Ricordi imperfetti dalla genesi alla rivelazione
Per chi si è affacciato sugli avventurosi paesaggi del rock alle prime luci degli anni ’70, restare immuni dal contagio Genesis, specie in Italia, era missione ai limiti dell’impossibile.
“Per Voi Giovani”, trasmissione radiofonica pomeridiana di risonanza nazionale e presieduta da onorevoli esperti musicali a nome Giaccio, Massarini, Fegiz – fra gli altri – li aveva già adottati all’epoca del loro secondo album “Trespass” (ottobre 1970) mandando frequentemente in rotazione il brano progressivamente più aggressivo, “The Knife”.
Insieme a Van Der Graaf Generator e Audience, Genesis venivano lanciati anche da noi, anzi, prima qui che altrove, come il “Tridente delle meraviglie” fra le rivelazioni della coraggiosa etichetta Charisma di Tony Stratton-Smith, che pure aveva pilotato un lavoro alquanto difficile come “Five Bridges” dei Nice con l’orchestra sinfonica, al secondo posto fra i 33 giri della classifica inglese.
In realtà la genesi di questo trio di rivelazioni – scusate il gioco di parole, ma l’opera prima di Gabriel e compagni si chiamava proprio “From Genesis To Revelation” – era avvenuta su tutt’altre sponde (Genesis/Decca, VDGG/Mercury, Audience/Polydor e nessuno di questi esordi appariva memorabile) ma era stata la Charisma a riunire queste forze emergenti del progressive inglese, spingendole verso il definitivo salto di qualità.
E si può dire quel che si vuole, a posteriori, della stampa italiana dell’epoca, in primo piano il settimanale nazional-popolare Ciao 2001, ma non che mancasse di voglia d’osare e talvolta di lungimiranza. L’album sophomore su Charisma, “Nursery Crime” (1971), con i Genesis fortificati attorno al classico quintetto: Peter Gabriel, voce e flauto – nonché geniale figura dagli stupefacenti costumi su palcoscenico – Tony Banks, tastiere, Steve Hackett, chitarra solista, Mike Rutheford, basso e chitarra, Phil Collins, batteria e voce, veniva salutato come una delle più immaginifiche espressioni artistiche del rock. Forza trainante era la fiaba terribile e un po’ perversa di “The Musical Box”, così ben rappresentata in copertina, la seconda della trilogia offerta al gruppo dal magnifico illustratore Paul Whitehead.
Le origini di questo brano leggendario risalgono al ’69, quando il gruppo compose musica per un film, trasfigurandola in una fantasiosa invenzione narrativa di Gabriel su due fanciulli dell’epoca Vittoriana, Cynthia ed Henry. Cimentandosi nel cricket, la giovane “decapita” il compagno di giochi con la mazza…Qualche tempo dopo l’orribile incidente, lei scopre una “scatola musicale” nella stanza da giochi di Henry, che inizia a diffondere musica, partendo dal celebre verso “Play Me Old King Cole…”. Appare lo spirito di Henry, che cresce rapidamente e diventa barbuto, fino a manifestare un desiderio sessuale per la sua “assassina”. A quel punto irrompe la babysitter, che scagliando la scatola verso lo spirito distrugge entrambi! Fonti accreditate attribuiscono l’ispirazione di questa surreale vicenda allo scrittore inglese dell’800, Lewis Carroll.
Chi ci legge sa che sono un dichiarato tifoso di altri protagonisti del progressive rock, ma lo stesso Keith Emerson, personaggio sulla cui integrità artistica non è ammesso dubitare, scrisse a suo tempo un’entusiastica recensione di “Nursery Crime”: un album che incurante del rincorrersi di tempi e mode, rappresenta la perfetta incarnazione di quello che fu battezzato “pop romantico”, non certo per aspetti sentimentali, ma nel raccogliere l’eredità visionaria del romanticismo in letteratura, con i suoi risvolti gotico/macabri (“The Musical Box”, appunto) oltre ad una ricchezza di particolari, orchestrazione e sfumature musicali che rendevano unica la proposta dei Genesis all’apice della creatività.
