Non ci sono solo i dischi dal vivo dei singoli artisti; attraverso le uscite celebrative delle grandi riunioni di un tempo possiamo immaginare e continuare a sognare una generazione che non ritornerà. Purtroppo.
Se il disco dal vivo rappresenta una delle tappe nella carriera di un musicista, gli album celebrativi di grandi riunioni o importanti concerti sono qualcosa di più. Nati come “indotto” di un mercato in crescita, in realtà sono spesso la fotografia di un evento che deve essere necessariamente fissato per poi venire tramandato, ricordato per sempre.
Credo che ognuno di noi abbia almeno un box o un album multiplo in casa tra i cento che sono passati dall’essere semplici estratti di concerti al rappresentare l’immagine di un episodio focale della Storia della nostra musica.
Credo anche di non sbagliare se scommettessi che la maggior parte degli ultrasessantenni possieda l’album celebrativo di quello che rappresenta il punto di svolta della cultura musicale di fine anni sessanta : chi è che non ha in casa il triplo disco di Woodstock ? Insieme a un altro paio rappresenta la fotografia di quello che è stato al tempo stesso l’inizio di tutto e forse al tempo stesso la fine di una generazione.
Spiego meglio la mia posizione : per molti appassionati della critica, Woodstock non è stato niente, giusto un concerto nel fango, con artisti in parte ancora in cerca di un riconoscimento, un episodio che non può inquadrare un’epoca.
Il giovin Trumpets, in quella estate del 1969, era a cavallo dei suoi tredici, quattordici anni; non mi sarebbe stato concessa la presenza neppure, forse, se l’evento fosse stato organizzato nella Pineta di Levante della mia città. Ricordo perfettamente che non so per quale folle istinto, improvvisamente dedicai tutte le mie forze alla comprensione di un evento che si era svolto dall’altra parte del globo e la cui comprensione, se era difficile sul momento persino per i partecipanti, figuriamoci per chi lo guardava da molto lontano.
A mio parere chi guarda con superficiale superiorità a quel concerto ha davvero capito poco e letto ancora meno di come il mondo si modificò, poco alla volta, dopo quella fine di agosto. A Woodstock – che in realtà era Bethel, luogo di ripiego dopo che il sito originale non era stato disponibile, presso la fattoria del Sig. Max Yasgur, l’uomo che da quel giorno decise di passare alla Storia – si sono concentrati, quasi per caso o per volontà del Fato del Signore della Musica, dozzine di fondamentali punti di svolta tali che da quei giorni nulla rimase uguale alla settimana precedente.
Diamo un elenco in ordine casuale.
Il marketing discografico si accorse con certezza che da quel giorno ciò che contava veramente erano gli album e non i singoli. Potrà sembrarvi folle ma spulciando qualsiasi bio di un qualsiasi artista vissuto tra la metà dei sessanta ed il 1969 vi sarà chiaro come gli “A & R men” delle etichette discografiche pensassero al mordi e fuggi del singolo, non credendo al grande mercato degli album rock. Cito a caso “Una nebbia rosso porpora”, forse la più completa e esplicita bio di Hendrix dove si spiega più volte questa svolta.
Lo stesso marketing, attonito di fronte alla immensa copertura dell’evento, decise di dare spazio a quei gruppi di scapestrati ribelli che fino ad allora pensavano potessero rappresentare solo una fettina molto limitata del mercato delle vendite.
Non solo l’America ma il mondo intero scoprì che quel mare di ragazzi erano portatori di una cultura e di una serie di messaggi sociali fino a quel momento assolutamente non riconosciuti. Il precedente di Monterey era troppo…piccolo… per suscitare la medesima emozione.
I promoters capirono quanto vasta poteva diventare in brevissimo tempo la portata degli spettacoli dal vivo.
La lineare, quasi infantile, realizzazione di un filmato che con un colpo di genio venne realizzato per la diffusione mondiale fece capire la assoluta mancanza dei limiti del suono rispetto all’immagine : da quel giorno quello che non fosse accaduto davanti a una telecamera non sarebbe accaduto.
