Iconica foto d’epoca dei primi Blue Öyster Cult, dopo la “tirannica mutazione” da Stalk-Forrest Group…
Quattro nomi che forse saranno trascurabili per chi non coltiva la memoria storica, per noi importante nelle vicende dell’umanità come nella musica rock; eppure furono essenziali per l’apprendistato e la maturazione di alcuni grandi personaggi della scena hard’n’heavy come Lemmy Kilmister, Cozy Powell e Marc Storace, e di un intero gruppo che anche nel nostro Blog, a giudicare dalle reazioni dei lettori, è considerato fra i più importanti di sempre, Blue Öyster Cult.
Le loro storie esemplificano come nessun musicista di rilievo ami essere ingabbiato in un contenitore stilistico dai limiti preconfezionati, anche se gli viene riconosciuta la statura di “mostro sacro”. Nel caso di Lemmy, un simbolo inattaccabile dell’heavy metal, me ne accorsi personalmente…Anche per lui era tutto e solo rock’n’roll, seppur sparato alla velocità della luce e con i volumi a picco.
Può esser anche interpretato come un invito agli ascoltatori, che raccogliamo con piacere, di conservare la “mente aperta” ad ogni possibile suggestione, perché alla fine esiste musica buona e meno buona, ed è ciò che conta, senza necessariamente farsi condizionare dal genere preferito.
Il viaggio dei Beatles in India nel 1968 esercitò un cospicuo ascendente sulla controcultura giovanile di quegli anni, e influssi di musica orientale si erano già diffusi nella scena psichedelica inglese; dunque, un percussionista di origini malesi non passava certo inosservato nei club di Londra, e Sam Gopal si esibiva regolarmente all’UFO e al Middle Earth, con i musicisti che formavano Sam Gopal Dream, tutti destinati ad un significativo avvenire: Andy Clark e Mick Hutchinson andarono a costituire l’omonimo duo, esordendo su Deram nel ’70 con un album sperimentale, “A=MH2”, dove raga-rock e soluzioni “acide” si espandevano alla luce del nuovo verbo progressivo; Pete Sears invece migrò in California, affiancando l’ex Blue Cheer, Leigh Stephens, nei Silver Metre e suonando fra gli altri con Jefferson Starship.
Il “sogno” di Sam Gopal s’infrangeva assai presto, intorno alla metà del ’68, ma il titolare continuava a frequentare i circoli underground londinesi con nuovi compagni d’avventura, fra i quali il chitarrista e vocalist Ian “Lemmy” Willis, che aveva esordito con i Rockin’ Vickers ed era stato temporaneamente roadie di Jimi Hendrix e dei Nice di Keith Emerson. Dopo la fugace esperienza a fianco di Sam Gopal, il suo lungo itinerario artistico è proseguito con Opal Butterfly ed Hawkwind, fino alla piena consacrazione nei Motörhead come Lemmy Kilmister (suo vero cognome), da decenni ormai un’icona dell’heavy metal più autentico e credibile, venerato dopo la sua scomparsa nel 2015, a 70 anni.
E’ lui il vero protagonista “occulto” dell’unico album “Escalator”, uscito all’inizio del ’69 su Stable, l’etichetta di “Disposable” dei Deviants, gruppo-simbolo delle comunità freak anglosassoni. Lemmy è il solo membro del quartetto a firmare in autonomia alcune delle principali composizioni del disco: non solo l’aspro rock’n’roll della title-track, ma anche sorprendenti episodi permeati da una trasognata sensibilità melodica, “The Sky Is Burning” e “It’s Only Love”, che preconizza certe ballate lunari degli Hawkwind.
