Accecati da L.A.
La vera forza soprannaturale degli originali Black Sabbath, è che il loro materiale risulta ancor più formidabile con il passare del tempo, pregio dei classici intramontabili.
Va comunque sottolineato che il quarto album venne concepito in un periodo di grande espansione del loro successo, ma particolarmente critico sul piano personale; l’assidua attività concertistica, alla lunga alienante, stava mettendo a dura prova la resistenza psico-fisica dei musicisti. Solo le precarie condizioni di Bill Ward e Ozzy Osbourne – che soffriva di laringite ma necessitava anche di cure psichiatriche – potevano rallentarne l’ascesa, costringendoli ad annullare il tour inglese nel dicembre ’71. Anche la pubblicazione dell’LP, prevista per l’aprile successivo, slitterà al settembre ’72.
Dopo sessioni iniziali a Londra, il gruppo si era virtualmente trasferito a Los Angeles per registrare il nuovo repertorio nei celebri studi Record Plant, e tutti i membri avevano accentuato la loro dipendenza dalle sostanze stupefacenti. E’ provato che i Sabbath circolassero negli States con uno spacciatore “privato” di cocaina e che le spese per la fornitura di droga superassero quelle dello studio di registrazione; succedeva che quattro ragazzi cresciuti in un malfamato quartiere di Birmingham, catapultati in una villa di Bel Air nella stellare cornice di Hollywood, si facessero sovrastare dal lato oscuro della crescente agiatezza. In questa atmosfera, il working-title del nuovo disco doveva essere “Snowblind”, ovviamente censurato dalla Warner, la loro etichetta USA; riusciranno comunque ad immortalare sulla copertina di “Vol.4” un caustico ringraziamento alla grande COKE-Cola Company di L.A., che non alludeva certo alla bibita di grande consumo.
Inoltre spiravano venti di cambiamento sul quartetto, che si apprestava a tagliare i ponti con i “padrini” dei memorabili esordi; per la prima volta, si allontanavano infatti da Rodger Bain, e “Vol.4” venne co-prodotto da loro stessi con Patrick Meehan, il manager che aveva sostituito Jim Simpson, loro storico scopritore, quando era in atto la metamorfosi da Polka Tulk in Earth, nuclei embrionali dei Sabbath. Ad affiancarli erano gli ingegneri del suono Colin Caldwell (già all’opera con i rivali “occulti”, Black Widow) e Vic Smith, riverito in futuro con The Jam.
Si è molto enfatizzato sul tema della “sperimentazione di studio” che avrebbe caratterizzato il quarto LP più di ogni altra loro opera precedente, e sulla sua maggior enfasi melodica, pur preservando il marchio di fabbrica ultra-heavy. Se paragonato al clima intenzionalmente ossessivo e monolitico del terzo “Master Of Reality”, “Vol.4” è decisamente più vario e resta a prescindere una pietra miliare dell’heavy rock, come tutti i primi sei album degli originali Black Sabbath.
In qualche modo, la novità discografica rifletteva a posteriori il pensiero di Iommi, che replicando alle critiche relative alla pesantezza del suono di “Masters Of Reality”, chiamava in causa il terzo LP dei Led Zeppelin (ottobre 1970): a suo dire, aveva disilluso il pubblico per la gran quantità di materiale acustico. I Sabbath rispondevano nel luglio 1971 con l’album più duro, “Master…”, appunto; a difesa della propria causa, il chitarrista sosteneva che la ricerca di uno stile più melodico doveva essere graduale, e comunque…“the heavier the better”! Dal canto loro, i Led Zeppelin hanno ripetutamente dichiarato di non accettare paragoni con i Black Sabbath, inasprendo la polemica fra divini “martelli”.
