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C'era una volta HARD & HEAVY

JOHN SYKES: Scomparso un altro eroe dell’heavy rock anni ’80

Di 18 Febbraio 202520 Commenti

HEROES END…Potremmo ispirarci a questo lugubre titolo dei Judas Priest per cantare le gesta di rilevanti artisti dello scenario metal degli ’80 che ci stanno lasciando in rapida successione. La “caduta degli eroi” di questo decennio non è più un fatto episodico; ci eravamo abituati al trapasso di celebrità di epoche precedenti -dovute al fatale trascorrere del tempo- ora il fenomeno si è esteso, spesso a causa di mali incurabili, anche fra protagonisti della New Wave Of British Heavy Metal. Abbiamo già rievocato la memoria di Tony Clarkin dei Magnum (che s’imposero sulla scia della NWOBHM) e naturalmente di Paul Di’Anno.
Lo scorso dicembre se n’è andato Mick Moore, bassista dei Blitzkrieg, benedetti dai Metallica in “Garage Inc.” con la cover dell’omonimo brano, ed in seguito negli Avenger.
All’inizio di gennaio è giunto alla fine della pista anche Russ North; il cantante apparso sulle scene nei Tredegar dell’ex membro fondatore dei Budgie, Tony Bourge, si era poi affermato nei Cloven Hoof, non nella versione originale (indiziata di simpatie per il diavolo celate dietro un make-up alla Kiss). Si tramanda che per affinità vocali, abbia tentato vanamente di sostituire Bruce Dickinson, dimissionario dagli Iron Maiden nell’estate ’93.
In dicembre -la data non risulta precisata- è deceduto anche un protagonista ben più rappresentativo (non insisto sull’abusato termine “iconico”), il chitarrista John Sykes, stroncato da uno spossante conflitto con un tumore, a 65 anni. Ricorrendo ad un mio modo di dire tipico negli anni ’80, questo supereroe dell’ascia ha incarnato una figura di rocker appariscente, sia per qualità musicali, sia per l’inconfondibile aspetto, e vedremo come.

Nascita di una leggenda: Streetfighter, Tygers Of Pan Tang

Nato nel luglio 1959 a Reading, il 18enne John Sykes, che lavorava a Blackpool come operaio, fondò gli Streetfighter nel 1977 con un altro chitarrista, Dave Westrop.
Il quintetto di Burnley (Lancashire), si segnalò nel 1980 partecipando ad una delle innumerevoli compilation della NWOBHM, “New Electric Warriors” (Logo), che presentava altri gruppi emergenti come Vardis e Silverwing. Il loro brano, “She’s No Angel”, era già indicativo del nuovo corso “accelerato” del metal britannico, con evidenti breaks a fuoco rapido della solista di Sykes, anche coautore. Rimase l’unica testimonianza della sua militanza negli Streetfighter, perché non avrebbe suonato nel successivo EP autoprodotto di 4 tracce del 1982, nonostante fosse pubblicizzato come “featuring John Sykes” in una stampa successiva.
Il chitarrista infatti aveva già colto l’occasione di accedere nei Tygers Of Pan Tang. Per la cronaca, il suddetto EP 7″ è comunque un pezzo da collezione, composto prevalentemente da Mervyn Goldsworthy (in seguito con Diamond Head, Samson, FM); il brano d’apertura, “Crazy Dream” è in netto stile Thin Lizzy. Attenzione a non confonderli con gli Streetfighter tedeschi: il loro primo LP risale anch’esso all’82.
Quando Sykes si presentò ad un’audizione per i Tygers, convinti dal loro entourage discografico della necessità di un secondo chitarrista, il gruppo della Whitley Bay, costituito nel 1978, era già considerato un’autorità sul fronte della NWOBHM. Circa un anno dopo, il loro primo EP “Don’t Touch Me There” riscosse un tale successo da convincere la Neat Records a specializzarsi in heavy metal (fra le sue rivelazioni, Raven e Venom) e persino la major MCA a negoziare con l’etichetta indipendente il contratto degli stessi Tygers Of Pan Tang; ne faranno seguito la ristampa dell’EP e il debut-album “Wild Cat”(1980). Fedele al ruvido approccio del rinnovato metal britannico, l’LP irrompe nei Top 20 in patria, ma la MCA spinge per ottimizzare la rapida ascesa del quartetto anche a fini commerciali. Così la scelta del chitarrista da affiancare al leader Robb Weir ricade su John Sykes, non solo per le innegabili doti musicali, ma anche per l’attraente presenza scenica. Dunque, il look che avrà un peso determinante negli anni ’80 (non solo nell’hard rock ma nella stessa new wave), comincia ad imporre la sua legge ancor prima che si parli di hair metal in America. E John Sykes, con la sua rigogliosa capigliatura dorata, ha le carte in regola per imporsi come sex symbol “struccato” per quel pubblico femminile che andrà in visibilio per Nikki Sixx, Brett Michaels e tanti altri.
Il primo, determinante appuntamento dal vivo del chitarrista con i Tygers era da far tremare i polsi, di fronte all’arena stracolma di folla della natia Reading, nella giornata conclusiva del festival -domenica 28 agosto- con i Whitesnake (un presagio?) attrazione principale. Ma per collaudare il nuovo venuto, il quintetto aveva già fatto le prove generali, esibendosi quasi in segreto, in un piccolo club. Gli esigenti manager, Noble & Thompson, attratti dal mercato americano, decidevano poi l’avvicendamento di Jeff Cox, voce troppo brutalista per maggiori ambizioni, sostituendolo con l’aitante Jon Deverill (ex Persian Risk), frontman più classico, virtuale emulo di David Coverdale.
Il battesimo del fuoco del rinnovato quintetto, il secondo LP “Spellbound” (con poster autografato nella prima tiratura), è indubbiamente un affaire professionalmente più maturo rispetto all’opera prima. L’energia non si è certo placata, basti pensare all’iniziale “Gangland”: riff tambureggiante ed innesti della solista di Sykes ad alta velocità. Se così non fosse, non l’avrebbero coverizzata i Kreator! La produzione è sempre di Chris Tsangarides: il taglio è aggressivo ma più cesellato, su misura per i nuovi acquisti: l’impatto di “Silver And Gold”, escluso il refrain, è alquanto affine ai Judas Priest, ed il singolo “Hellbound” è un potenziale successo ad alto voltaggio.

