Dall'Ascesa del Prog al Tridente degli Dei
“Il domani è la storia di ieri, e l’arte resterà anche se la vita finisce” : con queste parole, Keith Emerson concludeva le sue note di presentazione del secondo album dei Nice, “Ars Longa Vita Brevis” (novembre ’68), che ufficialmente inaugurava la nuova era progressive; aveva chiamato in causa la prima legge del moto di Newton per giustificare il suo rivoluzionario arrangiamento del Concerto Brandeburghese n°3 di Bach, alludendo all’ambizioso intento di infondere nuova linfa rock nella musica classica, e proiettarla verso il futuro con un linguaggio moderno. Perché l’arte ha “lunga vita”, ma può e deve esser rinnovata. Forse inconsapevolmente, il supremo tastierista aveva scritto una sorta di manifesto programmatico del rock progressivo, di cui The Nice (1) costituirono la prima pietra miliare.
Questo genere di musica giungeva idealmente all’apice ascensionale del rock anni ’60, che sulla spinta della rivoluzione psichedelica e della dimensione globale dei Beatles di ”Sgt. Pepper”, aveva oltrepassato i limiti della canzone pop da 45 giri, per offrire maggior impulso all’improvvisazione, trovando spazi più adeguati nel formato del long playing.
I Pink Floyd mostrarono la strada nel viaggio narcotico di “Interstellar Overdrive” ed il progressive avrebbe portato a compimento un itinerario rock basato sulla sperimentazione, su elaborate parti strumentali e fusione degli stili. A loro modo, le nuove avanguardie post-psichedeliche elevavano la popular music al rango di vera e propria forma artistica. All’esordio dei King Crimson, “In The Court Of Crimson King” (ottobre 1969), veniva assegnato il titolo di primo album prog “definitivo” e nel suo inestimabile patrimonio c’era la maestosa voce di Greg Lake. Così il rock nella piena maturità espressiva accedeva al decennio successivo, i non meno “favolosi” Seventies.
Ma qual era lo stato dell’arte di questi immaginifici paesaggi musicali nel 1970? I Pink Floyd esibivano la loro conversione al prog sinfonico con l’imponente suite “Atom Heart Mother”, che occupava un’intera facciata, ma il resto dell’LP era più frammentario e forse “riempitivo”…I Jethro Tull tipicamente prog non sono mai stati, comunque il terzo “Benefit” risultava un album di transizione fra i fondamentali “Stand Up” e “Aqualung”. Anche gli Yes di “Time And A Word” erano ben lungi dai fasti e dallo stile inconfondibile di “Yes Album” e “Fragile”. Con il secondo “Trespass”, facevano irruzione nella scena progressiva i Genesis, altro gruppo dal futuro imperioso: i caratteri teatrali e favolistici dell’era Gabriel vi sono ben presenti, ma i capolavori dovevano ancora venire…I Gentle Giant esordivano con l’album omonimo già di accentuata personalità, però in Inghilterra il loro successo era marginale; gli stessi Van Der Graaf Generator avevano il solo torto di restar confinati nell’underground, perché nel 1970 realizzavano ben due LP ricchi di drammatiche atmosfere nonché di spessore intellettuale, “The Least We Can Do…” e “H To He”. Tutto ciò, senza discendere nell’Ade dei tanti gruppi “sotterranei”, che pur hanno ingigantito il movimento.
Cosa succedeva a The Nice e King Crimson, le maggiori istituzioni pionieristiche del nascente prog-rock? Erano ambedue in crisi al tramonto dei sixties…I primi pubblicheranno nel 1970 “Five Bridges” un ambizioso esperimento per gruppo e orchestra sinfonica, ma Emerson aveva già deciso che rien ne va plus; i suoi compagni non gli consentivano di andar oltre quel livello, nonostante il successo di pubblico e critica, e la voce di Lee Jackson era effettivamente inadeguata…Il fuoriclasse delle tastiere incontrava Greg Lake dei King Crimson (2), cantante e bassista fra i piu’ stimati dell’epoca – consigliato a Keith dal boss della Charisma, Tony Stratton-Smith – nel dicembre 1969, in un concerto che affiancava i loro gruppi al Fillmore West di San Francisco. Nonostante l’acclamato debutto, anche la prima formazione dei Crimson stava per sciogliersi, ma Lake aveva promesso a Fripp di completare il secondo “In The Wake Of Poseidon”, che uscirà nel maggio 1970. L’alleanza fra Keith e Greg era comunque decisa e si prospettava un nuovo assetto triangolare sul modello dei Nice, con doti individuali sensibilmente superiori. Il batterista doveva essere Mitch Mitchell degli Experience e secondo voci sfumate nel mito, l’accertata idiosincrasia di Emerson verso i chitarristi poteva venir meno, se Jimi Hendrix fosse stato della partita… Clamorosamente, l’”originale” Jimi avrebbe completato una formazione stellare insieme al suo “emulo” dei tasti d’avorio! Keith era infatti definito il “Jimi Hendrix dell’organo” per il suo virtuosismo e per le doti di showman, inusitate per il suo ruolo. Suonava in piedi e si accaniva con furore sull’Hammond a colpi di pugnale, cavalcandolo e suscitando l’entusiasmo del pubblico.
Ma il favoleggiato progetto HELM rimase solo una suggestione; più realisticamente, fu la scelta del drummer ideale a ritardare la genesi del Trio, finché il ventenne Carl Palmer, inizialmente riluttante all’idea di lasciare gli Atomic Rooster (3), accettò la proposta. Presto inseritosi con estrema autorità al fianco dei più rinomati compagni, Carl si dimostrava altrettanto fenomenale: il suo stile combinava intricate ed agilissime dinamiche jazz con una potenza degna di un campione dell’hard rock, risultando il perfetto completamento delle strategie ultra-eclettiche di questi astri nascenti.
