L'elogio dei Titani
Spesso i cultori di artisti trascurati dalla comunicazione di massa si mostrano insofferenti verso il battage pubblicitario che circonda costantemente i “famosi”; sul fronte opposto, chi valuta siano sempre i migliori a ritagliarsi un ruolo di successo nella storia, non si accalora per nomi considerati seminali ma di scarso rilievo commerciale.
Nella cosmogonia rock però i due mondi collidono a più riprese, con beneficio reciproco dei protagonisti.
Prendiamo il caso dei Budgie; quando si tratta di citare pionieri dell’originale hard rock d’inizio settanta, nonché capostipiti dell’heavy metal, talvolta il trio gallese viene colpevolmente dimenticato. Certo, questi musicisti non hanno mai avuto la vocazione, tanto meno l’innato aspetto delle rockstar; Tony Bourge e Ray Phillips si presentavano con l’immagine irsuta e trasandata dei ragazzi del proletariato urbano, il leader Burke Shelley mascherava uno sguardo gentile dietro le grandi lenti da vista dei suoi Ray-Ban. E non se ne curavano affatto, tant’è che un loro brano degli anni ’80, “Superstar”, era un’esplicita parodia dei musicisti baciati dal successo, che si prendevano troppo sul serio nelle loro aspirazioni edonistiche.
Alcuni luminari del rock ad alto voltaggio hanno però posto rimedio alle distrazioni di pubblico e critica, che tendevano a relegare i Budgie in secondo piano. Ai Van Halen va il riconoscimento di averli “valorizzati” per primi; negli iniziali concerti esibivano una cover di “In For The Kill”, titolo-guida del quarto album.
I più generosi, e non è una novità, sono stati i Metallica: hanno rilanciato alla loro maniera “Crash Course In Brain Surgery” – storico primo singolo dei Budgie – apparso nell’EP dedicato alle fonti d’ispirazione, “Garage Days Re-Revisited” (1987), poi ampliato nel doppio CD “Garage Inc.”.
Non paghi, i giganti della Bay Area hanno registrato la loro versione del classico per antonomasia dei gallesi, “Breadfan”, pubblicandola sul retro di ben due singoli, i primi tratti da “…And Justice For All” (1988), rispettivamente “Harvester Of Sorrow” e “Eye Of The Beholder”, (oltre a ripresentarlo, dieci anni dopo, nella compilation “Garage Inc.”) e poco importa se i fan meno eruditi l’anno scambiato per un rampante inedito.
Nel corso degli anni ’80, Lars Ulrich si é anche proposto come produttore dei Budgie, ma Shelley ha cortesemente declinato, per il gusto di “fare in proprio”, un’offerta che poteva spalancare nuovi orizzonti al suo gruppo.
Il 1992 è stato un anno di particolare revival per il loro invidiabile retaggio. Anche le stelle grunge, Soundgarden, hanno reso omaggio con una versione della pionieristica “Homicidal Suicide”, sulla B-side del singolo “Outshined”.
Gli stessi Iron Maiden, concorrenti dei Metallica al titolo di Mega-Metal band del pianeta, hanno raccolto la sfida, pagando il loro tributo ai Budgie con il remake di “I Can’t See My Feelings” (incluso in “Fear Of The Dark”). Non solo, nello stesso album si evidenzia un elusivo “saccheggio” della struttura armonica di “Keeping A Rendezvous”, ripresa nel riff iniziale del singolo ironiano “From Here To Eternity” (sempre ’92).
Per completare il quadro, due delle più importanti formazioni stoner-doom dell’underground inglese risorto negli anni ’90, Cathedral ed Electric Wizard, hanno citato i Budgie fra le loro maggiori fonti d’ispirazione. E non meraviglia affatto, se consideriamo le radici comuni con i più venerati padrini di quella scena, Black Sabbath!