La loro pozione magica è durata almeno fino a compimento dell’Era Gabriel, con una successione di LP di studio ai massimi livelli (“Foxtrot” e “Selling England By The Bound”, separati da un “Live” non all’altezza dei loro spettacoli) e chiusa con l’ultimo masterpiece per acclamazione universale, il doppio concept “The Lamb Lies Down On Broadway”, del 1974. Poi, la frastornante defezione della stella Peter Gabriel e la sorprendente investitura di Phil Collins – che già aveva cantato in “For Absent Friends” – al rango di voce solista, con un paio di album, “A Trick Of The Tail” e “Wind And Wuthering”, in grado di legittimarne l’eredità.
Prima dell’amata/odiata rivoluzione punk, che avrebbe liquidato i veterani del prog rock – e non solo – alla stregua di obsoleti “dinosauri”, nella cattedrale di questi ambiziosi musicisti qualche struttura cominciava a dar segni di cedimento ed anche la critica intellettuale aveva iniziato a prenderne le distanze: “Il gruppo ha tratto dalle favole rinascimentali un modo non troppo nuovo di veder la realtà, e l’ha evoluto fino a raccontar le crude novelle di “The Lamb…”. Musicalmente, trae da Moody Blues e King Crimson il suo essere anche se ora, privo del cantante Peter Gabriel, si vuol avvicinare agli Yes più statici.” Così scriveva nella sua “Enciclopedia Pop”, Mauro Radice, autore colto e scomparso prematuramente, ammirato per il suo linguaggio nonostante l’accanimento censorio contro quasi tutti i miei musicisti preferiti (!). Beninteso, era solo l’autorevole esponente di una tendenza ideologica diffusa.
Probabilmente, insistendo ad oltranza sul declinante verbo progressive, Genesis si sarebbero incagliati come un vecchio veliero nelle secche dell’inaridimento creativo, invece ecco la svolta epocale, con Phil Collins protagonista assoluto, che traghetta i compagni rimasti al suo fianco, Banks e Rutherford, nel dorato mainstream pop-rock dell’eloquente album “…And Then There Were Three”. E’ l’orientamento che si adatta alle modalità espressive degli anni ’80 e proietta una formazione nata con tutt’altri presupposti, nell’empireo degli sfidanti a colpi di vendite milionarie. Gli appassionati di lungo corso gridano al tradimento, ma poi finiscono per compiacersi delle nuove canzoni di successo, perché è chiaro che i Genesis mantengono un livello di classe esecutiva e di qualità nella composizione (anche in un’aggiornata ottica prog) sconosciuta ad effimeri fenomeni dell’ultima ora, ai vertici del rock commerciale.
Non solo, nel calderone heavy metal del Festival Rock di Reading 1982, si distinguono anche i Marillion, che con il teatrale cantante Fish sono esplicitamente influenzati dai Genesis di Peter Gabriel. E’ la miccia che accende un nuovo revival, e più che di neo-prog, si può davvero parlare di corrente post-Genesis, se si pensa non solo agli originali Marillion, ma anche ai Pallas di “The Sentinel”, agli IQ di Peter Nicholls (altro emulo gabrieliano), e ai Pendragon, per nominarne alcuni.
Tutto ciò giova a rivestire i Genesis – vecchi e nuovi – di pulsante attualità, a differenza di altri veterani che non hanno saputo rinnovare i fasti degli anni ’70. Così il gruppo di Phil Collins, ormai inattaccabile nel suo ruolo di istrionico e polivalente artista, si consegna all’eternità del rock di imperitura fama. E non è fattore da poco, sottolineato dalla stampa che conta, pronta a sentenziare come spesso “maggior celebrità corrisponda a miglior qualità” degli artisti.
