Deep Purple: "Whoosh!" (earMUSIC)
Nei programmi dei Deep Purple, il ventunesimo album di studio, “Whoosh!”, doveva uscire il 12 giugno, e sarebbe stato il modo più eclatante per celebrare il 50° Anniversario di “In Rock” (che risale al 5/6/1970), album cruciale per le future sorti del panorama hard’n’heavy, ancor più di altri loro totem come “Machine Head” e lo stesso “Made In Japan”, termine di paragone per ogni LP dal vivo. L’emergenza Covid-19 ha costretto a posticipare la data di pubblicazione al 7 agosto, rasentando una fatale coincidenza. Due giorni dopo è infatti scomparso un produttore di assoluto prestigio, Martin Birch, che si era affermato come ingegnere del suono dei classici Deep Purple, legando il suo nome anche alle acclamate derivazioni degli anni ’70 (Rainbow, Whitesnake) ed acquisendo ulteriore, crescente autorità con Blue Oyster Cult, Black Sabbath (epoca RJ Dio) fino al dominante sodalizio con Iron Maiden nel decennio successivo.
I Deep Purple del Terzo Millennio hanno invece costituito un tenace binomio con Bob Ezrin, storico produttore di Alice Cooper, Lou Reed, Kiss e Pink Floyd; “Whoosh!” è infatti il terzo album consecutivo della loro collaborazione, dopo “Now What?!” del 2013 ed “inFinite” (2017). L’attuale line-up: Ian Paice, Ian Gillan, Roger Glover, Don Airey e Steve Morse è di gran lunga la più stabile di una travagliata storia; nemmeno l’epoca di maggior successo planetario riuscì infatti a sedare i rapporti conflittuali fra Gillan e Blackmore, i malumori dello stesso chitarrista che portarono alla fondazione dei Rainbow, senza dimenticare l’emarginazione di Glover prima di sostituirlo con Glenn Hughes. Placati da tempo i furori giovanili, complici l’avanzare degli anni ed i lauti vantaggi economici, l’unità dei cinque musicisti resiste dal lontano 2003, anno dell’album dal titolo improponibile, “Bananas”.
Nel 2020, di fronte alla disarmante pochezza dello scenario rock contemporaneo, il ritorno discografico dei Deep Purple ha ancora il potere di galvanizzare il pubblico di fedelissimi che ha bisogno di riscoprire i vecchi eroi alle prese con nuove sfide, per non auto-confinarsi nel circuito alla lunga restrittivo delle cicliche ristampe.
“Whoosh!” non tradisce le aspettative, se ai suoi artefici si chiede una maturità espressiva ancora ispirata, e non l’energia straripante di mezzo secolo fa.
"Whoosh!" : Step by Step
L’album è stato anticipato da tre singoli “digitali” (termine aberrante per chi è cresciuto acquistando 45 giri negli anni ’60…) ed il primo di essi, “Throw My Bones”, si ripresenta in apertura in modo del tutto convincente; svela il volto “adulto” degli attuali Deep Purple, con un suono coeso e dal raffinato arrangiamento che diffonde folate sinfoniche, alla maniera di un altro grande gruppo inglese, Magnum, seppur di minor fama. La timbrica di Ian Gillan è inconfondibile ed autorevole anche in assenza degli squillanti acuti di un tempo, e disegna una linea melodica ancora una volta vincente.
“Drop The Weapon” irrompe su un riff di chitarra in stile AC/DC mentre le tastiere accennano ad aperture AOR, poi lo scandire del refrain è vagamente soul, contribuendo all’impronta “americana” del brano. C’è spazio anche per la ricorrente sarabanda degli assoli “alternati” della chitarra di Morse e dell’organo Hammond di Airey, mai ridondanti eppure assai godibili.
Che le combinazioni fra chitarra e tastiere siano tuttora la struttura portante di un suono perfettamente riconoscibile, sostenuti dall’impeccabile ritmica di Glover e soprattutto dell’insostituibile Paice, lo conferma “We’re All The Same In The Dark”; chiave di volta è però uno stile più calibrato, ormai distante dalla potenza “bombastica” delle classiche “Speed King” o “Highway Star”.
“Nothing At All” è un’altra buona scelta come singolo, con un fraseggio strumentale che richiama trascorsi progressive classicheggianti ed un refrain arioso ed accattivante. “No Need To Shout” riallaccia invece i ponti con l’era “Perfect Strangers” ma c’è la variante particolarmente gradevole di un dinamico saggio di pianoforte di Don Airey, che risponde cosi alla solista del “maestro d’ascia” Morse.
Anche “Step By Step” riprende temi pomp-prog, con suggestive sonorità d’”organo da chiesa” in apertura e nel finale; meno riuscita, in questo caso, la felpata cadenza vocale.