Sykes brilla un po’ ovunque, conferendo al suono una pluridimensionalità carente nell’opera prima. Visti i tempi, coltivavo una certo ritrosia pregiudiziale verso i canoni più ortodossi di “Spellbound”, ma decisi di eleggerlo “album heavy metal del mese” su Rockerilla n. 15-1981.
In patria, il nuovo pubblico della NWOBHM non era altrettanto favorevole. Gli schieramenti di allora prevedevano posizioni piuttosto radicali, quindi le Tigri tirate a lustro non fecero balzi in avanti in classifica. La MCA rispose in modo altrettanto oltranzista, imponendo al gruppo un terzo album in studio nel più breve tempo possibile, per neutralizzare il mezzo passo falso. Nonostante le spinte promozionali, “Crazy Nights” (uscito nel novembre ’81), latitava in fase creativa, e la forzata disciplina verso un suono più accessibile non è premiata dal pubblico. L’etichetta insiste e realizza in tempi brevi una seconda edizione con annesso singolo 12 pollici, ma “Crazy Nights” prosegue la parabola discendente sul piano commerciale.
Il nucleo storico (Weir, Rocky e Dick) imputa alla “campagna acquisti” (Sykes e Deverill) l’insuccesso, ma il chitarrista si ribella e saluta la truppa, non senza velenose dichiarazioni rilasciate a posteriori (ottobre 1982) all’organo stampa ufficiale del metal, Kerrang!: ”Crazy Nights è stato un disastro, il peggior lavoro musicale che mi ha visto coinvolto. Ci trovavamo in una situazione conflittuale 3 contro 2, ed abbiamo riversato nel disco il contributo di ognuno di noi, senza elaborarlo come gruppo. Spellbound era animato da tutt’altro fuoco ed eccitazione. Mi sono vergognato di Crazy Nights e non ne conservo nemmeno una copia!”.

Sulla strada della gloria: Thin Lizzy, Whitesnake

Sykes sembra centrare il bersaglio grosso, ricevendo l’offerta di suonare con Ozzy Osbourne in tour negli U.S.A., ma l’accordo viene annullato con un breve preavviso. Allora il chitarrista sembra stringere alleanza con il cantante John Sloman -ex Lone Star ed Uriah Heep- nei Badlands, ma anche questo progetto decade (non si tratta del supergruppo di Gillen, Lee etc.).
Funziona invece la collaborazione con Phil Lynott, disperatamente alla ricerca di un axeman che possa ravvivare la fiamma dei Thin Lizzy, un po’ spenta negli anni ’80, perché Snowy White non è stato l’erede più idoneo della tradizione di grandi chitarristi dei Thin Lizzy. Secondo Kerrang!, nessun altro gruppo ad eccezione degli Yardbirds (la trilogia da sogno Clapton, Beck e Page!) ha avuto nei ranghi altrettanti valorosi chitarristi (Eric Bell, Scott Gorham, Brian Robertson, Gary Moore, lo stesso White ed infine John Sykes).
Sulla stessa rivista (di cui potete ammirare la copertina), nessuno meglio del leader maximo Phil Lynott poteva spiegare la svolta risolutiva con l’ingaggio dell’ex Tigre lungocrinita: “Penso che Snowy ci abbia insegnato una serie di sottigliezze e di blues, ma che stavamo andando in letargo. Poi è arrivato John, tutto potenza ed energia! Per lui è stato facile imparare le parti più raffinate di quanto lo sia stato per Snowy suonare in modo aggressivo: era già una componente innata in John, sebbene anche lui sia capace di soluzioni musicali riflessive.”