L’abrasivo approccio hard psichedelico della formazione giunge con almeno vent’anni d’anticipo rispetto a qualsiasi riflusso stoner rock dal 1990 in poi, raggiungendo l’apice in “Cold Embrace” e “Dark Lord”: l’acida durezza delle chitarre e la voce di Lemmy, più profonda ed evocativa di quella che conosceremo nei tempi di maggior successo, rasentano addirittura le tempestose ambientazioni degli High Tide, gruppo che meglio di qualunque altro ha trapiantato variabili psych e prog su strutture heavy rock. Da apprezzare anche la cover di “Season Of The Witch” del menestrello scozzese Donovan, distesa sul tappeto di percussioni tabla ordito da Sam Gopal con slanci virtuosistici, un autentico marchio di fabbrica.
Il valore di “Escalator” è testimoniato da altri indizi rilevanti: le registrazioni avvennero verso la fine del 1968 nei celebri studi De Lane Lea e Morgan di Londra, l’ingegnere del suono era il futuribile maestro Andy Johns; nel suo interminabile curriculum, figurano Led Zeppelin e Rolling Stones negli anni ’70, ed è stato anche produttore di Humble Pie e Free. Fra i suoi clienti nel decennio successivo: Cinderella, McAuley/Schenker, House Of Lords.
Invece il leader asiatico, dopo questo isolato exploit discografico, andò a vivere a Berlino, ma nel 1999 si era rifatto vivo con un nuovo album, “Father Mucker…Rhythm And A Tightrope”, fedele alle sue radici lisergiche.
Ristampe:
Fra le varie riedizioni, anche le italiane Earmark (vinile) e Breathless (CD), entrambe del 2005, e quella degli specialisti inglesi Esoteric (CD, 2010). Tutte contemplano i brani del raro singolo “Horse”/”Back Door Man”: quest’ultimo è un classico di Willie Dixon, già oggetto di una celebre versione dei Doors.
Se Sam Gopal è stato l’embrione di una futura stella della costellazione metallica, Stalk-Forrest Group delineò le prime mosse di un gruppo al completo – e che gruppo! – perché si tratta della “preistoria” dei Blue Öyster Cult, i più innovativi antesignani della scena hard’n’heavy americana.
Il quintetto di New York esisteva infatti dal 1967, come Soft White Underbelly ed in seguito Stalk-Forrest Group; all’epoca registrò due differenti sessioni di un album, entrambe respinte dall’Elektra, che pubblicò solo un singolo promozionale, “What Is Quicksand”/“Arthur Comics”, in 200 copie. Secondo recenti ricostruzioni storiche, non prive di contraddizioni, la prima versione dell’album fu incisa – verosimilmente a New York – con il nome di Oaxaca, adottato subito dopo una rovinosa esibizione dei Soft White Underbelly al Fillmore East di Manhattan. La successiva venne invece attribuita al rinominato Stalk-Forrest Group ed è costituita da sei brani ri-registrati a Los Angeles ed altri tre delle precedenti sessioni degli Oaxaca.
Questa vagheggiata reliquia, “St. Cecilia”, vide finalmente la luce per la prima volta nel 1998, con il sottotitolo “The California Album”. Benché si trattasse di un bootleg, in edizione limitata di 500 copie, era venduto all’epoca ad un prezzo oneroso, ma oltre alla rarità, attraeva un’appariscente copertina textured bianca, con scritte argentate. Del nucleo degli S-FG facevano già parte tutti i musicisti dell’originale line-up dei B.Ö.C., ad eccezione di Joe Bouchard, il bassista che sostituirà Andy Winters nel primo album ufficiale su Columbia. Ognuno di essi si mascherava dietro pseudonimo, e solo “Buck Dharma” (alias Donald Roeser) lo manterrà nel corso degli anni; ma la predominante voce solista è senz’altro quella, ben riconoscibile, di Eric Bloom (“Jesse Python”) e gli altri sono naturalmente Allen Lanier (“La Verne”) e Albert Bouchard (“Prince Omega”).
Il trait d’union fra “St. Cecilia” ed il debut-album dei B.Ö.C. è la primordiale versione di “I’m On The Lamb, But I Ain’t No Sheep”, scritta da Bloom con il batterista Bouchard ed il produttore “storico” Sandy Pearlman, già accostato al gruppo in questa remota occasione.