Le origini e gli anni '70
I natali dei Budgie risalgono alla fine del 1967; Burke Shelley assiste ad un concerto di Dave Edmunds, gloria gallese del blues-rock, ed entusiasta, decide di formare una band. Nei sobborghi di Cardiff incontra il chitarrista Brian Goddard ed il batterista Ray Phillips, in seguito un secondo aspirante guitar hero, Tony Bourge. L’originale quartetto inizia a sperimentare soluzioni a base di blues elettrico e slanci hard rock, avviandosi sulla strada delle composizioni originali. Un futuro classico, “Parents”, era stato scritto da Shelley a 16 anni, appassionato di letture (fra le sue giovanili preferenze, il romanziere horror Dennis Wheatley, ispiratore dei Sabbath); dunque, Burke si occupa anche dei testi, oltre a suonare il basso e a cantare con la sua tipica voce “strozzata”. Lui stesso riconosce che la svolta decisiva per lo stile del gruppo è determinata dalla scoperta dei Led Zeppelin. Fuoriuscito Goddard, i Budgie si rimodellano nell’archetipo di power-trio che li renderà noti, accentuando le asperità del suono. Shelley ne approfitta per mettere a dura prova i suoi registri vocali sugli acuti e dovunque si esibiscano, vengono definiti troppo rumorosi, ma il pubblico reagisce con crescente euforia.
L’occasione decisiva si presenta con la “chiamata alle armi” per un’audizione agli studi Rockfield, futura sede delle loro incisioni, ubicati in un’altra città del Galles, Monmouth. A presiedere il test è un produttore che staglierà un’ombra titanica sulle future sorti dell’heavy rock, Rodger Bain. Dichiara ai Budgie che scritturerà solo due gruppi: loro sono fra i prescelti; precedentemente, aveva già selezionato una formazione di Birmingham, Black Sabbath…
Tramite lo stesso Rodger, ottengono un contratto per la MCA ed esordiscono nel 1971 con un omonimo album che riceve apprezzamenti (Record Mirror, Beat Instrumental) ma fatica ad imporsi fra le molte novità dell’esplosione hard rock. Le fondamenta del loro rimbombante stile sono però gettate, e si riconosce l’impronta doomy già esplorata da Bain con i Sabbath, nelle plumbee sonorità heavy di “Homicidal Suicidal”. I Budgie si caratterizzano anche per il gusto del paradosso, ergendo a loro simbolo un inoffensivo pappagallino in uniforme “guerriera”, come evidenziano alcune caricaturali immagini di copertina: non propriamente una spregiudicata ostentazione di potere. Alla stessa filosofia si appellano i grotteschi titoli dei brani, basti menzionare “Nude Disintegrating Parachutist Woman”, oppure il primo singolo “Crash Course In Brain Surgery”, che sarà presentato su LP solo in seguito, nell’arsenale bellico di “In For The Kill”.
Nel ’72 esce “Squawk”; esibisce la prima copertina concepita dal grande Roger Dean per il trio di Cardiff. In apparente omaggio all’artista, celebre per il suo lavoro con gli Yes, i Budgie si concedono un imprevedibile excursus nel progressive di “Young Is A World”, dove l’arrangiamento a base di mellotron (opera di Shelley) non offusca lo splendido lavoro della chitarra di Tony Bourge. Non sarà comunque un’eccezione nella loro avventura discografica. Manifesto della durezza espressiva è invece “Hot As A Docker’s Armpit”, dove chitarra e basso rivaleggiano in impetuose fasi strumentali sottolineate dalle tastiere, fino al minaccioso crescendo finale.
Il vero, classico LP è ormai alle porte, perché tale è “Never Turn Your Back On A Friend” (’73). La copertina apribile è ancora firmata da Dean, che disegna anche l’emblema grafico dei Budgie, destinato a durare nel tempo. Almeno di pari valore è il maturo cerchio di vinile, che scatena in apertura la carica turbinosa di “Breadfan”: ricco di stacchi e riprese, questo atto d’accusa rivolto agli schiavi del “dio denaro” non si fa mancar nulla, dalla chitarra saettante ai ritmi proto-speed, senza disdegnare un melliflua porzione acustica; ma è anche la performance per eccellenza di Shelley, che con un saggio di resilienza sulla timbrica in falsetto anticipa coraggiosamente il ben più celebre Geddy Lee. Notevole l’ariosa vena blues-prog di “Parents”, che trascende i dieci minuti imponendosi come il tour de force del disco, con un Bourge in grande spolvero, autore di un assolo a quote stellari. Inoltre il trio sfida con bravura Ted Nugent & The Amboy Dukes nella cover che li rese famosi, “Baby Please Don’t Go” ed un paio di rarefatti episodi acustici testimoniano la versatilità dell’opera compiuta.
