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ALBUM & CDC'era una volta HARD & HEAVY

GREATEST AerosmHITS: Guida all’ascolto

Di 22 Giugno 202317 Commenti

Aerosmith, fra le più grandi band del XX Secolo

In origine gli Aerosmith furono l’inattesa risposta americana a Rolling Stones, Yardbirds e Led Zeppelin, ispirandosi alla british invasion degli anni ’60, a sua volta contaminata dal blues dei maestri di colore. Quando inscenarono la più clamorosa resurrezione artistica degli anni ’80, rilanciati dal secondo album per la Geffen, PERMANENT VACATION, i cinque Bad Boys di Boston già vantavano un’ imprecisabile serie di tentativi d’imitazione nella dilagante scena di quel decennio, e la quantità di “eredi”, legittimi o meno, attribuiva di diritto agli Aerosmith il titolo di più prolifica rock band degli U.S.A. Ma i gruppi della nuova generazione ne hanno per lo più plagiato l’impatto sonico, il dirompente assalto delle performance dal vivo ma non sono riusciti a emularne lo spirito libero, dunque le sfaccettature e la varietà espressiva, in un’epoca caratterizzata dai contenitori stilistici che rendevano facilmente riconoscibili i “generi” del rock. Per rendere l’idea del ruolo preminente degli Aerosmith, all’inizio del 1989 l’oracolo più influente dell’hard’n’heavy dei tempi d’oro, la rivista Kerrang!, pubblicò un inserto quadruplo con i 100 dischi più importanti in quel dominio; gli Aerosmith vi figuravano con ben cinque album: più in alto svettava “Rocks” (al n.9), mentre “Live! Bootleg” (n.20) era eletto miglior disco dal vivo di sempre.
Dunque, se lungamente si è inneggiato all’America’s Greatest Rock’n’Roll Band, questo titolo era tutt’altro che usurpato. Non sarebbe necessario chiamare in causa 150 milioni di dischi venduti sul globo terrestre: Steven Tyler, Joe Perry, Brad Whitford, Tom Hamilton e Joey Kramer l’hanno conseguito con la sola forza di persuasione del loro rock infallibile, imponendosi nei Seventies, quando non c’era ancora MTV a esercitare la sua ipnosi catodica, né si mimetizzava l’inerzia creativa dietro stratificazioni di samples o ricorrendo a tutta un’altra serie di marchingegni in sala di registrazione.

Superato nello scorso gennaio il 50° Anniversario dall’esordio su vinile, Aerosmith si preparano per il tour d’addio, PEACE OUT™, che sarà inaugurato il 2 settembre a Filadelfia. Il 18 agosto uscirà invece quello che dovrebbe essere l’atto finale discografico, un GREATEST HITS dalle svariate e collezionabili configurazioni, dove purtroppo mancano inedite sorprese: ci saremmo accontentati di qualche recupero mirato nell’ingente archivio live del quintetto. Ben nove le edizioni che appariranno sul mercato: si va dalle dalle essenziali, LP in vinile nero o colorato (10 brani) e CD (18 brani), utili forse per neofiti, alle estese Deluxe Edition in 3CD di 44 brani e soprattutto 4LP -sempre 44 brani- in vinile colorato con quattro litografie in bianco e nero e volume fotografico che ripercorre l’intera carriera del gruppo. Il pre-ordine online è possibile proprio da oggi, 22 giugno.

Nel frattempo, si completa la serie di ristampe rimasterizzate – anche in questo caso, zero inediti – della discografia storica, analogamente alla citata antologia, ad opera di Universal/Capitol.
Questo il programma:
2 GIUGNO (LP):
Get Your Wings, Toys In The Attic, Rocks, Night In The Ruts
14 LUGLIO (LP):
Aerosmith, Draw The Line
14 LUGLIO (CD):
Aerosmith, Get Your Wings, Toys In The Attic, Rocks, Draw The Line, Live! Bootleg, Night In The Ruts, Rock In A Hard Place, Nine Lives, Just Push Play, Honkin’ On Bobo, Music From Another Dimension!
21 LUGLIO (LP):
Live! Bootleg (2LP), Rock In A Hard Place, Nine Lives (2 LP)

Per orientarsi nei capitoli della voluminosa opera della formazione americana, proponiamo l’ampia retrospettiva a seguire.