Quando i newjorkesi s’imposero nel 1973 con il secondo “Tyranny And Mutation”, il loro stile veniva insistentemente accostato all’eterogenea trinità: Yardbirds, Doors, Black Sabbath, una sorta di conferma della loro intelligenza “extraterrestre” nell’andar oltre le formule esecutive più convenzionali.
E’ interessante sottolineare come in “St. Cecilia”, registrato nel febbraio 1970, l’affinità con i maestri di Birmingham non avesse ancora ragione di esistere…Solo in seguito, intervistati da Rock & Folk, i B.Ö.C. usciranno con la frase d’effetto: “Il vero Sabba Nero siamo noi!”. Invece Stalk-Forrest Group ben si confronta con i suoi modelli sixties ed evoca sogni “acidi” californiani in certe improvvisazioni chitarristiche à la Grateful Dead/Quicksilver.
In “Arthur Comics” e “Donovan Monkey”, la pirotecnica, lucida solista di Buck Dharma (un inestimabile grande dell’hard rock USA) richiama meravigliosamente anche l’ispiratore Jeff Beck, mentre nella fase strumentale della prima, l’immaginifica interazione fra chitarre e tastiere attinge legittimamente dal repertorio dei Doors. Il brano più ambizioso è però la title-track, che anticipa l’impronta byrdsiana della celeberrima “Don’t Fear The Reaper” e quel gusto misterico dei cori che caratterizza le armonie vocali di Bloom e compagni. Un fantastico assolo di chitarra psichedelica corona “St. Cecilia”, un brano assolutamente da riscoprire, così come l’inusitato stile melodico di “Curse Of The Hidden Mirrors” e “What Is Quicksand”. Da sottolineare come “Curse…Mirror” (al singolare) abbia battezzato oltre trent’anni dopo un album dei B.Ö.C. non certo favorito dalla buona sorte, ed epitaffio di Lanier che lasciò la squadra. Invece nell’ultimo elaborato di studio “The Symbol Remains” (2020), il brano “The Return Of St. Cecilia”, pur non assomigliando affatto alla title-track degli S-FG, sembra rendere omaggio proprio agli albori del gruppo. Così il cerchio sembra chiudersi.
Ristampe:
La più prestigiosa è sicuramente “St. Cecilia – The Elektra Recordings”, riedizione americana su compact a tiratura limitata della serie Rhino Handmade (2001, 5000 copie numerate), che raccoglie tutte le sessioni di cui sopra. Le stesse 18 tracce si ritrovano nel CD e doppio LP dell’inglese Saga Records International.
Dopo la tragica morte di Cozy Powell, schiantatosi guidando ad andatura spericolata sotto la pioggia nell’aprile 1998, si sono susseguite le ristampe a lui dedicate; la sua discografia da solista è stata riedita in Giappone con le riproduzioni in miniatura (per CD) delle originali copertine, un privilegio inizialmente riservato ai grandi nomi del rock, poi divenuto prassi comune. Effettivamente la fama di Cozy fra i batteristi più quotati era e resta inattaccabile, come testimonia una carriera trascorsa in celeberrime formazioni quali Jeff Beck Group, Rainbow, Whitesnake, Michael Schenker Group, Emerson Lake & Powell e Black Sabbath, senza dimenticare emblematici contributi ad album di Gary Moore, Brian May, Cinderella.