LP/CD 1: L'album originale
Oggi si può giudicare “Vol.4” certamente inferiore, per portata storica, agli inarrivabili “Black Sabbath” e “Paranoid”; inoltre, nonostante il gruppo avesse allora incensato l’auto-produzione, stabilendo che il disco suonasse molto meglio dei precedenti, mi permetto di dissentire. La combinazione fra il produttore della Vertigo Rodger Bain ed il quartetto, entrambi esordienti all’epoca del debut-album, si era rivelata una sorta di miracolo artistico, concluso in tempi strettissimi e con un suono “live in studio” assolutamente geniale quanto tenebroso; altrettanto ingegnosi erano espedienti come la registrazione del temporale e dei rintocchi di campana in apertura di “Black Sabbath”, che ne rappresentavano l’unicità. Analogamente, nel successivo “Paranoid”, la minacciosa voce di Ozzy distorta in apertura di “Iron Man” o il suo stesso timbro modellato in lontananza dagli echi, nella spaziale “Planet Caravan”, legittimavano la creazione di un’opera immortale.
Quelle di “Vol.4” erano sonorità dense, potenti ma sicuramente dai contorni meno nitidi rispetto ai primi due album, pur rappresentando un passo in avanti sul fronte della versatilità rispetto al cupo “M.O.R.”. Entrambi riflettono la primaria influenza dell’archetipo Sabbath sulle evoluzioni metalliche “influenzate dalle droghe” dei futuri scenari doom & stoner. In riferimento all’impegnativa riedizione “Super Deluxe” del Volume Quattro (5 LP/4 CD, BMG), meraviglia un po’ che Steven Wilson, Maestro del remix in costante ascesa, non sia stato incaricato di manipolare l’album originale. Il “restauro” 2021 è ancora affidato agli ingegneri del suono Andy Pearce e Matt Wortham, già impegnati in precedenti ristampe della discografia dei Sabbath. Il curriculum di Pearce ha un raggio d’azione pressoché sconfinato (da Sinatra a Elvis, da Gallagher ai Purple, fino all’heavy metal) ed il risultato è certamente professionale, ma senza effetti prodigiosi.
In apertura, l’intimidatoria chiamata alle armi, “Wheels Of Confusion”, resta insieme a “War Pigs” il pezzo più composito e progressivo della formazione, grazie a Tony Iommi che ritrovava il gusto di una maggior libertà espressiva; il brano in origine proponeva un tema ecologista, denunciando l’azione distruttiva dell’uomo sugli equilibri naturali ed il suo prolungamento strumentale (“The Straightener”), spesso trascurato, è sintomatico della ricerca nei cambiamenti d’atmosfera.
“Tomorrow’s Dream”, il primo singolo dei Sabbath successivo al superclassico “Paranoid”, ne ricalca le orme in quanto ad immediatezza, senza avvicinarne la fortuna commerciale.
“Changes”, è invece una maliosa, melanconica ballata scandita dal semplice accompagnamento al piano di Tony e sottolineata dal flusso ipnotico del mellotron, suonato da Geezer; Ozzy l’ha definita la loro “canzone più vicina ai (suoi idoli) Beatles”. “Laguna Sunrise”, ispirata ad una spiaggia californiana, è un altro episodio imprevedibile: ricorda meravigliosamente i rari momenti di quiete del secondo High Tide, quando gli arpeggi di chitarra si intrecciavano con il violino (in questo caso un arrangiamento sinfonico) illustrando attimi di autentica magia.
Il resto del disco è però risolutamente heavy, a partire da “Snowblind”, memorabile anche per gli effetti siderali in chiusura, quando la chitarra di Iommi volteggia sulla bolgia sonora come un rapace sulla preda; nonostante Mr. Double O sembri inneggiare alla cocaina, il testo sarebbe di drammatica autocritica, denunciando i dirompenti effetti dell’assuefazione alle droghe. Si ripete insomma la controversia che aleggiava su “Black Sabbath”: ombre d’ispirazione satanica oppure un monito a starne alla larga? …Ardua sentenza.
Bill Ward è sempre superbo nel suo frastornante uso dei piatti, trasmettendo un senso di follia al megalitico riff di “Supernaut”. “Cornucopia” e “Under The Sun” partono entrambe dalle tipiche sonorità stridule e distorte, imitate da legioni di discepoli, mentre le liriche istigano la definizione downer rock, con versi di depressione nichilista.