Phil era concorde nel definire il “Live And Dangerous” come una pietra miliare della carriera dei Thin Lizzy, ma altrettanto convinto di poter migliorare ancora, e che la band non era mai stata più “calda” di quanto lo fosse con l’arrivo di John. “Non abbiamo mai realizzato il nostro potenziale dopo la partenza di Gary Moore, e sono convinto di aver trovato la soluzione con l’inserimento di John Sykes”.
Infatti, “Thunder And Lightning” (1983) è inequivocabilmente il più potente album dei Lizzy negli anni ’80, l’ideale per competere con la nuova generazione heavy metal, gettando loro il guanto di sfida fin dalla foto di copertina. In comune con i Tygers anche il produttore Chris Tsangarides (già all’opera in “Renegade”) e l’apporto del nuovo solista al fianco di Gorham è scintillante, pur limitandosi al solo singolo “Cold Sweat” in fase compositiva. Da non sottovalutare infine il contributo di Darren Wharton, futuro responsabile dei Dare.
Peccato che questo momento magico fosse destinato ad esaurirsi in breve, perché Lynott aveva ipotecato il futuro, consegnando al Festival di Reading (agosto 1983) lo spettacolo d’addio in Inghilterra e assemblando un nuovo Live, negli studi Wessex di Londra. Il doppio album ”Life”, che uscirà in ottobre, prevedeva come special guests i prestigiosi chitarristi del passato, ed era già previsto come capitolo finale della band irlandese, nonché testamento della sua forza espressiva. Lo scioglimento amareggiò molti estimatori dei Lizzy, secondo i quali non avevano mai suonato a tali livelli! Phil aveva già programmato un tour da solista in Scandinavia, anticipando anche progetti individuali sia per Wharton, sia per Sykes: quest’ultimo aveva esordito con un singolo, “Please Don’t Leave Me”, prodotto dallo stesso Lynott, ancor prima di esser ufficializzato nel suo gruppo.

In realtà l’astro turbolento mandato in orbita dalla NWOBHM deve posticipare aspirazioni personali perché riceve un’altra irrinunciabile offerta, dai Whitesnake di David Coverdale, che trionfando nel Monsters Of Rock festival di Donington dell’83, si erano confermati come la più grande attrazione live dell’hard rock inglese.
All’inizio dell’84, un anno particolarmente travagliato per le successive partenze di Jon Lord e Cozy Powell, Coverdale decide di svecchiare il suo classico rock duro venato di blues assicurandosi proprio John Sykes. Il nuovo album “Slide It In” non è ancora un punto di svolta rispetto al passato, ma viene rimixato nonché parzialmente ri-registrato da Sykes per il mercato americano. Gli U.S.A., finora indifferenti alle sue lusinghe, stavolta cedono alla seduzione del Serpente Bianco, trasformando in platino il vinile di “Slide It In”.
Va molto oltre il successivo “1987”, dove John Sykes compone 7/9 del repertorio in coppia con Coverdale, munito di nuovo contratto Geffen. Il produttore è il celebre Mike Stone, sollevato dall’incarico a lavori in corso per giudizi poco lusinghieri sullo stato di forma del leader, che ha subito un’operazione alle corde vocali; quindi è Keith Olsen a completare l’opera. Coverdale dà ossigeno ai suoi capelli, rifacendosi alla moda hair metal (John non ne ha granché bisogno) ma soprattutto la musica è confezionata per spezzare i cuori degli americani.

“Still Of The Night” è fatta su misura per scatenare l’ira di Robert Plant, ed effettivamente emula i Led Zeppelin, “eterno amore” nostalgico del pubblico yankee, mentre gli altri due singoli, la ballata “Is This Love” ed “Here I Go Again” sono perfettamente congegnati per le dinamiche AOR. Ne consegue uno dei più grandi successi rock di tutti i tempi, con circa 25 milioni di copie sparse sul globo terrestre.
Ma le acque in cui naviga l’equipaggio sono perennemente agitate, ed anche John Sykes molla gli ormeggi, cacciato dall’altero comandante del vascello. Coverdale non ha problemi a rinnovare un quintetto di all star, da Steve Vai a Tommy Aldridge, ma va aggiunto che il successivo album “Slip Of The Tongue”, perde su tutta la linea (in qualità e consuntivi di vendita) il confronto con il predecessore.

Blue Murder e il viaggio continua...