Fra le sue prime imprese annoveriamo l’unico LP dei Bedlam, edito nel ’73 da Chrysalis, considerato un notevole “cult” dagli appassionati hard rock. Prodotti dallo stesso Felix Pappalardi che si era distinto con i loro idoli Cream – imponendosi in proprio nei rocciosi e indimenticabili Mountain – Bedlam eseguivano rock-blues dagli accenti spiccatamente heavy. Lo manifestavano nel classico singolo “I Believe In You”, che non sfigura nell’impegnativo paragone con il repertorio di “Disraeli Gears” e nelle solidissime strutture di “Putting On The Flash” e “Set Me Free”, sorrette da extra-tensioni ritmiche. “The Beast” è un torrido rock-blues che mantiene le promesse di un titolo minaccioso: era anche il primo nome del gruppo, agli esordi nell’inverno 1972, adottato per la versione americana dell’LP. Invece “Sweet Sister Mary” e “Lookin’ Through Love’s Eyes” si dischiudono verso atmosfere più ariose, innervate dal mellotron.
Con Powell suonavano i fratelli Dave e Dennis Ball, rispettivamente chitarra e basso, già suoi partners in precedenti formazioni, fra cui Ace Kefford Stand e soprattutto Big Bertha. Anche le famiglie dei musicisti avevano convissuto nella stessa casa rurale. Completava il quartetto un ex parrucchiere di evidenti origini, Francesco “Frank” Aiello, già cantante nei Truth, che si erano affermati incidendo versioni di successi beat. Anche Pappalardi si era unito ai Bedlam per comporre e registrare negli Olympic Studios di Londra le parti di tastiere. Ma nel volgere di un anno e mezzo, il loro ciclo era già esaurito (aprile 1974) e Cozy Powell si accingeva al definitivo salto di qualità, facendo un trionfale ingresso sotto l’arcobaleno dell’epocale “Rising” (1976) di Ritchie Blackmore e Ronnie J. Dio. A quel punto, la sua consacrazione a divinità del volume ritmico di grossa cilindrata era cosa fatta.
Ristampe:
Il solitario album è stato riedito ufficialmente dall’inglese Zoom Club (“Bedlam featuring Cozy Powell”, CD – 1998). Per la stessa etichetta, il doppio CD “Anthology” offre molto di più di quanto suggerisce l’anonimo titolo: in particolare un’ampia documentazione di demos (dal 1967 al ’73), fra i quali incuriosisce un’acerba versione di “For Your Love” degli Yardbirds, ed un sorprendente omaggio alla musica colta riscoperta da Nice e Procol Harum (in questi ultimi militò Dave Ball) nella rivisitazione di Tchaikowsky battezzata “1812 Trashed”. Ma il pezzo forte della collezione è il CD registrato dal vivo a Binghamton (New York), durante il tour U.S.A. del ’74 da supporto ai Black Sabbath. Nell’album di studio dei Bedlam il raggio d’azione di Dave è piuttosto circoscritto, mentre in questo memorabile concerto si scatena in elettrizzanti assolo, sfidando apertamente l’impetuoso drumming di Cozy.
Nel caso dei Tea si può davvero sostenere che la loro qualità intrinseca, quantomeno all’epoca del debutto, non meritasse di passare in secondo piano rispetto al successo della futura stella apparsa nei loro ranghi. Furono infatti il primo nucleo di Marc Storace, il cantante nato a Malta che divenne famoso con i Krokus nella prima metà degli anni ’80. Non particolarmente illuminati a livello compositivo, incarnarono comunque un robusto alter ego degli straripanti AC/DC, sulla scia vincente degli album da “Metal Rendez-Vous” a “Headhunter”. Il leader Fernando Von Arb ebbe anche l’ardire di proclamare in un’intervista rilasciata a Rockerilla, che “Storace sarebbe stato l’ideale sostituto di Bon Scott (ma i Krokus se lo tenevano ben stretto)”. Ebbero comunque il merito di segnalare sulla mappa del rock europeo una nazione come la Svizzera che in passato aveva messo in luce solamente casi isolati come i notevoli Toad, power-trio d’ispirazione Cream del solista virtuoso Vic Vergeat, e gli stessi, presto eclissati Tea.
