Nell’anno domini 1980, una falange di nuovi guerrieri elettrici, nascosti fra le brume d’Inghilterra sulla soglia del tempo, si preparavano a scatenare la loro offensiva per la riscossa dell’heavy metal, fra cozzi ferrigni di chitarre affilate ed il rimbombare di ritmi tempestosi…Fin dai primi mesi del nascente decennio, gli Iron Maiden si imponevano fra i condottieri della risorta fede metallica, al secolo New Wave Of British HM, ma nemmeno i loro sostenitori ad oltranza avrebbero potuto immaginare che oltre quarant’anni dopo, sarebbero stati ancora riconosciuti fra le più acclamate formazioni dell’intero globo terrestre, in concorrenza con i Metallica, principali antagonisti d’Oltreoceano per il titolo di “pesi massimi” hard’n’heavy.
Tornando ai tempi antichi, fra il 1980 e l’82 il gruppo di Steve Harris è stato probabilmente il mio preferito in assoluto, ma anche la rivista che mi aveva dato spazio, Rockerilla, nonostante l’originale matrice punk e new wave, li aveva accolti molto favorevolmente, per l’attenzione che riservava agli artisti emergenti. Così in quell’epoca i Maiden apparirono due volte in copertina, la prima in coabitazione, la seconda in esclusiva, quando dalle nostre parti la stampa specializzata li ignorava. Allora venivano persino illustrati come metal-punk crossover, sulla scia dei primi brani concisi e brutali, “Prowler”, “Running Free”, lo stesso manifesto “Iron Maiden”. Teoria poi sorpassata con le gloriose cavalcate soniche che porteranno in alto i martelli degli Irons, e la sostituzione di Paul Di’Anno con un cantante più osservante dei canoni tradizionalmente heavy come Bruce Dickinson.
Stop, gli attimi di revival personale si esauriscono qui. Invece la storia del gruppo londinese diventa più che mai fiorente; senza andar troppo oltre, esaurito il primo lustro della decade, fra il 1984 e l’85, portavano a compimento la più grande tournée mondiale mai sostenuta da un gruppo rock, il “World Slavery Tour” di 300 concerti (poi immortalato nel doppio album “Live After Death”), diventando il più importante fenomeno commerciale della loro famosa casa discografica, EMI, che pure ostentava nei propri ranghi celebrità quali David Bowie e Duran Duran.
Nonostante gli inevitabili momenti critici, la popolarità dei Maiden è costantemente levitata negli anni; fra le solide fondamenta del loro successo, l’incessante attività live pre-pandemica che ne ha diffuso il verbo musicale in ogni angolo del pianeta, ma anche la scaltra strategia di marketing che ha costantemente posto in “prima pagina” (o meglio, in copertina) l’iconica, mostruosa mascotte Eddie, sempre anteposta all’immagine stessa dei musicisti e presente sulle diffusissime T-shirts, abbinata all’inconfondibile logo Iron Maiden. Si tratta però di accessori, seppur fondamentali, alla componente artistica, indissolubilmente consacrata ad un linguaggio musicale che come le leggende, “non muore mai”.
Certo, per chi non è uno strenuo appassionato può anche voler dire che la canzone rimane la stessa. E’ l’altra faccia della medaglia, ma non si può non riconoscere a questi grandi veterani un coerente attaccamento alle loro stesse radici, da imperturbabili difensori della fede metallica: quello che agli esordi era riconosciuto innanzitutto come “stile NWOBHM” si è poi evoluto ed identificato quasi esclusivamente come suono alla Iron Maiden, perché il movimento si è eclissato nel volgere di pochi anni, mentre i loro concorrenti più accreditati, Def Leppard e Saxon, già avevano modificato le proprie coordinate sonore.
"Senjutsu"
Questa resistenza alle mode non può che far loro onore, ed è un motivo determinante perché il nuovo Iron Maiden, ossia il diciassettesimo album di studio “Senjutsu” fa discutere ma conquista posizioni di vertice nelle classifiche mondiali. Nessuna sorpresa sul fronte della strategia di studio: il veterano Kevin Shirley, che si insediò nel ruolo di produttore all’alba del terzo millennio (“Brave New World”) costituisce ormai un binomio stabile con il monumentale sestetto.