La loro nascita ufficiale, come riportava il New Musical Express, è datata 30 maggio 1970: il giorno dopo, Palmer esauriva i suoi impegni con i Rooster. Invece Triton e Studfarm sono i primi nomi discussi per battezzare il “supergruppo per eccellenza” dei seventies; ma non convincevano, così Keith, memore di una precedente riunione di celebrità (Crosby, Stills, Nash & Young) propose Emerson, Lake & Palmer, che fu accettato, non senza discussioni, dai compagni. La prima apparizione live degli ELP avveniva il 23 agosto alla Guildhall di Plymouth, ma era una sorta di “chiamata alle armi” per collaudarli in attesa dell’evento epocale. Sabato 29 agosto infatti si sarebbero confrontati con le grandi stelle del rock al Festival dell’Isola di Wight. La loro esibizione, non esente da disagi tecnici ma esplosiva come il boato dei cannoni che ne salutava la fine, li consegnava subito ad un futuro da protagonisti assoluti con l’entusiastica approvazione del pubblico (un DVD alquanto lacunoso del 2006, “The Birth Of A Band” ne ricompone stralci filmati).
Nell’occasione iniziava però a manifestarsi l’ostilità della critica, che non ha mai perdonato agli ELP gli attentati alla semplicità del rock’n’roll, e l’impudenza di aver portato le tastiere a competere con l’egemonia della chitarra, nel progressive d’inizio 70s. Famigerato e lapidario il commento di John Peel, che li liquidò come “spreco di talento ed elettricità”, ripetuto fino alla nausea dai loro detrattori. Ma nonostante tale accanimento, il pubblico del nuovo decennio aveva messo da parte “Roll Over Beethoven” ed era disposto ad innamorarsi di atmosfere sinfoniche: l’eponimo primo album, “Emerson, Lake & Palmer”, sarebbe stato la pietra angolare sulla quale il Supertrio trasformò il rock progressivo dalle origini da culto in fenomeno di enorme risonanza internazionale.
Con anni di anticipo rispetto ai cosiddetti “crossover” stilistici, quell’album impose al pubblico di massa, l’imprevedibile incrocio fra retaggio classico, rock, jazz ed un tocco folk; era la scintilla che accendeva la carriera di un gruppo capace come nessun altro di spezzare le barriere accademiche fra musica “colta” e popolare.
Per questo, giudico “Emerson, Lake & Palmer”, il più importante album di rock progressivo del 1970 e così lo celebriamo in occasione del 50° Anniversario. Uscì infatti il 20 novembre 1970, su “etichetta rosa” Island, a sua volta un marchio di fabbrica, ed incorniciato da un surreale, fascinoso dipinto di Nic Dartnell in copertina; raffigura una colomba che si libra in volo nel cielo plumbeo, sfiorando con un’ala il profilo di un volto enigmatico; da qui l’appellativo “The Dove Album”.
La produzione era curata da Lake, inguaribile perfezionista, ma molto merito era dovuto allo straordinario ingegnere del suono Eddie Offord, che sarà decisivo per l’affermazione degli Yes. L’album raggiunse il quarto posto nella classifica inglese, preparando il terreno al successivo “Tarkus”, che diventerà numero uno.
L’autorevole critico Chris Welch, che non ha mai fatto mistero della sua ammirazione nei loro confronti, così commentò sul Melody Maker: “Probabilmente l’ondata di critiche abbattutasi sugli ELP è una buona cosa. Sono talmente forti, che se fossero stati subito bene accetti, avrebbero probabilmente frenato la loro crescita!”
Intervistato nella settimana di pubblicazione, Greg Lake dichiarò ambiziosamente: “Vorrei che qualcuno, nell’arco di duecento anni, rinvenisse l’album degli ELP scoprendolo speciale!”
Nessuno di noi sarà testimone di quel lontano futuro, ma cinquant’anni dopo, posso garantire che la freschezza e l’energia creativa di quel suono da cattedrale gotica proiettato in uno scenario da fantascienza, restano straordinariamente immacolate.
Note:
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Emerson prima dei Nice: Keith Emerson Trio, Gary Farr & The T-Bones, The VIPs.
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Lake prima dei King Crimson: The Shame, Shy Limbs, The Gods.
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Palmer prima degli Atomic Rooster: The Craig (ex-King Bees), Chris Farlowe’s Thunderbirds, The Crazy World Of Arthur Brown
Il Volo della Colomba, Manifesto Futurista
THE BARBARIAN
Il brano che apre le ostilità è uno spettacolare saggio di aggressione e virtuosismo rock espresso attraverso il gusto sinfonico della musica classica, ma l’organo Hammond di Keith Emerson non aveva mai esibito nei Nice, un suono cosi innovativo. La composizione è attribuita ai tre membri del gruppo; sull’LP non viene citato l’autore originale, l’ungherese Bela Bartok (nessuna relazione con il vampiresco Lugosi…) che l’aveva scritta nel 1911. La sua “Allegro Barbaro” è stata pesantemente riarrangiata e questo può giustificare il desiderio di Emerson di appropriarsene; inoltre lo stesso Bartok aveva attinto a piene mani da arie folk transilvaniche. Comunque la tendenza al “saccheggio” di materiale altrui perpetrato dai grandi del rock ha sempre prestato il fianco a critiche, che si sono abbattute anche su Divi assoluti, eppur “predatori” del blues, come i Led Zeppelin.
In un’intervista dell’epoca, Lake ammise subito la paternità di Bartok su “Barbarian”, poi ufficializzata dalle ristampe di “ELP”. Il titolo stesso veniva confermato dalla Trilogia perché ben rappresentava la “violenza espressa in musica” di questo assalto esclusivamente strumentale.
Nessuna chitarra a tutto volume, ma in apertura un basso Fender distorto dal fuzzbox con effetti tellurici; introduce la magnificenza dell’organo Hammond C-3, che scatena una veemente successione di accordi, inaugurando di fatto il prototipo heavy-progressive degli ELP. La parte centrale è focalizzata sul pianoforte ritmicamente “percussivo” di Emerson, e nel finale parossistico Palmer gli si allinea con incalzante energia.