Il ruggito degli anni '70

Gli albori della loro storia risalgono alla Boston di fine anni ’60: ne abbiamo già parlato sul Blog (marzo 2022) in occasione dell’uscita postuma del demo-LP “Aerosmith 1971 – The Road Starts Hear”, quindi non indugiamo oltre. Scritturati dal tandem manageriale David Krebs & Steve Leber, che piloterà la carriera di altre celebrità quali Ted Nugent, AC/DC e Scorpions, gli Aerosmith decolleranno assai celermente: dopo aver assistito ad una loro esibizione al Max Kansas City di New York, Clive Davis della Columbia li metteva sotto contratto nell’estate 1972, assicurando al quintetto un allettante anticipo economico. Ma il budget per la registrazione dell’opera prima non era certo sostanzioso: l’ omonimo AEROSMITH veniva registrato nell’arco di due settimane (settembre 1972) in un piccolo studio di Boston e prodotto da Adrian Barber, già collaboratore di Cream, Vanilla Fudge e Allman Brothers. La pubblicazione avviene all’inizio del 1973, un anno di seminali debutti per l’hard rock’n’roll americano, fra i quali Montrose e gli altri “protetti” del team Krebs & Leber, New York Dolls. Gli Aerosmith si candidano fra le speranze più ferocemente vitali della nuova scena già inaugurata dai Blue Oyster Cult e incarnano perfettamente l’immagine di street band che sarà rilanciata nell’86 dai Guns ‘n Roses, dissotterrando proprio una delle scuri più affilate dei primi ‘Smith, “Mama Kin”.
La produzione di AEROSMITH non propone certo la devastante forza d’urto dei Montrose sotto le cure di Ted Templeman, ma i futuri gemelli “tossici” Tyler e Perry offrono il loro repertorio più rustico ed essenziale, duro rock’n’roll di natura selvatica e dal suono sferragliante, miscelato con il thythm’n’blues nella versione di “Walkin’ The Dog” di Rufus Thomas, già ripresa dai Rolling Stones. Il brutalismo di “Mama Kin” e “Somebody”, combinato con l’heavy rock denso di frustrazione suburbana di “Movin’ Out” – la prima scrittura di Joe Perry per gli Aerosmith – fanno da degna cornice alla regina dell’album, “Dream On”, una delle più grandi ballate dell’universo rock, pregna di lirismo evocativo. La critica non accolse molto favorevolmente l’album di debutto, che neppure godette del supporto delle stazioni radiofoniche, decisivo nell’epoca pre-MTV. Il potenziale hit-single “Dream On” non fece irruzione nei quartieri alti di Billboard; solo la sua riedizione del ’76, sospinta dall’esplosivo LP “Toys In The Attic”, regalerà al gruppo di Boston il primo singolo Top 10.
Per vincere le perplessità che li circondano, compreso lo scarso entusiasmo dell’etichetta nei confronti dell’LP, agli Aerosmith non restava che suonare ovunque fino all’ultima goccia di sudore, accettando persino un’ improponibile ruolo di supporto alla Mahavishnu Orchestra! Giovano invece alla causa i concerti in apertura dei Kinks e, nell’inverno ’73, dei Mott The Hoople.
Subito dopo entravano in studio sotto l’egida del produttore esecutivo Bob Ezrin, reduce dai clamorosi exploit con Alice Cooper, che affidava al suo assistente Jack Douglas l’onere di dirigere l’équipe nei famosi Record Plant di New York. E’ il segno del destino, l’incontro con il “producer della vita”, e il secondo volo del quintetto, GET YOUR WINGS, è l’album della svolta. All’epoca (marzo 1974), il suo concetto sonoro appare quasi rivoluzionario; analogamente al secondo LP dei Blue Oyster Cult, “Tyranny And Mutation”, realizza l’archetipo dell’epoca di “heavy metal” americano: un suono pluridimensionale, con le componenti strumentali in netto rilievo, dall’acuminato taglio delle chitarre alla tonitruante sezione ritmica. C’è una tendenza futuribile nell’approccio al lavoro in sala di registrazione, e attraverso uno stile rigoroso e perfezionista, il tentativo di suscitare nell’ascoltatore sensazioni catastrofiche, da sensurround cinematografico!
Ma se in molte heavy metal band degli anni ’80 la potenza esecutiva sarà sterilizzata da freddezza chirurgica, negli Aerosmith il feeling regna sovrano, in maniera più appariscente grazie alla voce felina e sensuale di Steven Tyler, che sa spellarsi le labbra sull’armonica di “Woman Of The World”, inseguendo una ritmica frenetica… GET YOUR WINGS pullula di Aero-classics, a partire da “Same Old Song And Dance”, in ottica futuribile vagheggiata come prototipo dei Pearl Jam, ma con in più la carica irresistibile dei fiati. La stessa strategia anima “Pandora’s Box”, che intitolerà il box antologico del ’91, mentre il killer instinct del gruppo colpisce in “S.O.S.” e “Train Kept A Rollin’”; in quest’ultima gli Aerosmith si confrontano con i maestri Yardbirds nella fiammeggiante versione attizzata dalla chitarra di Joe Perry, competitivo nell’ardua sfida con il regale Jeff Beck. All’album farà seguito un lungo tour promozionale nel corso del quale gli Aerosmith calcheranno le scene destinate ad attrazioni principali quali Deep Purple, Black Sabbath, Slade e Blue Oyster Cult. GET YOUR WINGS non andrà oltre il 74esimo posto in classifica, ma certamente l’iperattività live del gruppo prepara il terreno al boom di TOYS IN THE ATTIC (aprile 1975).
Il terzo album assicura agli Aerosmith il primo disco di platino e diventerà un best seller da oltre nove milioni di copie vendute; da molti è considerato il classico per antonomasia, in competizione con il successivo ROCKS; il suo break commerciale trascina i due precedenti album al traguardo del disco d’oro entro la fine dell’anno. il secondo singolo tratto da TOYS IN THE ATTIC, “Walk This Way” era già all’epoca un successo da Top 10, prima che le nuove generazioni riscoprissero la canzone nella versione rap con i Run DMC. Cosmopolita come la metropoli dov’è stato registrato (ancora New York), il terzo LP degli Aerosmith sfoggia una complessa interazione di eclettici elementi stilistici: heavy rock e rock’n’roll senz’altro, ma nondimeno funky, rhythm’n’ blues, boogie, AOR, persino qualche apertura swing. Senza dubbio un modello di riferimento per le ipotesi di rock “universale” che dilagheranno oltre dieci anni dopo, e un magistrale prototipo di crossover, di aggregazione degli stili prima che questa diventasse una regola e una moda. Tutti i brani sono colpi da KO, dalla scatenata title-track alla vena psichedelica sferzata dal tagliente riff di “Sweet Emotion”, dall’inusuale esercitazione con plumbei echi Sabbath di “Round And Round” alla ballata orchestrale “You See Me Cryin’”, che anticipa il futuro successo di “Angel”.

