Aerosmith: Tom Hamilton, Brad Whitford, Steven Tyler, Joe Perry, Joey Kramer
All'inizio della lunga strada
Al tramonto dei leggendari anni ’80, quando ancora prosperava il classico filone aurifero hard’n’heavy, rendevo omaggio su Metal Shock alle glorie degli Aerosmith, la più seminale rock’n’roll band americana della decade. Nella loro discografia stava scritta tutta la verità di un suono rilanciato ai vertici delle classifiche prima dalle formazioni glam-metal, poi dalla street scene di L.A. che ne avevano ampiamente saccheggiato le riserve di fervore emozionale ed attitudine. Come se non bastasse, nel 1987 il nono album di studio, “Permanent Vacation”, li aveva risollevati dall’ingrato ruolo di pur inestimabile reliquia del passato, riconvertendoli in fenomeno di vibrante attualità: operazione che sembrava fallita solo due anni prima, con il come-back dell’originale quintetto in “Done With Mirrors”, sotto l’egida Geffen.
Con la definitiva resurrezione si sarebbero poi sprecati gli elogi nei confronti dei Supersonici della Costa Est. L’ombroso Jimmy Page, spesso caustico nei confronti dei numerosi aspiranti al titolo di “nuovi Zeppelin” che si erano succeduti in quegli anni, non ha fatto mistero di stimare gli Aerosmith come la perfetta incarnazione del combo rock’n’roll, con tutti i necessari ingredienti di talento e convinzione. Una celebrità allora emergente, Slash dei Guns N’Roses, scoprì il loro favoloso album “Rocks” a casa di una bellissima ragazza che aveva corteggiato a lungo…Difficile a credersi, pare che l’ascolto l’abbia rapito al punto di trascurare i propositi di seduzione. Persino la più aristocratica e riverita signora del rock, Joni Mitchell, ha riconosciuto che gli Aerosmith le ricordano ciò che più ha amato del rock’n’roll.
Mötley Crue, Ratt, Cinderella, Poison, Great White, Guns N’Roses, Vain, L.A. Guns, Faster Pussycat e Skid Row sono solo alcuni dei nomi più rappresentativi, che possono testimoniare la sterminata influenza esercitata dai Bostoniani sulle fasi a seguire dell’hard dilagante negli States.
Aerosmith, 50 anni dopo “The Road Starts Hear”: ancora vivi e vegeti… (Foto: Zack Whitford)
Anche i profeti del “nuovo corso” di fine Ottanta, poi esploso negli anni a venire, hanno riconosciuto il loro ruolo decisivo; Vernon Reid dei Living Colour li descrisse come l’ultima grande formazione dei Seventies, che ha istituito un fondamentale ponte di collegamento fra l’hard rock dei bianchi ed il rhythm’n’blues degli artisti di colore. Verosimilmente si riferiva alla celeberrima versione crossover di “Walk This Way” con i Run DMC. Gli stessi Soundgarden, all’epoca di “Superunknown”, un album che non può esser ignorato fra i migliori del ’94, dichiararono il loro proposito di voler realizzare un disco dove ogni brano fosse memorabile, come i classici di Led Zeppelin ed Aerosmith.
Gli albori della loro storia risalgono alla fine degli anni ’60: Steven Victor Tallarico (Tyler) e Joseph Michael “Joey” Kramer, crescono a Yonkers, New York, dove frequentano la stessa high school. Steven inizia a suonare la batteria in giovane età e si mette alla prova in alcune formazioni, fra cui Chain Reaction. Il retrospettivo “Pandora’s Box” ci ha offerto un saggio del loro ruvido garage-rock nel brano “When I Needed You”. L’incontro di Tyler con Anthony Joseph “Joe” Perry, destinato al ruolo di perfetto alter ego in una delle coppie rock più carismatiche di sempre – i “famigerati” Toxic Twins – avviene nell’estate ’70 in una nota stazione balneare del New Hampshire, Sunapee. Joe Perry e l’amico Thomas William “Tom” Hamilton si esibivano insieme nella Jam Band.