Il brano che offre il titolo all’album lo inaugura, scandito da un ritmo mid-tempo opprimente e dall’atmosfera minacciosa, risolto in un tipico coro “eroico” intonato da Dickinson; un esordio promettente, anche se prosegue con qualche lungaggine di troppo; fra le caratteristiche dell’opera – che per poco non raggiunge la durata del precedente, doppio CD, “The Book Of Souls” – si segnala infatti una netta propensione all’esteso dispiegarsi delle composizioni, specie se firmate dal leader di sempre, Steve Harris. Fin troppo prevedibile, nel riconosciuto stile incalzante dei Maiden, la successiva “Stratego”, mentre diversa natura risiede in “The Writing On The Wall”, una scrittura di Adrian Smith; dai tempi remoti di ASAP fino al recente progetto con Richie Kotzen, il chitarrista si è rivelato l’anima hard rock del gruppo, ed il riff si ascolta con piacere (dopo un prologo acustico che richiama vagamente il Page “esoterico”), non tanto per questioni di genere, ma per rinnovata freschezza espressiva. Non é in sintonia con la tradizione più accentuata del gruppo, ma se è stata proposta come primo singolo, non è certo per sconcertare l’audience.
Un appunto di carattere generale sulla voce di Dickinson; ammetto che personalmente non l’ho mai considerato un fuoriclasse del “metallo urlante”, a differenza degli Halford o dei Dio (senza citare certi predecessori hard rock) o degli stessi Geoff Tate ed Eric Adams dell’epoca aurea. L’ho molto apprezzato ai tempi dei Samson (“Vice Versa”, “Riding With The Angels”) e naturalmente di “The Number Of The Beast”.
Dopodiché si è cristallizzata la sua tendenza a cantare su modulazioni e toni ampiamente sperimentati, senza troppo discostarsi dai suoi stessi stereotipi, con una voce che inevitabilmente risente del passare degli anni. Ma a suo vantaggio va detto che è riconoscibile fra mille.
Comunque la si pensi, “Lost In A Lost World” risulta fra i pezzi più memorabili, a partire da quei due minuti d’atmosfera che fanno pensare ad un mix fra gli episodi melodici degli Uriah Heep di “Salisbury”, ossia “Lady In Black” e “The Park”. Certamente Harris non li ha ignorati prima di cimentarsi in un classico crescendo epico, smussato in finale sognante. Più formulaico “Days Of The Future Past”, ed a suggello del primo CD si pone “The Time Machine”: ripresenta un piacevole saggio della prassi “galoppante” tanto cara al gruppo, che fin dagli esordi la elaborò con spiccata personalità dalle precedenti esperienze di chitarre duellanti che dettano il ritmo (Wishbone Ash, Thin Lizzy, Judas Priest, UFO) sostenuto dal preminente, caratteristico basso di Harris.
In apertura del secondo compact, “Darkest Hour” (griffata da Adrian Smith) è essenzialmente una power ballad, con vaghe reminiscenze della melodia di “Alone Again” (Dokken), trasfigurata dal testo di Bruce in un’oscura “serenata di gloria”; curioso il fatto che anche i Maiden si ispirino alla figura di Winston Churchill, com’è successo pochi mesi fa agli Styx di “Crash Of The Crown”.
La successiva “Death Of The Celts” è certamente un brano di punta, non solo per l’impegnativa stesura di oltre dieci minuti ma anche per il clima mitologico e stregonesco, che si ricollega idealmente alla serie televisiva “Britannia”; lo stesso vale per la danza delle chitarre, dai tenebrosi riferimenti a ballate e gighe folk medievali rivisitate in chiave metal, e l’interpretazione di Dickinson è fra le più convincenti.
Se in questo caso l’ispirazione di Harris è inequivocabile, non altrettanto si può dire di “The Parchment”, che detiene il record di lunghezza dell’intero album, avvicinando i 13 minuti: metallo epico dalla risaputa enfasi sonica medio-orientale, dove riemerge un potenziale difetto di “Senjutsu”, ossia le fasi sonore ridondanti, non troppo motivate dalla varietà di temi, insistenti sulle stesse matrici. In quest’ottica, “Hell On Earth”, ultimo tour de force dello stesso Harris è più “progressivo” e giustificato dall’alternanza di umori musicali; vi si accede con un’intro fantasy irrorata dalle tastiere, che dopo un paio di minuti (come nella precedente “saga celtica”) lascia spazio all’irruenza del gruppo, alle tre soliste sempre in grande spolvero, ed infine si dissolve in un’atmosfera soffusa.