Il maggior successo commerciale arride però a “In For The Kill”, che fa breccia nei Top 30 inglesi nel giugno ’74 (al numero 29). Il livello non è lo stesso del predecessore ma ne capitalizza la spinta propulsiva; la title-track ben rappresenta lo stile più immediato del rinnovato trio (con il nuovo drummer, Pete Boot) e si distinguono anche la vena jamming di “Zoom Club” ed il power-blues di “Hammer And Tongs”, un paradigma per gli stoners degli anni ’90. I Budgie rispolverano anche il singolo “Crash Course…”, opportunità per Burke di emulare a suo modo l’idolo Robert Plant.
Un ulteriore avvicendamento alle percussioni, con l’arrivo di Steve Williams, prelude ad un album quasi altrettanto fortunato, “Bandolier” (1975, n.36 nella classifica inglese). Permane l’energia debordante del passato in “Napoleon Bona Part One & Two” e “Breaking All The Rules”, episodi decisamente seminali: nella prima, l’idea di associare musica heavy a reminiscenze di battaglie storiche preconizza l’epic-metal, con quelle cavalcate a briglia sciolta che tirano la volata agli Iron Maiden. La seconda è invece un inno ribelle che si potrebbe attribuire, con anni di anticipo, ai furori giovanili della NWOBHM. Altrove si evidenziano geometrie hard rock più accessibili: sintomo di un avvicinamento al mercato americano, che i Budgie cercheranno di abbordare senza molto successo, con il loro passaggio alla A&M che li impegna in due anni di incessanti tour ed altrettanti album, nell’ordine “If I Were Britannia I’d Waive The Rules” (1976) e “Impeckable” (1978). In “Britannia” convivono riflussi prog nell’omonimo brano (con una chitarra alla Steve Howe nel finale) ed il rock quintessenziale di “Anne Leggen”, affine agli AC/DC ai quali i Budgie verranno accostati per “convenienza” negli anni 80.
Il clima ormai sfavorevole al rock classico in Inghilterra, sommersa dall’ondata punk, sconsiglia ai nostri il ritorno in patria, infatti il settimo “Impeckable” viene registrato in Canada. Una mossa vincente, perché quella nazione si rivelerà ben più ricettiva nei loro confronti rispetto agli U.S.A. Sarà anche l’album d’addio di Tony Bourge; ritroveremo il chitarrista insieme ad un altro membro originario dei Budgie (Ray Phillips) nei Tredegar, un gruppo che senza troppa fortuna rincorrerà la scia della New Wave Of British Heavy Metal.
Gli anni '80 e la fine dei sogni
Saranno piuttosto gli stessi Budgie ad approfittare delle deflagrazioni della NWOBHM per riunire le forze ed allestire un vendicativo come-back nel Regno Unito, a fianco di rigenerati veterani come gli Atomic Rooster e l’Ozzy in chiave solista, senza dimenticare i capisaldi storici (Sabbath, UFO, Judas Priest, Whitesnake etc.), più che mai armed & ready.
Nel 1980 d.C., anno della riscossa heavy, accanto al personaggio-cardine Burke Shelley c’è sempre Steve Williams, entrambi raggiunti da “Big” John Thomas, chitarrista di Birmingham, già nella George Hatcher Band. L’EP-4 tracce che consegna i Budgie alla nuova generazione di headbangers, esce per una succursale della RCA (Active) ed ancora con un titolo paradossale, “If Swallowed Do Not Induce Vomiting” (Se ingoiato, non fa vomitare…!?!). Certamente non è assurdo il contenuto musicale, che riaccende l’energia dei tempi aurei con un suono incalzante, al passo con i tempi: “Wildlife” incoraggia il paragone con i dominanti AC/DC, ma quel sangue caldo già scorreva nelle vene dei Budgie e non si può parlare di plagio, né si può definire men che tonitruante il riff di “Panzer Division Destroyed”, dove un John Thomas fulminato da ciclopica ebbrezza, tira letteralmente le cuoia della chitarra sulle note alte: ascoltate la versione live di Reading 1982 (i Budgie erano attrazione principale nel programma del venerdi), presente nell’antologia della Repertoire, “An Ecstasy Of Flumbing”.