Dopo questa tuonante fatica metallica, i Sab Four si concederanno la pausa più significativa della loro iniziale carriera, fino all’uscita di “Sabbath Bloody Sabbath”, nel dicembre 1973.
LP/CD 2-3: Outtakes-New Mixes-Alternative Takes
Alle prese con i reperti di studio riesumati dalla cripta – nulla di clamorosamente “inedito” – entra in gioco il nuovo Re Mida del prog, Steven Wilson. Dopo aver modernizzato il genere negli anni ’90 con i Porcupine Tree ed aver intrapreso con successo carriera solista e progetti paralleli, Wilson ha rimodellato il suono di grandi classici del rock progressivo, destreggiandosi fra opere d’arte di King Crimson, Jethro Tull, Yes, EL&P, Gentle Giant.
Sorprende ritrovare l’infaticabile Steven impegnato con un gruppo di tutt’altra specie; ma è pur vero che la fama dei Sabbath, levitata esponenzialmente negli anni, illumina ogni satellite nella sua orbita.
Gli album 2 e 3, raccolgono tutte le possibili versioni “differenti” dei pezzi già noti; il problema è semmai che non aggiungono nulla agli originali di “Vol.4”. Addirittura sei outtakes alternative di “Wheels Of Confusion”, inclusa “falsa partenza con dialogo di studio”, sono quantità smodata pur considerando la magnitudine del brano, anche perché non si evincono significative variazioni. Piuttosto, “Under The Sun” è riproposta sia in versione strumentale, che con “guida vocale” di Ozzy; ma la prima ne rimarca l’ovvia ripetitività del riff senza particolari benefici, utile forse per “apprendisti stregoni” che vogliano esercitarsi sul tema, mentre la seconda è il canticchiare di un Ozzy non particolarmente lucido sull’impianto musicale. Nella stessa “Supernaut”, le divagazioni della chitarra di Iommi appaiono meno coese con l’andamento ritmico, ed a suo tempo opportunamente accantonate.
In sintesi, si tratta di materiale di risulta al quale il magic touch di Wilson non può conferire superiore dignità; è dunque riservato ai tifosi “completisti” dei Sabbath, che non vogliono farsi mancare proprio nulla dei loro idoli.
LP 4-5 / CD 4: Live In The UK 1973
Fra i motivi di sicuro richiamo dell’edizione Super Deluxe è la “ricostruzione” di un intero show tratto dal tour del marzo 1973 in Inghilterra. Naturalmente i Sabbath rappresentavano l’attrazione principale, ma il cast era di tutto rispetto: ad aprire il concerto erano i leggendari Necromandus, “protetti” di Tony Iommi, che doveva produrre il loro album d’esordio “Orexis Of Death”, annunciato per la Vertigo nel maggio dello stesso anno; notoriamente, l’uscita fu annullata. Li seguivano i Badger, quartetto allestito dall’ex tastierista degli Yes e dei Flash, Tony Kaye, che registrarono dal vivo l’opera prima “One Live Badger”, pubblicata proprio nel 1973 ma tratta da una precedente esibizione.
Il programma dei Sabbath, con un Ozzy in buona forma vocale, verteva naturalmente su tracce salienti di “Vol.4”, a partire dal singolo “Tomorrow’s Dream” che già inaugurava i loro concerti nel 1972, oltre a “Snowblind”, “Cornucopia” e “Supernaut”, brano-manifesto dello sferzante drumming di Ward, assolo incluso. Sorprende che non si cimentino nella più ambiziosa “Wheels Of Confusion”, ma l’autentico vertice del doppio LP (ed unico CD) è il trionfale ritorno alla lussureggiante preistoria heavy metal di “Wicked World”. La sua rivisitazione occupa un’intera facciata, sfoggiando un Tony Iommi in grande spolvero; con un impressionante saggio di chitarra superamplificata, non solo si ricollega idealmente al primo “Black Sabbath”, ma guida i compagni in una jam strumentale, fra orizzonti di folklore medievale dagli influssi “gotici” ed improvvisazioni in omaggio alle evidenti radici blues e jazz. Da sottolineare anche l’epilogo “Sometimes I’m Happy”, un work-in-progress a sua volta blueseggiante; assumerà i suoi contorni definitivi nella seconda parte di “Symptom Of The Universe”, che rammentiamo punteggiata da superbi fraseggi acustici.