“Senjutsu” completa così il suo ciclo di oltre ottanta minuti di rock ad alto voltaggio; a ben guardare si tratta della durata di un doppio LP in studio degli anni ’70 (qui distribuito nell’arco di tre 12 pollici in vinile), e com’è noto, non è mai stato facile per nessuno confrontarsi con tale lungometraggio senza attimi di cedimento. E’ innegabile che gli Iron Maiden recitino con destrezza un copione collaudato da anni; ciò che per una moltitudine di fans è integrità artistica, per tanti altri è scarsa attitudine nell’avventurarsi verso orizzonti sostanzialmente differenti, rebus comunque di difficile soluzione. Ma si tratta pur sempre di capiscuola. di “creatori” di uno stile assolutamente proprio.
Non sono i soli ad auto-celebrarsi, si pensi ai ben più stringati AC/DC di “PWR/UP”, con il quale si sono guadagnati il titolo di album dell’anno 2020, da parte di autorevoli cronisti dell’hard rock e del metal classico. In realtà è arduo definire “indispensabili”, (in entrambi i casi) gli ultimi exploit di queste formazioni sovraccariche di onori. Dopo ripetuti ascolti, concludo però che al di là di scontati osanna, le tattiche del samurai Ironiano restano di tutto rispetto!
Primi giorni dei Maiden: rarità di prossima pubblicazione?
Prima di rivelarsi future stelle heavy metal dell’East End londinese, specie nelle esibizioni al Ruskin Arms nel 1978, che li incoraggiarono ad autoprodurre il leggendario EP “The Soundhouse Tapes”, gli Iron Maiden erano diventati l’”attrazione” di un pub periferico, Cart & Horses, dove hanno suonato frequentemente fra il 1976 ed i mesi iniziali del ’77.
Leggenda vuole che il compenso per serata riservato al gruppo si aggirasse fra le 10 e le 18 sterline! Steve Harris già conosceva il locale per alcune gigs con le sue precedenti formazioni, Gypsy’s Kiss e Smiler, ma quando si diffuse l’interesse intorno ai Maiden, una loro performance fu registrata su una cassetta pirata da uno spettatore, ed iniziò a circolare nel corso di successive apparizioni. Si dice che la qualità dell’incisione fosse superiore alle aspettative, diventando un reperto “mitico” nel corso degli anni; l’esponenziale crescendo del successo di Iron Maiden li ha resi una delle formazioni in assoluto di maggior richiamo per i collezionisti – le loro rarità sono oggetto di lucrose aste – e quella cassetta (“You ain’t seen nothing yet”), ora definita “inestimabile” per quotazione, pare abbia suscitato grande interesse anche nei membri della band, fra cui lo stesso Steve Harris. Il quintetto era allora composto dai chitarristi Dave Murray e Bob Sawyer (futuro Praying Mantis), dal vocalist Dennis Wilcock (già negli Smiler e poi negli Urchin di Adrian Smith) e dal batterista Ron “Rebel” Matthews, ovviamente con il capitano Harris al basso.
Lo show, interamente catturato su nastro, includeva “I’ve Got The Fire” (il classico dei Montrose), “Burning Ambition”, “Prowler”, Another Life”, “Sanctuary”, Transylvania”, “Strange World”, “Drifter”, “Iron Maiden”, “Wrathchild” e “Charlotte The Harlot”.
Il rinomato mensile inglese Record Collector ha manifestato un concreto interesse per pubblicare le registrazioni, debitamente “restaurate”, nella serie in vinile a tiratura numerata RC’s Rare Record Club, che sarebbe senz’altro garanzia di qualità, oltre a collocare per la prima volta una “gemma” heavy metal in un’area generalmente riservata alle rarità psichedeliche e progressive.
Se così fosse, non è difficile prevedere che l’edizione limitata andrebbe letteralmente a ruba!
