Siamo un po’ tutti affetti da sindrome di mitopoiesi, ossia dal desiderio di alimentare “miti”, e non è affatto detto che sia ingiustificata. Il rock ad esempio, pullula di personaggi leggendari, universalmente riconosciuti ma non solo, perché averne di propri aiuta a stimolare la fantasia, a creare la zona comfort personale e tanto altro.
Per me, per un nugolo di cultori vintage, Paul Sabu fa parte di quella mitologia del rock che ha contribuito ad accrescere la nostra passione verso un suono che forse le generazioni attuali condannerebbero all’estinzione. Senza nulla sapere del suo futuro prossimo, ho introdotto Sabu nella mia galleria nostalgica del rock anni ’80 (uno scritto apparso a fine agosto sul Blog) e all’inizio di ottobre è stato annunciato l’imminente nuovo album “Banshee”, che uscirà per la Frontiers il 9 dicembre.
Sabu è figlio d’arte, infatti il padre, un attore indiano, è stato protagonista di un film di successo degli anni ’30, “Elephant Boy”, tratto dall’opera di un celebre scrittore delle stesse origini, Rudyard Kipling (“Il libro della giungla”). In omaggio al genitore, verosimilmente Paul ha intitolato le proprie “edizioni musicali” Jungle Boy Music.
Paul, che nel corso della sua carriera si rivelerà oltre che cantante e chitarrista, anche produttore e compositore di straordinario talento, idolatrato negli anni d’oro dai critici dell’egemone rivista inglese Kerrang!, aveva però iniziato la sua carriera orientandosi verso la musica da discoteca. Nel 1979, il suo debut-album omonimo, “Sabu”, su etichetta Ocean/Ariola era inaugurato dal crossover “Rockin’ Rollin’ (Disco King)”, una risposta misconosciuta, in tempo reale, a “I Was Made For Lovin’ You”, l’hit danzabile dei Kiss.
L’artista poneva rimedio a quest’”onta” (almeno per il pubblico settoriale dell’epoca) pianificando una ripartenza discografica: un nuovo LP ancora a suo nome, stavolta edito dalla MCA nel 1980. Il suo gruppo restava immutato, con il tastierista Steffen Presley, il bassista Rick Bozzo (poi negli Angel riformati da Giuffria) ed il drummer Dan Holmes, già con il rocker di colore Marcus. Cambiava però sostanzialmente la musica: l’interpretazione intrisa di blues di Sabu, che riecheggia a tratti David Coverdale, e lo stile alla Jon Lord di Presley, caratterizzano l’iniziale “Rock Me Slowly”, suggerendo il paragone con i Whitesnake di “Ready And Willing”. Invece il suono di chitarra e la voce ad ampio respiro del leader, combinati ai flussi di tastiere di “Turn Back”, autorizzano l’accostamento ai Boston, fuoriclasse dell’hard melodico. Altri brani preziosi, da “Wet And Wild” a “Streetheart”, assegnano a “Sabu” (Atto II) la corona di classico per conoscitori, ma la sua diffusione resta marginale.
Così Sabu deve attendere il 1984 per il successivo album, stavolta a nome Kidd Glove (ma è lui “solo” accompagnato da musicisti di studio, fra cui il titolatissimo Mike Baird) su etichetta Morocco, una succursale della storica Motown. L’evoluzione del suono si allinea con i tempi, alternando l’hard cromato di “Street Angel” al rock per FM di “Spirit Of The Night”.
Anche in questo caso non c’è continuità contrattuale per Paul, che consegna alla volonterosa ma riduttiva Heavy Metal America un capolavoro del calibro di “Heartbreak” (1985); peccato, perché la collezione non fallisce un colpo, dalla melodrammatica, irresistibile “Angeline” al finale incandescente di “Shake, Rattle & Roll”, senza dimenticare autentiche canzoni da Olimpo dell’AOR come “Breakin’ Out” e “Just For A Moment”.
L’ennesimo tentativo di rilancio avviene con una nuova sigla, Only Child, che chiude in gloria il decennio discografico di Sabu, ma senza un vero e proprio boom commerciale. Le stime di vendita, qualche anno dopo la pubblicazione del 1988 (Rhino/Rampage), giungono alle 300.000 copie. Il batterista Charles Esposito è l’unico superstite della formazione di “Heartbreak” e la produzione è di eccellente qualità, all’insegna dell’hard rock di classe dell’età aurea; ancora una volta è Kerrang! a promuoverlo con una votazione massima oltre i consueti KKKKK, mai attribuita a nessun altro, ed il magistrale suono “adulto” di brani di rilevante potenziale commerciale – non realizzato! – come “Just Ask”, “I Believe In You” e la sensuale “I Wanna Touch” giustificano l’iperbole; è inoltre presente una versione, ovviamente più raffinata, di “Scream Until You Like It”, già offerta ai WASP.
