1976, Rockin' in the U.S.A.
Ricordo bene (non “perfettamente”, pregio di ben altri!) una singolare successione di eventi che risale alla primavera 1976, in tempi di accanita caccia all’oggetto in vinile da parte mia.
Acquistai “Destroyer” dei Kiss, copia originale appena arrivata d’importazione U.S.A., in un nuovo negozio di Milano di cui non rammento il nome – niente a che fare con alcune sedi “storiche” – conosciuto per un avviso pubblicitario su Ciao 2001, che frequentai in quell’unica occasione perché piuttosto decentrato. Un mese dopo o poco oltre, nel rinomato Carù Dischi di Gallarate, mi appropriai di un import pervenuto il giorno stesso, a detta del titolare, che mi osservava sconsolato frugare negli scaffali hard’n’heavy. In realtà si trattava di un’autentica primizia punk, l’omonimo album d’esordio dei Ramones, che avrebbe dato il via alla nuova onda del rock ribelle e dunque non aveva ancora un settore specifico in esposizione.
Due LP tanto diversi, a partire dall’effetto visuale delle iconiche copertine, ma entrambi i gruppi avevano radici comuni in New York City e nella sua tradizionale dissolutezza rock. Certo, i Kiss erano effigiati su “Destroyer” in un’illustrazione trionfalmente ispirata ai Supereroi dei fumetti Marvel, mentre i Ramones, immortalati in jeans e giubbotti di pelle nera dallo scatto fotografico in bianco e nero, rappresentavano idealmente il ritorno del rock’n’roll sulla strada, nei quartieri malfamati distanti anni luce dallo star-system.
Eppure, anche i Kiss erano apparsi per la prima volta dal vivo a fine gennaio 1974 in un club del Queens (Coventry) e pochi giorni dopo sarebbe uscito l’eponimo album, a meno di un anno di distanza dalla seminale opera prima dei New York Dolls, invocati “padrini” del punk.
Nelle prime gigs, i Kiss erano vagheggiati come rivali dei Dolls, ed avevano condiviso il palco con formazioni underground quali Teenage Lust, Street Punk e Brats. La vocazione comune era il rock quintessenziale allo stato brado, incorniciato da un’immagine glam. I Kiss erano maggiormente inclini verso i Beatles, per innata vena compositiva, ovviamente “sporcata” da sonorità hard, mentre i Dolls rappresentavano gli eredi maledetti degli Stones, ed erano riusciti subito ad incanalare la loro furibonda attitudine su vinile. Invece nell’eponimo “Kiss”, nonostante classici brani (da “Strutter” a “Black Diamond”) che sarebbero stati valorizzati nello straripante assalto del doppio “Alive!”, il quartetto mascherato suonava a velocità fin troppo controllata, ed appariva ancora irrisolto. Neppure i successivi “Hotter Than Hell” e “Dressed To Kill”, pur confermandone le doti di scrittura e freschezza espressiva, replicavano il successo dei loro concerti, arrestandosi a distanza dai quartieri alti in classifica. Quando la loro etichetta, Casablanca, finiva sull’orlo del baratro per investimenti fallimentari, si convinse di giocare le ultime fiches su un album dal vivo dei Kiss. L’esito è ben noto; “Alive!” conquistava finalmente la Top 10 di Billboard, premiando le ambizioni “stellari” dei musicisti; prodotto da Eddie Kramer, si erge al di là di qualsiasi sospetto, fra le più impetuose testimonianze di aggressione sonika mai esibita su palcoscenico. Registrato in gran parte alla Cobo Hall di Detroit, resta il simbolo della speciale relazione dei Kiss con la Motor City, la prima a consacrarli campioni del rock & roll dai riflessi metallici.
Ma “Alive!” doveva essere una sorta di testamento dei primi Kiss, del loro linguaggio musicale selvaggio e senza fronzoli. Per autorizzare l’ingresso nell’Olimpo del rock, il nuovo album di studio necessitava di un autentico salto di qualità, e a tal fine venivano dati pieni poteri al brillante produttore Bob Ezrin, che aveva dato lustro al “diamante grezzo” Alice Cooper, contribuendo alla stesura dei brani e giungendo al top qualitativo con “Welcome To My Nightmare” (del 1975, come “Alive!). Due anni prima aveva realizzato anche il più ambizioso album di Lou Reed (“Berlin”), venerato artista della scena newjorkese, ma non altrettanto celebre per l’accuratezza formale della sua opera.