L’omonimo album d’esordio dei Tea usciva per la leggendaria Vertigo nel 1974, con una copertina che sembrava moltiplicare l’effetto del tuffo in piscina di “In Deep” degli Argent, ed era a tratti stupefacente, al punto che il quintetto non seppe mantenerne le promesse. Infatti i due lavori successivi, “The Ship” e “Tax Exile”, vennero frettolosamente realizzati entro l’anno successivo, e con intenti più commerciali. L’opera prima poteva invece rappresentare il golden gate che collegava idealmente, con enfasi spesso trionfale, gli Uriah Heep – circa “Look At Yourself” – ai primi Legs Diamond ed altre varietà pomp-rock d’America.
Ascoltate ad esempio la magistrale “Glorimont”, introdotta da una chitarra funky che cede il proscenio all’organo Hammond di Phil Kienholz: questi sembra anticipare il Mike Prince di “Rat Race” e lo stesso Storace canta con uno stile potente quanto melodico, spesso simile a David Byron. E’ lecito chiedersi se la mossa di plagiare gli AC/DC, e il conseguente adattamento delle prestazioni vocali, sia frutto di un’abile strategia commerciale della successiva band…Altri importanti contributi alla causa dell’hard rock munito di tastiere risiedono in “Lady”, dalla brillante azione dinamica, e nella suggestiva “Cool In The Morning”, un originale prototipo di rock duro dotato di “potere d’atmosfera”, con l’imprevedibile Storace dal sorprendente timbro iperacuto. “Surfer” combina brillantemente fraseggi acustici e toni maestosi, ma i Tea valgono anche nella soffusa ambientazione progressive di “Hazy Colours”, dove l’atipico innesto del flauto è un altro indizio che giova al paragone con i Legs Diamond. Da segnalare che l’album vedeva la luce quando il suo produttore, destinato ad un futuro ben più radioso, iniziava la fortunata collaborazione con gli Scorpions; si tratta infatti di Dieter Dierks, destinato a diventare un marchio di sicurezza con i suoi rinomati studi di Colonia, poi frequentati da celebrità globali come Michael Jackson e Tina Turner, ma dove venne registrato anche il più heavy ed umile “Tea”. Peccato che il quintetto non si impose definitivamente, nonostante i tour con i Nazareth in Europa e la Baker Gurvitz Army in Inghilterra; tornarono Oltremanica da attrazione principale, subendo però la defezione di Storace. Il cantante si insediò a Londra nel 1980, dove fece la sua parte nel nascente fenomeno NWOBHM con gli Eazy Money (solo un brano, “Telephone Man”, sul secondo volume della leggendaria compilation “Metal For Muthas”) prima di unirsi ai Krokus.
Ristampe:
“Tea” è stato riedito su CD nel 2000 dall’etichetta francese Spalax Music, a suo tempo impegnata sul fronte del Krautrock d’inizio anni ’70, che ha riproposto anche il secondo “The Ship”.
E mamma mia Beppe, sta fotazza dei BOC in apertura, così, mi ha steso e mi ha messo in ginocchio !!! che articolone , scusa se commento in ritardo ma i pre-BOC accidenti a me mi mancano, e come avevo gia’ scritto , anche se esce una pernacchia dei BOC su un doppio vinile a tiratura limitata , direi che e’ un capolavoro. Li ho amati in tutte le loro versioni e fasi, anche le ultimissime, spesso mi chiedo perche’, il loro suono e’ distinguibile, psitico, acido e selvaggio. Saranno anche i testi, le copertine ma l’ alone e’ avvolgente, aggraziati e luciferini. Mi hai fatto tirar fuori il disco dei Bedlam, (e ti ringrazio) ahime’ come ricordavo non mi hanno mai particolarmente colpito. Non trovo la stessa forza e impatto dei Mountain, che bandone da applausi questi ultimi. Li comprai per Cozy Powell, ma non ho mai trovato spunti che mi facessero saltare sulla sedia, del buon hard per carita’, ma come sai alle volte certi dischi non accendono. ( ce ne fossero al giorno d’ oggi di Bedlam !!!!) Sam Gopal me li hai fatti ricordare, li ascoltai parecchi anni fa belli, mi brasarono, bellisimi vortici psych.