“Killing Yourself To Live” anticipa i colpi di “Bloody Sabbath” e il frastornante finale dello show è affidato alla carica dei mastodonti, “Children Of The Grave” e “Paranoid”.
Peccato che quasi tutti brani siano tratti dai precedenti “Live At Last” (1980) e “Past Lives” (2002). Fanno eccezione solo “Tomorrow’s Dream”, “Sweet Leaf” e “Snowblind”.
Nuovo ed indubbiamente efficace è pero il missaggio dell’originale 16 tracce, realizzato nel 2020 da un veterano di lungo corso, l’ingegnere del suono Richard Digby Smith, che vanta illustri precedenti (Paul Mc Cartney, Eric Clapton, Free e Led Zeppelin).
Probabilmente l’oggetto, la “scatola magica” in sé (nel formato 5 LP oppure 4 CD) stuzzica l’appetito dei collezionisti più delle sorprese musicali.
Innanzitutto la copertina presenta la foto in bianco e nero da cui era ricavata la silhouette color arancione di Ozzy per l’iconico “fronte” dell’originale “Vol.4”. Lo scatto era opera di Keith McMillan, ossia il leggendario Marcus Keef che aveva già firmato la straordinaria immagine di “Black Sabbath”, replicando in tono minore con “Paranoid”; Keef era anche l’autore del poster a colori del quartetto nella prima versione inglese di “Master Of Reality”, oltre che di numerosi, indimenticabili artwork di quegli anni (da “Valentyne Suite” dei Colosseum all’omonimo Spring).
Nel libro cartonato dell’edizione Super De Luxe è effigiata la fotografia completa, dove la sagoma di Ozzy nascondeva in parte quella di Iommi, “tagliata” per un effetto più efficace. E’ solo una delle tante suggestioni del volume illustrato, che presenta anche una ricostruzione storica della genesi dell’album, un mosaico di stralci d’interviste e ritagli delle riviste d’epoca, raccolti dallo specialista Hugh Gilmour, già responsabile di precedenti “revisioni storiche” dei Sabbath. A livello iconografico, valga ad esempio il poster del tour italiano (febbraio 1973) che recita “per la prima volta in tournée in Italia il più rivoluzionario gruppo pop”!
Gli album inclusi replicano il modello grafico dell’originale, alternando i protagonisti in copertina. Spiace a mio avviso che non sia riprodotta “tale e quale” l’originale gatefold sleeve di Vol.4, compreso l’inserto fotografico a colori di quattro facciate, con immagini del gruppo in concerto. Va aggiunto però che ritroverete le medesime nel libro descritto. Infine, c’è il poster a colori di quello che doveva essere l’LP dal titolo provvisorio “Snowblind”, rifiutato dalla Warner.
Confezione dunque alquanto accattivante, ma sotto il profilo strettamente musicale, il valore aggiunto non rende d’obbligo l’acquisto di questa imponente e dispendiosa ristampa.
Operazione monumentale questo cofanetto che personalmente mi attira per il Live in Uk ( sono sempre stato un appassionato di live). Grazie come sempre Beppe per la minuziosa descrizione! 😉
Ciao Tex, grazie per la “minuziosa descrizione”. L’intento era quello di fornire qualche approfondimento oltre alle solite notizie, per chi valutasse un acquisto certamente non da pochi euro. La storia dei Black Sabbath ovviamente non si discute, si onora e stop.
Ciao Beppe, ho acquistato la Super Deluxe in cd e per quanto mi riguarda pur essendo consapevole che non c’è nulla di nuovo, ho la sensazione di possedere questo classico per la prima volta, come se fosse la prima volta cinquant’anni fà. Anche per altre pietre miliari della musica che tanto amiamo il “riacquisto” dell’ennesima versione perpetua all’infinito il ricordo di quando ragazzini avevamo tra le mani il vinile originale.