Nonostante l’innesto di Thomas si dimostri perfettamente funzionale per l’epoca, pare che Burke Shelley, grande reduce dei Seventies, non si accontentasse di sola potenza, invitandolo ad esser più “originale”. Anche l’LP del nuovo corso, “Power Supply” (1980) rispecchia pienamente le premesse dell’EP apripista. La copertina è un ulteriore indizio: il volatile che rappresenta il gruppo si trasforma in un’aggressiva creatura metallica. I suoi vertici centrano in pieno lo spirito della nuova era hard’n’heavy: “Forearm Smash” è assalto frontale diretto dall’infuocata solista di Thomas, mentre “Time To Remember”, un’autorevole power ballad, tipicamente anni ’80, espone la voce di Burke moltiplicata da echi suggestivi ed addirittura un accenno dell’arpeggio di “Bette Davis Eyes” in apertura, attenzione, circa un anno prima del gran successo di Kim Carnes!
Nel successivo “Nightflight” (1981) viene ingaggiato Derek Riggs, celeberrimo creatore di Eddie (mascotte degli Iron Maiden) per illustrare la copertina, dove un pappagallo “alieno” posa di fronte ad una piramide azteca.
I singoli “Keeping A Rendezvous” e “I Turned To Stone” sono bellissimi ed il secondo é spettacolare per sofisticata esecuzione, ma virano verso il pop-metal ed in Inghilterra questo genere non attecchisce, anche i Def Leppard devono salpare verso l’America per sfondare…Il versante AC/DC dell’album (“She Used Me Up”) forse dà il giusto slancio per inserirli in rilevanti tour di supporto. Il decimo album “Deliver Us From Evil” (1982) asseconda le tendenze melodiche già in essere, con l’innesto del tastierista Duncan Mackay, ed esibisce una solida vena pomp-rock non distante dagli Uriah Heep e Magnum di quegli anni: un disco da riscoprire per gli appassionati di tale genere.
Il titolo non è affatto casuale; Shelley si è infatti convertito leggendo la Bibbia, e compone una canzone di speranza, “Don’t Cry”, dove sostiene di aver visto la luce di Cristo in fondo al tunnel. Altrettanto esplicito il singolo “Bored With Russia”, che è il viatico allo straordinario successo riscosso dai Budgie in Polonia; nell’estate 1982 varcano infatti la “Cortina di ferro” riempiendo numerose grandi arene. Il gruppo si prodiga anche per placare i tafferugli scoppiati fra il pubblico ed il servizio d’ordine paramilitare, responsabile di una violenta azione repressiva. Quindici anni dopo, i Budgie riceveranno nella stessa Polonia un’importante onorificenza ufficiale per essersi distinti fra gli artisti che si sono opposti a proprio rischio al regime totalitario, ormai consegnato al passato. Ma la qualità di “Deliver Us…”, che ribadisce il potenziale hard del rinnovato quartetto (specie nella corsa al galoppo, stile UFO, di “Hold On To Love”) non realizza l’auspicato salto di qualità commerciale, nonostante le prestigiose apparizioni al festival di Reading e a Wembley, da supporto ad Ozzy Osbourne. E’ l’ultimo sussulto prima di una lenta agonia, perché la conclusione dell’attività dal vivo è dichiarata solo nel 1988.
Nel frattempo John Thomas parteciperà al progetto all star di Tom Galley con Glenn Hughes, “Phenomena”, che frutterà due album di indubbia risonanza nella scena heavy della seconda metà anni ’80.
Le riunioni successive non vanno oltre il sapore nostalgico, purtroppo amaro se ripensiamo all’unico, inadeguato album di studio del 2006, “You’re All Living In Cuckooland”. La fine del gruppo sarà decretata nel 2010, quando un aneurisma all’aorta riduce in gravi condizioni Shelley, mentre è fatalmente in tour nella riconoscente Polonia, al fianco di Steve Williams e dell’ex chitarrista di Giuffria e Dio, Craig Goldy, oggi nei Resurrection Kings. Il musicista è sottoposto ad un delicato intervento chirurgico, si riprende (ha compiuto 71 anni in aprile) ma non è più in condizioni di cantare. Andrà peggio al 63enne John Thomas, che muore improvvisamente nel marzo 2016.