Io in tempi passati pensai che Storace fosse il cantante giusto per gli AC/DC . Dava continuita’. Forse era troppo vicino a Bon come voce e sarebbe apparso sempre come una sua copia . Un po’ come i Krokus, amati ai tempi ma troppo AC/DC.
Grazie Super Beppe, con questi articoloni e fotoni si fa’ la storia passata e futura del Rock !
Grazie Giorgio, sei anche spiritoso. I commenti sono sempre ben accetti, non si pretendono letture e reazioni immediate, in fondo il Blog non é un periodico…Sui BOC impossibile non concordare con il tuo entusiasmo; certo, i Bedlam non erano i Mountain, ma nemmeno poca cosa…Fa piacere che tu sia fra i non molti (credo) che conoscano Sam Gopal, mentre su Storace successore di Bon Scott ci hanno pensato numerosi fans. Ciao!
Ciao Beppe.
Davvero interessante e stimolante questa carrellata di personaggi famosi, quando ancora non lo erano. Forse gli unici di cui conoscevo l’esistenza era la band di Powell.
Quindi grazie per le dritte e cercherò di recuperarle ed ascoltarle. Soprattutto la band di quando i B.O.C. erano ancora una crisalide…
Ciao Gianluca, per me è interessante riscoprire le origini oscure di artisti poi affermati, ma in generale recuperare anche formazioni rimaste nei meandri dell’underground che avrebbero meritato maggiori riconoscimenti. Spero possa esser stimolante anche per i lettori. Grazie.
Ciao Beppe come sempre un articolo molto interessante,la genesi di gruppi e musicisti poi famosi non è molto conosciuta specie a livello discografico conseguenza anche della difficoltà oggettiva a reperire testimonianze musicali che ne provino l’evidenza.
Parlo a livello vinilico, visto che le retrospettive e le ristampe spesso costituiscono i vari box cofanetti di CD, i nomi che hai proposto credo di aver visto dalle mie parti solo i dischi dei Bedlam.
La cosa rilevante è che oggi questa, come dire, gavetta sotterranea non esiste più e credo che abbia contribuito all’appiattimento della scena musicale… O sbaglio?
Ciao Roberto, forse oggi esistono gruppi che restano sempre sotterranei ed altri che hanno rapidamente la strada spianata. Anche le trasmissioni che lanciano “talenti” agiscono per un immediato successo delle loro scoperte. In ogni caso è cambiato il mondo ad ogni livello, con le risorse della rete etc. Generalizzare comunque è sempre opinabile. I casi sono svariati. Grazie dell’intervento.
Ancora un articolo fantascentifico per interesse e bellezza.
Grazie per cose che non sapevo esistessero.
Cercherò tutto, ma mi accodo all’amico che ti chiede di mettere su carta una parte del tuo grande sapere musicale per la nostra gioia e il nostro piacere.
Non è mai troppo tardi per le grandi imprese e l’età è quella che abbiamo in testa.
Meditaci, grande!!!
Innanzitutto ringrazio anche te Francesco della grande considerazione e del supporto. Posso dire a tutti voi che se mi capita l’occasione giusta ci penserò seriamente. Intanto, mi fa davvero piacere che leggete il Blog e che lo trovate interessante. Ciao, a risentirci.
caspita , il periodo pre blue oyster proprio non lo conoscevo . grande articolo devo recuperare gli album ! grazie .ho amato alla follia i boc .tra i gruppi piu sottovalutati di sempre .
Sottovalutati? Può essere, ma non da noi! Io sono legatissimo ai BOC. Grazie ad una recensione di “Tyranny And Mutation” feci la prima apparizione su carta stampata, in un concorso dei lettori del settimanale Ciao 2001 (circa 1975) e grazie alla medesima fui chiamato ad un “provino” per Rockerilla, dove iniziai ad imperversare su supporti cartacei in “full immersion” per oltre 25 anni…L’ho già scritto ma ribadisco. Inoltre il nostro Blog è stato inaugurato proprio da una retrospettiva del Trombetti sui BOC. Quando mi è venuta in mente un’idea non banale per tornare sull’argomento, l’ho fatto con piacere. Naturalmente il vostro consenso è importante. Grazie Meo, ciao.
