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C'era una volta HARD & HEAVYTimeless : i classici

BIG BALLADS! Dieci ballate degli anni ’70 e ’80 che vi spezzeranno il cuore…

Di 2 Febbraio 202339 Commenti

Lo schema delle dieci canzoni su cui disquisire liberamente è collaudato, molti di voi hanno già letto le varie rassegne di brani hard’n’heavy, cover, successi super-pop, ed è servito a rendere la formula d’“intrattenimento” sul Blog più fruibile e meno specialistica.
Così ho scelto di rievocare, come già accennato nella “Nostalgia del rock anni ’80”, alcune ballate che ho particolarmente amato nella mia ormai lunga esperienza d’ascolto. Si, perché di amore si può davvero parlare: infatti, questa tipologia di canzoni svela il versante più “romantico” della nostra musica preferita, e non a caso risultavano di particolare gradimento anche alle amicizie femminili poco inclini verso il rock a tutto volume!
Fin dalle origini della musica pop, da “Yesterday” dei Beatles a “Ruby Tuesday” dei Rolling Sones, tanto per citare due esempi di dominio pubblico, la ballata non si è contraddistinta come un’esclusiva di artisti devoti al soft rock; all’alba degli anni ’70 si è persino rivelata un potente antidoto contro chi ha sempre liquidato il rock duro come sinonimo di scarsa melodia. Molte formazioni di questo genere hanno scoperto la ballata, spesso acustica, come una sorta di ”uscita di sicurezza” dall’inferno labirintico dei riffs ultra-heavy, elaborando episodi qualificanti di ottima musica in assoluto.
E non dimentichiamo che alcuni dei più fenomenali vertici dell’epopea rock, da “Stairway To Heaven” dei Led Zeppelin a “Free Bird” dei Lynyrd Skynyrd, esordiscono su celestiali orizzonti da sconfinata ballata, prima di evolversi negli inesorabili crescendo che tutti conosciamo.
Negli anni ’80 la power ballad ha svolto un’importante funzione di “mediatrice”, introducendo nel macrocosmo hard’n’heavy una quantità di pubblico non specializzato, che necessitava di una melodia seducente per superare i preconcetti verso il suono superamplificato.
In questa sede presento le mie personali ballate top ed altre assai significative, equamente ripartite fra i due successivi decenni (70 e ’80), senza la pretesa, lo ribadisco, di esprimere valori assoluti, che non ho mai gradito “imporre”. Anzi, privilegio anche in quest’occasione momenti cult più soggettivi, a successi di notorietà planetaria.

ANNI '70

La mia Top Ballad - EMERSON, LAKE & PALMER: “Lucky Man”

Tratta dall’album : “Emerson Lake & Palmer” (1970)

Greg Lake è stato un autentico gigante del rock; la sua stella si è accesa con il fondamentale contributo all’opera d’avanguardia dei King Crimson, il gruppo che ha inaugurato l’era progressive; realizzeranno grandi album anche dopo l’abbandono di Greg, ma mai nessuno con l’affascinante e seminale afflato sinfonico del classicissimo “In The Court…” o di “In The Wake Of Poseidon”. Subito dopo, Lake è diventato il perfetto “equilibratore” del trio di straordinari musicisti completato da Keith Emerson e Carl Palmer, non solo in veste di producer, ma per la magistrale caratterizzazione melodica, esercitata in qualità di cantante e musicista, sull’incontenibile furore espressivo di Keith Emerson nell’aggredire le tastiere, incalzato dal drumming tornado di Palmer. Le leggendarie canzoni folkeggianti di Greg, hanno contribuito in modo determinante all’unicità del supergruppo per eccellenza, rendendolo più accessibile al grande pubblico, laddove non giungevano le acrobazie virtuosistiche di Keith.

Lo stile di Lake era altamente originale anche quando non si “isolava” in una dimensione acustica, ma per quanto mi riguarda, passa alla storia come supremo autore di ballate. Senza costringere in quest’ambito la sua composizione più ambiziosa ed evoluta, “Take A Pebble” (dal primo “EL&P”), Lake ci ha svelato in tutta la sua carriera indimenticabili gemme acustiche, da “From The Beginning” a “Still You Turn Me On”, da “C’est La Vie” al singolo natalizio “I Believe in Father Christmas”, proseguendo ai tempi di “Black Moon” con la magica “Footprints In The Snow” ed infine con il set acustico di “Songs Of The Lifetime”.
Ma come spesso succede, la “prima volta” resta nella memoria storica dell’uomo, allora perché non riconoscere che l’effetto originale di “Lucky Man” resta ineguagliato? Inclusa quasi accidentalmente nell’album d’esordio, “Lucky Man” ha spalancato agli EL&P le porte del mercato americano, scoprendo il volto melodico della loro complessa personalità musicale. La voce da suadente “ragazzo del coro” di Greg con le sue mirabili sovraincisioni, la favola dal tragico finale da lui raccontata, lo storico assolo di Moog di Emerson…Ogni particolare contribuisce ad un classico epocale.