TAKE A PEBBLE
Subito dopo Lake esibisce la sua stesura più preziosa, “Take A Pebble”, trapiantando nel rinnovato contesto la grandezza evocativa dei primi King Crimson; ma il contributo dei nuovi compagni è eccezionale; i lussureggianti arpeggi pianistici di Emerson e il raffinato accompagnamento ritmico di Palmer, alternati alle eteree soluzioni acustiche di Greg ed al suo vellutato timbro vocale, illustrano una delle più sofisticate pagine rock di ogni tempo. L’incomparabile, squisita rapsodia del pianoforte Gershwiniano di Keith richiama il clima suadente della versione di “Hang On To A Dream” (1) dei Nice, quindi cede la scena ad un assolo di chitarra acustica di Lake, apparentemente concepito cinque anni prima; nel preludio sfoggia un incantevole tocco felpato, poi aumenta il volume del suono fino al battito di mani che ne ravviva il ritmo. Emerson riprende le redini del brano con un’improvvisazione pianistica jazz di rara estetica, e finalmente entra in scena la sezione ritmica; l’interazione fra i tre strumenti, un autentico inno alla stereofonia vintage, è splendidamente gestita da Eddie Offord. Il finale, è affidato alla solenne voce di Lake, a suggello di un’epica melodia. Da sottolineare come il celebre verso introduttivo, “…raccogli un ciottolo e scaglialo nel mare…”, cantando la fine di una relazione sentimentale in un malinconico clima di solitudine, sia evocato musicalmente anche dall’effetto di increspatura dell’acqua provocato dall’azione; un tassello lirico che integra le virtù di “Take A Pebble”, grandioso classico di rock progressivo, destinato all’immortalità fra le pagine storiche degli ELP.
(1) L’influenza di George Gershwin su Emerson si era ben manifestata nella lunga versione live di “Hang On To A Dream” (Tim Hardin) dei Nice, che citava “Summertime”, nell’LP postumo “Elegy”. “Summertime” è suonata da Keith anche nell’album pianistico “Emerson Plays Emerson”, del 2002.
KNIFE-EDGE
Il definitivo modello heavy-prog degli ELP è invece “Knife- Edge”, ispirato alla pièce orchestrale “Sinfonietta”, che il maestro Leos Janacek scrisse negli anni ’20 per celebrare la fine del dominio tedesco sulla sua Cecoslovacchia.
La riluttanza di Emerson nel riconoscerla all’autore è stavolta più motivata; l’originale è infatti trasfigurato in una vera e propria “canzone” rock, ed il testo nasce da una collaborazione fra Greg ed il roadie del gruppo Alex Fraser. E’ l’incubico ritratto di una società totalitaria e dominata dalla repressione tecnologica, liberamente ispirato a “1984” di Orwell, ben prima che l’omonimo brano di Bowie in “Diamond Dogs” (1974), rendesse celebre quel romanzo nel mondo del rock. “Knife-Edge” (2) fu l’ultimo pezzo composto per l’album d’esordio e profeticamente, Lake lo annunciò come “un’indicazione di ciò che eseguiremo in futuro”. Non a caso l’epica “Karn Evil 9” (da “Brain Salad Surgery”) diventerà nel 1973 il nuovo, spaventoso manifesto futurista degli ELP, inscenando a sua volta un fosco destino dove la tirannia delle macchine prevarrà sull’umanità. Musicalmente, il brano è impostato su uno schiacciante riff heavy rock dove organo Hammond, basso e batteria si combinano all’unisono con enfasi apocalittica, irrompendo al seguito della voce di Lake, che inizialmente accenna ad un clima sospeso ed inquietante. Emerson sembra risolvere la tensione latente dopo un selvaggio assolo d’organo, accennando al primo movimento delle “Suites Francesi” di J.S. Bach come atto liberatorio, ma presto il cannone del riff e lo stentoreo canto di Lake tornano a riecheggiare: nel finale il suono si smaterializza in un vortice caotico che sembra precipitarlo in profondità abissali.
(2) Non è di dominio pubblico che Knife-Edge ispirò anche il nome del primo supergruppo heavy metal italiano, allestito dal tastierista Joe Vescovi (leader dei Trip, pionieri del prog tricolore) e grande fan di Emerson.
THE THREE FATES: CLOTHO, LACHESIS, ATROPOS
Le tre divinità della mitologia greca, figlie di Zeus che ineluttabilmente determinano il destino dei comuni mortali, sono la sorgente d’ispirazione di uno dei più clamorosi affreschi di tastiere mai apparsi sugli scenari della musica popolare. Keith Emerson si avvale di due differenti organi a canne – il primo della Royal Festival Hall, completando l’opera con quello della St. Marks, chiesa del quartiere londinese di Finchley – per intonare il minaccioso inno a Clotho, una sorta di proto-”Jerusalem” dall’enfasi quasi gothic-horror, prima di distendersi in solenni sonorità liturgiche. Lachesis è invece un recital di pianoforte dove Keith paga il suo tributo ad un grande virtuoso della musica classica ottocentesca, l’ungherese Franz Liszt. Forse da questo ascendente deriva l’etichetta di “pop romantico”, ad illustrare la musica degli ELP e di altri nomi di spicco nell’arena progressive.
La maliosa fluidità dell’espressione Emersoniana si conferma nel dischiudere i differenti orizzonti del “piano trio” di Atropos, una danza funambolica che combina inaudita tecnica strumentale ed improvvisazioni jazz. E’ l’unico dei tre movimenti in cui suona Carl Palmer – Lake è assente in “Three Fates” (3) – con accenti ritmici variegati che fanno pensare ad una world music ante-litteram. Se gli ELP hanno sempre orgogliosamente dichiarato le radici europee della loro musica, Atropos è un illuminato archetipo di musica d’avanguardia “occidentale” senza confini.
(3) Il brano ha ispirato anche il grande “Three Fates Project”, un album edito nel 2012 dove la Keith Emerson Band reinterpretava classici degli ELP con un’orchestra sinfonica di 70 musicisti.