Dopo aver rilanciato i Thin Lizzy e “ammodernato” i Whitesnake, Sykes si assume la responsabilità di un gruppo tutto suo. La prima scelta è il drummer Cozy Powell (già frequentato nei Whitesnake) che subito dopo preferisce unirsi ai Black Sabbath; viene sostituito da un altro veterano di grande pedigree, Carmine Appice (Vanilla Fudge, BB&A con Jeff Beck, Rod Stewart, Ozzy, King Kobra, etc.). Il bassista è Tony Frankin, già alla scuola di Jimmy Page, nei Firm ed in “Outrider”) mentre si rivela laboriosa la scelta del vocalist; si punta su Ray Gillen, che invece finirà nei Badlands, e le sessioni di registrazione a Vancouver, negli studi del rinomato Bob Rock, iniziano con quest’incognita. Sykes si impegna nel capitalizzare le risorse registrando una quantità di “piste” di chitarra; rinunciando all’ingaggio di un cantante, lui stesso decide infine di occuparsi delle parti vocali. “Blue Murder” esce dunque in considerevole ritardo, anche per gli impegni di Bob Rock, nella primavera 1989 (Geffen). Non incontra i favori della critica, che mette nel mirino sia la voce di Sykes, sia le ambizioni dei brani “superprodotti” e spesso prolungati, in particolare “Valley Of The Kings”, che sfiora gli otto minuti.
Come è successo tutt’altro che raramente, non ero d’accordo. Anzi, ebbi l’impudenza di celebrare “Blue Murder” come top metal album su Metal Shock. Lo reputavo semplicemente il modello di class-metal più originale, meno cliché degli ultimi mesi, siccome questo genere era ormai “addomesticato” per esigenze di classifica. Con i suoi “pretenziosi”(?) arrangiamenti cosmici di tastiere e le impetuose divagazioni strumentali (ad es. in “Riot”) l’album scansava il facile airplay. La dimensione epica di “Valley Of The Kings” resta probabilmente il manifesto più avventuroso di un trio che si proponeva come il più innovativo dell’hard rock sofisticato.
John dirà che “non ha voluto registrare un album pieno di falsità per compiacere i discografici”. Purtroppo certi valori vennero sottovalutati e riconosciamolo pure, non fu un successo.

Con l’avvento degli anni ’90, inizia un periodo di oscurantismo per molti eroi rock consacrati nel precedente decennio, e Sykes non fa eccezione. Il chitarrista imputa il fallimento dei Blue Murder alla Geffen, decisa a riappacificarlo con Coverdale piuttosto che puntare sul suo trio, rifondato per il secondo e inferiore album “Nothin’ But Trouble”, del ’93. Meno di un anno dopo, il live “Screaming Blue Murder: Dedicated to Phil Lynott”, conclude ingloriosamente la loro avventura con la perdita del contratto Geffen. Nel 2020 un tentativo di ricostituzione finì nel nulla di fatto.
John aveva invece suonato in varie occasioni nei Thin Lizzy orfani dell’amico Lynott, insieme agli importanti ex Scott Gorham, Darren Wharton e Brian Downey, utilizzando anche l’immortale sigla per l’album dal vivo in Europa “One Night Only” (2020).
La sua carriera solista, che ha prodotto quattro album di studio più un live dal ’95 al 2004, non ha ricevuto particolare risalto, se non in Giappone, dove Sykes era stato scritturato dalla Mercury. Fra questi “Loveland” (1997) era specificatamente dedicato alle ballate, inclusa una nuova registrazione di “Please Don’t Leave Me”.
Maggior fortuna poteva riservargli il supergruppo con Mike Portnoy e Billy Sheehan, provvisoriamente battezzato Bad Apple, che non divenne mai operativo, trasformandosi in Winery Dogs con l’arrivo di Ritchie Kotzen. Negli anni 20-20, scarseggiano suoi segnali di vita: solo un pugno di nuovi brani dal guitar hero del rock ottanta, verosimilmente condizionato dalla malattia che gli sarà fatale.
Le riviste specializzate Guitar World e Guitar Player l’avevano già onorato nelle loro classifiche “d’ogni epoca”. Come tanti illustri musicisti, John Sykes ha lasciato il segno soprattutto nella sua decade d’oro: lui stesso ha dichiarato, analogamente ai principali maestri della chitarra elettrica, di esser “cresciuto all’ombra del blues”. Le sue note metalliche risuoneranno ancora a lungo, per chi crede che un certo modo di fare musica rock sia inestinguibile, nonostante vogliano convincerci del contrario…Lo ricordiamo con passione.

20 Commenti

  • MarMar ha detto:

    Ciao Beppe, con discreto ritardo mi sono letto il tuo articolo a ricordo del mitico John, e come sempre non posso che ringraziarti, per come lo hai commemorato, e per i tanti ricordi che mi hai riportato alla mente. Chi mi ha preceduto ha già tessuto le giuste lodi per quanto John ha fatto nel suo periodo “magico” e io non posso che unirmi a loro. I dischi storici non hanno bisogno di ulteriori commenti, e la tripletta nei T.O.P.T., Thin Lizzy e W.S. (“1987”, il bellissimo “Slide it in” è poco suo) lo testimonia. Quando è uscito “Blue Murder” penso d’averlo acquistato il giorno stesso dopo aver letto la tua recensione, tanta era la mia attesa, ma ancora adesso non riesco a determinare se sia un capolavoro non molto compreso ( lo riascolto comunque spesso, John canta pure bene) o una grande occasione non del tutto centrata; vabbeh, tengo quel vinile come reliquia, e lo stesso dicasi per i dischi precedentemente citati. Ho avuto la fortuna di vedere John dal vivo quando ha rimesso in piedi i Thin Lizzy, e quella sera, aver potuto ammirare lui e Scott Gorham a meno di 10 metri, rimane tuttora uno dei più bei ricordi dei tanti concerti a cui ho avuto la fortuna di assistere. Concludo dicendo che per me alla fine la sua “avvenenza” e presenza scenica forse alla lunga non l’hanno favorito, anzi, era quasi più considerato il chitarrista belloccio che il chitarrista di talento sopraffino; alla fine ha raccolto meno di quanto avrebbe meritato e la sua carriera al top è stata piuttosto breve. Per me comunque resterà sempre tra i “giganti” della sei corde, per capacità esecutive e compositive, e, anche se era fuori dai giochi da molti anni, la sua prematura scomparsa mi ha lasciato un certo vuoto e molta tristezza.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Marco, anche tu ci presenti un ricordo personale del chitarrista scomparso, ed è gratificante che un articolo vi dia lo spunto per dire la vostra. Sul look di John Sykes, difficile dire se l’abbia sfavorito o meno. Si consideri che dall’epoca di MTV in avanti, l’immagine ha rivestito la sua importanza nel diffondere la musica. Nel video di Valley Of The Kings dei Blue Murder, oltre a cantar bene certamente Sykes fa “bella figura”. Ma come ho già riferito, sembra che non fosse un efficace “imprenditore” di sé stesso, e ciò sicuramente non gli ha giovato. In ogni caso, resta la sua musica come inalienabile testamento. Un sincero grazie anche a te.

  • Lorenzo ha detto:

    Precisa sentita e coinvolgente bio di John, che per il sottoscritto era uno, se non ILSUPER EROE dell’Ascia.
    L’ho conosciuto, musicalmente, nel lontano ’86 quando mi impossessai dell’album dei Thin Lizzy “Thunder & Lightning” e poi l’anno dopo con il maestoso album “1987” degli Whitesnake .
    Il 24 maggio 1989 è il giorno in cui acquistai il primo album dei Blue Murder, la band formata da John dopo essere stato defenestrato dagli Whitesnake: è un disco che mi è sempre piaciuto un sacco e al quale sono legatissimo (il giorno dopo l’acquisto, mio padre ci ha “lasciato”).
    Il live One Night Only dei Thin Lizzy (del 2000), che hai citato, l’ho consumato in auto, andando e tornando da Milano a casa. Quell’album ha rappresentato per me la ri-scoperta di tutto il catalogo dei Thin Lizzy che da allora sono diventati la mia band preferita: ho visto i Thin Lizzy capitanati da John, e da Scott Gorham, a Milano, al the Ambassador Theater di Dublino (il concerto più bello della mia vita) e a Galway.
    Mi sono “imbattutto” in John in O’Connel Street a Dublino mentre usciva dal The Gresham Hotel incrociando il suo sguardo che diceva “Ciao sì sono quello che tu pensi che io sia, ci vediamo al concerto”.
    Il primo album dei Blue Murder e il live sono ancora nel mio ipod.
    Ho comprato tutti i suoi dischi.
    Ignoravo fosse malato e trepidavo nell’attesa del suo nuovo album in eterna lavorazione dal 2019 (chissà se vedrà mai la luce).
    Si dice che la luce della memoria degli artisti cancelli il dolore della loro perdita: bah io ho perso un pezzo di me, questa volta, almeno, posso sempre ritrovarlo nella musica.
    Grazie dello splendido, come sempre, articolo, Beppe

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Lorenzo. Fa piacere che tu abbia apprezzato perché i fan più accesi sono anche (comprensibilmente) i più esigenti. E’ un arricchimento anche per noi leggere della tua esperienza personale e del “contatto” casuale con l’artista. Ho letto proprio recentemente da qualche parte che John si sentiva un musicista, nient’affatto un business-man. Forse per questo ha fatto meno fortuna di tanti altri, meno dotati nel fare musica. Ed è proprio per questa sua dote che lo ricordiamo in maniera speciale. Tante grazie!

  • Giuseppe ha detto:

    Grande Beppe, mi ha molto colpito la notizia della scomparsa di John, artista che ho molto amato nel suo periodo di maggior fulgore rappresentato per me dalla sua militanza nei Tygers di Spellbound (con l’appendice della stupenda versione di Love Potion n.9 in The Cage) e nei Lizzy (recuperate su You Tube il video live del 1983 della serie “Sight and Sound” trasmesso a suo tempo anche dalla RAI in cui il nostro appare in forma strepitosa) … Ho apprezzato decisamente meno il suo periodo Whitesnake (1987 non mi piace, ascrivendomi a pieno titolo fra i fans dei VERI Whitesnake, periodo Lovehunter/Saints and Sinners) o Blue Murder, ma il suo stile è sempre stato sopraffino … Comunque grande tristezza per la scomparsa di un altro dei nostri eroi! Grazie Beppe for the memories!