Ricordo che l’anno successivo ero in un cinema di Viareggio che oggi non esiste più per vedere “la nascita della Storia” della mia passione e ricordo che ne venni sconvolto : chi avrebbe mai potuto immaginare quel mare di ragazzi e ragazze, la accettazione dei locali che guardavano a quella massa enorme di giovani con sospetto misto a curiosità, chi avrebbe avuto una tale fantasia da sognare quei musicisti che, nel frattempo, erano diventati i miti della mia generazione, chi avrebbe mai pensato che chi fosse stato lì, per una manciata di dollari sarebbe stato ricordato nei secoli e chi non ci fosse stato avrebbe perso l’occasione della vita ?
Quando quel film arrivò in Italia Hendrix se n’era appena andato via e ricordo che guardai l’esibizione finale con il groppo alla gola; in America il film era uscito sette, otto mesi prima.
La guerra in Vietnam era sempre lì, quei ragazzi fuggivano in Canada per evitare l’arruolamento, la consapevolezza politica e sociale era antecedente ma fu solo in quel momento che il mondo si rese conto che l’opposizione c’era e che esisteva una grande fetta della gioventù che non si riconosceva nella Grande America che tutto sa pacificare. A Woodstock nacque “ufficialmente” la controinformazione, che c’era per Dio!, ma che se non la andavi a cercare dentro i testi o le manifestazioni non l’avresti mai conosciuta.
Adesso il mondo non poteva fare a meno di ascoltare e vedere e c’era una sola cosa da fare : imbrigliarla tramite il mercato. E fu quello che accadde.
La grande era delle grandi riunioni nasceva e moriva esattamente nel medesimo giorno. Altamont , meno di quattro mesi dopo pose metaforicamente la pietra tombale solo sulla verginità e sulla purezza. Non fu il primo morto a un concerto e non fu l’ultimo ma sicuramente il più esposto, il più inevitabile.
Nel momento in cui osservavo la musica attentamente in quella scomoda poltroncina del cinema non avrei mai immaginato che vent’anni dopo, nel 1989, avrei acquistato per la rete televisiva musicale per cui lavoravo la ripresa completa di quel concerto di Jimi, e che mi era stato venduto come “il concerto completo con l’intera versione dello Spanish Instrumental Solo”… un minuto e 40 secondi che nessuno, fino a quel momento aveva mai visto o ascoltato. E in quel momento, mentre io ero al cinema in quell’ottobre del 1970 in un’isola inglese, a Wight, si era appena provato a replicare quell’irripetibile evento e in Italia i Dik Dik ne cantavano le lodi.
Per anni non avrei mai capito, io come il resto del mondo che non era lì, che le immagini finali di quei tre giorni – quelle che solo in parte mostravano il vuoto davanti al gruppo Gypsy Sun and Rainbows che fu il nome che Jimi volle dare al suo gruppo quel giorno – davvero chiudevano ed aprivano una nuova era per la musica rock. E l’abbraccio di quei due ragazzi nella foto di copertina sarebbe diventato famoso quanto l’immagine rubata di quel Fidel che tutti conoscono. Bobbi Ercoline , la ragazza, è volata via; la sua iconografica immagine resterà nei secoli.
Ecco, vi chiedo se, indipendentemente dagli artisti e delle canzoni contenute in quel triplo album, poi replicato con un doppio che conteneva altri musicisti esclusi per mancanza di spazio… e di coraggio… dalla prima uscita, avete mai guardato al vostro disco con questi occhi. Se vi siete mai fatti accarezzare le orecchie da quelle esibizioni pensando a cosa stava accadendo per caso, al mondo, in quel momento.
Temo di no. Magari avrete persino sorvolato su certi brani “minori” soffermandovi sui momenti divenuti, da quel giorno, fondamentali… sulla I’m Going Home, sulla With a Little Help From My Friends con Cocker che chiede “ricordatevi di noi”… sulla Volunteers, su la Fixin-to-die Rag… eppure ogni nota, ogni episodio, ogni annuncio dal palco rappresenta uno spicchio di una Storia senza il quale noi, oggi, saremmo assolutamente diversi. Non credo sinceramente migliori, ma sicuramente diversi.