URIAH HEEP: “Come Away Melinda”

Tratta dall’Album: “Very ‘eavy Very ‘umble” (1970)

“Come Away Melinda” è una delle più importanti ballate di ogni tempo, una commovente canzone contro la guerra, basata sul dialogo fra un padre e la giovane figlia, Melinda, che ha perso la madre durante un conflitto bellico e la riscopre in un vecchio album di foto, inducendo il genitore a svelarle la verità…Scritta da una coppia di compositori americani (Hellerman/Minkoff), ha inanellato una sequenza record di versioni, dalla prima di Harry Belafonte (1963) a quella di un cantautore del Greenwich Village, Tim Rose, che la rese particolarmente nota in Inghilterra, dove venne rilanciata anche da formazioni underground come i Velvet Fogg ed i primi, sperimentali UFO.

La interpretarono altri celebri artisti, fra i quali Judy Collins, Mamas & Papas e John Miles, ma io desidero rendere omaggio alla cover che me l’ha fatta conoscere ed amare, ad opera dei veterani Uriah Heep, nell’album d’esordio “Very ‘eavy Very ‘umble” e come B-side (nell’edizione italiana), del classico singolo “Gypsy”.
Certamente questi pionieri dell’heavy rock hanno palesato la loro “arte della ballata” in episodi più acclamati, da “Lady In Black” a “The Wizard”, ma rammentando “Come Away Melinda” si vuol sottolineare un tema di tragica attualità e le liriche più intense e toccanti di questa rassegna. Nell’occasione, il grande David Byron non indugia sugli altisonanti registri vocali (sarcasticamente descritti come “l’urlo di chi precipita d’inverno in un fiordo norvegese”) calandosi nelle trame soffici della melodia acustica, impreziosita dall’arrangiamento del mellotron “orchestrale” di Ken Hensley: un altro grande caduto – come il cantante ben prima di lui – sulle tortuose strade del rock.
Memorabile!

PRETTY THINGS: “Sad Eye”

Tratta dall’album: “Savage Eye” (1975)

Venerati in patria ma non altrettanto conosciuti lontano dall’isola inglese, Pretty Things erano descritti nella prima metà anni ’60 addirittura come rivali dei Rolling Stones, misurandosi con Mick Jagger e compagni sul campo di battaglia di un rhythm’n’blues selvaggio.
Persino il divo David Bowie, sempre generoso nei confronti dei suoi ispiratori, dedicò loro due brani assai rappresentativi nella collezione di cover “Pin Ups”, con anni luce d’anticipo rispetto alla moda: l’iniziale “Rosalyn” e “Don’t Bring Me Down”.

Evolvendosi, Pretty Things hanno regalato alla storia una delle pietre miliari dei sixties, l’opera rock “S.F. Sorrow” (1968) un irresistibile mix di pop, rock & psichedelia che ha preceduto “Tommy” degli Who. Immaginate essenze di Beatles, Tull e Sabbath (ancor prima che questi ultimi esistessero) arrotolate nello stesso joint, ed avrete una vaga idea della loro creatività di quell’epoca.
All’inizio degli anni ’70 e complici cambi di formazione, ma con la voce del perenne leader Phil May (fino alla sua scomparsa nel 2020), Pretty Things svoltavano verso l’hard rock sollevando qualche mugugno della critica, ma venivano scritturati dalla Swan Song; preferisco il loro secondo album per l’etichetta dei numi Led Zeppelin, “Savage Eye” (1975), titolo che contrasta con quello di una deliziosa, acustica ballata, “Sad Eye”, scritta dal chitarrista Peter Tolson. May è costretto ad addolcire la sua timbrica vocale e ci riesce meravigliosamente, interpretando la ricorrente storia di un amore finito in un’incantevole atmosfera radicalmente unplugged, sottolineata da soffusi cori vocali. Superfluo aggiungere che quando nostalgicamente cita The Special One, non allude affatto a José Mourinho…

SCORPIONS: “In Your Park”

Tratta dall’Album: “Virgin Killer” (1976)

Pressoché istantaneo identificare gli Scorpions come il tramite ideale fra la forza d’urto dei riffs metallici e la suadente peculiarità melodica delle loro gold ballads.
“Still Loving You” ed ancor più la coppia vincente del vendutissimo “Crazy World” (1990), “Send Me An Angel” e “Winds Of Change”, quest’ultima al numero uno di varie classifiche mondiali, hanno reso oltremodo famosa la storica formazione tedesca ad un pubblico trasversale, spesso lontano dai tipici, integerrimi appassionati hard’n’heavy.