I riconoscimenti che infatti Sabu non ottiene come solista, li riscuote in altre vesti. Produce artisti dell’onda heavy anni ’80 (Silent Rage, Alexa, Precious Metal, Little America), collabora con celebrità quali David Bowie, Alice Cooper, Shania Twain, Eddie Money, ma l’elenco delle sue attività è davvero sterminato e comprende anche contributi a colonne sonore cinematografiche e televisive.
Dopo l’illusione della decaduta prospettiva Geffen di “Only Child II: Second Birth, Ninth Life”, Sabu si ripropone con un nuovo album auto-intitolato solo nel 1996 e prosegue con un’attività discografica diradata negli anni fino a “Bangkok Rules” del 2012.
L'ultimo grido, "Banshee"
Da allora, si erano perse un po’ le tracce del Sabu solista, un lungo silenzio fino a questo “Banshee”, realizzato in tandem con il bassista e chitarrista Barry Sparks, già con UFO, MSG e Dokken, ma anche fiancheggiatore di solisti di differente estrazione quali Malmsteen, Ted Nugent e Uli Roth.
Stando alle notizie diffuse, i due si suddividono tutte le parti strumentali del disco, che asseconda la linea più recente, tendenzialmente heavy rock, di un Sabu che a dispetto dell’età, non rinuncia affatto a picchi d’energia.
Subito in apertura,”Blinded Me” dimostra che se un artista possiede il tocco magico, difficilmente lo smarrisce con il passare del tempo. Paul da sempre conosce il segreto dell’hard rock deluxe (no, stavolta non alludo a ristampe speciali…) basta ascoltare i fraseggi di chitarra che accompagnano il refrain, senza dimenticare quella voce virile & melodica, tuttora in gran forma, affine ai più celebri Coverdale e Sammy Hagar. Il titolo-guida “Banshee” è piuttosto contrastante con la fama di divinità AOR riconosciuta al poliedrico musicista; lo spettro femminile delle leggende celtiche, foriero di presagi funesti, sembrerebbe più in sintonia con atmosfere “gotiche” – ricordate a proposito Siouxsiee & The Banshees”? – ma l’attraente intro di tastiere rimette le cose a posto: si riallaccia a sonorità anni ’80 di differente natura nel ventilare un senso di mistero sul brano, rispetto a regole “criptiche” che non appartengono a Sabu. E l’immagine di copertina cala assai bene una moderna Banshee nella realtà notturna della metropoli.
Il primo singolo “Kandi” è tipicamente Sabu: un prologo felpato lascia spazio all’hard melodico, sottolineato da un chorus romantico ma robusto, nient’affatto svenevole, con il suggello di uno struggente, rapido assolo di chitarra (Nota: è il solo nuovo brano attualmente diffuso su YT, per il resto proponiamo classici del passato).
“Love Don’t Shatter” dimostra però che il clima generale dell’album è più duro rispetto ai suoni levigati degli indimenticabili Only Child. Resta intatto il valore aggiunto che distingue i campioni da seguaci meno ispirati, ossia la personalità, in questo caso la vena melodica risolutiva dei cori. In “Back Side Of Water” si coglie subito l’arrangiamento in stile Eighties delle tastiere, che Sabu stesso ha contribuito a render esemplari in “Heartbreak” ed oggetto di mio (contenuto) rammarico, perché avrei gradito fosse maggiormente sviluppata questa direzione strategica. Nel finale, divagazioni dell’organo Hammond rammentano la tendenza prog concisa e pressante dei Deep Purple a 24 carati. “Skin To Skin” vira con decisione verso sonorità hard, non propriamente con la “leggerezza” di certi trascorsi AOR, e “Rock” – titolo programmatico – ostenta un riff incalzante ai confini con l’heavy metal, naturalmente “classico”.
Lo interpretiamo come segnale d’orgoglio rockista in un’epoca in cui questo genere di musica fatica a reperire esponenti di spicco che dovrebbero contribuire a perpetrarne la tradizione.
“Turn The Radio On” è invece un salutare ritorno alle radici dell’hard-AOR munito di maliose risorse da anthem; decisamente un infuso vitale per gli appassionati di lunga data, che vibreranno all’ascolto di tastiere scenografiche e cori esplosivi, con Paul protagonista di “strappi” vocali che non lasciano indifferenti!