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Giuseppe, fa sempre piacere che esperti lettori trovino il tempo, con i ritmi serrati della vita attuale, di scrivere commenti interessanti sulle nostre proposte. Noto anche una tendenza preferenziale verso i Whitesnake cosiddetti “inglesi” rispetto a quelli, commercialmente vincenti (ma non solo) di “1987”. Giusto inoltre specificare il contributo parziale di Sykes a “The Cage” anche se già se ne era andato, sostituito da Fred Purser dei Penetration. Molte grazie.

  • Paolo Mon ha detto:

    Finalmente ho avuto tempo di leggere l’articolo e come sempre me lo son proprio goduto.
    Strano personaggio John Sykes, alla fine, a suo modo, è un “sottovalutato”.
    O quanto non è che il suo nome circoli chissà quanto tra gli Dei della chitarra anni ’80.
    Insomma, siamo ancora qui a chiederci dove sia finito Vito Bratta, ma la stessa domanda non l’ho mai vista fare a proposito di John Sykes.
    Eppure…
    Parliamo di NWOBHM?
    Lui con Spellbound c’era e ha fatto scintille.
    Passiamo ai Thin Lizzy?
    Ha partecipato al loro album sicuramente più duro e per tanti anche più bello e io sono tra questi.
    E mica finisce qui.
    Va negli Whitesnake, partecipa attivamente alla loro americanizzazione (io però sono tra quelli che li preferiscono “inglesi”) e prima con Slide it in (che io preferisco al successore) e poi con 1987 fa il botto.
    Insomma, quanti possono dire di aver partecipato a tre capolavori (o giù di lì) con tre gruppi diversi nell’arco di un lustro?
    Eppure non lo menzionavaMo mai (mi ci metto anch’io).
    Tra le tante, a mio avviso, ha avuto la paradossale sfiga di essere anche troppo bello e a Coverdale questo forse non piaceva.
    E già che ci siamo vogliamo parlare del cantante?
    Con i Blue Murder fa paura.
    Sì, ne sono convinto, sin troppo sottovalutato.
    Sperando di leggervi, entrambi, presto, un abbraccio.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Paolo, sicuramente John non è stato sottovalutato nell’ambito dei fans hard rock ed heavy metal, probabilmente gli è mancato il grosso successo personale (e non di gruppi di cui non era il leader) per riscuotere l’attenzione della stampa più generalista. La sua partecipazione a dischi storici della scena heavy è indubbia, l’impronta del suo stile pure, ed anche come dici tu, la voce era pienamente all’altezza nei Blue Murder, che non hanno però raggiunto lo zenit. Grazie di seguirci con interesse, cercherò di essere presente con continuità sul blog.

  • Raffaele ha detto:

    Grande ricordo di John Sykes io mi ricordo di un Kerrang di inizi anni 90 che faceva una classifica dei più bei dischi degli anni 80 e metteva Thunder an lighting al 1 posto e 1987 al secondo giusto per…

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Raffaele, non ricordo il numero di Kerrang! che citi. Certo se così è stato (e non dubito della tua memoria), sarà stata una gran bella soddisfazione per John Sykes. Grazie della segnalazione e per aver apprezzato lo scritto.

  • Roberto Torasso ha detto:

    Ciao Beppe, l’abbiamo già detto ma purtroppo dobbiamo continuamente confutarlo…lo scorrere inesorabile del tempo porterà alla scomparsa di molti dei nostri eroi e idoli musicali… per lo meno fisica,e lascerà il ricordo nostalgico dei tempi in cui abbiamo scoperto il potere magico della loro arte e la considerazione che il tempo passa pure per noi e certe emozioni vissute, parlo per me, difficilmente ma molto difficilmente torneranno visto i tempi musicali odierni.
    Sykes era ancora giovane e la dipartita , come altri, è stata molto sentita e rendergli omaggio è doveroso..
    A me personalmente piace più Slide It in del blasonato 1987, amo l’ irruenza giovanile di Spellbound ,Thunder and lighting non vive solo di Cold sweat perché il resto è di grandissimo livello,ma Blue Murder pur ottimo pecca un po’di rivalsa su Coverdale e a tratti il verso al serpente bianco è evidente e apprezzo di più la vena epica di certi brani.. opinioni personali ovviamente che non sminuiscono il valore assoluto di un musicista che contributo a scrivere pagine importanti del libro della musica Rock

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Roberto, certamente non vorrei dover scrivere troppi “necrologi”, meglio farlo quando si ha qualcosa da dire, non limitandosi alla notizia amplificata. Se non li tratto, dipende da fattori talvolta indipendenti dal gusto personale. Non ho scritto, per chiarezza, che “Thunder…” vive di solo “Cold Sweat”. Semplicemente che è l’unico brano composta da Sykes con Lynott, se ben ricordo. Comunque il mio intendimento è quello di tener vivo per quanto mi riesca il ricordo del rock di una volta…L’avrete capito. Grazie del contributo.