Ormai il testamento dei Budgie è definitivamente scritto a caratteri indelebili di emozionante rock’n’roll. Chi non li ha conosciuti farebbe meglio ad accorgersene, perché la loro storia è stata seminale ed altamente istruttiva, nell’evoluzione hard rock dei Seventies e nelle soluzioni orientate verso il metal ’80, propagandosi fino agli scenari degli anni ’90, dal grunge allo stoner. Può bastare.
Nel 2001, in uno sperduto paesino gallese conobbi un attore (il padrone di casa) che rimase strabiliato dal fatto che un italiano conoscesse i Budgie !!! lui aveva frequentato i Budgie a Cardiff ed era amico in particolar modo di Burke e mi racconto’ dei concerti nei club di Cardiff e ne parlava come di una band qualsiasi locale, come se fosse normale essere i………….Budgie ! Che band Beppe, li amo tantissimo, quella sua voce così nasale (?) quel granitico hard del primo lp, il prog di never turn…., il colpo da maestro di power supply per metter in riga le nuove generazioni e poi il colpo al cuore Deliver Us, che delusione non riesco ad accettarlo. Non conosco le cover delle altre band, ma gli originali sono l’ essenza dell’ hard 70 e le registrazioni della BBC nel doppio cd che prendono la band nel 72, 76 e anni 80 (se non erro) , sono un bel manifesto della potenza live della band. Una curiosita’ Beppe, hanno mai suonato in Italia ? Grazie di questo prezioso articolo, di una band formidabile.
Ciao Giorgio, fa piacere che dalle nostre parti ci siano appassionati che riconoscano i Budgie vicini al vertice della parabola hard’n’heavy anni 70, elogio che hanno ricevuto anche da artisti celebri. Interessante l’aneddoto “gallese” che citi. Non credo che i Budgie abbiano mai suonato in Italia, ma non ne ho certezza. Se qualche lettore fosse informato, intervenga pure! Intanto, grazie a te.
Rispondo io, più per intuito che per certezza. Infatti sono finito su questo blog proprio per trovare una risposta al quesito.
Mio zio mi regalò una serie di vinili, tra cui quello forse più famoso dei Budgie “never turn your back on a friend”. Bene, questo vinile è autografato e rappresenta a mio avviso una vera chicca. Per cui facendo un semplice collegamento, ho ipotizzato che mio zio se lo sia fatto autografare in qualche occasione dalla band. Tuttavia, ho chiesto al diretto interessato il quale mi ha riferito, che in quel periodo (anni 70-80) ha visto tanti concerti,ma di non ricordare se tra questi vi fossero i budgie, pur non avendolo escluso a priori. Per cui probabilmente un giro in Italia lo hanno fatto.
Ps. Per quanto riguarda gli autografi del trio, sto provando a farmeli certificare, anche se immagino sarà difficile.
Ciao Beppe, bella retrospettiva su un gruppo sottovalutato, anch’io li ho scoperti grazie alle covers dei Metallica, devo però fare mea culpa e ammettere che non conosco la loro produzione anni ’80, vedrò di recuperare.
Ciao Marcello, storicamente, artisti famosi hanno spesso contribuito a far conoscere nomi importanti ma in crisi, oppure dimenticati. Caso eclatante, David Bowie con Lou Reed ed Iggy Pop; così i Metallica (anche) con i Budgie. Un’attitudine da apprezzare, come dimostra anche il tuo caso personale. Non devi fare nessun mea culpa: ascolta un po’ su YouTube e valuta di conseguenza. Grazie
Ciao Beppe. Casualità vuole che sto ascoltando proprio in questi giorni nightflight. Album in effetti dalla presa facile, che comunque si discosta dalla produzione precedente. Questo è un gruppo che ho “scoperto” solo lo scorso anno, ed ogni tanto metto un loro album nei momenti di ascolto musicale giornaliero. Bye bye.
