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ALBUM & CD

Quattro voci da conoscere ed amare

Il country rock è donna. Quattro nomi da conoscere e imparare ad amare... se già non l'avete fatto.

Ho amici con cui con una certa frequenza scambio suggerimenti per l’ascolto di nuove o vecchie cose che possono essere sfuggite o ignote. Un tempo era difficile farsi sfuggire qualcosa di buono… la quantità di prodotti era sicuramente simile all’attuale ma la percentuale di cose buone e interessanti era quasi imbarazzante : raramente mi è accaduto, un paio di vite fa, di comprare o ascoltare un disco e restarne malamente colpito. La creatività e la qualità erano probabilmente al loro massimo storico e pure i gruppi da “un colpo e via” o che si sgretolavano dopo un paio di dischi erano in grado di produrre album di alta qualità.

Comprendo perfettamente che, non ho ancora capito il perché ma prima o poi ci arriverò, esista una corrente di intellettuali della musica altrui che INSISTE nel voler mostrare e dimostrare al mondo che anche oggi ci sia moltissima musica bella e positiva da ascoltare. Io, anziano boomer con pantofole ma con orecchie ancora perfettamente funzionanti, non mi trovo assolutamente d’accordo.

Quando ascolto un “nuovo gruppo” o lo trovo totalmente privo di qualità compositiva (…i pezzi, i pezzi, i pezzi…) o immediatamente mi viene qualcuno di storico in mente ( ed a quel punto mi ascolto l’originale) oppure il prodotto appartiene a un genere così lontano dai miei gusti (il growl, il metal estremo, la velocità fine a se stessa, i testi ridicoli…) che sono felice di non avere più quella smania compulsiva che mi spingeva un tempo a cercare di ascoltare ed avere molto, quasi tutto.

Così lascio ai divulgatori il pietoso compito di convincerVI che tizio o caio valgano i vostri soldini e provo sincera ammirazione per chi continua a crederci. Ammirazione che si estende a quelli che DICONO di ascoltare ed apprezzare di tutto, da Miles Davis ai Defecation, e di sentirsi in grado di capire il singolo valore intrinseco di ogni artista. Poi magari non conoscono Dylan, i Dead e Zappa… ma… chissenefrega no ?

Così mi ritrovo a ricevere messaggini whatsapp da Torino o dalla Toscana, dalla Sicilia e ci scambiamo pareri e suggerimenti, utilizziamo frasi e giudizi che per decenza ci risparmiamo pubblicamente anche perché l’algoritmo dei social funziona… come dire ? … a cazzo di cane… e blocca chi capita con il 99% di errori che nessuno può mai contestare al famigerato quanto inesistente “board” di controllo… Giusto per capirsi : sono stato bloccato per un mese per aver condiviso un post sul lupo che è stato giudicato “tentativo di carpire o diffondere tecniche di frode informatica”… e vi invito caldamente nelle vostre ricette di non citare mai certi ortaggi perché potrebbero essere considerati offesa a un genere …fluido…

Nei nostri messaggini, dicevo, alleghiamo sempre link di youtube per consolidare le nostre opinioni. Chiamiamole minuscole , appassionate, recensioni di poche righe. Giorni or sono un amico mi chiede quali potrebbero essere alcune voci femminili da apprezzare escludendo le classiche Dee della voce che tutti citiamo : le prime che ti vengono in mente che non siano la Divina Slick, la Baez o Aretha, solo per restare nei sessanta.

Così, ancora non reduce ma estremamente coinvolto dalla mia infatuazione profonda per The Third Mind, sparo senza esitazioni quattro nomi di voci femminili che nessun appassionato dovrebbe mancare di conoscere se già non lo ha fatto.

Dico Jesse Sykes d’istinto, come primo esempio. Jesse non è una ragazzina inplume : da almeno un quarto di secolo sgomita per far conoscere il suo country alternativo, il suo elettrico approccio al folk che gli amanti delle etichette da un po’ di tempo inquadrano come “americana” senza che nessuno riesca veramente a dare una definizione definitiva del genere. Alle sue spalle alcune collaborazioni interessanti e alcuni album con il suo gruppo : Jesse Sykes & The Sweet Hereafter. Personalmente ho iniziato a cercarne le tracce solo dopo che ho preso la mia sbandata per The Third Mind, gruppo di cui ho accennato recentemente.