Leggenda vuole che assistendo ad un loro spettacolo in un club locale, The Barn, Tyler fu conquistato da un’intensa versione di “Rattlesnake Shake” dei Fleetwood Mac, convincendosi a stringere alleanza con Perry ed Hamilton, e cedendo la batteria al vecchio compagno di scuola Kramer per concentrarsi nel ruolo di front-man. La nascente formazione reclutò anche il secondo chitarrista Raymond Tabano, poi defenestrato dal più esperto Brad Ernest Whitford, nell’agosto 1971.
Il quintetto si era quindi trasferito a Boston, in Commonwealth Avenue, dove risiedeva anche Mark Lehman, il loro unico roadie e factotum dell’epoca. Kramer aveva suggerito il nome Arrowsmith, memoria di un libro che aveva letto da studente, modificato definitivamente in Aerosmith da Tyler, che gli voleva così attribuire una connotazione più “futuribile”.
"The Road Starts Hear", brano per brano
Aerosmith 1971, foto di Chris Smith tratta da “The Road Starts Hear”
Pochi mesi dopo, in ottobre, il gruppo decide di incidere un demo della durata di un LP, con un registratore a bobine Wollensack (cadeau dei genitori di Joe Perry), manipolato da Lehman in “presa diretta” durante le esecuzioni dei musicisti. Il nastro venne poi disperso e solo recentemente rinvenuto.
Con il coinvolgimento di Perry & Tyler ed il “restauro” sonico dell’amico produttore Steve Berkowitz, il contenuto è stato per la prima volta dato alle stampe in occasione del Record Store Day 2021, edizione limitata in vinile e cassetta.
La copertina apribile dell’LP, intitolato “Aerosmith 1971 – The Road Starts Hear”, include foto d’epoca del quintetto e nella busta interna è riprodotta fedelmente la scatola che conteneva il nastro, incluso il recapito per informazioni e contatti. Le prime, storiche registrazioni di una delle più importanti e longeve formazioni del mondo hanno naturalmente suscitato un diffuso interesse, infatti il prossimo 8 aprile uscirà anche la versione in compact disc.
La collezione è prevalentemente basata sul repertorio dell’embrionale, omonimo “Aerosmith”, che uscirà oltre un anno dopo, nel gennaio 1973.
L’”Intro” è una citazione del classico “Albatross” dei Fleetwood Mac – epoca Peter Green – eseguita con tocco felpato dal loro fan Joe Perry; il vociare sullo sfondo lascia intuire che un gruppo di amici fosse presente in sala prove. Subito dopo fa irruzione il riff Stones-que di “Somebody” che ritroveremo sull’album di debutto; il quintetto esibisce un selvatico, ruvido approccio garage-rock, con Steven Tyler già in piena forma, che sfoggia anche un sibilante falsetto, in contrasto con l’attitudine macho subito manifesta. Poi è la volta di “Reefer Head Woman”, imprevedibile rilancio trasformista di un brano jazz-blues del Buster Bennett Trio, risalente al 1945; troverà spazio in una versione più rifinita solo in “Night In The Ruts”, del 1979. Si tratta di un autentico gioiello, ne fuoriesce tutta l’anima blues degli Aerosmith, sia nell’impressionante voce negroide di Tyler, autore anche di un brividoso intervento all’armonica, sia nei magistrali assoli di chitarra, dove l’elettricità scorre a dosi proibitive. Inoltre la voluminosa pesantezza della sezione ritmica richiama nettamente lo stile dei primi Led Zeppelin nel trattamento heavy riservato alle radici della black music.
N.B.: Le tracce di “The Road Starts Hear” sono state aggiornate in data 11 aprile 2022.
Un’altra magistrale cover è la più famosa “Walkin’ The Dog” di Rufus Thomas, già ripresa dai Rolling Stones, che non si limita a ripristinarne l’incisivo shuffle rhythm’n’blues, ma aggiunge un’improvvisazione lisergica, specchio dell’epoca e completamente sconosciuta alla versione definitiva di “Aerosmith”; Tyler ne conduce le mosse al flauto (!) e con un’interpretazione vocale più virile che mai. A sua volta imperdibile.