Ora che sono piuttosto avanti con gli anni, come altri della mia/nostra generazione, mi rendo conto che di tutti gli album ascoltati quelli che mi tornano nitidamente alla mente sono proprio quelli del periodo 68/75. Grazie.
Alfredo, ti capisco perfettamente! Aver fra le mani questi box é un pò rivivere gli anni d’oro del rock, comunque quelli a cui siamo maggiormente legati. Mi fa molto piacere se a seguire il Blog condiviso con Giancarlo (siamo anche coetanei), siano appassionati del periodo che tu citi; lo stesso vale per i fan degli anni ’80, quando ho avuto la possibilità di farmi conoscere. Ti saluto e ringrazio.
Ciao Beppe, stavolta ti scrivo per sottoporti un dubbio che ho avuto guardando la foto del poster “italiano”: premesso che nel ’73 non ero neanche nato, ricordo però di aver visto anni fa un manifesto del Palermo Pop Festival (tenutosi nel ’71) al quale avrebbero partecipato i Black Sabbath. Lo slogan “per la prima volta in tour in Italia”, quindi, è puro sensazionalismo oppure sono errate le mie info riguardo il fest di Palermo? Grazie e buona serata,
Massimo
Ciao Massimo, mea culpa…Nel poster riportato proprio a fianco dello scritto, c’era specificato “per la prima volta in tournée…” e la dicitura è corretta. Ho rettificato anche il testo per evitare equivoci, ma hai evidenziato opportunamente. La prima apparizione in Italia dei Sabbath é stata al Festival Pop di Palermo nel settembre 1971, mentre il primo tour é del ’73. Fra l’altro Tony Iommi era di origini siciliane; come riporta la sua autobiografia “Iron Man”, la madre Sylvie Maria Valenti (sposata con Anthony Frank Iommi) era nata a Palermo! Il primo Festival Pop di Palermo (1970) poteva essere una manifestazione epocale: inizialmente avevano dato la loro adesione Rolling Stones, Led Zeppelin e Pink Floyd! Tutti rinunciarono, così l’evento passò alla storia per lo “spogliarello” in scena di Arthur Brown, finito in galera per atti osceni. Grazie per l’attenzione!
che poi il concerto del 21 febbraio 1973, che secondo il manifesto doveva tenersi a Novara, si tenne invece a Brescia … ne è in circolazione una pregevole registrazione pirata che riporta per l’appunto come luogo del concerto il Palazzo E.I.B. di Brescia … sarebbe stato bello esserci …
Buongiorno Beppe.
Sto ancora pensando se acquistare questa ristampa, che come prevedevo non è che sia nulla di particolare in quanto a contenuti.
Speravo nel live, ma anche questo mi pare di capire sia una rimasticazione di Past Lives (a sua volta, una riedizione del vecchio Live at Last).
In pratica come quasi sempre accade per le ristampe di questi grandi gruppi storici, si prende un loro disco famoso e lo si impacchetta in una confezione accattivante (questa si in effetti degna di nota), ma alla fine il tutto lascia il tempo che trova.
Ad ulteriore riprova, tra qualche giorno usciranno le ristampe di Heaven and Hell e Mob Rules; ho verificato i contenuti e sono sostanzialmente uguali a quelli delle ristampe deluxe degli stessi dischi uscite mi pare nel 2011 o giù di lì, che all’epoca comprai.
Il tutto è sostanzialmente una riprova che per tenere in piedi quel poco di industria musicale che ancora regge, ci si deve basare sulle band storiche (perchè quelle nuove fanno tendenzialmente quasi tutte schifo, sono prive di appeal, prive di canzoni valide, prive di immagine vincente), e su ristampe sempre più “gonfie” non tanto di contenuti ma molto accattivanti come involucro.