Abituati a libertà d’azione in studio, i Kiss si ritrovavano agli ordini di un “despota” che li riportava a scuola, imponendo loro una ferrea disciplina e reiterate sessioni di studio, che esasperavano soprattutto Ace Freheley e Peter Criss, insofferenti nei confronti delle inesorabili ripetizioni impartite dal maestro Ezrin. A posteriori, tutti i quattro musicisti riconosceranno al produttore canadese i meriti di un gran lavoro. L’obiettivo da lui perseguito era di accrescere la personalità di ogni singolo membro, coniugando la riconosciuta veemenza rock dei Kiss con una gamma espressiva meno claustrofobica, aperta verso nuovi orizzonti.
In sede di lavorazione del nuovo album “Destroyer” non era tempo di consuntivi, ma nel 1976 i Kiss avrebbero dovuto sfidare la realtà in continua evoluzione dell’hard’n’heavy americano, che viveva un periodo di fertilità creativa, contemporaneamente alla crisi delle maggiori istituzioni del rock duro britannico: Black Sabbath, Uriah Heep e gli stessi Zeppelin erano lontani dai loro vertici con i rispettivi album di quell’anno, Deep Purple finivano addirittura per sciogliersi.
In America invece Aerosmith calavano l’asso “Rocks”, forse in assoluto il loro LP più rappresentativo; i Blue Öyster Cult si imponevano definitivamente con “Agents Of Fortune”, sulla spinta del fortunato singolo “(Don’t Fear) The Reaper”. L’esordio dei Boston spalancava orizzonti di gloria al versante melodico dell’hard rock, mentre gli Starz si svelavano potenziali concorrenti dei Kiss nella stessa scuderia (Aucoin) con il folgorante debut-album. Tanti altri LP di valore impreziosivano l’annata, basti citare “Helluva Band” (Angel), “Free For All” (Ted Nugent), “Jump On It” (Montrose) e si aggiunga dal limitrofo Canada, il classico anni ’70 dei Rush, “2112”.
Destroyer, in cima a New York dopo la conquista di Detroit
A posteriori, “Destroyer” sarebbe risultato un potenziale candidato alla corona di album dell’anno, in aperta contesa con i titoli citati, e molto probabilmente, resta il più prestigioso album di studio della Kisstory.
Per illustrare i protagonisti in versione “mitologica” era stato inizialmente interpellato il celebre Frank Frazetta, artefice della saga di Conan già saccheggiata per copertine di Molly Hatchet e Dust. La sua richiesta economica risultava però troppo esosa, così l’entourage dei Kiss ripiegò su Ken Kelly. L’originale realizzazione dell’artista, con i musicisti che balzavano fuori dalle rovine di una città in fiamme, ottenne la loro approvazione ma fu respinta dalla Casablanca, che la ritenne troppo violenta e dannosa per l’immagine pubblica dei Kiss. Fu invece accettata la successiva, con gli edifici distrutti a far da sfondo in lontananza. La copertina “censurata” sarà invece riproposta nella riedizione del 2012, “Destroyer Resurrected!”. Anche il titolo dell’LP fu sostituito, ma in termini meno traumatici; i Kiss avevano ipotizzato “Dynasty” (dalla secolare dinastia cinese dei Ming!) che verrà palesemente utilizzato in seguito, ma il figlio del manager Howard Marks ebbe l’intuizione di suggerire “Destroyer”, immediatamente approvato dalla band.
Registrato nei famosi Record Plant di New York, l’LP rompe letteralmente gli indugi con uno dei più spettacolari brani d’apertura mai ascoltati: “Detroit Rock City” mette subito in chiaro la produzione “artistica” di Ezrin, che lo concepisce come una sceneggiatura cinematografica. Sua è la voce di un immaginario giornalista che riporta la notizia dell’incidente mortale accaduto ad un fan dei Kiss, in viaggio per vederli dal vivo; si accende il motore dell’auto, la radio diffonde “R&R All Nite” e subito dopo fanno irruzione chitarra ritmica e batteria, in un crescendo esplosivo. I contrappunti del basso cavernoso di Gene scandiscono la narrazione della vicenda enfatizzata dalla voce di Paul, mentre l’atmosfera thriller viene sospesa da un assolo di chitarra, scritto dallo stesso produttore, che dichiarò di essersi ispirato ad un passaggio di flamenco; a mio avviso c’è però un precedente hard rock molto affine, creato da Ronnie Montrose in “Matriarch”! I fraseggi riprendono fino al fragore dello schianto finale contro un camion.