(Fonte: Record Collector)
“Senjutsu” è un bel disco, cazzarola se è un bel disco! E parlando di Iron, dal ’88 in poi l’ho detto solo per “Brave New World”…. Il secondo cd poi è una delle cose più belle uscite in ambito metal negli ultimi 30 anni e non esagero. Finalmente il testone di Harris ha capito come far scorrere una canzone lunga/progressive e soprattutto come non far cantare il povero Dickinson su partiture improbabili, che alla fine hanno sempre rovinato ciò che musicalmente c’era di buono (“AMOLAD” , che recentemente ho parzialmente rivalutato è l’emblema di tutto ciò). Che dire, grande e per certi versi inaspettato ritorno di una delle band che forse, a conti fatti, amo di più in assoluto.
Gli Iron Maiden sono probabilmente la più amata heavy metal band in Italia e sicuramente si contendono il primo posto con pochi altri a livello mondiale. Dati di questo genere in (ben) oltre 40 anni di attività si commentano da soli. “Senjutsu” conferma la voglia di competere al top di Harris e compagni. E tu approvi…ciao Marco.
Ciao Beppe, arrivando tardi all’ascolto del disco dei Maiden ho poco da aggiungere a ciò che tu e tanti nel blog hanno già scritto. Sottolineo semplicemente il lavoro mostruoso delle chitarre. Erano anni che non sentivo questa libertà compositiva e progressiva, nell’accezione più positiva del termine, a casa Harris.
Ciao Gianluca, si può commentare anche a distanza di tempo se si ha qualcosa da dire. Per molti (non è il mio caso, ma rispetto “Senjutsu” ed i suoi estimatori) l’ultimo Maiden è stato l’album dell’anno 2021. Certo un titolo del genere non poteva esser sprecato per un disco qualsiasi. Sull’importanza e sull’influenza anche attuale dei Maiden (outtakes di “Impera” dei Ghost ne sono un esempio elevato) non si discute proprio. Grazie
Ciao Beppe e grazie, leggerti per me è sempre stato un grande piacere. Io personalmente Sejutzu nella sua interezza lo trovo il più bello che hanno fatto dai tempi di seventh son, è vero ai primi ascolti sembra un po’ ridondante ma i pezzi sono veramente pregni di grandi atmosfere, assoli fatti con il cuore, Bruce un po’ più basso e teatrale ..e anche la tanto bistrattata produzione per me è perfetta , potente ma lontana dai suoni bombastici che si ascoltano adesso. Fosse il loro canto del cigno morirei felice.
Ciao Francesco, sicuramente il nuovo Maiden è confezionato ad arte e rispetto ad altri loro precedenti dagli anni 90 in poi è più efficace. Poi dipende molto dalle emozioni che riesce a suscitare. Nel tuo caso ha colpito nel segno ed è assolutamente legittimo, altri lo trovano piuttosto prevedibile. Grazie dell’apprezzamento.
Risulta difficile scrivere di un gruppo il cui suono, i suoi brani fanno parte del proprio DNA. Personalmente ritengo l’album troppo prolisso, pezzi la cui durata alla fine stanca … e mi dispiace dirlo alla fine la performance di Bruce Bruce sembra quasi forzata. Non è una bocciatura o insufficienza ma mi aspettavo altro o quantomeno una hit, un pezzo memorabile . Tornassimo indietro nel tempo 3 pipistrelli.
