibili anche a chi non può partecipare ad aste che si risolvono con aggiudicazioni per migliaia di euro.
Certo che però la ricerca di titoli oscuri, prog o meno, si presta anche ad un rovescio della medaglia; alle volte il valore cresce in maniera esponenziale più per la irreperibilità che non per l’effettivo valore artistico. Nulla di male, il collezionismo è anche questo.
Ovviamente non è il caso dei dischi qui citati.
Ciao Lorenzo, inserisco negli articoli i link di YouTube affinché possiate ascoltare le proposte con immediatezza, senza impegnarvi in acquisti al buio. Giudicate voi. Mi spiace che nel caso dei Mirkwood e dei Complex non ci fosse il link “completo” dell’album, ma è facile agire di conseguenza, se interessa approfondire. Sul valore economico degli LP si è detto. Ci sono ristampe di valore che val la pena acquistare, gli originali sono ovviamente per collezionisti assai benestanti. Ma la musica è a disposizione di ogni appassionato in formati più abbordabili. Grazie
Per alcuni di questi gruppi la domanda è: perché non hanno ottenuto una maggiore attenzione da parte del pubblico e delle case discografiche? Forse perché passata la sbornia iniziale in cui venivano messi sotto contratto nuovi gruppi a ripetizione c’è stata una rapida saturazione? Oppure c’erano già all’orizzonte nuovi generi musicali a soppiantare quelli precedenti? Non credo sia facile rispondere e probabilmente c’è una casistica molto ampia. Fatto sta che personalmente trovo a volte di difficile comprensione capire cosa porta un gruppo a trovare o meno la propria strada nel mondo del rock. Meno male che l’arte sopravvive e che , senza spendere capitali, si possa godere di ristampe alla portata di ogni portafoglio. Grazie Beppe per avermi incuriosito e portato ad ascoltare per esempio i Captain Marryatt che non avevo mai sentito nemmeno nominare. Ecco, in quel caso, forse, il gruppo era proprio fuori tempo massimo perché nel 1974 ormai imperavano il glam e la soul music, mentre i grandi gruppi hard e soprattutto prog dei primi anni ’70 vivevano i primi tormenti (pause da dischi e tour, cambi di formazione, scioglimenti,…).
Ciao Paolo, quesito interessante il tuo. Avendo vissuto l’epoca “in diretta” da teen-ager appassionato, posso dirti che per nuove formazioni di matrice progressive, il tempo è scaduto nel 1971. Chi non aveva avuto successo fino a quell’anno (incluso), difficilmente si sarebbe imposto dopo. Le sei settimane consecutive (se ben ricordo) di “Hot Love” dei T.Rex in testa alla classifica dei singoli inglesi (1971, appunto) ha aperto la strada al glam-rock. Nel ’72, i successi di Bowie-Ziggy, Sweet, Roxy Music (non stiamo a disquisire sulle loro evidenti diversità) e tanti altri hanno inaugurato una nuova era. Il glam era una sorta di pre-punk (ritorno alle radici R&R), ho sempre apprezzato tanti suoi esponenti ed anche tanti punks della prima ora. Semplicemente, non ho affatto gradito che la new wave avesse stabilito di relegare in soffitta il progressive, ma anche Led Zep, Purple etc. In seguito c’è stata pure l’esplosione della disco, e da noi il nazional-popolare Ciao 2001 se ne era “innamorato”, suscitando non poco disappunto. Tutto ciò in estrema sintesi. Capt. Marryat “in ritardo” senza dubbio. Grazie amico.
Grande Beppe, come hai sottolineato la conoscenza di queste sonorità e questi gruppi sono frutto di esperienza in materia musicale che si può solo che ammirare..
Confesso anche io che sono nomi sconosciuti non citati mai neanche in sedicenti articoli sulla storia underground del rock e derivati..
La cosa che mi ha colpito di più di questo tuo scritto è naturalmente il fatto che ci sono ancora appassionati che vanno a ricercare come reliquie queste vecchie incisioni che per la rarità hanno quotazioni considerevoli come gli intenditori ricercano un grande vino di prestigio di vecchie annate…
Ed il ricordo va a più di 30 anni fa al negozietto in un angolo remoto della mia città che vendeva vinili rari ed usati dove con un amico facevamo incetta e trovavamo e acquistavamo dischi introvabili come Angel , Starz, The Godz, Golden earring, Atomic rooster e molti altri sulla scia delle tue recensioni…
Naturalmente non credo serva dire che detto negozio non esiste più…
Ciao Roberto, é vero sono nomi sconosciuti (in genere al pubblico, ma ben noti fra gli specialisti) ed lo scopo é semplicemente di illustrarveli, poiché costituiscono una mia vecchia passione. Inoltre ritengo che trattandosi di un blog, dev’essere un’alternativa (prevalentemente) a ciò che acquistate in edicola. Che sia ben accetta o meno, sta a voi giudicare. Pensa che i dischi che cercavi nel negozietto di 30 anni fa, erano molto ma molto più facilmente reperibili. Spiace se a quanto mi par di capire, il venditore li facesse pagare profumatamente, ma è una vecchia storia…Grazie della considerazione.
Bellissimo articolo, molto interessante. Oh comunque non ne conosco nemmeno uno dei gruppi elencati. E non dico mai ascoltati, questo ci sta, nemmeno mai sentiti nominare. Quindi direi che dal tuo punto di vista con me hai raggiunto l’obiettivo 🙂 . Mi hai appunto incuriosito su alcuni di loro….quando poi leggo uriah jeep, vado sull’attenti. Mi darò da fare. Grazieeee.
Ciao Gianluca, per me è gratificante quando i lettori sono stimolati all’ascolto del materiale proposto, non certo dozzinale, e ti ringrazio. Un articolo di questo genere, credimi, richiede qualche annetto di esperienza.
Grande Beppe, grazie per l’ulteriore “carne al fuoco”. A parte Bodkin e Captain Marryat (per altro ancora da te suggeriti) gli altri sono per me degli sconosciuti. Saranno sicuramente oggetto di approfondimento. Viva il rock degli anni ‘70. Grazie maestro.
Civi
Grazie a te Civi. Mi piace svariare sulle tematiche musicali che mi hanno appassionato nei lunghi anni di ascolto. Si tratta di materiale di differente estrazione, ormai i decenni si accumulano! Ovviamente le mie “origini” risalgono al periodo descritto in quest’articolo e me ne sono occupato fin dai vecchi scritti su Rockerilla d’inizio anni ’80…Allora però Bodkin, Captain Marryat etc. erano sconosciuti, li abbiamo scoperti e ascoltati anni dopo. Ma ce ne sarebbero una quantità da proporvi. Ciao!
Ciao Beppe,
Appassionante ed istruttivo!
Confesso che non conoscevo nessuno dei gruppi da te splendidamente descritti e quindi mi sono fatto una cultura.
Ascoltando gli audio sono stato magneticamente attratto dai Bodkin pur non amando particolarmente i lavori comlpetamente strumentali: credo mi metterò a caccia di una ristampa.
Ciao e grazie
Ciao Fulvio, attenzione, l’album dei Bodkin presenta lunghi passaggi strumentali ma non è “completamente strumentale”. C’è infatti un cantante solista, Zeik Hume. Quindi ricerca la ristampa con maggior serenità. Grazie della stima.
Beppe,
Hai perfettamente ragione.
Volevo scrivere “prevalentemente strumentale” (l’ho ascoltato tutto) ma ho scritto di fretta mentre facevo altro ed è andata via così.
Chiedo venia e ringrazio per la puntualizzazione
Ciao