Senza un attimo di tregua, mentre sfuma “DRC”, si innesca un riff avvincente, reso ossessivo per l’insistenza di Peter sul rullante; Paul si autoproclama “King Of The Nightime World”, un classico dei Kiss a 24 carati, ma si tratta di una cover rimodellata dall’originale composta da Kim Fowley con il leader degli Hollywood Stars, Mark Anthony, e documentata sul postumo “Shine Like A Radio-The Great Lost 1974 Album”.
Il brano successivo, “God Of Thunder”, reca la firma di Stanley come i precedenti, ma anche in questo caso, le virtù decisionali di Ezrin furono determinanti, consegnandolo di fatto a Gene e trasformandolo nel pezzo più emblematico del “Demone” stesso, a costo di ferire inizialmente Paul, che alla lunga ha riconosciuto la bontà della scelta. Sull’incalzare del suo rimbombante mid-tempo, un’altra intuizione genialoide del produttore consiste nell’innesto delle voci dei suoi figli, giunti a visitare lo studio, registrate in modo da risuonare come spettri infantili sullo sfondo del timbro minaccioso e grottesco di Simmons. Firmata dal bassista anche “Great Expectations”, alla quale Ezrin aggiunge un arrangiamento pianistico con tocco orchestrale in chiusura, a completamento di un trionfale chorus, che fa pensare al firmamento inglese delle costellazioni Mott The Hoople/Queen più che a mostri sputafuoco.
L’inizio della seconda facciata avviene all’insegna del pop-metal, “Flaming Youth” e “Sweet Pain” (rispettivamente di Paul e Gene), instaurano modalità espressive che influenzeranno non poco il corso di questo genere negli anni ’80. Sorprende che in entrambi i brani, seppur non accreditato, suoni un chitarrista che Ezrin aveva già convocato per affiancare Alice Cooper, Dick Wagner. Questi era un reduce degli anni di furore di Detroit; con il “gemello” Steve Hunter si era affermato in una formazione da culto, Frost, ed insieme avevano forgiato sonorità mai così heavy per Lou Reed, nel classico live “Rock’n’Roll Animal”. Wagner era stato inoltre il condottiero di una leggendaria formazione proto-metal, Ursa Major.
L’anthem per eccellenza dell’Armata Kiss è comunque la perenne “Shout It Out Loud”; anche in questo caso ricorre l’influenza di Detroit, ma del suo versante R&B (Tamla Motown), ammessa da Stanley. La combinazione delle voci di Paul e Gene risulta tuttora potente ed irresistibile, e l’assolo di chitarra, fugace ma carismatico, è tipicamente Ace.
Il brano più inatteso rispetto ai “primordiali” Kiss è senz’altro “Beth”, una melodia concepita in origine da Criss con un compagno di un suo precedente gruppo, non i Chelsea ma i Lips (no relation con gli Anvil). Ezrin l’avrebbe perfezionata con un faraonico, languido arrangiamento orchestrale, giovandosi del raffinato contributo di Wagner alla chitarra acustica. Peter, che ben la interpreta con la sua voce roca, ha dovuto battersi inizialmente per imporla e nella prima edizione a 45 giri era il retro di “Detroit Rock City”. Per ironia della sorte, diventerà il singolo dei Kiss salito più in alto nella classifica di Billboard (11° posto). Aggiungiamo che tre mesi dopo, il gran successo dei Chicago, “If You Leave Me Now”, sembrava riproporne le soffici strategie.
Infine, un altro perpetuo classico, “Do You Love Me?”. Anche qui si registra l’apporto compositivo dell’eccentrico Kim Fowley, che proprio nel 1976 lanciava le provocanti Runaways di Lita Ford e Joan Jett. Non si tratta stavolta della rielaborazione di un brano altrui. L’hit Motown dei Counters “Do You Love Me” (senza ?) coverizzato da Sonics, Hollies e Johnny Thunders è tutt’altra cosa…Qui invece si esalta il carisma vocale power-pop di Paul su una ritmica massiccia, con echi d’effetto nel refrain fino al festoso finale scandito dal pianoforte e dalle campane tubulari.
Come ogni album di valore assoluto, “Destroyer” esce indenne dall’erosione del tempo, e non dimostra affatto i 46 anni che compirà fra un paio di mesi. Resta la Rock N’Rolls Royce dei Kiss. E poco importa se gli eroi mascherati si allontaneranno dal tirannico produttore per ritornare ad un suono più sporco e brutale nel successivo “Rock And Roll Over”, sotto la guida del rassicurante Eddie Kramer. Il quartetto di New York si riunirà a Bob Ezrin in “The Elder”, un progetto troppo pretenzioso per il pubblico dei Kiss – e conseguente flop commerciale – ma non così deleterio come vogliono farvi credere. Avvalendosi di una clientela del tenore di Pink Floyd e Deep Purple, il produttore avrà comunque di che consolarsi.