Genesis: "BBC Broadcasts"
“BBC Broadcasts” (EMI-Universal) è un’antologia di notevole valenza documentaristica che ripercorre la storia di una delle più amate formazioni rock – non solo nel circuito progressive – a livello internazionale, scandita tramite i programmi della BBC a partire dalle trasmissioni radiofoniche da culto per gli appassionati, come Nightride, le venerate John Peel Sessions e The Friday Rock Show.
Sono disponibili due configurazioni: box 5 CD (53 brani) oppure 3 LP (24 brani). Per gli appassionati del vinile, ormai “preda” delle case discografiche che non risparmiano loro nessuna novità o ristampa, l’esca risiede nel fatto che i contenuti non sono mai apparsi in formato 33 giri, ma le tracce meno della metà rispetto al consuntivo del CD box set. Buona parte del materiale è effettivamente inedito, il restante già pubblicato in DVD, Box Archive e Live. Dalla descrizione che segue, argomenti per trarre le vostre conclusioni in merito.
N.B.: Si precisa che gli estratti da YouTube non sono quelli ufficiali di “BBC Broadcasts”, non disponibili alla data.
Disc 1
Il primo CD presenta la formazione che apparirà su “Trespass”, con Gabriel, Banks e Rutherford affiancati dal chitarrista Anthony Phillips e dal batterista John Mayhew, in una registrazione del febbraio 1970 per il programma radio notturno “Nightride”, effettuata con circa otto mesi d’anticipo rispetto all’uscita dell’album. Infatti nessuno dei tre brani apparirà su “Trespass”, anche se non si tratta di inediti, poiché già presenti nel prezioso box “Genesis Archive 1967-1975”. “Sheperd”, Pacidy” e “Let Us Now Make Love”, vanno già oltre la scrittura acerba dell’esordio su Decca, palesando uno stile ammaliante basato sull’inconfondibile voce di Gabriel; con l’accompagnamento a base di pianoforte, flauto e chitarra acustica, manifestano una peculiare vena di prog bucolico ai confini con il folk-rock.
Oltre due anni dopo, la classica line-up completata da Collins ed Hackett presenta invece “live in studio” a Parigi due capisaldi dell’album che caratterizza prima di ogni altro lo stile dei Genesis, “Nursery Crime”. “Fountain Of Salmacis” vi appare in una versione ispida, con il basso di Rutherford in avanscoperta ed il mellotron di Banks che dipinge arazzi musicali, giustificando le ambizioni del nuovo rock sinfonico.
Poi “The Musical Box”, uno dei grandi classici del progressive, che identifica il genere come pochi altri, in grado di passare dalla recitazione intimista di Gabriel sulla raffinata orditura della chitarra classica di Hackett, ad un imperioso crescendo annunciato da un riff tranciante e dalle solenni tastiere di Banks. Una versione alquanto fedele all’originale, ma non per questo trascurabile, anzi.
Da “Nursery Crime” sono tratte anche “Harlequin”, che paga il suo tributo a melodie vocali fra Beatles e CSN&Y, e “Harold The Barrel” (in origine registrata per “Trespass”) tratte da differenti Peel Sessions del ’72, mentre all’epoca del terzo “Foxtrot” risalgono “Get’Em Out By Friday” e “Twilight Alehouse” (omessa dall’album e recuperata come facciata B di “I Know What I Like”). Un discorso a sé merita “Watcher Of The Skies”, qui in versione live (Wembley ’75); è una pietra miliare che sta alla base non solo dell’evoluzione prog, ma anche del pomp-rock americano, con la maestosa intro di tastiere e la dirompente sezione ritmica in crescendo.
A mio avviso questo primo CD è la porzione di gran lunga più pregiata di “BBC Broadcasts”.
Disc 2
Peccato che i contributi del quintetto fondamentale dei Genesis si esauriscano qui; scontato l’addio di Gabriel e dello stesso Hackett, il secondo CD vede già all’opera il trio “superstite” affiancato dal chitarrista Daryl Stuermer e dal batterista Chester Thompson, che a lungo completeranno la line-up. Sotto i riflettori l’unica performance nel Regno Unito di Knebworth, giugno 1978, nel tour di “…And Then There We Three”, che mette a fuoco un aspetto poco pubblicizzato dell’evoluzione dei Genesis.