Ma le origini dell’inequivocabile attitudine soft degli Scorpions risale a ben prima. Abbandonati gli slanci underground dei lavori iniziali ed approdati ad un regime hard rock pur differenziato dalla solista post-hendrixiana di Ulrich Roth, realizzavano nel 1976, con la produzione del loro svengali Dieter Dierks, il primo classico, “Virgin Killer”. Nonostante titolo e copertina originale censurabili (e censurati) il quarto album porta sugli scudi il vero e proprio archetipo delle future ballate dal marchio di garanzia Scorpions, “In Your Park”. L’evocativa punteggiatura della chitarra elettrica introduce una ritmica felpata e l’inconfondibile “gentile voce che fende il silenzio della notte”, parafrasando le liriche che sfociano nel maestoso refrain intonato da Klaus Meine; ad incorniciare il brano giunge anche l’assolo da ovazione di Roth. Questi Scorpions vintage restano assolutamente all’altezza della loro più famosa incarnazione, negli anni ’80 di furore heavy metal.
Invito caldamente ad andare a riscoprirli e riascoltarli.

THE REAL KIDS: “Common At Noon”

Lato B del singolo: “All Kindsa Girls” (1977)

Diciamo la verità, fra il 1976 ed il ’77, un po’ tutti eravamo contagiati dalla febbre del punk. In quegli anni ero particolarmente devoto all’hard rock americano, ma casualmente acquistai il primo album dei Ramones (aprile ’76) nel giorno stesso in cui veniva esposto negli scaffali di Carù Dischi di Gallarate, colpito dall’iconica immagine R&R di copertina. Altrettanto sinceramente, bisogna ammettere che venivano trascinati nella “nuova onda” anche stili musicali affini ma di differente genealogia. Ad esempio, nella crescente scena underground di Boston, documentata in tempo reale dalla doppia compilation “Live At The Rat” (1976) si mescolava l’heavy rock senza fronzoli dei Thundertrain al power pop di estrazione garage dei Real Kids.

Il primo nucleo dei Kids, fondati dal chitarrista e cantante John Felice, risaliva infatti al 1972, quando nessun veggente annunciava la new wave, sebbene John avesse fatto parte dei Modern Lovers di Jonathan Richman, discepolo dei profetici Velvet Underground. Ancor prima di incidere l’omonimo album su Red Star (distribuito anche in Italia!), i Real Kids erano famosi in Francia, sospinti dal quotatissimo mensile Rock & Folk, e grazie all’etichetta transalpina Sponge avevano realizzato il memorabile primo singolo “All Kindsa Girls/”Common At Noon” (1977).
“Common At Noon”, che sorprendentemente non sarà replicata sul 33 giri, è una perla di ballata elettro-acustica che riporta idealmente ai Byrds dei favolosi anni ’60 – taglio di capelli incluso! – ed espone le spiccate doti compositive di John Felice, mai riconosciute per l’autentico valore, oltre alla sua vena vocale quasi sussurrata e debordante vivida emozionalità. Dimenticati da quasi tutti, John e i Real Kids restano una leggenda di nicchia.

ANNI '80

La mia Top Ballad - JOURNEY: “Don't Stop Believin'”

Tratta dall’Album: “Escape” (1981)

Una ragazza ed un ragazzo, lei proveniente da chissà quale piccola città, lui dal sud di Detroit, prendono entrambi il treno di mezzanotte, destinati ad incontrarsi da qualche parte. Poi l’atmosfera di locali equivoci, le emozioni ricercate nella notte, boulevard rischiarati dalla luce dei lampioni, c’è chi vince e c’è chi perde…ma l’importante è non smettere di crederci! Il continuo ciclo della vita, dalla parte della gente comune, che combatte per sopravvivere ai margini dei quartieri agiati, si ritrova nel lirismo toccante ed ermetico di questo clamoroso brano dei Journey, “Don’t Stop Believin’” – apice di “Escape” – che un’influente rivista specializzata inglese eleggerà nel 1988 “più grande album AOR di ogni tempo.”

Dopo la svolta di “Infinity” del 78, e con l’ingresso del cantante perfetto in questo contesto, Steve Perry, i Journey sono stati fra gli inventori di un genere fondato sul rock melodico curato negli arrangiamenti, ideale per frequenti passaggi radiofonici, ma anche potente al punto da conquistare le grandi arene U.S.A. Un suono che definirei squisitamente americano, anche per gli accenti soul di voci esemplari quali lo stesso Perry o Michael Bolton. Negli anni ’80, quando l’AOR dominava la scena d’Oltreoceano, non meraviglia che il gruppo di punta originasse la più esaltante big ballad dell’epoca, “Don’t Stop Believin’”: come resistere al malioso romanticismo di quella voce discesa dall’Olimpo della musica, sulla cascata di note fluide ma incalzanti (nemmeno troppo da “lento” d’atmosfera) del piano etereo di Jonathan Cain, o alle brusche sferzate della solista di Neal Schon che enfatizzano il suono?
Molti classici degli Eighties sono finiti nell’oblio, al contrario l’universalità del testo e della melodia di “Don’t Stop…” insiste nel mietere vittime, primeggiando nelle classifiche di vendita di iTunes e assommando inclusioni nelle colonne sonore di serie televisive e del film “Rock Of Ages”, che a suo modo celebrava e smitizzava l’età aurea del rock di Los Angeles.
Ottimi motivi per credere, sempre, nell’irresistibile forza delle grandi canzoni.