Tutto, e mi ripeto, tutto cambia il 16, il 17 ed il 18 agosto di quel lontano 1969. Riascoltate quel disco, assaporatene la sincerità, gustatene le esibizioni schiette, oneste, reali…immaginate Pete Townshend prendere a calci Abbie Hoffman, immaginate 300 o 500 mila persone che urlano “no rain!”… guardate gli occhi persi di Grace Slick e di Carlos Santana sul palco in orari folli dopo aver preso LSD e mescalina… riascoltate Grace sussurrare… “Ora che avete visto i gruppi heavy adesso ascolterete musica maniaca di mattina perché è un nuovo giorno!”… quel disco è una delle cose cui tengo di più… regalatomi dalla mia prima “vera” fidanzatina con un esborso impressionante per l’epoca… 8900 lire… e consegnatomi sotto casa per il mio compleanno. Negli anni ho cercato le nuove edizioni allargate, ne possiedo due o tre, ma non ebbi il coraggio, ed il budget, di comprare il box completo della Rhino quando seppi che completo, in realtà e nonostante il prezzo folle, non era : mancavano i Ten Years After. Morto Alvin Lee, qualcuno quarant’anni dopo aveva negato l’utilizzo di una delle esibizioni più importanti… per me e per tutti voi Alvin Lee resta cristallizzato mentre guarda in alto poi a terra e presenta il brano finale…”questa si chiama Me ne vado a casa, I’m going home… con l’elicottero…”…
Riprendetelo, riascoltatelo, amatelo, abbracciatelo. Capitelo.
Ho detto qualche riga fa che esattamente un anno dopo la Storia passava dall’Isola di Wight e l’elemento unificatore sarebbe stato Jimi Hendrix. Il mondo era mutato velocemente, come detto tutto era diverso, ed anche James Marshall era alla fine del suo brevissimo viaggio. A Woodstock nasceva un’era magica con gruppi immensi e lo stesso accadeva a Wight dove, ad esempio, c’era gente come Emerson Lake & Palmer che suonava insieme per la prima volta o Rory Gallagher che entrava nella leggenda.
Quegli eventi erano lontani dal rappresentare la perfezione della organizzazione : amplificazioni non sempre all’altezza, scarsa conoscenza delle singole necessità dei gruppi, tempi biblici per i cambi di palco, mancanza di prove tecniche e garanzie per ognuno.
Se a Bethel i Grateful Dead rischiarono di venir fulminati durante la tempesta, a Wight accadde anche di peggio. Esattamente un anno dopo Woodstock dove la parabola di Jimi era giunta al vertice, a Wight terminava il suo viaggio. Il festival di Wight era alla sua terza edizione … sì, c’erano festival anche precedenti a Woodstock, ma il mondo non lo sapeva… con risultati di convivenza con i locali, tecnici ed economici discutibili.
La caratteristica dei festival era sostanzialmente il coraggio di mescolare sul medesimo palco, suoni e tendenze così diverse da evidenziare in primo luogo il messaggio che “la Musica era una soltanto”.
E così Cactus e Ten Years After si alternavano a David Bromberg e Kris Kristofferson, Hendrix a Procol Harum e Miles Davis, ai Taste, The Who, Free…
L’inevitabile album triplo che venne compilato da quelle sere seguì di un nulla la morte di Hendrix, che già sul palco mostrava una stanchezza ed una sorta di rassegnazione per la sua stessa inevitabile luminosa stella : lui voleva suonare i nuovi brani e le richieste facilmente udibili erano tutte per i vecchi, la pedaliera sembrava lontana dai suoi mocassini, i ritardi per la preparazione del palco al limite del sopportabile, ma su tutto i rientri sulla amplificazione di radio FM locali e delle radioline del servizio d’ordine parevano messe lì solo per turbare ancor di più quell’animo tormentato.
In tutta la tragicità di quello spettacolo Jimi chiede scusa, propone di “ricominciare tutto da capo” e presenta Freedom, fino a giungere alla chiusura finale dove chiede perdono per un concerto nato e sviluppato male…”vedremo di fare di meglio la prossima volta”. Una prossima volta che non ci sarà per “l’uomo con la chitarra”.