Non si tratta dell’avvio della fortunata età commerciale; infatti in apertura c’è il brano che Collins descrive puntualmente come “risposta dei Genesis” ai Led Zeppelin (rimando al booklet per i dettagli), ossia “Squonk”. Inoltre, la stessa “Dance On A Volcano”, anticipa imponenti teorie prog-metal che saranno sviluppate dai Rush e da una serie di successori più tecnicistici che ispirati; “Los Endos”, in chiusura del documento musicale di Knebworth, è un altro illuminante esempio di questo versante dei Genesis.
Il secondo ed il terzo CD sono prevalentemente focalizzati sui due concerti tenuti al Lyceum di Londra nel maggio 1980, in seguito trasmessi al Friday Rock Show, che hanno rappresentato una sorta di miniera d’oro per i trafficanti di bootlegs dei Genesis. Nel promuovere l’album “Duke”, Genesis tornavano infatti in patria per una lunga serie di date, anche in città minori. Fra le incisioni riportate del Lyceum, spicca una toccante medley di “Dancing In The Moonlight Knight” e “The Carpet Crawlers”, classici dell’epoca Gabriel interpretati con intensità emozionale da Collins. Lo show sfoggia anche gli episodi della frammentaria “Duke” suite, oltre alla vera e propria popular hit, la piacevole “Turn It On Again”.
Disc 3
Lo stesso Friday Rock Show dedicato al Lyceum prosegue sul terzo CD, riallacciandosi ai tempi di “…And Then There We Three”, dal quale sono tratti i brani d’apertura “Say It’s Alright Joe”, con Collins double face, intimista ed istrione, e “The Lady Lies”; le parti strumentali, specie le atmosfere sognanti della prima, sono decisamente rispettabili. Meno efficace la rilettura del singolo “Follow You, Follow Me”, unica concessione in questa sede alla vena pop più commerciale dei rinnovati Genesis. La mini-sequenza di “Lamb…On Broadway” è ben superiore, a partire da “In The Cage”, con Tony Banks scatenato al sintetizzatore, che comanda il ritmo ad andatura vorticosa fino ad una trascinante scorribanda finale; l’eroe delle tastiere è protagonista anche dell’interludio “The Raven”, a tutto pomp-rock.
Discutibile la versione “I Know What I Like” (dal classico “Selling England…”) rimodellata come inno da stadio su ritmi martellanti, con inevitabile coinvolgimento “corale” del pubblico, mentre il rifacimento di uno dei primi diamanti grezzi, “The Knife”, restituisce il pathos dell’originale e la sua andatura incalzante, seppur in rilettura abbreviata.
Esaurita la fase del Lyceum, assistiamo ad un balzo in avanti nel tempo fino al ciclo di shows da tutto esaurito a Wembley, del luglio 1987; giunge a coronamento del supersonico successo dell’album “Invisible Touch” (1986), già al primo posto in Inghilterra, ma ancor più venduto negli USA, dove assommava sei dischi di platino. Le registrazioni non sono inedite, un paio presenti nel box “Genesis Live 1973-2007” ma soprattutto sul DVD “Live At Wembley Stadium”; occupano la parte finale del terzo CD ed in prevalenza il quarto di “BBC Broadcasts”. Tratta dall’omonimo “Genesis” dell’83, “Mama” resta a mio avviso una tappa essenziale per il gruppo alle prese con il suono degli anni ’80, che si confronta con un uso “modernista” dell’elettronica ed un indirizzo new wave che faceva pensare ai Tears For Fears, prima che loro stessi esplodessero sul mercato. “Domino” è invece il brano più consistente di “Invisible Touch”.