Ma è il quarto album ROCKS a consacrare gli Aerosmith al vertice dell’hard rock americano innalzandoli addirittura al rango di top sellers assoluti della Columbia, davanti ad artisti della popolarità di Chicago e Dylan. Edito nel maggio 1976, è immediatamente disco di platino, ma soprattutto compete per freschezza creativa con lo splendido predecessore; un’impresa ancor più sorprendente se consideriamo che il quintetto era reduce dal primo, sfibrante tour come attrazione principale.
Album della piena maturità, ROCKS è un assalto che non dà tregua all’audience: “Back In The Saddle”, grande atto d’apertura dei concerti, mostra un inedito Joe Perry al basso a sei corde; “Sick As A Dog” è il meglio degli Stones convertito in rock metallico, con la band che si diverte a ribaltare i ruoli (Tyler e Perry al basso, Hamilton alla chitarra!) e “Rats In The Cellar” è quanto di più rapido si potesse ascoltare in un’epoca non ancora congestionata dagli assalti punk e thrash. Infine, “Home Tonight” è una ballata allo zenit del versante romantico degli Aerosmith.
Lo stato di grazia è confermato dagli attesi riconoscimenti della stampa e il viatico all’elezione a band dell’anno è la prestigiosa copertina di Rolling Stone che, sul numero del 26 agosto, dedica un lungo articolo al gruppo. Il mese successivo un loro concerto ad Anaheim (Los Angeles) attira 80.000 spettatori. A questo punto, con una fama da conquistatori degli stadi yankee, gli Aerosmith decidono di approdare sul Vecchio Continente. Il “miglior gruppo del mondo della nuova generazione” incenerisce l’Hammersmith Odeon di Londra (17 ottobre) con un leggendario concerto di soli 65 minuti, ma senza interruzione!
La band tornerà in Europa nell’estate 1977, partecipando ai festival di Reading in Inghilterra e di Bilzen in Olanda. È l’anno in cui i cinque musicisti denunciano sintomi di crisi dovuti al loro stile di vita e all’abuso di droghe. Non a caso il titolo del quinto album, DRAW THE LINE, allude alla “striscia” di cocaina; la title-track e l’epica “Kings And Queens” non risultano adatte al mercato dei singoli e finiscono relegate nelle retrovie della classifica. L’LP è il regalo di Natale (1977) per i fans, e comunque raggiunge l’undicesimo posto negli USA ed il doppio platino… Non è un periodo felice sotto il profilo umano per i toxic twins Tyler e Perry: sempre più “tossici” ma sempre meno “gemelli”, le due stelle del gruppo cominciano a vivere da separati in casa, viaggiano su limousine diverse e si tengono a debita distanza persino nel backstage.
Avviene anche un episodio preoccupante quanto comico: travolti dalla pressione dei concerti gli Aerosmith giunsero, durante uno show, a salutare la folla dopo aver suonato un solo pezzo, convinti di essere alla fine della performance semplicemente perché Joey Kramer aveva erroneamente iniziato a battere il “tempo” del brano finale! I “forzati della strada” sono comunque gli indiscussi protagonisti (con Ted Nugent) del colossale festival rock California Jam II, di fronte a una folla di 350.000 persone, e di un altro raduno di proporzioni bibliche, il primo Texxas Jam. Partecipano anche alla trasposizione cinematografica di “Sgt. Pepper” dei Beatles, interpretando il ruolo della Future Villain Band, che brandisce un’ elettrizzante cover di “Come Together”. Sarà l’ultimo 45 giri di successo degli Aerosmith nei ’70 e bisognerà attendere i singoli tratti da PERMANENT VACATION (se si esclude la parentesi di “Walk This Way” con i Run DMC) per rilanciarli in alto nelle vendite.
Intanto la band realizza il suo primo album live, il doppio LIVE! BOOTLEG (ottobre 1978), generalmente stimato fra i migliori dischi dal vivo della storia. BOOTLEG sprigiona tutta la febbrile energia degli Aerosmith, accantonando temporaneamente i tratti sofisticati delle più riuscite registrazioni in studio. C’è un pretesto al titolo che allude alle incisioni clandestine: le cover di “I Ain’t Got You” degli Yardbirds e di “Mother Popcorn” di James Brown sono registrazioni pirata effettuate in un club cinque anni prima e offerte al gruppo dai fans.
L’ennesimo album di studio, NIGHT IN THE RUTS, nasce fra i travagli di una profonda crisi di rapporti che culminerà con l’abbandono di Joe Perry nel dicembre 1979, durante la fase finale delle registrazioni.
Il chitarrista preferisce dedicarsi al suo progetto solista, e i preparativi per l’album d’esordio LET THE MUSIC DO THE TALKING minano definitivamente la coesione degli Aerosmith; il produttore Jack Douglas è dalla sua parte e si occupa della nuova creatura del chitarrista, mentre il nucleo storico assume l’inglese Gary Lyons, già collaboratore dei Foreigner.
Il settimo Aerosmith esce senza divulgare le discordie dei suoi piloti, ignorate dagli scatti fotografici di copertina, ma in realtà i ritocchi finali per le parti di chitarra sono opera di Richard Supa, un amico di Tyler, e l’uomo destinato alla successione di Perry, Jimmy Crespo (ex Flame) offre già il suo contributo in “Three Mile Smile”.
Nonostante tutto NIGHT IN THE RUTS (novembre ’79) non è l’album della bagarre, segna anzi il ritorno all’eclettismo di “Rocks”, e la band si difende bene nella nuova ed esplosiva “Chiquita”, ma si affida a vari remake: il torrido blues di “Reefer Head Woman”, “Think About It” (ancora Yardbirds) e “Remember” delle Shangri-La’s.