DOKKEN: “Alone Again”

Tratta dall’Album: “Tooth And Nail ” (1984)

All’epoca di “Tooth And Nail”, il vero esordio major su Elektra dei Dokken, l’immagine del quartetto (vedi foto) non era affatto esagerata, distante dai numerosi eccessi glam contemporanei; dunque, abbinandola alla proposta musicale, inventai per loro il termine class metal, in seguito abusato o quantomeno equivocato da molti: definiva un rock aggressivo ma elegante, caratterizzato da una raffinata qualità del suono e da ispirate aperture melodiche.

Fatto incontestabile è che vi contribuirono ben quattro luminari di produzione & missaggio: Tom Werman, Roy Thomas Baker, Geoff Workman e Michael Wagener; si sarebbe parlato di talenti sprecati se non si trattasse di musica heavy confezionata ad arte, perché il taglio poderoso eppure accessibile dei classici Dokken ha fatto letteralmente scuola. Immediata ma non semplicistica, la loro formula ha fatto leva sugli inequivocabili valori di Don Dokken, il “padrino della scena heavy di L.A.” dotato di un caratteristico timbro vocale melodico e di George Lynch, acrobatico solista dal fraseggio spettacolare in linea con i tempi, che si vocifera abbia impartito lezioni di chitarra persino al grande Edward Van Halen! La convivenza dei due campioni negli anni sarà turbolenta fino alla separazione, ma dal loro filone aurifero abbiamo ereditato anche una fascinosa power ballad, “Alone Again”, introdotta da sezione ritmica ed arpeggio di chitarra ipnotici e dalla vellutata voce di Don; il volume della musica cresce in un clamoroso refrain fino all’inevitabile imprimatur dell’assolo di Lynch. In sede di recensione la commentai come “ballata più bella dell’inverno (1984)”. A posteriori si può sostenere che meritasse anche un riconoscimento più esteso.

GIUFFRIA: “Love You Forever”

Tratta dall’Album: “Silk & Steel” (1986)

Ne abbiamo parlato agli albori del Blog…Realizzando una mirabolante formula musicale al crocevia fra i Journey di “Escape” ed i Van Halen di “1984”, Giuffria sembravano destinati ad orbite stellari nella stratosfera rock degli anni ’80. Fondati dall’appariscente mago delle tastiere Gregg Giuffria, per proseguire idealmente l’itinerario dei disciolti Angel, ne prendevano presto le distanze sia per ragioni d’opportunità (gli Angel apparivano condannati ad un sorte “perdente”) sia in termini stilistici: mentre il gruppo di “Sinful” ci aveva lasciato all’insegna del pop-metal pomposo, Giuffria erano lanciati nello spazio siderale dell’AOR moderno, a tratti persino avveniristico.

A ben guardare i loro filmati, i protagonisti dell’omonimo “Giuffria” e dell’eloquente “Silk & Steel”, avevano tutto per suscitare sentimenti contrastanti di amore ed odio nel pubblico heavy rock di quel nostalgico decennio. Acconciature lungo crinite degne di un coiffeur per dive di Hollywood, ed abbigliamenti pretenziosamente eleganti, oppure pacchiani, secondo i punti di vista: insomma, sfacciatamente poser per i metal maniaci legati alla tradizionale immagine in denim & leather, modelli di una nuova ricercatezza per le crescenti legioni hair metal. Ma poi c’era la musica, e sebbene possiate obiettare sulla svenevole insistenza del coro di “Love You Forever”, nessun dubbio che questa sia stata una big ballad per eccellenza, altamente rappresentativa degli ’80. Un’inaudita canzone “spezzacuori” dove David Glen Eisley giustifica appieno il sudore profuso nel video-clip; la sua è una superba performance, degna del caposcuola dei neo-romantici AOR, Steve Perry. E per una volta, le sontuose tastiere del mitico Gregg possono persino figurare in secondo piano.

SAMMY HAGAR: “Give To Live”

Tratta dall’Album: “Sammy Hagar (I Never Said Goodbye)” (1987)

Sammy Hagar risiede da cinquant’anni nell’aristocrazia yankee del rock duro, basti pensare alla sua affermazione nei Montrose, responsabili del più grande album d’esordio heavy metal (nell’accezione “storica” del termine, 1973) di sempre, secondo attendibili organi stampa, in concorrenza con un altro debutto omonimo – trascorso un lustro – il primo Van Halen (sempre Warner Bros e stesso produttore, Ted Templeman!).
Curiosamente, Sammy succederà proprio a David Lee Roth nel quartetto di “5150”, ribattezzato ironicamente Van Hagar e con un successo di vendite addirittura superiore ai precedenti.