“Dirty Money” è a sua volta classicista, perché l’attacco del riff mi ha ricordato la storica “Man Of The Silver Mountain” dei Rainbow, con lo stesso Paul che ha qualche vanità da esibire nella tradizione dei guitar heroes.
“Midnight Road To Madness” è tutta giocata su un inciso vocale insistente quanto gradevole, ed infine “Rock The House” è un altro vero e proprio hard attack, ma caratterizzato da un frangente di tastiere che evoca musiche medio-orientali dal sapore etnico.
Dunque, chi immaginava un Paul Sabu meno incisivo di un tempo sarà smentito da “Banshee”. La vena melodica è resiliente ma non certo addolcita, ed avrei gradito qualche brano più spiccatamente d’atmosfera (perché non una power ballad?) a spezzare la continuità hard rock, di qualità garantita, degli undici brani.
Ma non ho dubbi nell’accogliere con immutato piacere il redivivo Sabu.
Ciao Beppe ancora complimenti per la splendida recensione ricordo ancora la il tuo articolo su rockerilla di hearthbreak e di quando x telefono ti informai che che only child era disponibile da contempo mentre dalle tue parti ancora non era arrivato bei tempi davvero grazie ancora x la cultura musicale che mi hai insegnato
Ciao Stefano, fa sempre piacere chi ricorda quei tempi in onore alla grande musica rock che avevamo il privilegio di ascoltare. Inoltre in quegli anni c’erano una quantità di negozi di dischi. Non molti ovviamente importanti e forniti come Contempo, ma anche nei minori si poteva scovare qualche “gioiellino” trascurato dai più. Un caro saluto, grazie.
grande Beppe, grazie per la segnalazione, non mancherò di ascoltare il nuovo Sabu … mi ha colpito leggere del brano che ricorda il riff di Man on the silver mountain … un “giochetto” simile il buon Paul lo aveva fatto in chiusura di Heartbreak con New girl in town ed il suo riff “fotocopia” di All night long … evidentemente anche a lui piacciono molto i Rainbow, come dargli torto?
È vero Giuseppe, gli spunti tratti dall”albero genealogico” dei Deep Purole sono sempre stati presenti nell’opera di Sabu, evidentemente tutti i musicisti hanno i propri punti di riferimento. L’importante è saperli metabolizzare in un contesto personale e non solo derivativo. Grazie!
Ciao Beppe Sabu fa parte della cosiddetta schiera dei culto heroes, disgraziata categoria in cui si inquadra un’artista o una band che pur avendo i crismi del talento universalmente riconosciuto non vi è corrispondenza con un altrettanto riconoscimento commerciale neanche nel periodo in cui il genere musicale proposto aveva rilevanza in termini di gradimento su vasta scala… Tutti i titoli che citi sono sempre menzionati nelle classifiche di settore tipo”i migliori dischi A. O. R., i classici imperdibili del Rock melodico.. “e così via, ma di fatto restano confinati in in uno spazio ristretto a pochi affezionati e credo che la tua asserzione sul fatto che le nuove generazioni possano portare all’estinzione del genere sia molto plausibile…. Paradossalmente quello che veniva considerata musica commerciale nei tempi che furono ora è diventata underground e, perdonami la lungaggine, continuo a nutrire dubbi sull’utilità di ritorni discografici inaspettati… Certi treni passano una volta sola nella vita…
Ciao Roberto, hai le idee chiare ma sei un pò troppo severo, non trovi? Non credo sia giusto considerare “disgraziata” la categoria dei cult-heroes, semmai sfortunata, però ha fatto/fa sognare molti appassionati, me compreso. Nel caso di Sabu mi auguro che con le sue molteplici attività abbia fatto discretamente fortuna. Di certo per un talento come lui resterà il cruccio di non aver riscosso il meritato successo anche a suo nome, però credo che perseguire la propria carriera artistica, anche se non sotto i riflettori, sia dimostrazione di significativa perseveranza: let the music do the talking! Per quanto riguarda le classifiche AOR e di rock melodico, sicuramente ce ne saranno in quantità, ma quando ho iniziato a scriverne io, nel nostro Belpaese non se ne parlava proprio (di quel genere musicale). Grazie dell’attenzione.