Crisi: quale crisi? Il grande rilancio degli anni '80

Pochi mesi dopo – marzo 1980 – esce l’opera prima di Joe Perry Project, che annovera tra le sue file altre figure note come Ralph Morman, già cantante dei Savoy Brown e dei Bux (una formazione pre-Angel) e David Hull, bassista dei Dirty Angels, eccellente power pop band. LET THE MUSIC DO THE TALKING vanta un quid di freschezza in più rispetto agli ultimi Aerosmith, ed è una bomba innescata anche dalla polemica, poiché “Conflict Of Interest” espone la sua versione dei fatti che hanno minato l’unità del quintetto.
Il secondo album del team di Perry, I’VE GOT THE ROCK’N’ROLLS AGAIN, è anche meglio, ma il pubblico non reagisce positivamente e Joe subisce l’onta del licenziamento da parte della label che pur sta vendendo quantità industriali del primo GREATEST HITS degli Aerosmith. II ciclo però non si chiude qui, il chitarrista stringe patto d’alleanza con Mach Bell, cantante glam dei Thundertrain, stelline della Boston sotterranea, e rifonda totalmente il Progetto firmando anche un nuovo contratto con la MCA. Nell’autunno’83 esce ONCE A ROCKER, ALWAYS A ROCKER, l’album più orientato verso il rock’n’roll e il rhythm’n’blues del trittico “solo” di Joe Perry. Ma nonostante la qualità del disco e l’intensa attività live la rinnovata formazione non sfonda: i dischi restano comunque essenziali per ogni devoto degli Aerosmith. Le prospettive non sono confortanti nemmeno per un altro dimissionario, il secondo chitarrista Brad Whitford; la sua fuga si esaurisce nell’unico album di cui è co-titolare con Derek St. Holmes, voce e chitarra ritmica, cresciuto all’ombra di Ted Nugent e poi ricomparso nei St. Paradise. È dunque una rivincita di “seconde linee” questo WHITFORD/ST. HOLMES, LP prodotto nell’81 da Tom Allom, il celebre artigiano della pura metallurgia dei Judas Priest.
Nulla di trascendentale, eccezion fatta per il classico “Sharpshooter”. Il binomio finisce a sua volta vittima di divergenze e si scioglie prima di lavorare al secondo LP: Brad torna così a far coppia con Perry nell’ultimo tour del Project. E in questa occasione, precisamente a Salisbury Beach, si assiste per coincidenza di date a una storica reunion, quando gli Aerosmith raggiungono Perry sul palco per una jam session, preludio alla ricomposizione.

Nel frattempo Steven Tyler, vittima di un grave incidente automobilistico, è costretto all’inattività proprio mentre la nuova line-up organizza il primo album ufficiale nel nuovo decennio. Jimmy Crespo suona quasi tutte le parti di chitarra di ROCK IN A HARD PLACE (agosto 1982) poiché la nuova recluta Rick Dufay, consigliata agli Aerosmith dal redivivo Jack Douglas, è presente in un solo brano; anche Brad Whitford è autore di una fugace apparizione in “Lightning Strikes”, forse il pezzo migliore dell’album. Dufay, chitarrista di origine parigina, aveva già inciso un LP “solo”, TENDER LOVING ABUSE, prodotto dallo stesso Douglas, a sua volta richiamato dagli Aerosmith insoddisfatti del primo producer interpellato, il pur celebre Tony Bongiovi. Dopo tre anni di silenzio Tyler urla la sua voglia di riscossa in “Jailbait”, e la formazione appare rigenerata, degna di un passato già leggendario. Ma ROCK IN A HARD PLACE sfiora solo i Top 30 e Tyler cova dentro di sé la convinzione che “senza Joe Perry non siano più gli stessi Aerosmith…”
Infatti la coppia era stata agli occhi di tutti l’immagine stessa della band, suscitando il classico paragone con i Glimmer Twins dei Rolling Stones, Jagger e Richards. Inevitabile che in un periodo di “secche” commerciali, i due siano afflitti da reciproche nostalgie, con il conforto del resto della band. Così, nell’inverno 1984, il quintetto originale si ritrova a provare nella città che ne accese la fiamma, Boston, ma a causa di problemi contrattuali parte in tour senza alcun nuovo album da promuovere! Il restart non è certo agevole: Tyler collassa sul palco della Long Beach Arena per eccesso di stupefacenti e il “gemello” Perry non è affatto più lucido: entrambi finiranno in clinica per un programma di disintossicazione. I problemi legali sono però risolti dal nuovo manager Tim Collins (che già curava gli affari di Joe Perry Project), grazie al quale gli Aerosmith saranno scritturati dalla Geffen, etichetta che ne decreterà il rilancio.
Il come-back album DONE WITH MIRRORS lascia molti dubbi sulle possibilità di rivincita del gruppo. La statura artistica non è in discussione – Kerrang! lo proclama addirittura disco dell’anno – ma inizialmente gli Aerosmith sembrano condannati al destino delle superstar degli anni 70, che subiscono la sfida dei giovani rampanti nel nuovo decennio. DONE WITH MIRRORS è prodotto da Ted Templeman di fama Van Halen e riparte da “Let The Music Do The Talking”, già cavallo di battaglia di Joe Perry, che ha l’aria di una riappacificazione fra i due turbolenti leader; però l’LP manca di potenziali hit-singles, ed il consuntivo di vendita prima dell’album successivo è ben distante dal “disco d’oro”.