Fra i due poli d’assoluto rilievo dell’hard’n’heavy americano, il Red Rocker di Monterey ha incastonato un’onorevole carriera solista a cavallo fra anni ’70 ed il decennio successivo, quando si legherà anche allo sfuggente supergruppo HSAS (1984), trattato sul Blog nell’articolo “Under Cover!”; Hagar, Schon & Co. avevano reso omaggio ai Procol Harum, confrontandosi con il loro storico classico “A Whiter Shade Of Pale”. Nel suo eccellente album solo dell’87, ad esaurimento del contratto Geffen e da lui stesso prodotto insieme all’indimenticabile “compagno di squadra” Edward Van Halen, Hagar ha voluto confermare quell’insolita ispirazione; scrisse di suo pugno una ballata in stile Procol Harum, “Give To Live”, introdotta da un organo turgido e sinuoso che offre colore al suono e mettendoci del proprio con una struggente, melodrammatica interpretazione vocale. Se è vero che il tema sentimentale è prevalentemente il leit-motiv delle ballate rock, è altrettanto certo che Hagar ha saputo tradurlo in termini molto appariscenti e di grande presa emozionale.

JOHN WAITE: “Sometimes”

Tratta dall’Album: “Rover’s Return” (1987)

Fra le voci più riconoscibili del rock melodico, John Waite si era imposto negli anni ’70 con il suo primo gruppo di successo, The Babys, affrontando dopo la scissione una carriera solista dagli esiti altalenanti. Il singolo più celebre, “Missing You”, risale al 1984, ma il miglior album di Waite è stato verosimilmente “Rover’s Return” (EMI America 1987), inaugurato dalla trascinante “This Time Are Hard For Lovers”, composta e prodotta con l’hitmaker Desmond Child e le sue muse Rouge – fra gli altri… – ai cori.

Ma il vero colpo di fulmine scaturiva da “Sometimes”, ballata scritta da un altro autore di spicco, il compianto Dan Hartman, già bassista al fianco dei fratelli Winter. Pur molto meno famosa, “Sometimes” contendeva ad “Alone” delle Heart il titolo di più grande ballata dell’anno, e possedeva ogni virtù per ammaliare: le armonie essenzialmente acustiche ed il clima fortemente intimista, il tocco elettrico discreto che entra in simbiosi con le sfumature, con le tinte romantiche e melanconiche di un magnifico brano “universale”, che ognuno può sentire profondamente suo ed aver vissuto personalmente, interpretato da un cantante davvero speciale.
John Waite ne emerge come un principe della solitudine che vive attimi di lirismo e tristezza palpabili ma con altrettanta dignità, senza cedimenti nella vena edulcorata posticcia. Crescendo finale irresistibile con quello struggente coro “o-o-o-ohhh-ohhh!”…Viene proprio voglia di riascoltarlo e poi di immergersi nella successiva avventura artistica del grande Waite, Bad English! Davvero un magnifico epilogo per concludere questa rassegna, sperando che quanto scritto ne sia degno…

39 Commenti

  • lorenzo ha detto:

    Grazie. Ottima lista. Giuffria era da tempo che non li sentivo. Per i 70 come Power ballard sono d’accordo, per gli 80 oltre ai Dokken io aggiungerei anche i Cinderella.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Lorenzo. Indiscutibile l’attrattiva delle ballate dei Cinderella. In particolare, ma non solo, “Don’t Know What You Got” è super, figurerebbe alla grande in qualsiasi playlist. Grazie

  • Raffaele ha detto:

    Ottimo articolo come al solito io personalmente per i mitici Journey avrei scelto come ballad fra le ballad la bellissima “Open arms” , che è per me il brano più romantico per eccellenza.

    • Beppe Riva ha detto:

      Certo Raffaele, ognuno ha le proprie preferenze ed in tema Journey, come già espresso nell’articolo relativo all’ultimo album di studio, indimenticabile anche la suggestiva “Lights” e non solo…Ciao e grazie.

  • Giorgio ha detto:

    Maestro, articolo pieno di insidie ma proprio per questo di tua competenza! Come heepster ti ringrazio per l’emozione di come away Melinda con un bellissimo pianoforte che accarezza la voce di Byron. Non mi fanno vibrare le ballads aor, ma quello è a mio gusto non avendo mai amato il genere. Da lacrime lucki man e in your park , quanti amori non corrisposti su quelle note ma si sognava !

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Giorgio, i primi Uriah Heep sono indimenticabili; non pretendo che ti facciano vibrare le ballate AOR, io mi esprimo nell’ambito delle mie passioni e competenze, non mi illudo che “a tutti piaccia tutto” ma semplicemente diffondo il mio messaggio, a chi può interessare. Un pò tutti, giustamente, abbiamo ricordi “romantici” relativi alle nostre ballads preferite. Grazie!