Ciao Luca, quando la musica di un gruppo è stata anche la colonna sonora di una vita, ci sta essere esigenti e trovare l’ultimo lavoro non all’altezza del miglior repertorio. Le tue osservazioni sono fondate, certi aspetti del nuovo album possono essere valutati in modo benevolo oppure critico, come nel tuo caso. Grazie
Il problema degli Iron post Brave New World e` a mio avviso una sorta di indistinguibilita` in una produzione che ha quasi sempre avuto tempi giusti (6 anni da Book of Soul per esempio), ma che ha faticato nel tempo a trovare brani che rimanessero nell`immaginario collettivo. Senjutsu e` un disco prevedibile (in buona parte gia` ascoltato) e al di la` della personalita` dei brani, ritroviamo la solita capacita` della band di mettere insieme cavalcate, epicita` e prog-metal. Il resto lo fa la classe e l`esperienza dei 6 musicisti. E se mancano futuri classici, non ci sono nemmeno brani particolarmente deboli. Diciamo che chi ha sempre amato queste sonorita` trovera` buoni motivi di soddisfazione nella ancora dignitosa voce di Dickinson, nelle buone trame chitarristiche che spaziano dal metal all`etnico, per finire ricamando paesaggi ‘progressive’ . Quindi da una parte i brani piu` immediati della title track, The Writing on the Wall e Days of the Future, dall`altra l`anima progressiva di Harris col trio finale Death of Celts ,The Parchment (un po` banali e ripetitive) e Hell on Earth (uno dei temi migliori, guarda caso sulla minaccia delle pandemie), 34 minuti di metal passato e presente che alterna alti e bassi.. Ma forse il meglio arriva con la cupa e maestosa Darkest Hour (Smith, Dickinson) con un assolo centrale di grande spessore (Smith) e The Time Machine (Gers, Harris) con le sue melodie prog- etniche. (Curiosamente nessun brano porta la firma di Murray). E alla fine che se ne importa se tanti dei riff, passaggi e melodie ci sembra di averli gia` sentiti. Mettiamo davanti il cuore e respiriamo ricordi e metallo.
Rimane da posizionare Senjutsu nella discografia degli Iron. Premesso che come sempre sara` il tempo a decretarne la sentenza, siamo, a mio parere, appena sotto a Dance of Death e Book of Soul. Cosa tra l`altro che non ha nessuna importanza quando si tratta di una band che ha fatto la storia 40 anni fa e fuori contesto, si erge da qui all`eternita`, come icona e riferimento assoluto dell`heavy metal.
Come sempre il successo del disco e` oggettivamente decretato dalla serie di prime e seconde posizioni in una infinita` di paesi al mondo. Al di la` delle vendite, il disco soprattutto all`estero e` stato molto criticato, anche per la produzione. In Italia invece il rispetto e l`amore per la band e` talmente totale da passare sopra a certe debolezze e finire per sottolineare soprattutto gli aspetti positivi.
Ciao Stefano, hai fatto a tua volta una recensione, molto dettagliata, con la quale i lettori possono confrontarsi. Grazie della partecipazione.
Ciao Beppe
e mi complimento per la consueta ottima analisi del lavoro dei Maiden.
Personalmente li trovo oramai da tempo estremamente prolissi, noiosi e prevedibili, quindi li ascolto quasi per dovere , ma non mi coinvolgono piu’.
Cosa ben diversa erano in passato soprattutto fino allo scoccare degli anni 90.
Dopo pochi sobbalzi e tanta noia.
Certo sanno suonare e tecnicamente sono ineccepibili, ma non c’è piu’ scintilla.
Dei dinosauri come i Deep Purple, oggi producono materiale molto piu’ interessante.
Ma è solo il mio misero pensiero.
A proposito. scrivi di ciò che ti piace, tanto è tutto molto interessante.
Go Beppe go
Saluti
Ciao Francesco, rifletti una posizione piuttosto prevalente fra lettori ed appassionati in genere, che non si entusiasmano più per i Maiden dell’avanzata maturità. Ti ringrazio per l’incoraggiante opinione sulla bontà delle scritture. Si fa del proprio meglio.
ciao Beppe. Non mi pronuncio sul percorso post-reunion degli Iron Maiden dato che, se fossi un estimatore di quel materiale, avrei già profuso commenti ipercalorici sia qui che “altrove”. Non amo inoltre incalzare i miei critici musicali di riferimento chiedendo loro di scrivere recensioni “su misura” per me…non ti nego, però, che in un tuo pezzo sull’ultimo album degli Helloween ci spero ancora. Grazie,
Massimo
Ciao Massimo, capisco l'”astensione” e mi dispiace deludere le tue aspettative sugli Helloween, ormai usciti da un po’. Ovviamente il Blog non ha l’ambizione di coprire tutte le novità significative, cerco di approfondire alcune scelte. Non recensisco il celebre gruppo tedesco dalla seconda metà anni 80 (Keeper…) su Metal Shock, ma riconosco che il nuovo “Helloween” è molto energetico, probabilmente il ritorno al top della forma, come si suol dire. Grazie dell’attenzione.