TANK
Ben noto come rampa di lancio per l’assolo di batteria di Palmer, “Tank” è in realtà un brano musicale di gloriosa vita propria, lo testimonia la versione orchestrale del ’77 di “Works Vol.I”, dov’è omessa la performance individuale dell’ormai ex enfant prodige. In apertura, la simbiosi fra la punteggiatura altamente sofisticata del basso di Greg e l’agilità dell’interazione rullante/piatti di Carl creano una base eclettica per l’ingresso del clavinet Hohner di Keith; incrociandosi, i tre strumenti producono un effetto poliritmico di rara suggestione, eccentrico intreccio fra eredità di musica classica ed invenzioni zappiane più affini al prog europeo (“Hot Rats”?).
Anche “Tank” precorre gli sviluppi tecnologici del capolavoro della maturità “Brain Salad Surgery”, ed è attribuita ad Emerson e Palmer, sebbene quest’ultimo sia responsabile del solo arrangiamento. Leggenda vuole che la condivisione sia stata accordata da Keith, affinché il batterista potesse avvalersi dei diritti d’autore.
In conclusione, l’assolo che Palmer aveva già sperimentato suonando dal vivo il classico dei Nice, “Rondo”, resta un episodio assolutamente creativo; la pulizia del suono nei passaggi sulle varie percussioni è netta ed esibisce un sorprendente effetto armonico, spesso persino orecchiabile.
E’ l’appariscente testimonianza della classe di un batterista destinato a trionfare per anni nei rock poll delle riviste specializzate. Il finale è però dominato dal Moog di Emerson, che emula le sonorità di un’imponente sezione di fiati nell’accompagnare un assolo lancinante.
LUCKY MAN
La leggendaria “Lucky Man” inaugura la tradizione delle meravigliose ballate di Lake, consacrando anche il suo ruolo di alter ego creativo di Emerson. Le differenti modalità espressive dei due musicisti porteranno ad accese conflittualità, con l’ex King Crimson che rivestiva anche il ruolo di produttore; inizialmente Greg osteggiava gli acrobatici esperimenti modernisti di “Tarkus”, mentre Keith non accettava che proprio un singolo folksy come “Lucky Man” fosse rappresentativo degli ELP. Ma su questo dualismo si fondò l’unicità del loro stile musicale, la cavalleresca battaglia fra due personalità che tendevano a superarsi nello stesso contesto, con Palmer elemento “equilibratore” di pari livello, quale fulcro ritmico.
“Lucky man” resta un fiabesca gemma acustica che incanta come poche altre della sua epoca (cito l’adattamento della pastorale “John Barleycorn” dei Traffic), ma è una favola che Lake l’abbia composta a soli 12 anni. In un’intervista del novembre 1970, l’autore stesso sosteneva risalisse a cinque anni prima della pubblicazione, dunque lui era 18enne; inoltre, non si trattava di un innesto dell’ultima ora per completare l’LP, la cui durata ideale doveva aggirarsi poco oltre i 40 minuti…
Un’avventura travagliata, quella di “Lucky Man”, già proposta – e respinta – per l’inclusione in “The Court Of Crimson King”; ma una storia a lieto fine, a differenza del protagonista della canzone, morto in guerra “per la patria e il suo Re”. Adottato entusiasticamente dalle radio USA, il 45 giri andrà in classifica, gettando le basi per il successo americano degli ELP, culminato nel ruolo di attrazione principale dell’oceanico raduno di California Jam 1974. Le sovraincisioni vocali dell’indimenticabile coro sono opera di Greg, che vanamente aveva spinto a cantare Keith e Carl, ma i due compagni fanno stupendamente la loro parte: lo spericolato assolo di Moog di Emerson, rimarrà lo storico atto d’ingresso dell’avveniristico sintetizzatore nell’universo rock, mentre il drumming di Carl, può avvicinarsi per impeccabile semplicità al perfetto accompagnamento ritmico di Bonham in “Stairway To Heaven”.
Lake comporrà altre formidabili ballate, da “From The Beginning” a “Still You Turn Me On” a “C’est La Vie”, ma l’originale impatto di “Lucky Man” resta ineguagliato.
Termina qui un capolavoro di fondamentale rilevanza. “Emerson Lake & Palmer” ha consegnato alla storia un gruppo smisurato. Gli EL&P erano gli Experience o se preferite, i Cream del prog-rock. Semplicemente, in alternativa a chitarristi eccezionali, ostentavano un tastierista altrettanto eccezionale.
Sono stati pionieri dello spettacolo rock in termini di grandeur esibita. In quest’ottica, anche le “Enciclopedie Metalliche” ne hanno riconosciuto l’enorme influenza, incoronandoli come “la più grande pomp-rock band di tutti i tempi”.
“Il domani è la storia di ieri, e l’arte resterà anche se la vita finisce”…Così citavamo Emerson in apertura. Parole tragicamente profetiche le sue, poiché questo genio della musica si é tolto la vita a 71 anni, l’11 marzo 2016; si sentiva ferito dalle maligne critiche sui social di quanti lo giudicavano non più all’altezza della sua fama, incuranti della distonia muscolare alla mano destra che da tempo lo affliggeva.
Anche Lake se n’è andato a 69 anni il 7 dicembre 2016 – a conclusione di un anno terribile per i devoti degli ELP – consumato da un male incurabile che aveva reso irriconoscibile un uomo di notevole stazza quale lui era.
Carl Palmer, oggi 70enne, é ancora attivo con il suo gruppo, ELP Legacy; pur prendendosi comprensibili pause fra un pezzo e l’altro, quando suona dal vivo è sempre un batterista impressionante. Quest’anno ha annunciato il suo sogno: ripresentare spettacoli degli ELP con filmati ed ologrammi dei suoi compagni scomparsi, sincronizzati in modo che diano l’illusione di esibirsi a fianco di lui stesso, naturalmente in carne ed ossa. ”The Show That Never Ends”…Coronavirus permettendo.