Riedizioni del 45° Anniversario
Le ristampe che celebrano i 45 anni di “Destroyer” (Ume), sono uscite con oltre sei mesi di ritardo rispetto ai suoi natali (15 marzo 1976), quindi ci scuserete se a nostra volta abbiamo procrastinato l’argomento… Purtroppo non sono stato tempestivo nell’assicurarmi la Super Deluxe Edition sul sito ufficiale dei Kiss (https://shopkissonline.com), attualmente non disponibile. Al costo di 200 dollari – spese escluse – come ampiamente pubblicizzato, il pezzo pregiato della collezione è un box di 4 CD e Blu-Ray Audio Surround Sound curato dallo stregone del prog Steven Wilson, che ha già sconfinato nell’heavy rock con i Black Sabbath. Include 73 brani di cui 48 inediti, ai quali si aggiungono un volume illustrato di 68 pagine ed una replica del kit completo Kiss Army risalente al 1976. Per i numerosi dettagli, consultate il negozio online sopra indicato. Le versioni meno esclusive, includono il doppio LP in vinile nero (oppure l’edizione limitata con i due 33 giri color rosso e giallo) entrambe con un fascicolo della stessa dimensione 12 pollici di 20 pagine, nel quale i musicisti, produttore etc. raccontano la creazione di “Destroyer”. Invece il doppio CD digipak presenta un analogo libretto di 24 pagine.
Sui contenuti bonus del secondo CD e/o LP possiamo spendere qualche parola. Fra i demos di Stanley, eloquente la primitiva versione di “God Of Thunder”, naturalmente cantata da Paul che l’aveva concepita per celebrare sé stesso! Ancor più interessante “Detroit Rock City” che in origine restituiva il feeling brutale del R&R di Detroit di fine sixties ad andatura accelerata, con sorprendenti richiami degli MC 5 ed un assolo di chitarra (ante-Ezrin) completamente differente. I demos di Simmons sono invece inediti, scartati dall’album, ma non per questo privi di spunti accattivanti, come la linea melodica da sgrezzare di “I Don’t Want No Romance” oppure il mid-tempo roccioso che riporta agli esordi dei Kiss, di “Rock N’Rolls Royce”. Tutte queste “prove” di studio esemplificano assai bene come il livello di produzione possa letteralmente trasformare lo stile di un gruppo, da un’espressione primaria e gutturale ad un linguaggio evidentemente più sofisticato o adulterato, secondo i casi. Fra le cinque rarities presenti nelle edizioni “ridotte”, il mix acustico di “Beth” è impeccabile per pulizia formale ed ha il suo fascino, mentre la “Detroit Rock City” strumentale è alquanto simile alla definitiva, ed evidenzia il peculiare apporto al basso di Gene. Affari per completisti dunque, come le quattro tracce dal vivo all’Olympia di Parigi (maggio ’76), presenti solo nel doppio CD (non nelle versioni in vinile). Si tratta di un tipico bootleg ufficializzato; oltre a “Flaming Youth”, include precedenti esplosività (“Deuce”, Strutter” e “Hotter Than Hell”) ma la loro carica vistosa non ha beneficiato del meticoloso trattamento di studio che ha reso impareggiabile “Alive!”.
Ciao Beppe
Non sono il primo fan dei Kiss, pur avendo i loro dischi e riconoscendo ovviamente il loro valore assoluto.
Destroyer è a mio – poco autorevole – parere il vertice della band negli anni 70, e devo dire da non esperto della band, di essere sorpreso che questo giudizio non sia sempre condiviso (ma scrivo appunto da profano nel merito).
In relazione alla ristampa, vale il discorso che si può fare sempre quando escono certi prodotti: irrinunciabili o quasi per i fan, superflui per il resto del pubblico, a meno che non si parli di persone giovani che si avvicinano alla musica in questo poco felice momento storico.
Io comunque sono favorevole a queste operazioni, visto che generalmente le ristampe (deluxe o meno) sono per la maggior parte più interesanti dei dischi nuovi. Segno dei tempi.