Come la maggior parte dei metallari cresciuti a pane ed Iron Maiden, non ho mancato all’acquisto del nuovo album praticamente a scatola chiusa. Personalmente sono rimasto parecchio soddisfatto, e principalmente per due motivi. Amo tutto ciò che la band ha fatto da A Matter in poi, comprese quelle lunghe intro ed outro che invece sembrano scontrarsi coi gusti del pubblico odierno, A parole, almeno, perchè poi il disco schizza direttamente al primo posto delle classifiche di molti paesi. Secondariamente, ma nemmeno tanto, perchè con questi lavori sulla “long distance”, addirittura da non poter essere contenuti in un singolo CD, Harris e soci mostrano di fregarsene di musica liquida e piattaforme varie, privilegiando chi ancora premia il formato fisico. Aggiungo una produzione, a mio parere volutamente vintage (ma alla loro maniera), che fa sembrare Senjutsu una sorta di The X Factor/Virtual XI con Bruce, e la mia stima se la conquistano per l’ennesima volta. Concludo dicendo che, nella “battaglia” tra l’approccio tra Harris e Dickinson/Smith, il confronto finisce in una bella parità, anche se il secondo CD è quasi a totale appannaggio di Steve. Ciao Beppe.
Ciao Alessandro, come c’è spazio per le critiche, naturalmente sono ben accette anche le valutazioni positive su un disco indubbiamente importante e realizzato da una band storica. Il mio punto di vista l’ho espresso, voi potete liberamente dire la vostra. È fuori di dubbio che Iron Maiden continuino ad essere un gruppo di enorme successo. Grazie per il risoluto parere.
grande Beppe, mi accodo allo sciame critico del nuovo Maiden, che per la verità ho ascoltato solo un paio di volte … ma è proprio lo scarso desiderio a riascoltarlo che è indicativo per quanto mi riguarda di un disco poco riuscito … per esempio al contrario sto letteralmente consumando a furia di ascolti Phoenix dei Sortilege, un grande ritorno, secondo me, anche se a base di brani già editi, ma suonati (e soprattutto cantati!) veramente alla grandissima … sarei curioso, se hai avuto modo di ascoltarlo, di sapere il tuo venerabile parere a riguardo … grazie sempre Beppe!
Ciao Giuseppe, mica male “sciame critico” come trovata terminologica, bravo. Non ho ascoltato il nuovo Sortilege, mi hai incuriosito ne terrò conto.Intanto grazie per il contributo.
Ciao Beppe, anche io sono un fan dei Maiden dei bei tempi andati ma credo che dopo il 1990 hanno soltanto campato di rendita su un nome che forte dell’affetto dei fan gli permette essere ancora protagonisti dopo 40 anni.
Gli stessi fan d’altronde non tollererebbero un cambio di stile del classico Maiden sound, come non hanno tollerato la svolta dei rivali Metallica del dopo Black album, quind la band stessa si trova a dover muoversi in un campo limitato.
La scelta di diversificare il songwriting diluendolo con contaminazioni pseudo prog non sempre ha premiato l’intenzione e la produzione recente non brilla di momenti memorabili, anzi il risultato è spesso goffamente pretestuoso ed inconcludente per non fire noioso.
Sono d’accordo con chi asserisce che incide per il suo compiacimento piuttosto che accattivarsi i fans, non che ci sia nulla di male… se son contenti così.. In fin dei conti è un’ennesima occasione per organizzare un tour ed inserire qualche nuovo pezzo in mezzo ai tanti classici eterni che ancora oggi riscuotono il consenso di vecchi e dei nuovi fans che aspettano solo quelli per gridare UP THE IRONS…
Ciao Roberto, apprezzo il fatto che tu e altri lettori dite la vostra senza farvi accecare dall’enorme fama del gruppo e che siate comunque critici motivando le osservazioni. Iron Maiden è un nome che non si può ignorare, che ha fatto storia, ma non per questo bisogna gridare al “capolavoro” ogni volta che torna sul mercato. Lasciamolo fare a chi ne è convinto, ci mancherebbe, e a coloro che hanno tutto l’interesse per ingigantire oltre misura l’evento. Grazie dell’interessamento.
Ciao Beppe,
I Maiden…ci sono cresciuto con loro.
Inevitabile la, secondo me netta, distinzione tra il primo corso (fino al settimo album direi) ed il resto fino ad oggi.