Ma nel 1986 la collaborazione con i rappers Run DMC – che rielaborano alla loro maniera “Walk This Way” con l’acclamata partecipazione, anche nel famoso video, di Tyler e Perry – fa gridare al riuscito incontro fra due culture… Ed è innegabile che gli Aerosmith siano la band di hard rock americano che più ha attinto alle fonti del rhythm’n’blues “nero”. Può sembrare semplicistico, ma da allora il destino del rock non sarà più lo stesso e da una sorta di coalizione multirazziale nasceranno nuove, stimolanti forme di rock’n’roll contemporaneo.
Ai primi cenni di resurrezione la Columbia non esita a dare alle stampe due inedite raccolte dal vivo, CLASSICS LIVE (1986) e CLASSICS LIVE VOL. II (1987), ma la vera chiave di volta è il nuovo album PERMANENT VACATION… Gli Aerosmith rifioriscono nell’estate 1987, “ripuliti” non solo dalle droghe, ma anche dalla fresca carica di un suono ormai libero dalle scorie del passato. Il secondo album Geffen è prodotto da Bruce Fairbairn, lo stregone del suono di Vancouver, che vanta un notevole pedigree nell’AOR canadese ed è responsabile del clamoroso successo multiplatino di “Slippery When Wet”, il terzo Bon Jovi.
PERMANENT VACATION è a suo modo un album scaltro, si avvale infatti della collaborazione di hit-makers quali Desmond Child, Jim Vallance e Holly Knight. Ma è soprattutto il feeling degli Aerosmith, di nuovo irresistibile, ad infondere vita in ogni solco. I singoli tornano a imporsi in classifica, soprattutto “Angel” che conquista il n. 3 negli States. Ma è il materiale più rock a convincere pienamente, specie “Rag Doll”, spronata da una suprema sezione di fiati; altre memorabili tracce come “Dude” e “Magic Touch” consegnano alla storia un classicissimo album degli Aerosmith per gli anni ’80, e le sue virtù sono riconosciute da una nuova generazione di fans, con un riscontro commerciale oggi superiore ai cinque milioni di unità vendute. Ma è solo il preludio all’ancora maggior successo di PUMP, che guadagna gli stessi cinque dischi di platino dalla data di pubblicazione, settembre 1989, a tutto il 1993 (quando uscirà GET A GRIP).
Eppure gli Aerosmith non si sono posti il problema di realizzare un PERMANENT VACATION Parte II…. Benché in regia ci sia sempre Fairbairn, il miglior produttore del momento, PUMP prende le distanze dalla malizia commerciale del fortunato predecessore, e gli autori dichiarano il loro sogno: rinnovare i fasti dell’hard aggressivo ma sofisticato di “Rocks”!

Foto di Tyler/Perry e copertine tratte da “Metal Shock” dell’epoca

La credibilità del gruppo è garantita da “Young Lust”, il killer che apre le ostilità facendo impallidire tutta la nuova generazione di rockers delle strade di L.A. Il primo singolo “Love In An Elevator” è l’unico programmato per un sicuro successo (n. 5 negli USA.) grazie ai suoi cori contagiosi; per il resto l’album rifulge di superbo rock emozionale, ricco di estrosi arrangiamenti, dalla strana melodia orchestrale di “Janie’s Got A Gun”, che racconta una tragica storia d’abuso minorile, a “Voodoo Medicine Man”, che mischia effetti tribali e atmosfera blues con grande maestria.
Il Pump Tour riporta gli Aerosmith in Europa dopo dodici anni di assenza e stavolta neppure l’Italia è risparmiata da questo titanico ritorno. Le reazioni sono sbalorditive: il gruppo riconquista il pubblico heavy del Vecchio Continente, e tutti i rock polls di fine anno vedono gli Aerosmith in testa alle graduatorie di preferenza dei lettori. In particolare Kerrang! li vede trionfare nei settori più ambiti: band, album, concerto live e tour, cantante maschile.
Anche in Italia, il campione significativo dei lettori del “nostro” Metal Shock pare allinearsi alla tendenza generale: il Referendum 1989 elegge gli Aerosmith band dell’anno, “Pump” miglior album e copertina, “Love In An Elevator” miglior singolo! Inoltre i loro concerti di Firenze e Milano assommano più voti dell’epocale “Moscow Peace Festival”.

I fasti di fine secolo

Sull’onda della dilagante Aero-hysteria, il gruppo di Boston accetta il ruolo di seconda attrazione nel festival più importante dell’estate 1990, il Monsters Of Rock capeggiato dai Whitesnake di David Coverdale. Tyler e compagni finiscono per superare il successo degli headliners, e in occasione della tappa più importante, Castle Donington, hanno l’onore di essere raggiunti sul palco dal maestro e ammiratore Jimmy Page!
All’apice della gloria negli anni ’80, gli Aerosmith ricevono un’offerta dalla Sony/Columbia che vuole assolutamente riappropriarsi della live band di maggior richiamo negli States. Il quintetto viene così riscritturato con un contratto record ed una percentuale d’eccezione sulle royalties. L’esposizione finanziaria della casa discografica è ancor più sorprendente se si considera che la band è ancora legata alla Geffen per due nuovi album e un GREATEST HITS, e che la prima novità discografica per la sua label “storica” si farà attendere fino al 1997.
Ma le fonti ufficiali della Columbia assicurano che il “ritorno d’immagine” sarà di incalcolabile portata, perché mai il profilo del gruppo è stato tanto elevato: sempre sulla scia di PUMP gli Aerosmith hanno vinto tre MTV Award e un American Music Award come miglior gruppo rock e heavy metal, raggiungendo anche il primato nel referendum dei lettori di Rolling Stone. “Janie’s Got A Gun” vale inoltre ai suoi autori il Grammy come miglior performance rock.
La Columbia può comunque iniziare il suo riscatto con le vendite del cofanetto antologico PANDORA’S BOX, che include tre CD e un booklet ricco di fotografie inedite e di commenti esclusivi dei musicisti sui brani selezionati, 24 dei quali mai apparsi nella discografia ufficiale (versioni alternative e dal vivo incluse).
Per l’undicesimo album di studio, GET A GRIP, occorre invece attendere tre anni dal multiplatino PUMP. Esce nell’aprile ’93 per la Geffen, e a quella data i bad boys di Boston hanno alle spalle 35 milioni di album venduti… Ma non mancano di celebrare la vita spericolata che ha caratterizzato la loro carriera, a cui allude il singolo apripista “Livin’ On The Edge”, che varrà agli autori un altro Grammy. GET A GRIP, ancora prodotto da Fairbairn a Vancouver, ma con missaggio finale realizzato dal rampante Brendan O’Brien, è un album davvero energetico per una band di “non giovanissimi” reduci da uno spossante tour mondiale di 18 mesi. Vi figurano ospiti eccellenti (Don Henley, Lenny Kravitz, Desmond Child) ed i brani di spicco, da “Eat The Rich” a “Shut Up And Dance”, sono solidi e intriganti, anche se il confronto con i due precedenti è oggettivamente sfavorevole. Non per il pubblico, che gli regala il primato di album più venduto di sempre a livello internazionale (venti milioni di copie certificate) dell’intera discografia degli Aerosmith.