“What The What” è invece dinamico rock’n’roll rivisto alla luce della personalità del quintetto, ed è ancora una volta Don Airey a far la parte del leone al pianoforte. Verosimilmente è lui il protagonista svettante di “Whoosh!”. Il riff più heavy lo scopriamo in apertura di “The Long Way Round”, poi si stempera in un etereo finale. A mio avviso annovera anche la parte vocale di maggior presa; rinunciando agli eccessi del passato, oggi improponibili, Gillan impartisce costantemente eleganti tratti melodici. Di tutt’altra specie un altro singolo, “The Power Of The Moon”, episodio significativo per la peculiare atmosfera spaziale ed ipnotica, persino con reminiscenze Pink Floyd. In quest’ottica si potrebbe ipotizzare l’azione mirata del produttore Bob Ezrin.
“Remission Possible” è un breve interludio strumentale che anticipa un singolo a sua volta atipico, “Man Alive”. Possiede a tratti l’enfasi di una colonna sonora, sottolineata anche da stralci recitativi affidati alla voce di Gillan; sicuramente la porzione dagli spunti più sperimentali dell’album. Al contrario, lo strumentale “And The Address” è pura “Deep-nostalgia”…Si tratta infatti del rifacimento del brano inaugurale di “Shades Of Deep Purple”, l’album d’esordio del 1968, e non ne tradisce lo spirito. Può essere il segnale premonitore che il cerchio si stia chiudendo, facendo combaciare gli estremi fra passato e presente? Con i Deep Purple, mai dire mai (più)…Resta la postilla, ininfluente, di una “Dancing In My Sleep”, giustamente catalogata come bonus-track, dall’eccentrica impronta “tecnologica” che almeno in apertura stride con la naturale espressione del gruppo.
Fattore trascurabile che non scalfisce il ruolo dei Deep Purple, tuttora depositari dell’incancellabile tradizione del classico hard rock.
Edizioni Speciali
Era pressoché scontato che la novità discografica di titani del rock come i Deep Purple diventasse l’occasione per una serie di formati “deluxe” et similia, che ormai sono il mezzo più sfruttato per vendere l’oggetto a cifre rispettabili, contrastando il dominio del digitale, insensato per tanti appassionati di vecchia data. Evidentemente i gruppi storici annoverano legioni di fan “maturi”, che rispetto al pubblico di giovanissimi sono maggiormente disposti ad investire su materiale tangibile dei loro idoli.
Fra le varie versioni di “Whoosh!” immesse sul mercato, mi limito a segnalare le più collezionabili. Ad esempio, il sito ufficiale online dei Deep Purple (https://deeppurple.com) propone un esclusivo doppio LP in vinile colorato glow-in-the-dark. Si tratta di verificare come si presenti questo malioso effetto “fosforescente”…Nello stesso sito, ma più generalmente in altri punti vendita, si trova un’edizione 2 LP in vinile crystal clear limitata a 500 copie.
Il vero Behemoth della situazione è però il Box Set, nemmeno smodatamente costoso. Include: doppio LP in vinile nero, CD+DVD (di 160 minuti) mediabook edition, con l’intera performance “Live At Hellfest 2017”; 3 esclusivi dischi 10 pollici in vinile colorato: “The inFinite Live Recordings Vol.2”; 3 stampe “artistiche”, con copertina di “Whoosh!” (meno infelice delle più recenti, certo non memorabile) e foto del gruppo. Infine una T Shirt di taglia XL. Contenuti ed aspetto (vedi immagine allegata) non mancano certo di appeal. A voi la scelta.
Uno sguardo al passato: Perfect Strangers
Il boom del nuovo heavy metal inglese negli anni ’80 induceva alla rifondazione antesignani di questo genere; al di là di nomi pur rilevanti, dai Budgie agli Atomic Rooster, si attendevano al varco i pionieri più prestigiosi: Ozzy Osbourne si era rilanciato lontano dai Black Sabbath, che a loro volta vivevano una seconda età dell’oro con Ronnie James Dio. Esclusa la riunione dei Led Zeppelin, annichiliti dalla morte di John Bonham, non restava che puntare sui Deep Purple. Ed era proprio il più famoso assetto Mark II a tornare in azione con l’undicesimo album di studio, “Perfect Strangers”, trionfalmente edito il 16 settembre 1984.
Ne riproponiamo premessa storica e recensione apparse all’epoca su Rockerilla.
Colpevolmente in ritardo sono riuscito ad ascoltare pure questo. Beh non mi aspettavo nulla di diverso da quello che ho sentito. Buona musica suonata da “ragazzi” che mi sembra abbiano ancora voglia di divertirsi, innanzitutto, e di divertire. Disco godibilissimo che scorre via che è un piacere, suonato con la solita classe e con un Paice, verso il quale sono finiti gli aggettivi. Rispetto ad altri due lavori di loro coetanei (più o meno), BOC e The Who, lo ritengo il meglio riuscito a mio modo di vedere. Ciao Beppe ed al prossimo articolo.