"E L & P" : Stampe e...Ristampe
Il primo “Emerson Lake & Palmer” uscì in Inghilterra su Island Records, inizialmente specializzata in reggae giamaicano ma convertita all’innovativo rock inglese nella seconda metà degli anni ’60. La sua celebre “pink label” rende un pezzo da collezione l’edizione originale di “EL&P”, quotata almeno 150 sterline, non poco per un disco di notevole tiratura. La più affascinante è però la stampa tedesca, l’unica con copertina apribile (sia lucida che opaca); include una bellissima, esclusiva foto dei musicisti, che potete vedere qui allegata. Anche in Italia il debut-album venne pubblicato nel 1970, con “etichetta rosa” e copertina singola. Invece negli States fu distribuito solo il 6 febbraio 1971 dalla Cotillion (sussidiaria della Atlantic) in occasione del primo tour americano degli ELP. Con la fondazione della loro etichetta privata, anche il primo album fu ristampato su Manticore nel 1973.
L’Italia, da sempre una fortezza del Trio (dopo l’uscita di “Tarkus” nel ’71 trionfarono nei referendum di Ciao 2001 e Per Voi Giovani) è ben presente anche in tema di loro ristampe; un compact di “EL&P” apparve per la prima volta in seguito alla riedizione tedesca su etichetta Manticore (1987), quest’ultima la più ricercata ed apprezzata dagli Audiofili. Nel 1998, con il ritorno di fuoco del vinile, ecco riproposta la versione 33 giri da Get Back. L’album verrà rilanciato nel 2005 su Earmark, una joint-venture fra la stessa etichetta italiana e l’inglese Sanctuary, “erede” della Castle.
Un imponente programma di ristampe del classico repertorio di questi titani del progressive, riapparsi sulle scene negli anni ’90, aveva già coinvolto in tempi differenti, Victory, Castle e Rhino.
Con il primo rilancio della discografia di ELP nel ’96, la Castle-Sanctuary aveva deluso le attese del pubblico, perché le cosiddette edizioni limitate in picture-(compact)disc non potevano giustificare l’inconsistenza dei libretti, ridotti all’essenziale, e la totale assenza di bonus-tracks.
Cinque anni dopo (2001) l’etichetta ha parzialmente colmato le lacune delle precedenti; le puntuali note informative sono stavolta curate dagli esperti biografi Bruce Pilato e Martyn Hanson, ma permane l’assenza di bonus.
Inoltre ELP sono stati fra i primi grandi del rock a beneficiare della geniale intuizione giapponese nel riprodurre in miniatura le originali copertine degli LP, adattandole al formato CD. “EL&P” – come gli altri classici – appare in questa veste nel 1999, poi nel 2005, su Victor Japan (20bit K2 Mastering) e la qualità è innegabile, peccato che la biografia non sia tradotta in inglese né siano presenti bonus-tracks. Oggetti comunque affascinanti e da collezione, ancor più l’analoga riedizione nipponica (Victor, 2014) in “paper sleeve”, ma formato 7 pollici e con due brani aggiunti, tratti dal concerto all’Isola di Wight.
A conclusione di questa cronistoria, giungiamo alle ristampe “definitive” e davvero imperdibili per contenuti.
Nel 2012 la Sony-Legacy pubblica un digipak triplo; oltre all’album originale c’è un intero CD di versioni “alternate” ed un DVD Audio con nuovo missaggio ad alta risoluzione, il tutto curato dal guru del prog moderno Steven Wilson, già all’opera sui remasters di King Crimson, Yes, Jethro Tull (e a sorpresa, di imminente pubblicazione, su “Vol.4” dei Black Sabbath!).
La bio stavolta è scritta dal grande Chris Welch. Le stesse componenti, in una ristampa 2 CD, senza DVD, si ritrovano sulla versione 2016 della BMG-Manticore, che l’ha riedito anche in vinile, ma con i soli brani originali.
Più interessante, per chi ama il 33 giri, l’edizione della Music On Vinyl/Sony datata 2012: doppio LP (originale più alternate mixes di Wilson) con inserto, ma copertina purtroppo non apribile.
Infine, gli appassionati dei picture-disc possono ritrovare “EL&P”, più i successivi quattro LP, nella scatola magica “The First Five: Picture Disc Collection” dell’americana Razor & Tie (box in edizione numerata di 1250 copie del 2013).
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Ringrazio sentitamente Paolo Rigoli, il più qualificato “storico degli ELP” di mia conoscenza, per la consulenza ricevuta nella stesura dell’articolo.
Tante grazie anche a @Shirneko per i ritratti dei musicisti.
In conclusione, ripresento la prima delle sette pagine dell’articolo pubblicato su Hard’N’Heavy n.1-novembre 1986
grandi ELP e grande Beppe! questo magnifico articolo (che avevo colpevolmente “perso”) secondo me rappresenta in pieno quello che maggiormente apprezzo in te: la competenza associata al trasporto emozionale! molto interessanti anche i vari commenti … che dire? corro a riascoltare questo capolavoro (che mi onoro di possedere nella prima stampa inglese su vinile)!
Beh Giuseppe, le tue osservazioni mi gratificano alquanto e fai bene a sottolineare i commenti di voi lettori, che spesso sono un valore aggiunto all’articolo; é quello che fa la differenza rispetto alla carta stampata di una volta (vista la mia non più verde età, resto un fan delle belle riviste musicali), quando talvolta noi collaboratori esterni ricevevamo le lettere tanto tempo dopo. Oggi si può avere un contatto immediato con chi legge, ti assicuro scrupolosa attenzione a riguardo. Ciao e grazie
Nulla da aggiungere a questo splendido articolo su una band ed un disco che hanno fatto epoca! Spiace solo che le nuove generazioni non si avvicinino più a questi capolavori con interesse. Grazie Beppe come sempre super professionale 😉
Caro Tex, se le nuove generazioni sono “nutrite” da X Factor siamo senza speranze! Ma noi la nostra parte l’abbiamo fatta, la musica che amiamo non ce la toglierà mai nessuno. Comunque voglio esser ottimista e so per certo che ci sono anche ragazzi che scoprono ELP ed altri grandi del rock poco pubblicizzati. Appaiono abbastanza spesso su Rai5, dopo le 23, imperdibili filmati di gruppi storici, fra i quali gli stessi ELP. Ieri notte hanno trasmesso (e non è la prima volta) un pregevole “live in studio” dei Procol Harum del 1973. Grazie e ciao
Ho avuto la fortuna di vedere ELP in concerto nel 1973 a bologna e nel 1997 a castiglione dello stiviere.