Disc 4
Nel prosieguo del quarto CD, la trionfale atmosfera di Wembley incorona idealmente Phil Collins come sovrano della dinastia Genesis; piace la sua disinvoltura sul ritmo dettato dal piano in “That’s All”, eccessivi i vocalizzi alla Freddie Mercury (senza esser tale…) che aizzano il pubblico in “Throwing It All Away”; al di là del rituale gran successo pop (“Invisible Touch”, il brano), Genesis si confermano musicisti di indubbio talento anche nel padroneggiare i suoni sintetici Eighties-style dello strumentale “The Brazilian” o nell’elaborata “Second Home By the Sea”, dai tratti persino spigolosi. In chiave progressive il finale dello show, suggellato da “Los Endos”.
Esiguo invece lo spazio riservato alla formazione più effimera, abbandonata temporaneamente da Collins, sostituito dal cantante scozzese Ray Wilson; con lui i Genesis hanno registrato il sottovalutato album “Calling All Stations” (1997), ben accolto in Europa ma sorprendentemente un flop negli USA, nonostante certe inclinazioni hi-tech AOR (un po’ tardive, di stampo anni ’80) ben evidenziate dal singolo “Congo”, melodicamente più che riuscito.
Su “BBC Broadcasts” sono presenti solo un paio di registrazioni del ’98 al NEC di Birmingham. “Not About Us” è un singolo acustico davvero ben cantato da Wilson; la timbrica vocale rammenta John Wetton ed il suo aspetto Jimi Jamison, entrambi tristemente scomparsi. Assolutamente positivo il mio giudizio anche sull’impegnativa “Dividing Line”, un prog metallizzato esteso ad una decina di minuti, con prove di valore del chitarrista Anthony Drennan (Mike & The Mechanics) e del batterista Nir Zidkyahu, che non fanno rimpiangere illustri predecessori.
Disc 5
La formazione più collaudata, con il triumvirato “storico” affiancato da Stuermer e Thompson, si ritrova nel quinto CD, interamente dedicato al concerto di Knebworth dell’agosto ’92, nel corso del tour di “We Can’t Dance”. Dal quattordicesimo album di studio sono estrapolati tutti i brani registrati, di cui ben tre singoli (“No Son Of Mine”, “Hold On My Heart” e l’ipnotica “I Can’t Dance”), inevitabile concessione ad una platea tanto estesa. Insistente era anche la richiesta di repertorio “classico”, al quale i Genesis risposero con una “Old Medley” (titolo a sfondo ironico?) spinta alle soglie dei venti minuti: verosimilmente una sorta di scaltro compromesso fra evergreen dell’epoca Gabriel (“The Lamb…, l’immortale “The Musical Box”, “Firth Of Fifth” etc.) ed una coda di singoli di successo dal ’78 in poi (“That’s All”, Illegal Alien” e Follow You Follow Me”). Gli arrangiamenti esibiscono un suono spesso adeguato alla contemporaneità, ma la perizia esecutiva non è in discussione, così come le doti da showman di Collins, che tiene in pugno il pubblico. L’assolo di chitarra di Daryl Stuermer in “Firth Of Fifth” svetta senz’altro fra i momenti topici del set.
Ottimo pezzo e bellissime foto ! Mi chiedo e ti chiedo come mai certe band e penso anche ad Ufo, Van der graaf, ed altri abbiano avuto successo da noi e solo successivamente in patria. Magari non c’è un vero motivo, forse noi avevamo più fame di musica. Un abbraccio
Ciao Giorgio, gli inglesi innanzitutto, con la loro fama di nazione-guida del rock (oltre agli USA ovviamente), hanno sempre avuto priorità e tendenze egemoni. Nascevano anche una gran quantità di gruppi emergenti da selezionare all’epoca. In Italia c’erano pochi canali privilegiati di diffusione della musica rock, come sappiamo ed è stato scritto, canali che a loro volta effettuavano delle scelte, spesso illuminate. C’era appunto un pubblico nostrano crescente e “famelico”, anche attento alle novità che gli venivano proposte, e se alcuni gruppi/artisti venivano vagheggiati come nuovi fenomeni ed apprezzati come tali, la conseguenza era un successo “sorprendente”. Eventualmente ne venivano trascurati altri, di maggior fama in UK o USA. Grazie dell’attenzione.