Ciao Gianluca, é vero, “Nightflight” é più accessibile rispetto ai classici heavy dei Budgie, ma lo trovo riuscito e accattivante. Mi fa piacere che tu li abbia scoperti. Meglio tardi che mai, vale per chiunque! Grazie
Stupendo articolo
Stasera eravate ospiti a linea rock con marco garavelli e coincidenza vuole che mentre ne parlate, stamattina mi sia arrivata la raccolta “an Ecstasy of Fumbling”
Grazie Claudio, spero che la compilation appena arrivata sia per te un’apprezzabile introduzione ai Budgie. Essere ospitati da un protagonista storico della radio rock come Marco é sempre un piacere, ci auguriamo condiviso dall’audience. Ciao
Mi sono ricordato della recensione di Power Supply su Rockerilla . Sempre grande Maestro Beppe Riva. Non sopporto quelli che parlano sempre dei soliti quattro nomi . Noi siamo per la grande cultura della musica. Un caro saluto da Carmelo affezionato lettore .
Ciao Carmelo, grazie di essere affezionato lettore; è sempre emozionante accorgersi che non pochi ricordano recensioni di decenni fa! Voglio precisare che non intendo muovere critiche a chi dà risalto solo a celebrità conclamate; semplicemente la mia posizione è differente. Sono convinto che chi segue il Blog interpreta correttamente le mie parole. A risentirci!
If Swallowed, Do Not Induce Vomiting è una indicazione che si trova su medicinali, prodotti chimici o simili. In italiano “In caso di ingestione non indurre il vomito” (ma contattare il medico/cercare assistenza/etc).
Complimenti comunque per il ripescaggio dei Budgie
Ah, non ero a conoscenza di questo significato del titolo! Occuparsi dei Budgie non é certo una strategia per attirare lettori, ma fa piacere che gli appassionati (immagino di vecchia data) riconoscano il loro contributo alla causa hard’n’heavy. Ciao e grazie
grandi Budgie e grandissimo Beppe! solo tu potevi operare un tanto opportuno quanto insperato “ripescaggio”! ad integrazione di quanto su scritto, desideravo segnalare agli eventuali collezionisti che i due brani live al festival di Reading 1982 (Superstar e Panzer Division Destroyed) sono presenti anche sulla compilation in doppio vinile “Reading Rock volume one” su Mean Records, dividendosi i solchi con altre perle di artisti del calibro di Whitesnake, UFO, Michael Schenker Group e Marillion (grandissimi!) … che bei tempi!
Giuseppe grazie, mi piacerebbe avere quell'”esclusiva” che mi attribuisci, sono contento che tu abbia apprezzato l’articolo. Certo, possiedo quel doppio LP di Reading che include anche brani (fra gli altri) di Twisted Sister, Grand Prix e Randy California. All’interno della copertina apribile ci sono foto degli artisti: dei Budgie é ritratto il solo John Thomas. Hai fatto bene a ricordarlo. Ciao
Gran bella rievocazione. Li ho riscoperti tanti anni fa e ancora non capisco perché si continui a celebrare i soliti mostri sacri quando si ha la possibilità di immergersi in queste belle e ricche avventure musicali. Sono rimasto colpito da Tony Bourge soprattutto nei suoi lavori con i Tredegar. Gran chitarrista a mio modestissimo avviso. Grazie Beppe anche per il taglio nostalgico finale, un po’ di commozione è arrivata. Non farò mai richieste di retrospettive perché mi sa di maleducato. Ma spero che se ne avrai tempo e modo tu possa ancora illuminare come sai fare, certi personaggi del passato. Grazie del Tuo impegno. Luca
Ciao Luca, ti ringrazio; anche se noi possiamo monitorare il numero di letture di ogni articolo per singolo utente (e ti assicuro, per le nostre “pretese” sono più che gratificanti), é sempre importante ricevere il vostro parere. Apprezzo anche il fatto di non considerarci un Juke-box della scrittura. Mi spiego meglio: le retrospettive, non preoccuparti, ci saranno sempre finché andremo avanti; però, se non ci sono motivazioni specifiche, ad esempio escono le ristampe rimasterizzate di (…), altri ripescaggi del passato dipendono un pò dall’umore del momento. Qualcosa che si desidera fare nel giugno 2021, un anno fa potrebbe non esser neanche passato per la mente. E’ un pò la condizione del Blog; non ci sono interessi commerciali, si sceglie di fare qualcosa che può coincidere con l’attualità, oppure per niente! Personalmente non ho voglia di celebrare i soliti “mostri sacri”, su di loro si può reperire di tutto: posso intervenire su loro novità rilevanti. Ho voluto dilungarmi a riguardo, anche a beneficio di altri lettori incuriositi…A risentirci.