Certo Gianluca, gli storici “Mostri del rock” continuano a dar prova del loro valore (si pensi anche ad AC/DC ed Ozzy), quello che ci manca é un significativo “ricambio generazionale”. Grandi album di formazioni più recenti se ne ascoltano pochi. Il 2020 é stato piuttosto emblematico a riguardo. Grazie, un saluto
Ho atteso un po per commentare perché dovevo ascoltare bene il disco. Trovo che sia un disco buono tenendo conto che non abbiamo a che fare oramai da tempo con i Deep Purple di In Rock 😉 Ci hanno oramai abituati da tanti anni a diversificare i loro pezzi in un caleidoscopio musicale più ampio. Tutti i componenti si dosano e danno una buona prova strumentale anche Gillan. Disco per completisti probabilmente ma ugualmente godibile. Ottima recensione Beppe!
Mi sembra più che legittimo assimilare accuratamente un disco prima di emettere giudizi. Sono d’accordo sul fatto che non è il caso di eccedere in iperboli, ma sia corretto riconoscere la matura qualità di questi grandi veterani. A risentirci!
maestro Beppe,
approfitto per un aggancio quasi esoterico e alchemico , a questa cerchia di saggi.
mentre tu scrivevi questo tua ennesima ed esaustiva disamina, io giravo questto veloce video (appena postato)… :
https://www.youtube.com/watch?v=jtoithLS5BY&t=484s
che ben si associa anche ai commenti, tipo quello di Zavatarelli…
insomma, il cerchio molto probabilmente NON è ancora “chiuso” .
Un abbraccio , con amicizia e gratitudine. M. C.
Caro Mox, fa sempre piacere sentirti e che tu colga l’opportunità di segnalare attraverso il nostro Blog i video ricchi di contenuti che proponi per il canale dell’attivissima Tsunami. Sono sicuro che i nostri lettori ed appassionati dei grandi Deep Purple vedranno con vivo interesse. Alla prossima e grazie dell’aggancio “esoterico”…!
Grande stima per il loro voler proporre ancora musica nuova e per farlo nel modo giusto: si sente che è musica principalmente composta per il loro piacere ed il piacere di chi ascolta ne è una conseguenza (i.m.h.o.). Detto questo il disco mi è piaciuto ma non mi ha entusiasmato, particolarmente a causa dell’ ‘”uso” della voce da parte di Gillan e per la mancanza di pezzi “da ricordare”. Un plauso invece alla produzione: i suoni sono fantastici ed in era digitale la cosa non è affatto scontata. Se mi è permesso un confronto tra mostri sacri mi è piaciuto di più il nuovo Kansas. Ora attendo con iimpazienza il nuovo B.O.C.
Un saluto!
Ciao Fulvio, il tuo è un commento circostanziato che evidenzia quelle che sono a tuo avviso luci ed ombre del disco in questione. Siete sempre invitati a dire la vostra. Grazie
Condivido in pieno quanto scritto da Beppe nelle sue esplicative note. Il disco è buono, suonato molto bene e le canzoni sono ascoltabili e ben cantate.
Niente di epico, ma di dischi di questo genere ce ne vorrebbero molti altri, mentre oggi c’è grande pochezza in giro.
A me (e qui sarò subbissato dalle critiche) piaceva di piu’ il periodo con Coverdale e Hughes, ma è una notazione personale !!!
Certo Perfect Stranger era un’altra storia…., ma Blackmore è unico.
Grazie e vai alla grande!!!
Francesco Angius
Francesco, penso che il nuovo Deep Purple sia da valutare nella giusta dimensione, come hai scritto in sintesi anche tu. Per quanto riguarda i DP di Coverdale e Hughes erano comunque una band enorme, e ricordo un grande critico inglese parlare di “Burn” come del suo album preferito del gruppo. Quindi opinione accettabilissima, al di là del fatto che le critiche possono colpire chiunque…Grazie e ciao
Caro Beppe che dire, disamina precisa e pienamente condivisa. Per un fan “accecato” è un piacere leggere considerazioni così positive fatte da un grandissimo intenditore ed esperto come sei tu, della serie: sono sulla strada giusta…
Cosa aggiungere? I “nonnetti” non ci lasciano a bocca aperta ma a bocca piena sì. Sono forse di parte è vero, ma secondo me si tratta di un eccellente album: un misto di melodie immediate alternate a brani più impegnativi che puoi amare solo approfondendoli (non sono solo canzonette), di riff non memorabili ma pieni di groove e sostanza, pieno dei forse soliti duelli chitarra/organo che hanno sempre contraddistinto i nostri dall’alba dei tempi, ma direi che se lo possono permettere considerandone i risultati ….. anche Airey e Morse sono due indiscutibili maestri supportati da una sezione ritmica stellare e tutti “al servizio” di un istrione che, oltre a curare l’aspetto testi, ha saputo annullare gli effetti negativi dei sopraggiunti limiti naturali reinventandosi il modo di cantare.