Ciao Lorenzo; certo, “Live In The UK 73” è un aggiornamento “restaurato” con pochi inediti di “Live At Last”, che era una sorta di bootleg ufficiale, pubblicato dall’ex manager senza il consenso del gruppo. Ovviamente la qualità è superiore all’originale. Nemmeno io riesco a paragonare i “nuovi gruppi” (con rare eccezioni) alla personalità di quelli storici, anche perché la tendenza è ormai scarsamente rock, le nuove generazioni sono interessate ad altro. Inoltre queste ultime si interessano poco all’oggetto “fisico”, scaricano e tant’è…Quindi le case discografiche cercano di ingolosire i “vecchietti” come i fautori di questo Blog, per raddrizzare il fatturato, detto banalmente. Non mi permetto di biasimare, le operazioni sono spesso molto ben confezionate. E’ pur vero che la quantità di “edizioni speciali” é smodata, ma quando riguardano gli artisti preferiti, é più che lecito farsi attrarre. Grazie
Ciao Beppe, sempre esauriente ogni tua analisi critica però personalmente la questione delle riedizioni che siano de-luxe o meno non mi hanno mai entusiasmato… In fin dei conti mi è sempre piaciuto considerare una pubblicazione discografica nella sua versione ufficiale originale, poi che siano remixate anche dal nome di grido poco cambia così come la presenza di alternative versions dei brani mi pare più una presa in giro per fare ulteriori soldi su qualcosa già edito più che una chicca per fans appassionati.
Ovviamente qualcosa di interessante qualche volta viene offerto ma spesso non giustifica la spesa di un box magari di 3-4 CD… ma chiaramente il mercato discografico che ormai è al tracollo ha bisogno anche di questo in un era dove la musica non ha più il peso economico di un tempo..
Roberto ciao, le tue osservazioni sono assolutamente valide, infatti ho cercato di motivare le ragioni che possano indurre o meno all’acquisto. Oggi gioca un ruolo preminente anche il gusto dei “memorabilia” da collezione, e non posso certo biasimare i fan che desiderano impossessarne. Ho fatto lo stesso, adoro i Sabbath. Però si sappia che non è tutto oro ciò che luccica nella “scatola magica”. Grazie dell’intervento.
bella recensione di quello che, assieme a Sabbath Bloody Sabbath ed al (secondo me) sottovalutatissimo Technical Ecstasy, è il mio album preferito dei Sabbath con Ozzy … ragion per cui, pur possedendo una preziosa copia della prima stampa inglese originale, non ho mancato di acquistare la succulenta Super Deluxe edition … Beppe, al cuor non si comanda, vero?
Ciao Giuseppe. E’ interessante come le preferenze riguardo i classici album dei Sabbath epoca Ozzy-Seventies, siano diversificate. Questo a mio avviso dimostra la loro grandezza. Io sono nato con la “genesi” del gruppo, quindi mi sento ineluttabilmente legato ai primi 2 LP. Poi ci sono le motivazioni a supporto delle scelte, come ho scritto. E’ vero, al cuor non si comanda. Infatti ho sganciato €.108 e rotti (spedizione compresa) per avere il mio box di 5 LP. Grazie!
Attendevo i tuoi passaggi di penna relativi a questo oggetto/ opera, Beppe… La disquisizione sul tocco di Steven, la ricostruzione storico – personale dei ragazzi che assaporano ‘il lato oscuro dell’agiatezza’ dopo i loro umili trascorsi primordiali,… Non ultime le analisi del prode lavoro grafico di Keef, tra i capolavori di Vertigo e Neon…. Insomma, MAI UNA DELUSIONE! !
Non resta che aspettare il collegamento a Linea Rock sul tema. Un Abbraccio.
Ciao Mox, la tua approvazione mi fa sempre piacere e ti ringrazio del commento. Ovviamente sui temi che hai citato potremmo dilungarci; cerco sempre di dare una dimensione se possibile esauriente, ma non troppo prolissa. Il focus era naturalmente sui contenuti, in modo che i lettori possano decidere, al di là della propaganda, quanto il box possa interessare o meno. Certamente spero di ripresentarmi su Linea Rock con il nostro pioniere della radio rock, Marco Garavelli, in questo mese di marzo.