E qui la strada si inerpica.

La voce di Jesse è soffice, delicata, lineare, soffusa se mi si concede l’aggettivo. Il suo approccio al country è una sorta di affiancamento a un genere che non sfocia mai nelle classiche ballate campagnole eseguite con …gli attrezzi del mestiere. Forse per questo motivo o per la vicinanza all’utilizzo di una delicata psichedelia, finisce con il collaborare al primo disco dei Third Mind di Dave Alvin dove Jesse fa una comparsata di gran peso nella versione di Morning Dew e collabora ai cori. Nel primo disco dei The Third Mind, l’improvvisazione PARE regnare riportandoci alla California dei sessanta dove ogni prodotto sembrava uscire dai fumi di serate trascorse a inseguire una traccia musicale solo accennata e che diveniva, alla lunga, un brano da cristallizzare su un disco. Da questo punto di vista gli strumentali che occupano una buona parte del primo disco del gruppo ricordano molto, da vicino l’approccio al blues psichedelico dei primi Quicksilver Messenger Service, quelli di Duncan e Cipollina quando ancora Dino Valenti era in carcere e non aveva trascinato il gruppo verso orizzonti più folk rock. La riproposizione di classici altrui porta proprio a pensare che il disco sia il prodotto di una “libera uscita” di amici che eseguono, a loro modo, acidissime ed elettriche versioni di brani di Alice Coltrane, Journey in Satchidananda , che evitando i colori di Davis o Coltrane riportano immediatamente al cuore i primi Grateful Dead, quelli con Pig Pen.

Dead e Garcia che vengono abbondantemente citati nella lunghissima versione di Morning Dew che viaggia, appunto, a metà tra Dead e Quicksilver, guidata dalla voce della Sykes.

Le due chitarre di Alvin e David Immergluck volano anche su East/West, riproposizione dalla Butterfield Blues Band in un emozionante tuffo nel passato di chi ha amato quella California e San Francisco.

Ma è con il secondo recente Third Mind 2 che la voce di Jesse diventa presente e predominante. Il disco mantiene, se non rafforza il confronto con i Quicksilver dell’esordio, ma tutto accade sul tappeto della voce sinuosa che è adesso l’elemento essenziale del gruppo. Lo spirito della improvvisazione latente, la lunghezza di tutti i brani, le lunghe e corpose chitarre adesso sono tutte al servizio della voce narrante che ha, forse, il suo picco nella lunga Sally Go ‘Round The Roses . E qui è necessario fare una riflessione.

Se la Morning Dew era un brano il cui testo di Bonnie Dobson (la canzone NON è dei Dead) del 1962 riporta all’alba successiva ad un olocausto nucleare dove l’ultimo uomo e l’ultima donna sopravvissuti privi di speranza la cercano in una passeggiata nella rugiada del mattino, la Sally cui si suggerisce di restare a curare le rose invece di recarsi in città perché potrebbe incontrare il suo ragazzo con un’altra, è brano del 1963 cantata da un quartetto di colore , The Jaynetts, che fu amato dalla Slick e poi ripresa da Laura Nyro. Il cerchio si chiude. Ed i testi entrambi coraggiosi per l’epoca è bene ricordarlo, paiono perfetti per le esecuzioni elettriche, taglienti dei Third Mind.

Brava la Sykes che cresce immensamente e adorabili loro a riportarci in mente i profumi di un’era dove tutto era permesso, in particolare credere di cambiare il mondo ma di sperimentare ciò che oggi non è più possibile fare.

Dalla Jesse Sykes è stato facile dare il secondo nome. Per un motivo semplice : alle mie orecchie la voce della ragazza è speculare a quella della grande e poco nota Margot Timmins dei Cowboy Junkies. Identico approccio melodico, identica passione per non strafare, identica tonalità e forza interpretativa. I canadesi Cowboy hanno donato nella loro quasi quarantennale carriera una manciata di album che dovreste proprio imparare ad amare, dal lontano The Trinity Sessions, registrato all’interno di una chiesa a Toronto proprio per la particolare acustica del luogo. La prerogativa del gruppo – le cui radici mescolano i classici del blues nero ai grandi del jazz come Coltrane e Coleman … la storia si ripete sempre – è l’utilizzo di strumenti anomali che non hanno riscontro nel rock come la fisarmonica o il mandolino che riescono a fondere con chitarre elettriche ed acustiche dominate dalla voce della Margot.