Va beh ok sono di parte….. ma sono dalla parte giusta.
Grazie ancora Beppe.
Sei dalla parte giusta, Civi, senza dubbio ed è anche difficile non esserlo quando si parla di autentiche leggende del rock come i Deep Purple. Bisogna solo rendersi conto che l’età dell’oro è finita da tempo e che non ci si può aspettare dai grandi veterani le performances che ne hanno fatto la storia, ma dischi di valore ragionevolmente elevato. È una regola universale, istituzioni “intoccabili” del rock come Stones o The Who, non hanno più toccato i loro vertici degli anni ’60 e ’70. Pero’ è emozionante rendersi conto della capacità di grandi sopravvissuti come i Purple di generare passione nei loro estimatori di lunga data. Tu ne sei un chiaro esempio, e ti ringrazio per quanto hai felicemente espresso. Ciao!
Interessante come ci sia una sorta di chiusura del cerchio.
I Deep PurpleMk. I in fondo erano una progressive band, tentando di sviluppare la psichedelia ed in cui le contaminazioni sia di temi musicali sia di soluzioni compositive e di produzione (archi e prime pomposità) avevano una loro importanza …. ed alla fine …. i Deep Purple con la loro ultima Mk (ho perso il numero) sono ritornati ad essere – a ben vedere attraverso un percorso iniziato con Bananas del 2002 ed evidentemente segnato dall’arrivo di Don Airey, che iniziò proprio con i gruppi Prog degli anni ’70) – ancora una volta una Prog-Rock Band.
Certo un Prog Moderno che fa tesoro delle esperienze degli ultimi decenni e che non può prescindere dal mantenere suggestioni (sempre più leggere ed eteree a mio avviso) che eccheggiano il passato della Mk. II (e sgg.) … e però se uno dovesse trovare una parola per rendere il complesso dell’esperienza sonora dei Deep Purple del 21° Secolo (21st Century Schizoid Men??) per dire cosa siano i DP ora, non potrebbe più usare la parola Hard Rock, ma solo quella di Prog-Rock … in cui esperienze svariate ed esigenze fisiche si sono rifuse
Non so quanto ne siano stati consapevoli ovviamente ma non penso sia una valutazione lontana dalla realtà …. che è maturata con l’arrivo di Bob Ezrin (anche se già Rapture of The Deep diceva molto in tal senso) che finalmente ha permesso di far emergere e raggiungere compimento a questa … evoluzione.
Sì perchè è comunque una evoluzione, necessitata sicuramente dall’età e dall’usura fisica, ma tale rimane.
Ho amato tantissimo Now What, lo ho consumato ……. InFinite invece l’ho sentito si e no 5 volte e poi non ho più avuto alcun stimolo per sentirlo …. questo Whoosh mi ha di nuovo stimolato ……
Il vero problema è che pensavamo (e tutto, anche il marketing, faceva pensare in questo senso) che fosse l’ultimo album …. ora però pare che — col COVID e il blocco dei live anche per la seconda metà dell’anno, pare che i ragazzi per far qualcosa … stiano già componendo nuovo materiale …. azz …….
Fabio, commento molto dettagliato il tuo, a dimostrazione che vari lettori ci seguono con passione e competenza. Quando si parla di un gruppo della portata dei Deep Purple, non è il caso di confinarli in un contenitore stilistico. Prog, psych, hard rock, sono tutti generi che hanno contribuito a costruire la personalità di veterani tanto celebri. Un saluto e grazie, anche per l’impegno.
Personalmente lo ritengo un buon lavoro, un lavoro da ascoltare senza preconcetti lasciandosi trasportare dalle sonorità molto più soft in cui svetta come protagonista Don Airey. Eccezionale il lavoro di Morse come la certezza della ‘base ritmica’ il tutto narrato dall’inconfondibile timbrica di Gillan (se non erro in questi giorni le candeline sono 75). Unica pecca, se possiamo definirla in questo modo, la mancanza di un pezzo da novanta. Chapeau
Grandi classici non ce ne sono, brani degni di comparire in un ipotetico “Best Of” dal 2000 in poi, certamente si. Per un gruppo tanto longevo, con musicisti di indiscussa qualità, credo sia lecito attendersi un disco ben confezionato come “Whoosh!”.. ciao