Caro Beppe,
non vorrei sembrare ripetitivo, ma le tue recensioni, indipendentemente dall’artista o gruppo che vai a recensire, sono sempre interessanti, dettagliate e imparziali: tutti ingredienti che soddisfano ampiamente il fan sfegatato o il neofita. Complimenti e grazie.
Ciao.
Medeo
Caro Medeo, saper manifestare quelle caratteristiche che elenchi è un punto d’arrivo. Che tali qualità siano riconosciute da alcuni lettori per me è motivo di soddisfazione, quindi grazie per le tue parole. Ciao!
Ciao Beppe, l’articolo mi è piaciuto molto perché sei riuscito a evidenziare gli elementi di possibile interesse presenti nelle varie incarnazioni del gruppo senza schieramenti integralisti, come invece spesso succede quando si parla di Genesis. Qualità di scrittura unita a qualità intellettuale: una garanzia! E a proposito di qualità, quella delle registrazioni è alta e omogenea? Te lo chiedo perché a volte si ascoltano ripescaggi da copie di qualità inferiore e non presi dai master originali. Un caro saluto, Paolo.
Ciao Paolo, ti ringrazio molto per le tue parole. Per quanto riguarda la qualità delle registrazioni, francamente non conosco i retroscena relativi a questi continui ripescaggi di materiale datato e non ho un impianto hi-fi supersonico. Penso che la qualità delle registrazioni sia piuttosto omogenea. Trovo ben riuscite quelle più datate, ad esempio le outtakes di “Nightride” (già presenti nel box “Archive”) ed anche quelle di Parigi (pur grezze) e di “Sound Of The 70s” (sempre CD1). Potrebbero esser migliori quelle più recenti, tipo Knebworth 92, ma sono comunque preferibili a vario materiale davvero impresentabile recuperato per tanti box usciti. Colgo l’occasione per ribadire (repetita iuvant…) che i link di YouTube riportati nell’articolo non sono gli stessi di “BBC Broadcasts”, non disponibili al momento.
Ciao Beppe, per ragioni anagrafiche, ho conosciuto i Genesis con Abacab. Poi ovviamente, negli anni, mi sono dedicato al recupero del materiale storico con Gabriel ed alle loro “opere” dei Seventies. Molto interessante questo box, con le diverse ere rappresentate, nella rielaborazione (a seconda del periodo) anche dei classici. Una domanda: siccome ho amato moltissimo anche i Marillion, considerati spesso dei loro “cloni” (come dare torto ai critici soprattutto per il primo Script), che ne pensi di loro? Ciao e grazie come sempre.
Ciao Alessandro, forse eri un pò troppo giovane ai tempi di Rockerilla prima metà anni ’80. Scrissi subito sui Marillion ed anche su altre nuove prog band inglesi del periodo, tant’è vero che istituimmo una rubrica sui numeri speciali Hard’n’Heavy, dove ho passato il testimone ad uno storico esperto del settore, Sandro Pallavicini. Acquistai immediatamente il primo EP dei Marillion, “Market Square Heroes”, infatti ne ho parlato sul Blog nella “Nostalgia del Rock anni ’80”. Personalmente, ho apprezzato di più la loro prima incarnazione con Fish, anche se “Brave” è un gran bell’album. Grazie
Eh più che altro ricordavo i tuoi articoli sul metal; evidentemente i Marillion mi erano sfuggiti perché ero troppo “assetato” di hard’n’heavy. Mi ricordo invece molto bene di Pallavicini che ne parlò sui primissimi MS, anche perché evidentemente la mia prospettiva si era ampliata. Sono d’accordo su Brave, anche se a me piace molto pure Seasons End, che Sandro (se non sbaglio) stronco’. Grazie.
Grande articolo, complimenti Beppe, i Genesis sono una delle mie band preferite
Ciao Maurizio, mi fa piacere che ti sia piaciuto. Grazie