Tu che li hai incontrati di persona potresti raccontarci come erano da vicino.
A leggere l’autobiografia di emerson viene da pensare a lizstomania.
Bello quello che hai scritto !!!!!!!!
Fortuna, davvero, tristemente mai più ripetibile! Si, li ho incontrati, purtroppo non significa averli conosciuti. Comunque caratteri decisi ma differenti: Emerson apparentemente timido e riservato, rispetto allo showman che si manifestava sul palco, Lake autorevole (come senz’altro era, anche da produttore) e con un tocco snob inglese che non guastava affatto; Palmer vivace ma anche puntiglioso. Ti ringrazio Mauro, alla prossima…
Caro Beppe,
complimenti non solo per il bel lavoro, ma per la “puntualità”, la chiarezza e gli aneddoti che possono essere utili non solo agli appassionati di ELP, ma anche a quei neofiti che vogliono accostarsi a una realtà musicale che ancora oggi, specie in questo loro primo lavoro, è di una attualità spaventosa, al di là di qualsiasi etichetta musicale e quindi non solo prog. Complimenti anche a Paolo Rigoli che da una vita aiuta a diffondere il lavoro di ELP e di tutto quello che gli ruota attorno.
Un grande grazie e spero a presto.
Ciao.
Medeo Olivares
Grazie Medeo, mi fa piacere che hai apprezzato, e mi associo ai complimenti nei confronti di Paolo, che a lungo ha diffuso una Newsletter sugli ELP ricca di spunti interessanti. E’ importante anche per me ricevere conferme su quello che sto pubblicando. A presto, ciao.
Beppe,
inutile reiterare il concetto che i tuoi flussi enciclopedici sulle vicende artistiche contestualizzate siano da raccogliere e da consegnare integralmente ai posteri , per la corretta sopravvivenza dell’arte e della specie umana. Su EL&P , me lo aspettavo conoscendoti, siamo addirittura all’orgasmo da lettura.
…ma riparto anche io volentieri dal pensiero iniziale di Fabio Zavattarelli, cogliendo occasione per riflettere su un aspetto che ritengo un enorme vantaggio: l’essere nato a fine anni 60 , a cavallo di un incrocio generazionale da cui è comunque scaturita bellezza.
Chiarendo meglio : eravamo troppo piccoli nel 76/77, alle elementari, per percepire ‘differenze’ ( estetiche sì, ma NON necessariamente antitetiche, come molti han cercato di evidenziare) tra l’avvento del Punk-Rock che riproponeva la semplicità degli stilemi puramente R’n’R , della disco-dance di lusso (quasi tutta egregiamente suonata ) contro quasi un decennio di pirotecniche meraviglie di progressive, hard, jazz, o delle ondate psichedeliche e imprendibili dei corrieri cosmici sospesi tra impiego di strumenti elettronici e strumenti etnici….
A me poteva piacere tutto, indistintamente; come su una tavola ben imbandita con la facoltà di decidere ciò che si desiderava in quel momento. C’è posto per tutto ciò che continua a emozionarci , tenendo lontane noia e alienazione.
Ciao Mox, il tuo concetto della “tavola ben imbandita con facoltà di decidere…” è pienamente condivisibile. Ricollegandomi a quanto risposto a Fabio, anch’io mi sono molto interessato al punk e alla new wave. Ho recensito varie volte dischi del genere su Rockerilla e ricordo bene che comprai il debut-LP dei Ramones (per coincidenza) il giorno stesso che era arrivato da Carù, il più noto negozio import delle nostre lande. Quindi, sono stato fra i primissimi ad averlo in Italia. Nella “Prog Era” d’inizio 70, ascoltavo ovviamente ELP ed affini, ma ero un grande fan anche di MC5, Stooges e poi New York Dolls, in seguito “eletti” padrini del punk (per me erano maximum rock’n’roll selvaggio e stop). Comunque la si pensi, ciò che ho sempre osteggiato è che la rivoluzione punk dovesse abbattere i dinosauri del rock dai lunghi assolo ed elaborate parti strumentali. Non solo ELP e Yes, ma ricordiamocelo bene, anche Led Zepp, Deep Purple e compagnia ambiziosa. Questa era la “grande truffa del R&R”, cavalcata da media tendenziosi e case discografiche bisognose di rinnovare il mercato. Detto ciò, hai ragione: c’è posto per tutto ciò che continua ad emozionarci. Grazie!
Non sono un fan degli ELP, e quindi sarebbe forse opportuno non commentassi l’articolo onde evitare OT, ma l’intervento di Zavatarelli mi ha mosso ad una considerazione. Se escludiamo i Weather Report, non ricordo di artisti che mi abbiano lasciato indifferente al primo ascolto e poi abbia rivalutato al punto da poter parlare di “riscoperta entusiasmante” o, caso ancor più estremo, da consentire loro l’ingresso al mio pantheon. Ma curiosamente mi è spesso capitato il contrario, vale a dire di aver ascoltato con grande piacere e trasporto nomi che, passato l’entusiasmo, ho praticamente abbandonato: Manowar, Helloween, Uriah Heep, Mingus, Bill Evans, Area (anche se di questi ultimi ogni tanto mi “ripasso” qualche brano dagli album della maturità)… E non si è trattato di entusiasmi momentanei, visto che in tutti i casi citati parliamo di band o solisti che ho ascoltato intensamente per un paio d’anni e di cui ho anche approfondito la discografia (in toto o una particolare fase).
Esprimi una posizione molto personale (che non riguarda gli ELP) e come tale va considerata. Personalmente sono ben disposto a leggere qualcosa di interessante su artisti che ho trascurato, anche se difficilmente potranno trovar spazio fra i miei preferiti. Capita a molti che dei “top” del passato vengano poi accantonati. Ciao
Grazie Beppe
gli ELP sono il mio gruppo preferito e impazzisco letteralmente per loro.