Il tour promozionale li riconduce in Europa, ma i programmi di maggior richiamo sono riservati per il 1994.
In gennaio sono la principale attrazione del festival Hollywood Rock in Brasile; a fine mese esce la colonna sonora del film “Wayne’s World 2” di cui fanno parte due brani live “Dude” e “Shut Up And Dance”. In attesa di conquistare nuove legioni di fans grazie alla rilevante esposizione cinematografica, gli Aerosmith aggiungono alla loro collezione di trofei altri due American Music Award e altrettanti ambiti Grammy.
La nuova stagione trionfale inaugurata nel 1987 non sembra conoscere soste e le superstar del rock americano sono invitate, in qualità di principale attrazione, ad assicurare il rilancio del festival  Monsters Of Rock che si terrà a Castle Donington il 4 giugno 1994. Nel frattempo, in novembre, la Sony cala l’asso dell’imponente BOX OF FIRE, che raccoglie in 12 CD l’opera omnia del quintetto per Columbia (1973-1988, compresi i “Classics Live” e “Gems”); a dispetto di proporzioni, costo ed un bonus CD di sole 5 tracce inedite, la “scatola di fuoco” conquista il disco d’oro.
Come ogni consolidata istituzione del rock, gli Aerosmith fanno incetta di riconoscimenti ma bisogna attendere fino a marzo 1997 per l’effettivo nuovo album, il dodicesimo di studio NINE LIVES, prodotto da Kevin Shirley di fama Journey. L’impatto iniziale è addirittura esaltante: la title-track ed il primo singolo “Falling in Love” sono lo specchio fedele di una band leggendaria, che suona rock’n’roll in grande stile e con intensità ancora a livelli di guardia. Steven Tyler si conferma vocalist supremo, mentre l’ex-gemello ‘tossico’, Joe Perry, ritrova persino le taglienti sonorità dei Seventies. In “Falling…” il gruppo è affiancato da una gloriosa sezione di fiati, alla maniera dell’indimenticabile “Rag Doll”. Quando liberano la loro miracolosa energia, gli Aerosmith continuano a sbalordire, in “Something Gotta Give” e soprattutto nella spasmodica “Crash” suonata al ritmo di -oltre- vent’anni prima (“Rats in the Cellar”!). Le riserve semmai vengono dai brani maliziosi e realizzati per intrattenere il pubblico ‘meno’ rock: non tutte le ballate sono al vertice del versante romantico degli ‘Smith. Ma anche nei brani manierati, ad esempio “Kiss Your Past Goodbye”, che fonde una melodia beatlesiana con parti di chitarra à la Clapton circa Derek & The Dominoes, Tyler ed i suoi dimostrano classe.
Non a caso, NINE LIVES sarà l’ultimo loro album a raggiungere il primato nella classifica di Billboard. Ma il nuovo corso Sony sembra continuare sotto i migliori auspici, addirittura con il loro singolo di maggior successo: “I Don’t Want To Miss A Thing” (1998, tema del film “Armageddon”) scritto da Diane Warren, per la prima volta consegna al quintetto il numero 1 di categoria. Nell’autunno 1998, un tipico Best Of dal vivo, A LITTLE SOUTH OF SANITY chiude idealmente l’era Geffen (antologie escluse).

Musica nel Terzo Millennio

La novità di studio JUST PUSH PLAY (2001) esce a quattro anni di distanza dal corroborante “Nine Lives”, accompagnando l’ingresso dei suoi artefici nella “Rock And Roll Hall Of Flame”. Si presenta però con copertina indecorosamente copiata dall’album “That’s The Stuff” degli Autograph; il singolo apripista, “Jaded”, non merita di affiancare gli hits mandati in orbita da “Permanent Vacation” in poi. L’indigestione di record in classifica, culminati con “I Don’t Want To Miss A Thing”, non ha placato gli appetiti milionari del gruppo, che insiste sulla strada dei brani sovrarrangiati, purtroppo senza la forza interiore del passato. La tattica di “Just Push Play” è facilmente intuibile: dare una patina formale di suono da nuovo millennio al tipico stile del gruppo, con effetti techno che invadono la brutta title-track oppure “Outta Your Head”, ed aggiungere una massiccia dose di ballate. C’è del buono in “Light Inside” e fra le melodie commerciali, in “Avant Garden”, ma è nel classico hard rock (“Beyond Beautiful”), anche miscelato con il R&B (“Trip Hoppin”) che Tyler e compagni si dimostrano degni della loro straordinaria reputazione. “JPP” sfiora il primato (secondo posto) in classifica negli USA, ma testimonia che non è più tempo di miracoli per gli Aerosmith. Semmai prove competenti, come l’album di cover blues di tre anni dopo, HONKIN’ ON BOBO (marzo 2004) che rinnova la collaborazione con il produttore storico Jack Douglas. L’unica composizione originale, “The Grind”, non è nulla di speciale, ma il quintetto paga con disinvoltura il suo tributo ad influenti classici blues-rock, prima degli Stones di “Blue & Lonesome” e a mio avviso, meglio. Le doti da urlatore di Tyler sbalordiscono ancora, e particolarmente convincenti appaiono “Baby Please Don’t Go” (a suo tempo rilanciata dagli Amboy Dukes), “You Gotta Move” – che intitolerà il successivo DVD dal vivo – ed il gospel catartico di “Jesus Is On The Main Line”.