Ciao Lorenzo, basta osservare il mondo politico (meglio di no però) per rendersi conto che la condivisione di opinioni è una chimera, e argomenti come la musica non fanno eccezione. In questo caso, non fa male a nessuno e non è un problema preferire (ad esempio) “Dynasty” a “Destroyer” o viceversa. Le ristampe attuali valgono per fornire un quadro il più possibile esauriente della nascita di dischi particolarmente fortunati o testimonianze d’epoca relative ad essi, raramente si scoprono “tesori nascosti”. Però la cura ed il materiale offerto da varie ristampe anche dispendiose (in questo caso la Super Deluxe) risultano attraenti per i fans e le accogliamo con piacere, anche se dobbiamo operare inevitabili selezioni negli acquisti. Certamente valgono a maggior ragione per chi non apprezza granché le novità discografiche, anche dei gruppi in questione (quando e se le realizzano). Grazie dell’attenzione.
Ciao Beppe,per chi come me ha iniziato con i Kiss,Destroyer è il DISCO del bacio.
Speravo che in occasione della deluxe edition ti occupassi di questa autentica pietra miliare del hard rock…
Grazie come sempre..
P.s.
A quando un tuo ..The best of..in versione cartacea con tutte le tue recensioni che anticiparono mode e future stelle del firmamento mondiale?
Ciao Paolo, com’è noto i Kiss si sono fatti molti nemici nell’ormai lunga storia, ma proviamo a pensare che Destroyer è uscito quasi 46 anni fa. 46 anni prima di Destroyer eravamo nel 1930, e la musica di allora sembrava lontanissima nel tempo. Invece Destroyer (e tanti classici, ovviamente) ha ancora un grande appeal.Ti ringrazio davvero tanto della considerazione sul mio operato. Qualche tempo fa mi è stato proposto ma non me la sentivo. Nell’immediato non riuscirei, però mai dire mai!
Pensaci Beppe!!!
Grande recensione per un grande album !
Grazie per aver gradito. Ciao
Ciao Beppe, avevo 8 anni quando mio fratello mi fece scoprire i Kiss che naturalmente colpirono la mia immaginazione per l’aspetto scenico che mi riportava ai protagonisti supereroi dei fumetti Marvel che tanto adoravo..
Erano l’anno in cui imperversano con l’hit”I was made for lovin’you” che ha avuto risonanza anche nelle nostre lande, e pian piano grazie a questo, mio fratello cominciò ad acquistare il resto degli album precedenti ed in breve imparammo ad amare questa band così eccentrica e particolare non solo per l’immagine ma anche per il contenuto musicale.
Detto questo però, nella mia lista preferenziale Destroyer non occupa un posto di rilievo nella loro lunga ed articolata discografia pur riconoscendone il valore assoluto e non sono mai stato d’accordo con il suo status di vertice artistico della band.
Questo perché come per Music from the elder secondo me la scelta di Ezrin come produttore porta la band fuori dai suoi canoni stilistici spersonalizzandola un po’con arrangiamenti poco confacenti al suo spirito di band senza troppi fronzoli diretta negli intenti.
Certo i 3-4 brani classici qui ci sono e come tali rimangono classici ancora oggi, però rendono meglio in sede live come esemplificato sul Alive II senza gli orpelli aggiuntivi della sala di registrazione, ed i restanti brani non brillano certo di maestria compositiva.
Il ritorno ad uno stile più diretto dei successivi lp renda giustizia a quello che è l’essenza della band, Ezrin tornerà con The Elder e sviera’di nuovo la band dai suoi binari stilistici producendo un disco che scontentera’ i fans e la band stessa che successivamente rinneghera’il risultato (anche se ad esempio questo piace molto di più di Destroyer) ed infine lo ritroveremo per Revenge nei primi anni 90 quando ormai smascherati da un decennio da lì ad un lustro si ripeterà di nuovo la ricomparsa sulle scene dei Fantastici 4 del Rock.
Roberto ciao, ovviamente tu hai correttamente esposto la tua opinione. Non voglio ripetermi, ma precisare che mi interessava mettere in evidenza le caratteristiche specifiche della produzione di “Destroyer”, caratteristiche che spesso fanno la differenza (suscitando anche reazioni opposte). Ancor di più avevo voglia di raccontare, senza lungaggini inadeguate in questa sede, il contesto in cui sono apparsi i Kiss, facendo inoltre il punto sull’annata stessa di “Destroyer”. Avendo vissuto quell’epoca “In Diretta”, ho pensato di trasmettervi dei ricordi, senza ulteriori approfondimenti. Spero che questi aspetti siano stati colti. Che poi “Destroyer” piaccia più o meno, non è un problema. Grazie