Mi avevi annunciato già in una tua risposta su questo bog che avresti scritto su loro , e così è stato!!!
Ritengo gli ELP il gruppo che piu’ ha mostrato cosa vuol dire essere un supergruppo e delle rockstars.
Sono stati magniloquenti, eccessivi, grandiosi, barocchi, incredibili , fantasmagorici e unici.
Nessun gruppo è stato così estremo in grandezza e ampollosità, nessun gruppo ha mai sfiorato costruzioni architettoniche musicali così ardite.
Due autentici fuoriclasse (Emerson e Palmer) e un grande cantate (Lake).
Ma Emerson è stato qualcosa di piu’ alle tastiere, è arrivato a livelli tecnici e di virtuosismo inarrivabili.
Qualcuno lo paragono a Hendrix, io credo che il paragone calzi a pennello.
Li ho visti dal vivo negli anni novanta: spaventosi x bravura!
Ma vedere i loro video concerti degli anni 70 è incredibile per vedere a che livello spettacolare erano.
Per me “numeri 1” come direbbe Dan Peterson.
Grazie Beppe del regalo visto che il Natale si avvicina.
Francesco, il regalo me lo sono fatto a mia volta perché sono orgoglioso di poter trasmettere (nel mio piccolo) a chi legge, qualcosa del carico di emozioni che ELP mi hanno regalato negli anni. Rivederli dal vivo all’Arena di Verona nel tour di “Black Moon” è stata l’esperienza concertistica più entusiasmante da me vissuta. Emerson era l’Hendrix delle tastiere innanzitutto per portata innovativa, poi come showman. Ti saluto e ringrazio.
La foto finale della retrospettiva del 1986 mi ha emozionato: ogni volta che passo vicino a quell’edicola ricordo le 5000 lire che mi feci prestare per comprare il primo articolo su ELP (e che articolo) che avevo visto in vita mia. C’è un filo conduttore d’acciaio con questo appena letto, e non avrei saputo, pur essendo un malato emersoniano tanto da crearne un atipico gruppo fb, raggiungere nemmeno un decimo della competenza e dell’esaustività che ho appena apprezzato. Il web sa essere anche veicolo di alta qualità nei concetti e nella forma, e questo articolo ne è una rara ma eloquente dimostrazione. Grazie dal profondo.
Eh già, quell’Hard’N’Heavy…altri tempi! Leandro, non sono un tipo social ma conosco di fama il tuo gruppo facebook e penso che sia un gran goal (il calcio non mi regala soddisfazioni negli ultimi anni, mi rifaccio qui) riscuotere l’approvazione di chi è molto esperto sull’argomento, perché generalmente si tratta di soggetti esigenti. Ed è giusto che sia così. Pertanto anche da parte mia, un grazie sentito. Ciao
Io non ho parole.
Uno dei miei album preferiti nelle parole di uno dei miei maestri: un corto circuito emozionale da deliquio.
Che bellezza! Grazie.
Mi sono ripromesso fin da adolescente di poter scrivere sugli ELP qualcosa che suscitasse interesse ed è successo varie volte. Sono molto contento se hai/avete apprezzato. Grazie Marco, ciao!
Un debutto fulminante, e a mio parere anche il loro disco migliore, poichè quello dotato di maggiore equilibrio tra tecnica, maquiloquenza, e fruibilità.
Nei dischi successivi questo equilibrio mi pare sia venuto un pò a mancare, anche se Brain Salad Surgery è un gran disco…
Una band tutto sommato anche poco imitata, perchè probabilmente era difficile affrontarli sul loro stesso campo; mi vengono in mente solo i Quatermass.
Personalmente, a 14 anni (!) sono rimasto folgorato dall’ascolto del primo album e credo che in quanto a freschezza e novità resti insuperato. La maggioranza degli appassionati propende per “Brain Salad Surgery” (uscito un giorno prima, 19 novembre, ma nel ’73) che é il loro capolavoro della maturità. La rivista Goldmine, anni fa, lo elesse miglior album Prog di sempre. “BSS” figura ai primi posti in qualsiasi classifica degna di menzione nell’ambito progressive. Ripetere la formula del tridente ELP non poteva esser consuetudine nel rock, vista la presenza non capillare della chitarra elettrica. Le Orme di “Collage” ed i tedeschi Triumvirat si sono cimentati con bravura; gli inglesi Fields (ex Rare Bird) mi piacevano molto. Dei Quatermass si sa, grande gruppo. Consideriamo pure che sfidare gli ELP sul loro stesso piano era autolesionistico…Grazie Lorenzo, a risentirci.
👍 grazie, a risentirci al più presto
( i Rare Bird di Mark Ashton se non sbaglio…lui era diventato il proprietario della casa discografica NOW & THEN, e a suo nome fece uscire un bellissimo disco solista, Modern Pilgrims..)
Mark Ashton è stato pianista e voce nei Rare Bird, e ben più tardi realizzò nell’88 quel “Modern Pilgrims” che Kerrang! (quando era autorevole) promosse con il massimo dei voti. Gran disco, purtroppo dimenticato. Mi viene invece segnalato da fonte attendibile che il Mark Ashton della Now And Then, bieco personaggio che ha portato l’etichetta alla bancarotta con azioni illegali, è solo un omonimo del musicista. Doverosamente riporto. Invece, dopo i Rare Bird, l’organista Graham Field fondò i quasi omonimi Fields sul modello degli ELP. Un solo album omonimo all’epoca, anni fa è uscito dagli archivi un secondo mai realizzato a suo tempo. Bella puntualizzazione, Lorenzo.