Nel 2005 gli Aerosmith recuperano registrazioni di oltre tre anni prima all’Hard Rock Hotel di Las Vegas per tener caldi i fans con il live ROCKIN’ THE JOINT. Negli anni si moltiplicano incidenti di percorso, progetti individuali e conflittualità fra i due personaggi più in vista della formazione, Tyler e Perry, con minacce di smantellamento dello storico sodalizio. Finalmente il solito quintetto realizza nel novembre 2012, il travagliato quindicesimo album di studio, MUSIC FROM ANOTHER DIMENSION! Nonostante l’espressa volontà di operare con il produttore Brendan O’Brien, al top dei desideri rock americani dai Black Crowes/Pearl Jam in poi, è ancora Jack Douglas a reggere complessivamente le sorti dell’opera (d’addio?) degli ormai ex-bad boys di Boston. La durata di 68 minuti, giustificata dalla lunga assenza, è a mio avviso proibitiva, ma l’intento del gruppo è lodevole: restaurare la carica rock’n’roll dei classici Aerosmith abolendo troppi sbandamenti pop. L’unica mossa commerciale è il duetto fra il “giudice” Tyler e Carrie Underwood, stella country di “American Idol”, in “Can’t Stop Lovin’ You”, comunque ben riuscito. Ma gli intenti sono dichiarati in apertura dal pulsante hard rock di “Luv XXX”, con parti vocali che riecheggiano a modo loro Beatles e Stones circa 1967. I singoli, il primo “Legendary Child” e “Lover Alot”, confermano la tendenza senza compromessi, e mi piace il riff vizioso di “Oh Yeah”, tipico del suo autore Joe Perry. Gli avvicinamenti al passato possono esser discussi per troppa affinità ma non per incoerenza, “Out Go The Lights” che emula il funky-hard rock di “Last Child”, oppure “Street Jesus” che ripropone l’andatura frenetica di “Toys In The Attic”. Inevitabili le power ballads (altro singolo, “What Could Have Been Love”) e la conclusiva “Another Last Goodbye”, che a posteriori, annuncia a suo modo la fine di una fulgida era.
“MUSIC…” non è dunque un lascito epocale, ma chiude onorevolmente la carriera della più grande formazione R&R d’Oltreatlantico. Con i tempi che corrono, i gruppi si dedicano alla ben più remunerativa pratica dei concerti live; infatti, da inizio settembre a fine gennaio (2024) gli Aerosmith torneranno per l’ultima volta “in sella” con il tour d’addio PEACE OUT™, avvalendosi di una support-band del calibro dei Black Crowes.
Resta il testamento discografico di una formazione immortale: delittuoso ignorarla.

17 Commenti

  • Tim Tirelli ha detto:

    Beppe, Beppe, Beppe, torni a farmi palpitare il cuore con la tua prosa e il soggetto in questione: gli Aero! Dal 1974 al 1993 mi hanno fatto sognare, dischi obliqui inclusi (i miei tanto amati NIGHT IN THE RUTS, ROCK IN HA HARD PLACE e DONE WITH MIRRORS ). Grazie quindi per questa tua maestosa rispolverata. Uno dei miei alias è Steven Tyrrell … che ti devo dire, averli amati è una fortuna. GET YOUR WINGS, TOYS e ROCKS (e non solo) capitoli stellari della musica Rock. Ah, che anni formidabili … ma anche se il tempo passa la passione non cambia: una volta rocker, rocker per sempre.
    Tim T.

    • Beppe Riva ha detto:

      Caro Tim, bello davvero il tuo intervento che mette in luce quel sentimento di inguaribili nostalgici del grande rock che condividiamo. Poco importa se alcune opinioni possono essere differenti, ma se frutto di competenza vanno rispettate e nel caso degli Aerosmith c’è poco da discutere. Gruppi cosi, in questo secolo di diffusa decadenza, non ne nasceranno più ma noi gioiamo per aver assistito alla loro parabola ascensionale. Tante grazie di aver scritto.

  • Giuseppe ha detto:

    Ah, gli Aerosmith! una delle mie 5 band preferite di sempre ed a lungo al primo posto… non a caso il gruppo che ho visto più volte dal vivo (spendendo anche tanti bei soldini), quasi sempre con grande soddisfazione! ho gradito molto nella tua bella retrospettiva alcuni dettagli come lo spazio giustamente concesso ai tre album solisti di Joe Perry (stendiamo invece un velo pietoso sulla sua attività solista più recente…) o il giudizio su Nine Lives, per me l’ultimo vero grande album degli Aerosmith, dopo è stata tutta “downhill” … certo che a noi (mi permetto il plurale) che abbiamo amato visceralmente la band di Movin out o Lord of thighs o Toys piuttosto che Rats in the cellar o Nobody’s fault (e qui mi fermo perché l’elenco sarebbe lunghino!) fa un po’ specie che per molti gli Aerosmith siano invece quelli delle varie Cryin’ o I don’t want to miss a thing, n’est pas?

    • Beppe Riva ha detto:

      Certo Giuseppe, gli Aerosmith meritano una posizione di primo piano nella scala dei valori rock. Per la retrospettiva dovevo operare delle scelte (è già lunga così, per il web), quindi ho preferito tagliar corto su aspetti più recenti ma dare il giusto peso, ad esempio, a Joe Perry Project. E’ vero che per generazioni più fresche gli Aerosmith sono quelli dei successi commerciali che citi, ma non c’è “grande nome” del rock che non abbia risvolti di cassetta…Ed io preferisco che si siano rilanciati con qualche compromesso piuttosto che finire nel “dimenticatoio” come altri fuoriclasse trascurati dal pubblico di massa nonostante valori inestimabili. E non dico a chi sto pensando…Inoltre noi sappiamo distinguere, no? Ciao e grazie!

  • Luca ha detto:

    Ciao Beppe: grande pezzo, grande gruppo.
    Visto che dovrebbero chiudere i battenti secondo te, ci sono degli “eredi” o almeno buoni influenzati nei tempi attuali?