  • Fulvio ha detto:

    Le ballads…sicuramente la tipologia di brano a cui maggiormente, volenti o nolenti, associamo i nostri ricordi e le nostre emozioni.
    Inevitabile che ognuno abbia le sue preferite.
    Approfitto del tuo interessante articolo per andare ad approfondire alcune cose dei ’70s che conosco poco non avendole vissute “in diretta” per motivi anagrafici.
    L’ “autocelebrazione” del voler vedere le proprie preferite nel tuo articolo è a mio avviso inutile ed improduttiva.
    Allargare le vedute ed approfondire sempre!
    Grazie!
    Un saluto

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Fulvio, e grazie del commento e dell’approfondimento. Ognuno è libero di reagire come ritiene a quanto scritto, dipende dalle persone, ma si accettano punti di vista e priorità differenti; si chiedono solo risposte educate, anche in considerazione che “lo stile della casa” non è certo quello di imporre le proprie preferenze, semmai di farle conoscere a chi è interessato a leggere.

  • Sandro ha detto:

    Desperate Dreams dei Survivor , ascoltata migliaia di volte in 35 anni e ancora mi fa venire la pelle d’oca.

    • Beppe Riva ha detto:

      Sandro la tua scelta non si discute, canzone top, ma se oltre ai Journey mettevo gli altri grandi dell’AOR: Foreigner, Survivor, Toto, Reo Speedwagon (e mi fermo qui) lo spazio anni 80 era già esaurito. Volevo segnalare qualcosa di meno clamoroso…

  • Fabio Zavatarelli ha detto:

    Ciao Beppe,
    grazie ancora per la selezione e le note ….. grazie per avere dato voce al mio amore per i Pretty Things ed anche ai Real Kids.
    …. ma Lucky Man ….. 😉

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Fabio, bentornato. Sono contento che citi i due gruppi forse più atipici in questo contesto; anche le differenze possono rappresentare un arricchimento. Grazie. Ma…”Lucky Man”?

  • Umberto ha detto:

    Ciao grande Beppe, parlando di Giuffria non posso non aggiungere alla tua mirabile lista “Love don’t lie” degli House of Lords, che tu stesso mi facesti amare alla follia nell’ormai lontano 1988 dalle pagine dell’amato Metal Shock. E poi citerei anche “I’ll see you in my dreams” dei mitici Giant, proprio al declino del decennio (e di un’era).

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Umberto, le canzoni affascinanti di questa tipologia sono numerose, non a caso Marco Garavelli ha selezionato “100 Ballads” per un libro edito da Tsunami. Le due che citi sono bellissime. Lasciami aggiungere che ringrazio te ed i lettori che mi sono riconoscenti, anch’io lo sono nei vostri confronti per quello che ancora mi manifestate.

  • angius francesco ha detto:

    Caro Beppe
    il mio nonno che come tutti gli anziani aveva raggiunto la saggezza in relazione al tuo articolo avrebbe detto : “E’ andato a cercarsi dei nemici!”. In effetti un articolo così si presta a grosse discussioni , ma è anche vero che nella vita bisogna fare ciò che si sente e ci piace e quindi hai fatto bene.
    Oltretutto per me pochi hanno la tua competenza e pertanto era tuo “compito” addentrarti in un terreno così difficile, e infatti l’articolo è ottimo!
    Personalmente quando vedo poi in cima alle tue preferenze gli Elp (mio gruppo preferito all time) e i Journey faccio fatica a essere obiettivo (mancavano solo gli Angel e il livello di demenza senile mi saliva alle stelle, anche se in verità ci sono i Giuffria) e quindi leggo, gioisco e godo a dismisura.
    Anche gli altri pezzi sono veramente memorabili e quindi hai fatto un altro centro vecchio mio!
    E lascia che i soliti saccenti parlino… long live R&R.
    Grazie

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Francesco, capisco perfettamente la logica del tuo intervento: nelle introduzioni cerco sempre di far chiarezza sulle mie scelte relative agli articoli, ma evidentemente non basta. Peraltro sul Web è inevitabile esser (anche) contestati. Io tiro avanti per gusto personale e per il mio pubblico “fedele e attento” (la quantità conta fino ad un certo punto). Pensa che Giancarlo ed io facciamo il Blog insieme, ma non abbiamo affatto le stesse preferenze. Bisogna comunque rispettare il lavoro altrui, se frutto di una determinazione onesta. Grazie tante anche per le passioni comuni.