Complimenti Beppe per l’esauriente articolo, che dimostra, tra le tante cose, quanto sia proficuo, come hai fatto tu, accostarsi a questi grandi dischi del passato con un taglio storico, valutando al tempo stesso il contesto, il pregresso e gli sviluppi successivi. L’album d’esordio di ELP ha provocato un cambiamento nella scena rock, al pari di altri grandi capolavori, aprendo le menti dei musicisti più ricettivi ad esplorare una serie di nuovi sbocchi creativi. Naturalmente lo stesso è avvenuto anche per il trio stesso, che si è mosso sulle suggestioni provocate da autori del mondo classico e jazz europei e americani, in linea con la libertà espressiva introdotta nel rock da musicisti quali Jimi Hendrix e Frank Zappa (per non citare i soliti Beatles). Un’ideale staffetta creativa che in quel periodo storico continuamente rimbalzava tra le due sponde dell’Atlantico e che ha fatto letteralmente esplodere la creatività e l’ispirazione, riverberandosi anche in Italia, in Francia, in Germania ed in altri paesi, con sviluppi spesso di grandissimo rilievo. Infine la vena folk e più tradizionale di Lake deve sempre essere giustamente rimarcata perché è ciò che rende ELP un gruppo più aperto e comunicativo, che sa toccare diverse corde emozionali. Con loro, nei momenti migliori, vale certamente la massima che afferma come il totale possa essere maggiore della somma delle parti.
Paolo, io ho detto e scritto fin troppo, ma ritengo sempre che all’arricchimento del Blog contribuiscano i lettori, con delle sintesi estremamente puntuali ed esaurienti come la tua. Non avevo dubbi a riguardo. ELP erano musicisti eletti, nessuno ci restituirà mai ciò che abbiamo perso con loro, ma ricordarli insieme ci ridona parte di quell’entusiasmo. Grazie davvero, ciao.
Grazie Beppe….
un post che lascia senza parole, un concentrato di competenza, passione e verità assolute per uno dei migliori gruppi dell’epoca e, direi di sempre. Immortali.
Ciao Civi, ringraziandoti per il giudizio sul mio operato, conta soprattutto che tu sia fra i tanti che ricordano con grande ammirazione questo gruppo straordinario.
Sono uno di quelli che ha sempre detto … “per fortuna arrivarono i Ramones a liberarci da E.L&P” (non sono mai stato un Punk Rocker, ma la necessità storica ed ineluttabile per la sopravvivenza del Rock che il movimento ebbe la riconosco) …. eppure negli anni proprio loro – che ho sempre visto come l’apoteosi della distruzione dello spirito puro del Rock ‘n Roll – sono tornati ad essere oggetto di attenzione. Confesso che non posso dirmi di essere fan dell’opera omnia e dell’omnia del suo significato/risultato espressivo, ma negare che un pezzo come Knife Edge non sia stata una riscoperta entusiasmante per me, sarebbe mentire, al punto che con la mia Band Hard di dilettanti appassionati, la rifacciamo in trio elettrico almeno in parte … proprio perchè è uno di quei pezzi che colpiscono, ma anche Take a Pebble etc … nel senso che sono giusti i gusti e l’ecumenismo fine a se stesso si risolve in un non-gusto e non scelta- e quindi non carattere … ma parallelamente non bisogna mai essere talebani, perchè in questo modo poi si riscopre il gusto e la bellezza anche di dire “mi ero sbagliato” oppure “effettivamente non avevo capito ed ora invece …. vedo e comprendo e sento” e quindi la crescita ed il superamento dei confini.
In fondo Emerson era sicuramente la trasposizione di Hendrix su Tastiera, sfacciato irriverente espressione del suo animo … Lake … un poeta e poi .. Carl Palmer la mitraglia della batteria …. troppo simpatico.
La cosa che più appare ai miei occhi in questo esordio è lo spirito di avventura di esplorazione in sintonia con quegli anni in cui l’espansione col Rock era la parola d’ordine (espansione di elettricità con l’Hard, con la post psichedelia dei Floyd e con l’approccio arty dei Nice) del mondo musicale (in fondo Sly & The Family Stone facevano anche lo stesso col Soul-Funk) … cosa che poi in altri successivi …. è mancato, o almeno … si è tradotto in quell’autocompiacimento kitsch che porterà (appunto) alla Rivoluzione (o Contro-Rivoluzione, come la si vuole vedere) di metà anni ’70.
Una nota finale: io sapevo del proposito di super-gruppo, ma avevo letto che avrebbe dovuto essere H(endrix)E(merson)L(ake)P(almer) …. non con Mitchell.
P.S. – Pleonastico dirti GRAZIE per questi viaggi, Ritorni approfondimenti, Ri-Approfondimenti e per il Cibo per l’anima e la Mente che ci somministri sempre …..
Ciao Fabio, apprezzo molto la tua onestà intellettuale nel riconoscere che si può sbagliare e riconsiderare le proprie opinioni musicali; sarebbe assurdo non mettersi in discussione, specie con gli anni che passano e l’ovvia maturazione di ognuno di noi. Inutile dire che non ho mai creduto nella “crociata” contro i presunti Dinosauri del rock e nella necessità di ripartire dai due accordi sparati dal punk per restituire la verginità al R&R. Ho nella mia collezione molti dischi punk, new wave, e di metal puro e crudo, ma non certo per sconfessare chi aveva fatto cose ineguagliabili in passato. La tua storia é istruttiva e ben articolata. Per quanto riguarda l’ipotetico supergruppo con Hendrix, il tutto sembra derivato da una battuta di Mitch Mitchell, il primo batterista contattato da Emerson e Lake, che avrebbe accarezzato l’idea di parlarne a Jimi. Ma tutto fini lì. Chiusa la parentesi, in seguito il trio sarebbe stato completato da Palmer, e la storia dice che è stato bene così. Comunque le leggende fanno volare la fantasia…Grazie dell’intervento
Che esordio, Beppe, che esordio! Best prog band in my book, non contest! Grazie per il bell’articolo, magniloquente e passionale.
Caro Tim, era l’ora che dopo la presentazione del nostro Blog (letta tuttora e spesso da chi ci segue) mi dedicassi un commento! Sulla “passionalità” non posso nascondermi, perché sono letteralmente cresciuto venerando queste Grandi Figure, ma é quello che sentivo e sento, nessuno me l’ha imposto…E’ motivo di soddisfazione che un super esperto dei Led Zeppelin (inutile disquisire su ciò che rappresentano) manifesti grande stima anche per gli ELP. Ciao!