“Movin’ Out” è il primo brano scritto da Joe Perry e quella chitarra serpeggiante evoca un insidioso clima da grande metropoli (“heavy metal urbano”, lo battezzavano nella prima metà dei ’70) che mi riempie di nostalgia verso quegli anni in cui il rock duro americano prendeva spunto dall’incendiaria tradizione di Detroit e dei Blue Cheer, per evolvere un organismo musicale alternativo alle contemporanee matrici proto-metal britanniche.
Da sottolineare come il bridge più pacato, prima del crescendo verso le battute finali, mostri sorprendenti analogie con i Black Sabbath di “Symptom Of The Universe”, uno stile a cui raramente gli ‘Smith si sono avvicinati (ricordiamo “Round And Round” da “Toys In The Attic”) e visti i rispettivi tempi di realizzazione, qualsiasi ipotesi di plagio è da escludere.
“Major Barbara” è un’altra semi-rarità, un inusuale country blueseggiante ancora con innesto dell’armonica e punteggiata da una viscerale steel guitar; doveva apparire sul secondo album “Get Your Wings” ma finirà postuma come eccezione di studio su “Classics Live” del 1986; anche in un brano di minor risalto, Tyler conferma il suo talento nell’intonare refrain accattivanti ed in chiusura stavolta c’è un bizzarro, inedito “carosello” ispirato ad una commedia d’inizio ‘900.
S’innalza poi fra le nuvole l’immortale “Dream On”, una delle più grandi ballate della storia del rock, scandita dal piano di Tyler che già appare in piena maturità artistica con una rappresentazione altamente passionale. Nel profetico invito “continua a sognare finché il sogno diventa realtà”, si poteva leggere il futuro stellare del cantante; da anni elaborava questa sua composizione, che sfuma con un sorprendente accenno ad una prossima Aero-delizia melodica (a voi scoprire quale…).
In origine, questo autentico evergreen non andò oltre il 59° posto fra i 45 giri di Billboard, ma con l’esplosione del terzo album “Toys In The Attic” (1975), tornerà in classifica diventando il primo singolo Top 10 del gruppo di Boston. Tanti anni dopo, anche le nuove generazioni riconosceranno a “Dream On” la statura di assoluto classico, riportandolo ai primi posti della “Streaming Chart” hard rock nel 2020. Ignorato dalla critica italiana dell’epoca, in perenne caccia di avanguardie musicali “culturalmente avanzate”, venne descritto dal più realistico mensile francese Rock & Folk, come “il più riuscito tentativo à la Jim Morrison fin qui realizzato”.
A suggello di “The Road Starts Hear” c’è la traccia primordiale di un altro classico, “Mama Kin”; stavolta più cadenzato e con inferiore quoziente di esplosività rispetto alla versione definitiva. Quel riff emblematico, nel 1973 li pose in aperta contesa con i più scandalosi e chiacchierati New York Dolls, ma dal tasso di adrenalina rock’n’roll reciprocamente concorrenziale. Da ricordare che si concentrò su questi astri nascenti la “coppia regina” manageriale David Krebs & Steve Leber; Krebs assunse il controllo degli Aerosmith, mentre Leber si occupò prioritariamente dei Dolls.
Nell’agosto 1972, meno di un anno dopo la registrazione di “The Road Starts Hear”, gli Aerosmith si esibivano alla Mecca del rock newyorkese, il Max’s Kansas City (futura “culla” della scena punk) ed il loro management aveva invitato allo show luminari di Atlantic e Columbia. Il primo non rimase particolarmente impressionato, mentre il presidente della Columbia, Clive Davies, fiutò il “grande colpo” e propose a Tyler e compagni un ingente anticipo di 125.000 dollari sul contratto .
All’inizio del 1973 l’eponimo album d’esordio inaugurerà la clamorosa carriera degli Aerosmith, al rango delle più titolate formazioni rock dei Seventies. Dopo un apparente, declino, la svolta adeguata alla nuova malizia commerciale degli anni ’80 li riporterà in vetta alle classifiche con una serie di hits contagiosi, da “Dude” e “Love In An Elevator”, alle big ballads “Angel” e “I Don’t Want To Miss A Thing”, il loro primo singolo “numero uno” negli USA.