I gusti, come sapete, sono sempre molto personali e chi non ha esperienza diretta dell’artista ha a propria difesa solo la fiducia di chi vi parla e stimola vostra curiosità; così, se dovessi dare indicazioni di massima vi suggerirei le Nomad Series, le due Trinity Sessions, ma sopra ogni cosa se davvero doveste portarvi a casa un solo disco dei Cowboy Junkies, vi consiglierei con tutto il cuore Long Journey Home, un disco e dvd dal vivo che è il picco della qualità interpretativa dei fratelli Timmins e che contiene grandi cover tra cui una splendida Helpless di Neil Young e la versione più bella di Sweet Jane dopo quella interpretata dalle chitarre di Hunter e Wagner. Raramente troverete in circolazione un disco così bello.

E quelle sono perle che vi porterete dietro tutta la vita.

Credo che suggerire di ascoltare la splendida voce di Aimee Mann sia una conseguenza diretta a questi due primi nomi. La Mann è un’altra cantante che ha le radici nel folk rock statunitense… è inutile : le donne in quel genere sguazzano in modo perfetto… ed un passato con un gruppo, i ‘Till Tuesday , che non ho mai approfondito. La carriera personale pare essere legata a certe colonne sonore per cui la signora della Virginia sembra avere una speciale predilezione per indovinare le emozioni delle immagini e delle storie e riproporle nelle sue canzoni. I suoi testi sono assolutamente anomali e densi di riferimenti culturali. Aimee canta di suicidio e insanità mentali, di amori coraggiosi e di personaggi ai margini della società, mantenendo una sorta di autoironia che maschera la crudezza delle immagini che evoca. Anche qui la voce non è debordante, aggressiva, con picchi ed acuti alla Grace Slick, ma delicata, avvolgente, lineare. Intonatissima.

Della Mann non dovreste esimervi di avere in casa la colonna sonora, quasi interamente sua, dello splendido Magnolia, pellicola cui lei dona due perle che sarebbero sufficienti a farla ricordare per sempre : Save Me… dove si canta della necessità di essere salvati, appunto, dai pazzi che non credono che esista chi possa davvero amarti e dalla ritmata, sinuosa, memore della 40 degli U2 come timbrica , Wise Up. Credo che il cd sia facilmente reperibile con un esborso minimale : approfittatene.

L’ultimo nome che mi è venuto in mente proviene sempre dalla medesima urna del country rock, anche se sinceramente l’inserimento in quel genere mi è sempre parso limitante per Mary Chapin Carpenter. Ecco, con lei la voce prende toni più forti, viaggia su strade più cantautoriali che folkloristiche e il gruppo che la accompagna calca la mano su un country elettrico più vicino a Lucinda Williams. La Carpenter ha passato diverse fasi artistiche e forse proprio per questo la definizione di cantante folk è così generica da servire per darle un cassetto dove porla. Con lei decine di sessionmen nel corso della carriera e molti provenienti da quel suono californiano che ben conosciamo. Lunga la sua vicenda al punto che non vorrei indicare uno o più dischi ma due sole canzoni che possano aiutare a capire : Between The Dirt and the Stars con un lungo solo finale di chitarra che ricorda nella struttura la Hotel California degli Eagles e la liricissima e splendida The Blue Distance. Se con queste due gemme non vi convinceste , inutile andare oltre : siete senza cuore.

Il mio messaggino whatsapp si è chiuso lì. Anche se un attimo dopo un’altra mezza dozzina di nomi mi sono tornati in mente, ma era giusto non aggiungere nulla. In fondo c’è sempre tempo per nomi, canzoni, note e parole… soprattutto quelle perché in certi generi sono essenziali… e sempre tempo per correggere i suggerimenti. Sempre che abbiate fiducia e voglia di aggiungere nomi alla vostra collezione.

There are two types of folk music : quiet folk music and loud folk music. I play both”… ci sono due generi di musica folk : quella tranquilla e quella rumorosa. Io li suono entrambi… (Dave Alvin)

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