Anche io mi unisco all’estasi che le tue ricerche ed approfondimenti sovente ci suscitano. L’ho già fatto in modalità privata, ma tale è l’entusiasmo di scoprire ancora qualcosa di valido, grazie al tuo impegno, che mi esprimo di nuovo pubblicamente.
Su BOC e Sam Gopal sai che la conoscenza non mi mancava; gli altri due nomi mi erano sfuggiti. Grazie dunque per avermi fatto recuperare.
Sempre Lode.
Caro Mox, mi sono sempre impegnato nel far conoscere gruppi e/o artisti, vecchi e nuovi, che meritavano maggior diffusione, e quando anche gli esperti (come te) approvano questa scelta per me è motivo di soddisfazione. Anche veterani appassionati che dispongono di una ricca collezione di dischi, riescono ancora ad emozionarsi scoprendo qualcosa che ancora non conoscevano. Tante grazie e ciao!
Grande Beppe!
Un sacco di cose che non sapevo e che dovrò approfondire. Prima o poi dovresti organizzare i tuoi scritti in una sorta di enciclopedia cartacea che bramerei consultare su carta.
E poi vedi con l’eccitazione del momento,mi scordo anche di correggere quel che scrivo 😅
Ciao Samuele, ti ringrazio per l’interesse ed il tuo invito (ricevuto in forme analoghe anche da altri lettori) mi fa pensare…Certo, ci vorrebbe un editore, oppure un'”autoproduzione”, sarebbe interessante. Ma il tempo passa, e se ci penso ancora un pò rischia di scadere!
Spero che prima o poi accada! I lettori sono sicuro non mancheranno.
Concordo pienamente con Samuele. E lo sai, Beppe…
Magari qualcuno vi ascolterà…
Ciao Beppe e grazie ancora per questi interventi che riaprono spirito e voglia di conoscere ed approfondire … ed emozionarsi.
Avevo sentito già qualcosa del periodo Pre-BOC ed è sicuramente un periodo molto interessante anche perchè conferma quel miracoloso ponte tra ’60s psichedelia e Hard che venne vissuto nel periodo 1967-1969.
La cosa che più emerge è … la qualità compositiva e … l’essere speciali di quel gruppo di persone che poi saranno conosciuti come Blue Oyster Cult e … come hai detto … l’idea che dietro tutto ci sia un progetto … un concept enorme e mai lasciato indietro ma sempre costruito con ogni tassello, anche prima del mitico primo LP.
Detto questo … molto sinteticamente … pezzi della madonna e da ascoltare e riascoltare ….
Nota per i Bedlam di Cozy Powell: sapevo della loro esistenza ma non li avevo mai sentiti e devo dire …. molto meglio di tante altre band più blasonate.
Li recupero.
Buona Domenica Maestro!!
Grazie Fabio, buona domenica a te! E’ sempre opportuno andare “alla radice” di ogni fenomeno, anche musicale, perché come dicevo nell’introduzione, non bisogna ascoltare a scompartimenti stagni. Ti sei interessato ai BOC, naturalmente una grande formazione con una grande storia, che ancora non demorde con dignità. Il suo lascito artistico non necessita di ulteriori lodi da parte mia, anche l’esperienza Stalk-Forrest aveva i suoi highlights in differenti linguaggi espressivi. Nel periodo d’oro d’inizio Seventies emergevano tante band heavy-blues promettenti come i Bedlam, presto scomparse. Il gruppo di Cozy avrebbe meritato miglior sorte, lui l’ha avuta in carriera ma le tracce di quell’esperienza non sono andate disperse! Ciao