  • Lorenzo ha detto:

    Buongiorno Beppe.
    Una selezione accorta, per un argomento vastissimo e ricco sia di brani noti a tutti, sia di “lost gems”.
    Quindi veramente ognuno potrebbe fare la propria classifica e lasciarne fuori altrettante.
    In questo caso, alcune canzoni citate non le conosco, quindi approfitterò per approfondire, nella convinzione che è questo lo spirito giusto per chi si approccia a questo blog.
    Vorrei puntare l’attenzione invece sul fatto che le ballad hanno spesso rappresentato , specie negli anni 80, una sorta di viatico per le band hard rock e/o heavy metal, verso un pubblico che solitamente non avrebbe dato credito a un certo tipo di proposta, proporio come tu Beppe hai evidenziato.
    A proposito ho appena finito di leggere un bel libro recentissimamente pubblicato in lingua italiana, che parla della nascita, ascesa, affermazione e caduta del cosiddetto hair metal (definizione che non apprezzo, ma veniva chiamato esattamente così) americano degli anni 80, attraverso spezzoni di interviste e dichiarazioni dei vari protagonisti del periodo. In relazione alle ballad, mi pare che proprio il buon Steve Whiteman dei Kix, dichiara che la loro ballad Don’t close your eyes contenuta nell’LP Blow my Fuse abbia a suo tempo in qualche modo salvato la carriera della band consentendo ai Kix stessi di continuare ad incidere dischi e di avere anche al giorno d’oggi una carriera. Detto da uno di coloro che vissero in prima persona quel periodo, da l’esatta misura di quanto una canzone di quel tipo poteva spostare gli equilibri commerciali, nella fattispecie per una band come i Kix, che pur essendo di ottimo livello non si annovera solitamente tra i capiscuola. Una storia tra le tante, proveniente da un mondo che non esiste più.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Lorenzo, grazie dell’attenzione che poni verso il Blog e per lo “spirito” con cui lo segui, dichiarandolo. Anch’io penso che si debba sempre cercare di approfondire gli argomenti (che interessano). In quanto al libro tradotto in italiano, ti riferisci al recente “Nothin’ But A Good Time”? Non l’ho ancora acquistato, ma ho in programma di farlo. Interessante l’esempio dei Kix che riporti, apprezzo sempre i contributi validi di chi legge e questo particolare della loro “salvezza grazie alla ballad” lo è: una storia rappresentativa.

  • Carlo ha detto:

    ciao Beppe bella lista … se vogliamo sforare nei primi ’90s aggiungerei la più bella ballad di sempre … Time Stood Still – Bad English
    complimenti per tutto !

    • Beppe Riva ha detto:

      Grazie tante Carlo. Se non hai letto, ho scritto dei Bad English sul Blog in “1989: un anno di AOR Heaven”. Volevo rendere omaggio alla carriera solista di John Waite, fantastico cantante, scegliendo “Sometimes”, a mio giudizio bellissima. Tutto ciò nulla toglie al grande gruppo (successivo) di cui Waite è stato front-man. Bad English, appunto. Ciao!

  • luca ha detto:

    Mi unisco al coro del “è inutile sindacare”. Ognuno dice la propria. Ma alcune di queste non sono “oggettivamente” di livello. Ne avrei messe altre. “Contesto” una su tutte: In your Park. Nello stesso disco Yellow Raven è ben altra cosa.

    • Beppe Riva ha detto:

      Spiace che tu abbia perso tempo per materiale OGGETTIVAMENTE non di livello. Dedicati a letture all’altezza della tua competenza, c’è ampia scelta.

  • Andrea ha detto:

    Cavolo Beppe, Sad eye dei Pretty Things era finita in un cassetto nascosto della mia memoria! Grandissima ballad da una grandissima band. E pensare che posseggo l’album originale comprato ovviamente grazie ad una tua recensione. Da parta mia un piccolo contributo per quanto riguarda gli anni 70’s: Dust in the Wind dei Kansas (p.s. indovina chi mi ha fatto scoprire la band di Steve Walsh)
    Grazie per i tuoi articoli musicali che continui a regalarci a distanza di tanti anni.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Andrea, mi fa piacere per “Sad Eye”, sicuramente fra le meno conosciute della presentazione. Per inserire la ballata dei Pretty Things e quella, ancor più oscura dei Real Kids, ho lasciato fuori capolavori rinomati come “Dust In The Wind” dei Kansas. Non troppo famosa in Italia ma l’amico Marco Garavelli l’ha programmata più volte su Linea Rock. Chi ti ha fatto scoprire i Kansas è un benemerito…Ti ringrazio per apprezzare gli sforzi dell’ormai vetusto autore dell’articolo.

  • Fabio Zampolini ha detto:

    Ciao Beppe e complimenti per la ‘solita’ competenza che ci accompagna da decenni….. Tutti brani di grande fattura ovviamente, mi permetto di aggiungerne uno che mi è sempre stato a cuore: Perfect Strangers di John Sloman. Un caro saluto

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Fabio, ti ringrazio e apprezzo l’aggiunta del brano a cui tieni particolarmente del compianto Sloman (“anche” ex Lone Star), una scelta da conoscitore. Buona serata

  • Alessandro Ariatti ha detto:

    Ciao Beppe. Ovviamente scegliere 10 ballads tra i 70 e gli 80 risulta un compito assai arduo: complimenti per il coraggio! La scelta sui brani è assai ben bilanciata e sicuramente condivisibile per i titoli presentati. Poi ovviamente ognuno ha i propri gusti, ma il livello delle tracce proposte è eccelso. Come, del resto, la qualità di scrittura, ma che te lo dico a fare? Conosci benissimo la stima che nutro nei tuoi confronti. Grazie, un caro saluto.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Alessandro, e molte grazie. Non è banale fare questo genere di articoli perché si possono scontentare o in qualche modo deludere i lettori. In compenso però è facile coinvolgerne di più, infatti scrivendo di gruppi underground degli anni ’60/’70 non tutti conoscono la materia o sono in grado di esprimersi in merito. Quel che mi piace trattare si sa o si intuisce, non gradisco insistere su artisti celebri che si ritrovano mensilmente o quasi su ogni rivista. Tanto per me è un hobby, anche se lo spirito è professionale. Un abbraccio

  • Luke ha detto:

    *** ”Crazy World *** Scorpions 1990

  • Roberto Torasso ha detto:

    Ciao Beppe…eh, chi non ha mai fatto la classica compilation specie in cassetta nei tempi che furono magari con l’intento di approcciare e fare breccia nel cuore di una persona di gentil sesso?scherzi a parte,la commistione tra melodia e durezza (silk & steel) è una formula che ha trovato sempre terreno in tutte le diramazioni della musica rock dagli albori ai giorni nostri, penso ai Sabbath di Planet caravan o Changes,gli Zep di Thank you,i Purple di Soldier of fortune passando per i Priest di Beyond the realms of death arrivando al Metal classico degli eighties ed oltre e persino al thrash col successo dei Metallica da One a Nothing…
    La questione ballad però per molti gruppi si è rivelata un’arma a doppio taglio perché legata ad un successo di pubblico si è venuto ad identificare come il marchio per inquadrarne l’identità (il gruppo di …), senza contare che poi diventa un trend da bissare per sfruttarne la scia o un modello a cui accodarsi per gli imitatori non trovi?
    Anche io ho le mie riserve sui titoli recensiti però ognuno ha i suoi gusti, saluti.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Roberto, sempre presente e ti ringrazio. Pertanto avrai capito che se consideravo i titoli molto importanti che tu hai citato, non avrei aggiunto nulla di personale, esaurendo in fretta il totale dei brani selezionati. Nell’introduzione l’ho scritto chiaramente che avrei rinunciato a casi di “notorietà planetaria”. Sull’aspetto “commerciale” penso che anche insistere sullo stesso stile che ha reso famoso un gruppo/artista può essere una comfort zone. Discorso complesso, vero è che le ballate possono risultare un mezzo per vendere o essere “scaricati” (si dice così? Boh) di più. Le tue riserve potevi tranquillamente esporle. Nessuno pretende di imporre valori assoluti, semplicemente di esprimere le proprie opinioni.

  • Luca ha detto:

    Dover scegliere 10 pezzi in oltre 50 anni di musica penso sia veramente difficile. Ogni qualvolta Viene scritto l’elenco ci sarebbero altrettanti pezzi da inserire. Ogni canzone ha la sua storia, le sue emozioni, i suoi ricordi.
    Io che sono cresciuto musicalmente negli anni 80 ricordo la quantità ‘industriale’ di ballads e relativi video che venivano proposti… pezzi definiti da una parte della stampa strappa mutande. Grande Beppe per aver fatto emergere la parte emozionale della musica rock… quasi quasi ci starebbe bene un sondaggio….ovviamente articolo ben scritto. PS. Dovessi scriverla
    senza pensarci le 10 songs scelte da me sarebbero diverse

    • Luca ha detto:

      Aggiungo … per me la ballad perfetta è I want to know what love is by Foreigner

      • Beppe Riva ha detto:

        Anche per me è stupenda. Ma tra i grandi successi degli anni ’80 ho voluto sceglierne uno (Journey), gli altri decisamente meno noti. Però “I Want To Know…” è perfetta.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Luca, certo che le tue 10 sarebbero diverse! Non conosco nessuna “playlist” che coincide con quella di un altro. Basta leggere la classifica degli album dell’anno redatta da “quelli bravi” (di tante riviste) e nonostante ciò, i dischi citati non saranno mai nello stesso ordine. Ma nemmeno le 10 ballate da me espresse, a parte le Top, sono in classifica. Semplicemente mi tornavano in mente, spesso, negli ultimi tempi. Giustamente hai parlato di “emozioni”. Fra il tornare in mente e le emozioni, non ho pensato di inserire Lucio Battisti…Grazie.

  • Samuele ha detto:

    Ogni Ballad è bella a mamma sua…. anche perché magari ognuno di noi ci ha legato un momento particolare della propria vita….le mie scelte sarebbero un po’ diverse,ma comunque son tutte delle grandi canzoni ed uno struggente viaggio nella memoria. Complimenti, come sempre!

    • Beppe Riva ha detto:

      Grazie Samuele, sulle scelte è inevitabile. Se penso a tante lasciate fuori, spiace. Magari sarà per una prossima occasione. E ribadisco, non è una classifica. Ciao!

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