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Luca e grazie, naturalmente. Gli “eredi: degli Aerosmith ci sono stati negli anni 80. Gli ultimi grandi epigoni (non cloni!) sono stati i Guns N’Roses. È una questione di tempi, radici e cultura musicale, gruppi così non se ne vedranno più. Purtroppo. Emuli di basso profilo non ci interessano…Sarebbe differente se si parlasse di un genere etichettabile, ma non è questo il caso.

  • Francesco angius ha detto:

    Gruppo fantastico e retrospettiva molto bella e interessante. Per il mio gusto personale i Kiss e soprattutto i Blue Oyster Cult sono stati più seminali, ma sono quisquilie. Visti al monster of rock di Bologna nel 1990, veramente fenomenali sul palco. Surclassarono i Whitesnake del mio idolo Coverdale. Ma come non essere sempre d’ accordo con te!

    • Beppe Riva ha detto:

      Francesco ciao, ho una foto scattata con gli Aerosmith nel backstage di quel festival. Bei ricordi! Sui gusti personali non disputo; mi fa piacere che tu sia d’accordo con me, anche perché ci saranno sempre quelli che non lo sono! Ahahah…Grazie d’aver apprezzato.

  • Roberto Torasso ha detto:

    Ciao Beppe la tua passione per i 5 di Boston era nota visto le retrospettive passate esposte in varie occasioni,ero curioso di conoscere il tuo giudizio sulle ultime fasi della carriera del gruppo e devo dire che condivido il fatto che nonostante le sbandate dovute all’esigenza probabilmente di abbracciare un pubblico se fosse possibile ancora più vasto (io per dire non riesco a digerire l’orrida I don’t wanna miss a thing)il vigore e la passione per le radici del blues e del rock non sono mai venute meno…concordo inoltre che siano stati uno dei pochi graziati dalla resurrezione artistica e commerciale, e l’epoca di MTV ha aiutato molto,a dispetto di tanti ritorni non baciati da particolare fortuna.. dalla loro gioca anche un carisma riconoscibilissimo che ormai difficilmente, molto difficilmente, verrà replicato da una eventuale futura formazione in grado di raccoglierne l’eredità..

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Roberto, se è nota la mia passione per i 5 di Boston ne vado fiero, è stato uno dei gruppi più importanti ANCHE della mia storia musicale. Carismatici, assolutamente: anche in un mondo inflazionato come quello dei cantanti rock, ad esempio, la voce di Steven è riconoscibilissima, al di là della presenza scenica. E’ vero, questo articolo è stato concepito anche per chiudere il cerchio e dire la mia sul passato più recente. Spero possa servire e piacere. Grazie, alla prossima.

  • Lorenzo ha detto:

    Buonasera Beppe, poco da aggiungere a quanto hai scritto, questa raccolta sarà una buona piattaforma di partenza per chi non conosce la band.
    Non c’è dubbio che gli Aerosmith siano la più importante ed influente band hard rock americana; primato che a mio parere
    condividono con i Blue Oyster Cult, nonostante questi ultimi non abbiano mai avuto lo stesso appeal commerciale.
    Altrettanto certamente i bostoniani si sono resi protagonisti della più incredibile seconda giovinezza che il rock ricordi, e secondo me ce l’hanno fatta più che altro con le loro forze, al di là dei vari songwriter esterni. Il vero uomo in più probabilmente fu Bruce Fairbairn, per come la vedo io.
    Grandissimo rispetto per i capolavori degli anni 70, ma senza Permanent Vacation e tutto ciò che venne dopo, temo che gli Aerosmith oggi sarebbero ricordati diversamente e soprattutto conosciuti poco e male fuori dagli USA.
    Quindi, viva gli anni 80…

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Lorenzo. Giusto considerare Aerosmith e Blue Oyster Cult al top. I primi hanno riscosso più successo e più a lungo, ma non è tutto. Fairbairn è stato per il rilancio degli Aerosmith ciò che ha rappresentato Jack Douglas per la loro affermazione. Forse qualcosa in meno come importanza del binomio produttore-gruppo. Certamente senza la nuova era post-Permanent Vacation, Tyler e soci sarebbero finiti nel limbo dei grandi decaduti. Grazie delle osservazioni. Ah, già…Viva gli anni 80, senza dubbio!

  • Alessandro Ariatti ha detto:

    Ciao Beppe. Complimenti per l’articolone su questa band fenomenale. Essendo musicalmente “figlio degli Eighties”, ovviamente scoprii gli Aerosmith in quella decade, esattamente con “Done With Mirrors”, che peraltro trovai (e trovo ancora oggi) molto bello. Già prima di Permanent, proprio perché Mirrors mi piacque così tanto, iniziai a ricercare anche tutti gli lp precedenti, e faccio ancora fatica a scegliere “un preferito” fra i primi 4, che reputo quasi tutti allo stesso livello. Assolutamente corrispondente al vero (ma non c’è bisogno che lo dica io) quanto affermi: ovvero che, a differenza dei gruppi metal 80’s, gli Aerosmith hanno sempre fatto della versatilità artistica uno dei loro maggiori punti di forza. Ad un orecchio attento, in realtà, anche diversi episodi di Vacation e Pump, al di là di un trattamento sonoro più patinato, lasciano intravedere l’eterogeneità stilistica ereditata dai Seventies. Un caro saluto.

    • Beppe Riva ha detto:

      Certo Alessandro, anche con un tocco più commerciale la versatilità dei musicisti si evidenzia. D’accordo, i primi 4 LP degli Aerosmith irrinunciabili. Ti ringrazio come sempre e saluto con simpatia.

  • Stefano cesarini ha detto:

    Ciao Beppe buongiorno complimenti per l’articolo davvero ricco di spunti di apprendimento e di approfondimento; una delle più grandi band di rock’n’roll di sempre anche il caro Robert Plant in una sua intervista disse di amarli.

    • Beppe Riva ha detto:

      Grazie Stefano. Vero, Robert Plant non è tenero generalmente con chi non ritiene all’altezza. Idem Page. A presto, ciao.

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