Ma per chi desidera riscoprire il “cuore pulsante” degli originali Aerosmith, la loro più istintiva vena creativa, l’ascolto di “The Road Starts Hear” è davvero prioritario; non si tratta di una stravaganza recuperata accidentalmente e immessa sul mercato come un qualsiasi bootleg “ufficiale”. E’ il medium attraverso il quale si intuisce perché il gruppo diventerà enorme.
A Star Is Born!
Aerosmith oggi (Foto Zack Whitford)
Caro Beppe, quando scrivi degli Aero mi vengono sempre i brividi. Non ho ancora ascoltato “The Road Starts Hear”, ma lo farò non appena sarà disponibile, sai anche tu quanto sia legato a loro. Come molti di noi sono figlio di “Rocks” ma in pratica da Get Your Wings fino a Done With Mirrors ogni album mi piace un sacco (ma sono legato pure al periodo “commerciale”). Ah, che begli anni che ho passato in loro compagnia, che cazzo di Hard Rock band magnifica!!! Grazie per l’articolo, Beppe. The Train Kept A-Rollin!!!
Ciao Tim, mi fa molto piacere risentirti e da grande esperto di hard rock blues (come ti viene giustamente riconosciuto) è gratificante sapere che hai letto, ma ancor più che esiste un inestinguibile legame di passione che ci tiene avvinti ad una grande band come gli Aerosmith. Il vivido ricordo della loro ascesa negli anni 70 ma anche della “rivincita” nel decennio successivo ci fa sempre emozionare, come testimonia anche il tuo commento. Grazie!
Ciao Beppe concordo pienamente sull’importanza storica di un gruppo come gli Aerosmith, capitali per lo sviluppo dell’hard rock americano e che contribuirà al futuro lancio di superstar nel decennio ottantiano come Motley Crue e Guns’n’roses ed al rilancio di riflesso della loro stessa carriera.
I loro carisma inattaccabile perdona un pó le ultime prove a mio giudizio appannate complice la sovraesposizione mediatica specie nei 90 con MTV ed il successo di ballad stucchevoli come ” I don’t wanna miss a thing” e sinceramente rincresce che come spesso accade si identifichi alle masse per quel tipo di canzoni.
La vera faccia Rock’n’roll del gruppo i veri appassionati la conoscono e venerano dischi come l’esordio, Toys, Rocks e anche titoli poco considerati, pregni di quella vitalità e di quella carica che trova pochi rivali tutt’oggi…
Ciao Roberto, è evidente che il periodo più fertile degli Aerosmith non sia stato quello dei successi degli anni ’90, però tutte le star planetarie hanno in repertorio brani più commerciali, spesso in età avanzata. Non ne farei dunque una colpa specifica agli Aerosmith, che dopo aver spalancato la porta del vero R&R a tanti, si sono un pò adagiati sugli allori, con canzoni che reputo comunque di piacevole intrattenimento. Ci sono gruppi incensati dalla critica o se preferite, intoccabili (no, non faccio nomi, voglia di suscitare vespai = 0, lascio a vostra fervida immaginazione) che da tempo si barcamenano con lavori noiosissimi, ma tutti si guardano bene dal sottolinearlo. Sono certo che intuisci il senso della mia risposta. Grazie
Grazie Beppe per il sontuoso articolo e per la segnalazione ( non sapevo di questa operazione, si vede che certa musica anche se a volte riguarda pesi massimi come gli Aero force One ormai purtroppo e’ all’angolo ). Che dire gli Aerosmith ? uno dei miei gruppi preferiti. Ricordo ancora che tu in tempi non sospetti riproponesti il loro nome con il disco del mese su Rockerilla per Done with mirrors ( grande album ) e in piena rivalutazione con Permanent l’ottimo articolo/ discografia su Metal Shock. Grazie maestro! Comprerò sicuramente il cd
Ciao Fabio, come direbbe Giancarlo, tu “ricordi perfettamente”! Ancor prima, su Rockerilla avevo fatto un articolo sulla loro discografia commentata oltre a recensioni di “Night in the ruts” e “Rock in a hard place”. Sempre stati fra i miei Top gli Aerosmith, non potrebbe essere diversamente. Se sei un loro fan l’acquisto di questo “tesoro dissepolto” è d’obbligo. Grazie a te.