Nettamente preferibile il primo e credo non sia solo un punto di vista personale considerando ad esempio le reazioni del pubblico ai concerti: tra l’altro visti live l’ultima volta nel 2018 e “chapeaux” per quanto ancora sanno esprimere in termine di performance e spettacolo.
Del nuovo corso ho apprezzato ” A matter of life & death”, “Brave New World” e sto apprezzando questo ultimo ” Senjutsu” che però devo finire di metabolizzare…forse eccessivamente prolisso in alcuni brani come hai correttamente evidenziato.
Riguardo la ristampa di vecchio materiale non mi dispiacerebbe una ri-edizione ufficiale di “The Soundhouse Tapes” del quale, se non erro, esistono molte versioni ma tutte “unofficial”. Magari un record store day potrebbe essere l’occasione.
Grazie ancora dei tuoi scritti che ci portano avanti ed indieteo nel tempo usando il filo conduttore della nostra passione musicale.
Un saluto
Ciao Fulvio, ottima l’idea di una riedizione ufficiale di “The Soundhouse Tapes” per il Record Store Day, sarebbe auspicabile. Per quanto riguarda “Senjutsu”, ho cercato di analizzarlo nel modo più oggettivo possibile. Ovvio che le emozioni di gran lunga più importanti risalgano agli anni 80. Grazie per le chiare prese di posizione
Grazie Beppe per questo contributo.
Il disco l’ho preso ma non lo ho ancora ascoltato tutto, e ad oggi non potrei dare un giudizio completo; in ogni modo questo Senjutsu continua sulla falsariga dei Maiden, per così dire, della “maturità”, che io personalmente faccio risalire da “A matter of life and death”.
Cioè da quando hanno cominciato a fare dischi con canzoni lunghe e simil progressive, e abbandonando in parte il loro approccio piu straight, fatto di pezzi anche complessi ma più coincisi, e completato da uno o due numeri “epici” per disco. L’equlibrio perfetto a mio parere lo hanno raggiunto (al di là dei classici ottantiani) con Brave New World, il disco della reunion di cui adoro ogni singola nota.
Di conseguenza non posso dire di andare matto per questo nuovo corso, anche se rilevo che il suddetto Senjutsu sta riscuotendo oltre che l’ovvio gradimento del pubblico, anche il plauso della critica.
Stratego, per esempio, è un pezzo bellissimo; detto questo io sono abbastanza convinto che riempire i dischi di pezzi lunghi non sia la strada migliore, e che accontenti più la band (o Steve Harris) che il pubblico. Nulla di male in questo, i Maiden sono in una condizione nella quale possono più o meno fare quello che vogliono a livello discografico, e se gradiscono giocare a fare i “progressivi”, padroni. Tanto i dischi dei Maiden si comprano e basta.
Lorenzo ciao, un commento molto circostanziato il tuo, che ricapitola parte della storia recente del gruppo. Anche a me manca la componente più immediata del repertorio dei Maiden, ma tant’e’. Grazie anche per l’impegno.
La migliore recensione del nuovo Maiden . Grazie
Ti ringrazio di cuore per la “promozione” Corrado. Ciao!
Come al solito, maestro e amico Beppe, condivido il respiro dell’articolo, anche nelle virgole, rivivendo persino quei giorni di oltre quattro decenni fa, come fosse ora.
Lunga vita.
Amico ed eccellente scrittore Mox, è sempre un piacere ricevere il tuo consenso. Stante la vetustà del soggetto (il sottoscritto) capirai che un po’ di revival sui bei tempi andati me lo dovete concedere! Un abbraccio.
Grande Beppe, come sempre ammiro quel mix tra disamina critica ed emozionale e in larga parte la condivido.
Grazie Samuele, cerco effettivamente di “combinare” i due aspetti. Poi so bene che le opinioni possono essere molto differenti, specie se l’argomento è di vastissima diffusione come i Maiden. Ciao
Ah sicuramente , credo che su 100 persone potremmo avere 101 pareri differenti, ma alla fine il bello sta anche in questi eterni dibattiti pseudo filosofici.
Grazie per essere sempre una fonte di ispirazione per chi come me si diletta nello scrivere di questa ‘nostra’ musica.