Buongiorno Beppe. Onestamente non sapevo nemmeno che Paul Sabu avessi in programma un nuovo album, pensavo che ormai si occupasse solo di colonne sonore, accompagnamenti musicali per la TV e cose del genere. Purtroppo Paul Sabu ha sempre avuto il problema di non avere alle spalle una label sufficientemente influente da imporre i suoi dischi sul mercato, dischi che non avevano nulla da invidiare a prodotti più blasonati. Per quanto mi riguarda sul podio ci sono Heartbreak, Only Child e Kidd Glove, ma sottolineerei anche il bellissimo ed unico disco di Alexa Anastasia, sorta di Only Child cantato da una poderosa voce femminile. Il singolo nuovo è notevole, il tocco c’è sempre e viene confermato per l’ennesima volta che il vero AOR si fa in America, e meglio se a farlo sono le vecchie glorie che hanno vissuto direttamente la golden age del genere. Purtroppo le varie scene nordeuropee (o anche la pur dignitosa scena italiana) non potranno mai tenere il passo. La voce strepitosa degli anni 80 è un po’ velata dagli anni, ma la sua figura la fa ancora, quindi c’è da pensare se procedere all’acquisto fisico.
Lorenzo ciao, sono generalmente d’accordo. Del notevole album di Alexa avevo scritto sul Blog nell’articolo “1989, un anno di AOR…”. Sabu si conferma maestro nella sua arte, ed è vero, il miglior AOR è ed è stato (soprattutto) prettamente americano. Grazie del parere.
Ciao Beppe,
Paul Sabu un mito che è rimasto un fenomeno di nicchia (e non è sempre un male.. )
Only Child disco culto gia a partire dalla copertina: nel genere una delle più belle di sempre, a mio avviso. Poi il contenuto…ne hai parlato tu, non è necessario aggiungere altro.
Sabu era uscito dai miei radar alla fine dei ’90 e devo ammettere che ho ascoltato il nuovo singolo solo grazie al tuo articolo: sono sorpreso! Direi grande pezzo, nel suo stile e la voce inconfondibile c’è ancora alla grande! Con il piattume a livello compositivo che, secondo me, affligge la media delle nuove uscite del genere, questa è manna dal cielo.
Attendo quindi con curiosità e fiducia l’uscita dell’album.
Grazie come sempre per l’articolo
Un saluto
Ciao Fulvio, concordo sul fatto che fenomeni di nicchia sono cari ai veri appassionati. Sul passato di Sabu inutile aggiungere altro da parte mia; mi fa invece piacere invitare all’ascolto del nuovo “”Banshee” con riscontri positivi. Sul “piattume” a cui accenni, beh, difficile darti torto. Grazie anche della presenza costante.
Stó ascoltando anche io il disco per farne la recensione sul mio sito e dopo tre ascolti completi, sono molto in linea con le tue impressioni. Sabu graffia ancora e si muove in bilico tra l’hard rock (forse più che in passato) e le atmosfere più soft alla Only Child. Quello che è fuori di dubbio è che il disco è senz’altro valido. Grande disamina, come sempre del resto.🤘
Ottimo Samuele, continua a diffondere la “fede” ce n’è bisogno (anche se non siamo missionari, ah ah…). Certamente “Banshee” risulta più hard rock di quanto prevedevo, ma sempre Paul Sabu è: un maestro del suo genere. Ciao e grazie del commento!
Grandissimo Beppe! Subu è un eroe di sempre, sulle note di Rock me slowly o Wet & Wild si vola! Ricordo ancora perfettamente un tuo vecchio articolo in cui la definizione era ‘il duca della stratosfera aor’. Cosa poi ribadita nel magistrale Heartbreak. Only Child altro capolavoro più incline all aor puro. Buono anche Kidd Glove, disco che ho faticato non poco ad acquistarlo per la scarsa reperibilità. Visto che hai nominato Marcus, altro grande album che conobbi grazie a Shock Relics. Aspetto il nuovo con trepidazione! Ho ascoltato solo Kandi e mi sembra in linea con Baby Blue. Grazie Beppe.
Ciao Fabio, bei ricordi quelli del tuo intervento. Che memoria…Da sottolineare la citazione dell’isolato album di Marcus, una reliquia del 1976 su United Artists, che non credo ricordino in molti. Complimenti a te e grazie.
Eh, questo è un articolo che attendevo con trepidazione, conoscendo la tua ammirazione per Paul. I primi due singoli mi sono piaciuti molto, spero che il resto del disco sia all’altezza, anche se ovviamente acquisterò a scatola chiusa. Certo, nessuno può aspettarsi un Heartbreak o un Only Child, ma vista anche l’assenza prolungata, mi aspetto un gran bell’album. Ciao Beppe.
Caro Alessandro, penso che difficilmente “Banshee” deluderà i ferventi ammiratori di Sabu, anche se non è mai detto, nel caso le aspettative fossero tali da “pretendere” un equivalente ai due classici che hai citato. Con un pò di razionalità e l’immancabile passione, si può certamente apprezzare il come-back del Nostro. Ciao e grazie.