Ciao Beppe, che bello leggere un articolo su uno dei miei gruppi preferiti! Alcune di queste “chicche” non mi sono del tutto muove, ma non vedo l’ora di sentirle su cd con (spero) un audio restaurato. Ricordo ancora la gioia quando uscì Done with mirrors con la formazione magica, soprattutto perché avevo perso le tracce di questi ragazzacci. Ritengo Rocks uno dei più meravigliosi dischi di sempre e in generale anche gli album considerati minori sono ad un livello che altri non hanno e non raggiungeranno mai. Uscite come queste sono fondamentali per chi come me li segue da 40 anni e per chi vuole capire dove risiede l’essenza del rock.
Grazie , ancora una volta, per i vostri articoli
Ciao Marco, i brani di “The Road Starts Hear” hanno tutti successivamente trovato spazio nella discografia ufficiale, ma sottolineo il valore e le stimolanti diversificazioni di queste prime versioni. L’audio su LP è decisamente soddisfacente, non ti preoccupare, per l’imminente CD non credo possano esserci riserve. A mio giudizio “Toys In The Attic” e “Rocks” sono le gemme più splendenti della loro discografia. Fondamentali come minimo! Grazie a te e a chi legge, dopo tutti questi anni!
Buongiorno Beppe.
Ascolterò con piacere, anche se avrei preferito un disco nuovo.
Credo però che la possibilità di avere nuovo materiale degli Aerosmith sia veramente poco plausibile, soprattutto dopo che ho letto la (bellissima) autobiografia di Joe Perry, da poco pubblicata anche in Italia; stando a ciò che scrive Joe, i rapporti che intercorrono tra lui e Steven Tyler, maggiori “azionisti” del marchio Aerosmith, sono sempre piuttosto tesi e regolati di volta in volta da accordi economici che attengono più ad attività manageriali piuttosto che musicali.
Nonostante da un certo punto di vista gli Aerosmith di oggi possano essere assimilati ad una S.P.A. (senza che questo sia per forza un difetto), la qualità della musica prodotta negli anni non ne ha quasi mai risentito, a testimonianza del talento enorme dei cinque bostoniani, senza ombra di dubbio la migliore band hard rock uscita dagli Stati Uniti, insieme ai Blue Oyster Cult.
Una band che tra l’altro ha avuto la forza e il talento di risorgere dalle proprie ceneri con Permanent Vacation, dando di fatto il là ad una seconda parte di carriera ancora più sfavillante della prima. Una parte del merito di questa resurrezione va sicuramente al grande e compianto Bruce Fairbairn, ma la chiave sta secondo me nella qualità di scrittura dei musicisti che non è mai venuta meno, adattandosi al nuovo clima dgli anni 80 e facendo di nuovo il botto. Ovviamente la critica musicale ufficiale italiana (tipo quella che pontifica tuttora dai quotidiani) non ha mai capito nulla degli Aerosmith, sia per malafede che per manifesta incompetenza.
Comunque si faccia tesoro di questa reliquia del passato, nella speranza di rivederli live almeno un altra volta (la data in Italia di questa estate è stata se non sbaglio annullata).
Ciao Lorenzo, a tutti noi farebbe piacere ascoltare qualcosa di nuovo degli Aerosmith, a patto che sia all’altezza della loro fama; comunque il recupero di queste storiche prime mosse, davvero rappresentative, per me è estremamente emozionante. Penso che parecchi cultori dell’hard rock seventies considerino Aerosmith e Blue Oyster Cult, pur assai differenti, al Top fra le formazioni USA di quel genere musicale. Aggiungendo i migliori Van Halen (di generazione successiva). Grazie