  • Lorenzo ha detto:

    Buongiorno Beppe. Ho letto con piacere questo tuo excursus sulla carriera di John. Senz’altro uno dei più brillanti guitar hero anni 80, ma con le gambe sempre ben piantate nel decennio precedente, prendendo il meglio dai due mondi. I dischi in cui ha suonato con i Tygers sono sicuramente i migliori tra la discografia di questa band. Io non sono un fan dei Thin Lizzy ma Thunder… è da sempre il disco che preferisco.
    Per quanto riguarda i Blue Murder, si tratta secondo me di un progetto che non ha avuto la giusta considerazione; ed è strano, pensando che il primo disco è uscito nel 1989, quando eravamo ancora lontani dal momento in cui il grunge prese il dominio della Billboard 200.
    Forse è mancato un frontman di ruolo, Ray Gillen a quanto so non era gradito a John Kalodner in occasione del primo disco, mentre lo stesso Kalodner caldeggiò l’altrettanto valido Kelly Keeling per cantare sul secondo Nothin’ but Trouble; anche in questo caso evidentemente non se ne fece nulla.
    Detto ciò , Sykes aveva ottime doti anche come vocalist. Io credo che il vero problema del debutto dei Blue Murder fosse la produzione e la resa fonica, che mi sono sempre parse poco centrate e non all’altezza di Bob Rock, motivo per cui ho sempre preferito il secondo disco della band.
    Dopo i Blue Murder, purtroppo John Sykes porterà avanti una carriera in tono minore, tra reunion estemporanee dei Thin Lizzy, ed alcuni dischi solisti di buona fattura, tra i quali ricordo “Out of my tree”, che a mio parere rimane il migliore. Più volte si parlò di un riavvicinamento con Coverdale, ma mai nulla di concreto accadde.
    E proprio a David Coverdale e ai Whitesnake vorrei ricollegarmi, in relazione al disco che senza dubbio alcuno ha reso immortale John Sykes, ovvero l’omonimo del 1987.
    Ricordo perfettamente che, forse da poco maggiorenne e ancora molto a digiuno di ascolti musicali, acquistai il cd nei primi anni 90, qui a Bologna presso Ricordi (importante e antico store di dischi, il primo in Italia ad importare il jazz americano, che ha ovviamente cessato le attività da anni). L’impatto che ebbe l’ascolto di questo disco è tuttora indimenticabile; qualche LP hard rock lo avevo già ascoltato e avevo nelle orecchie “Is This Love”, ma quella chitarra suonata in quel modo non la avevo mai sentita, e il fraseggio indiavolato su “Bad Boys” mi colpì come nulla prima. Una sensazione simile mi capitò quando ascoltai la prima volta i Rush…
    Leggo che “1987” non è un disco universalmente apprezzato, e molti fans preferiscono la versione “inglese” dei Whitesnake. Rispettosamente, non concordo; se c’è un disco immortale e, perdonami, iconico, è questo…grazie ai videoclip, grazie a Coverdale, ma soprattutto grazie alla chitarra di John.
    L’unico grande rammarico è che non ci sia stato un seguito.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Lorenzo, anche tu con un lungo commento/tributo, se ben ricordo ti piace approfondire. Ovviamente ognuno ha le proprie preferenze personali e per quanto riguarda Whitesnake, prediligo “Lovehunter” nella prima parte della discografia, prettamente inglese, “1987” dopo la svolta americana. “Slip Of The Tongue” inizialmente mi ha colpito, poi l’ho accantonato. In seguito, nulla mi ha entusiasmato. Non si può confutare che dopo i blue Murder, la carriera di Sykes sia stata in tono minore. Ma tutti, salvo eccezioni super-popolari, hanno il loro periodo d’oro. E’ già molto importante essere al vertice in uno spazio temporale significativo. Grazie delle varie considerazioni.

  • Isacco Silva ha detto:

    Quella copertina di Metal Shock me la ricordo come se fosse ieri …
    1989 . Forse l’ultimo meraviglioso anno per un certo tipo di musica .
    Grazie per il bel ricordo Beppe .

    • Beppe Riva ha detto:

      Isacco ciao. L’ho scritto anch’io sul blog, il 1989 è stato un grande anno, il “canto del cigno” del decennio prima della svolta anni ’90 che avrebbe prodotto i cambiamenti che sappiamo. Grazie del ricordo!

  • Alessandro Ariatti ha detto:

    Grandissimo excursus su un fenomeno della sei corde, che ha messo la sua firma su 3 delle più grandi band dell’hard’n’heavy, trasformandole e facendole “sue”. Devo dire che 1987 dei Whitesnake, nonostante l’incontestabile e meritato successo, è uno dei loro dischi che apprezzo di meno, perché sono troppo legato ai Mark 1 con Marsden, Moody e Lord. Non sapevo che John odiasse così tanto Crazy Nights, sinceramente (a me piace molto). Su Thunder dei Lizzy, poco da dire, se non capolavoro. Poi quei Blue Murder che proprio tu avevi giustamente celebrato su Metal Shock, e ricordo benissimo la copertina che avevate dedicato loro. Ciao Beppe.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Alessandro, per quanto riguarda “1987”, vale ciò che ho scritto poc’anzi rispondendo a Fabio. Aggiungo che ho cercato di “oggettivizzare” la storia di John senza eccedere in giudizi personali, perché si tratta di un artista che fa parte del patrimonio di tutti gli appassionati hard rock e metal. Ricercando apposta, per offrirvele, un paio d’interviste dell’epoca, ho voluto dar spazio al pensiero suo e di Lynott (citando la fonte) ed è innegabile che a John, “Crazy Nights” non piacesse affatto, ma bisogna considerare il “clima” vissuto dai musicisti durante la registrazione del disco, comprese le pressioni della casa discografica. Quando uscì ero al Car militare di Macerata, quindi se ne occupò Trombetti su Rockerilla e ne parlò bene. Grazie di seguirci sempre con interesse.

  • Fabio zavatarelli ha detto:

    Grazie Beppe per questo doveroso ricordo di un chitarrista che ha avuto ben poche occasioni per esprimere al meglio il suo talento.
    Personalmente adoro il suo primo periodo che con i Tygers .. a me i primi tre dischi piacciono da matti … sento proprio come essi, suo tramite siano stati protagonisti primario della nascita dell’Heavy Metal dall’Hard Rock. Un riffing che spinge immediatamente alla Air Guitar ed i suoi pirotecnici soli che erano veramente di avanguardia per i tempi … con tanto Gary Moore ma anche alcuni aspetti di Blackmore (con cui John condivideva il fatto di essere uno dei chitarristi più iconici e padroni sul palco del ruolo e della iconografia da Guitar Hero di sempre).

    Thunder & Lightning lo amo molto e un pezzo come Cold Sweat è una delle track quintessenziali di quel Rock di quegli anni … ed il solo …. splendido … denso tirato … con grande anima …. ed una furia … una inquietudine generazionale immessa nelle note e nelle dita infuocate.

    Per quanto riguarda gli Whitesnake devo fare alcune considerazioni: onestamente il suo apporto a Slide It In è stato molto minimo ed il grosso per aprire il mercato USA lo ha fatto il remix … anche se … preferisco da sempre la versione ed il mix inglese originale che ha ancora il timbro dei classici Whitesnake.
    Dal vivo poi il top è nei bootlegs in cui suona ancora con Jon Lord …. quella formazione, per quanto di breve vita …. aveva un grandissimo potenziale.
    1987 …. lo capisco .. ne capisco storia, genesi ed ovviamente anche lo apprezzo ma segna già un’altra sotto-fase della storia dell Hard & Heavy … le lacche i capelli cotonati … i vestiti da star di Hollywood e MTV … i Mesa Boogie piuttosto che i Marshall … le batterie iper-reverberate …. e non riesco mai ad entusiasmarmi del tutto nonostante consapevole che il riffing ed il soloing di Still of The Night, Bad Boys e Children Of The Night sia fantastico …. ma … come dici tu … molto costruito … penso alle spese anche della sua istintualità creativa …. (e confermo che Slip Of The Tongue a paragone è una ciofeca … per me almeno).

    Blue Murder …. ho apprezzato il primo disco …. ma troppo effettato e troppo sovrabbondante …. certamente figlio di una certa visione … ma anche fuori dalla sua contemporaneità e comunque troppo per essere il prodotto di un Power Trio … con il massimo rispetto di Tony Franklin e Carmine Appice ( …. ma penso che con Cozy il prodotto sarebbe stato diverso e più asciutto e diretto).

    …. poi direi una scomparsa progressiva ….. vidi un suo video su You Tube qualche anno fa in cui era premiato per qualche cosa …. ma … la sua figura sprizzava tristezza …. sembrava una persona schiacciata dalle vicende e dal businness … che aveva vissuto il top ma che poco dopo era caduto, anche magari non per colpa sua (mi è sempre sembrata una persona molto poco avezza a facili compromessi e coerente con la sua idea di musica), senza più potersi riprendere …

    …… e le ultime notizie sulla sua dolorosa scomparsa …. in qualche modo confermano questa mia impressione.

    Un brindisi a John Sykes, uno dei più grandi ed importanti chitarristi dell Hard & Heavy … e troppo e per troppo dimenticato …..

    Grazie Beppe …. come sempre.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Fabio, come tua consuetudine hai fatto un commento lungo ed accorato, direi quasi romanzesco, è proprio un tuo “tributo” personale al grande musicista scomparso. Lo dico seriamente. Le tue idee sono molto chiare, ribadisco solo che per me, l’epoca americana dell'”hard’n’heavy but chic” (lasciamo da parte le immagini appariscenti) è pienamente da rivalutare, almeno per chi non l’ha considerata abbastanza. Però tu esprimi la tua opinione con riferimenti precisi, non posso che apprezzare (se non concordare in toto). “1987” si può discutere, si possono preferire gli Whitesnake precedenti, ma è indubbio che ha segnato un’epoca, quindi non si può sottovalutare, è un termine di paragone. Con questo, bravo e grazie!

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