Eppure, vi giuro, che quel concerto resta ugualmente affascinante nel suo inaspettato svolgimento.
Il resto ? Splendido, come splendida era quella musica, mai più così libera e creativa come in quei tempi. I TYA bissano il medley di un anno prima sulla base di I can’t keep from crying sometimes, Cohen incornicia l’inizio della sua carriera, Cactus e gli altri vanno ben oltre il proprio compito.
Da notare che il titolo dell’album è “The first great rock festivals of the seventies” e quindi le quattro facciate dedicate a Wight sono accompagnate da un disco che regala estratti dall’ Atlanta Pop Festival, con una manciata di brani davvero spettacolari di Johnny Winter And, The Allman Brothers e dei Mountain.
Le note di copertina non possono evitare di esporre marketizzazione di quegli eventi, come già detto, ma la musica resta di una forza espressiva rara. Se non avete mai visto questo album andatevelo a cercare : è bellissimo.
Oramai la stagione dei festival è una valanga. Le estati sono piene di riunioni oceaniche di ragazzi che hanno perso la stella cometa ma che vanno lì essenzialmente per la musica; e non è detto che sia un male. Tra i cento che potremmo segnalare, è il doppio celebrativo del Mar Y Sol festival che vi ricordiamo qui. Siamo agli inizi della primavera del 1972 a Porto Rico. Duane Allman se n’è già andato a cavallo della sua moto, Berry Oakley lo seguirà purtroppo a breve; Jimi è un fantasma che aleggia su tutti, con E,L & P, la J.Geils band, la Mahavishnu Orchestra, Dr. John, BB King, The Allman Brothers, Cactus e Nitzinger… Osibisa.
La verginità è definitivamente perduta, il music business ha avuto in sopravvento, i long playing sono adesso il centro del mercato e finalmente i 4 minuti non sono più il recinto entro cui costruire un singolo. La musica vola alta, lo potrà fare ancora per anni, prima che … il vento cambi definitivamente… ma il nostro sogno, che fosse tale o meno, resta in alto come quel gabbiano Johnathan Livingstone di cui si scriverà proprio in quei giorni come metafora della libertà, della necessità di trovare nuovi mondi ed un altro modo di esistere.
Chi ha avuto la fortuna di assistere in quegli anni cruciali… assistere, respirare, non leggerne soltanto… alla verticale evoluzione della “nostra” musica potrà raccontare ai nipoti, se ne avrà e se avranno loro voglia di capire per sognare, che c’è stato un tempo in cui ogni giorno rappresentava una scoperta di una nuova strada da percorrere. Questi dischi ne restano testimonianza indistruttibile.
Un’ultima nota.
Il mercato, nei decenni, ha progressivamente recuperato e proposto decine di quelle singole esibizioni. Avete solo da sbizzarrirvi a cercarle, recuperarle e incastonarle nei vostri scaffali…proprio come tante piccole gemme.
Che bell’articolo! Siamo sicuri che sia sempre vero che “Scrivere di musica è come ballare di architettura”?
Temo di sì. 🙂 più che scrivere di musica cerchiamo di raccontare pensieri e ricordi di una passione. La musica si ascolta, si assapora, si sogna.
…comunque grazie di cuore… fa piacere quando i nostri sforzi raggiungono un obbiettivo.
Bello, come sempre. Mi ha fatto ricordare Woodstock in un cinema parrocchiale dei frati domenicani (forse nel 72?) e il primo concerto a cui ho assistito. Proprio quei Ten Years After con Alvin Lee e Chuck Churchill scatenati e i mormorii di rispetto tra il pubblico : Oh! Questi erano a Woodstock un paio d’anni fa!
Il guaio è quando i ricordi superano le speranze… vuol dire che sei anziano… 🙂 e pensare che ci sono più giovani …appassionati difensori della fede… che millantano età e presenze che non possono aver avuto 😉😉😉
Ed io che vorrei aver vent’anni…