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ALBUM & CDC'era una volta HARD & HEAVY

Encomio a TONY CLARKIN: l’”ultima danza” dei MAGNUM

Di 20 Gennaio 202420 Commenti

Magnum 1984, Tony Clarkin in primo piano (Foto: Fin Costello/Getty)

Ci lasciano a ritmo ormai incessante artisti che hanno marchiato indelebilmente gli anni migliori della musica rock che amiamo, ma solo le celebrità hanno il privilegio di essere commemorate nei programmi televisivi e radiofonici che fanno audience o nei titoli della stampa di vasta diffusione.
A tanti altri, non resta che qualche sfuggente menzione nelle rubriche dedicate ai necrologi dalla stampa specializzata. Le vicende ed il mesto epilogo dei musicisti da culto mi hanno spesso toccato il cuore, finendo per colpire la mia sensibilità più dei famosi le cui gesta sono di dominio pubblico. E’ ovviamente una reazione soggettiva, non si tratta di scarsa riconoscenza verso chi ha fatto “davvero grande” la storia del rock (come sostengono i bravi giornalisti di settore) ma forse il desiderio istintivo di voler offrire un giusto riconoscimento a chi se n’è andato senza troppi clamori. Ognuno fa i conti con la propria realtà, pertanto presumo che dalle nostre parti la scomparsa del leader dei Magnum, Tony Clarkin, avvenuta il 7 gennaio, non faccia particolarmente notizia.
Qualche settimana prima gli era stata diagnosticata un’incurabile patologia della colonna vertebrale, che aveva costretto i Magnum ad annullare il tour programmato in aprile e maggio 2024. Tony è deceduto all’età di 77 anni, e la dimostrazione di quanto imprevedibile e fulmineo sia stato il decorso della malattia lo conferma la compiuta realizzazione del 23° album di studio del gruppo, pubblicato il 12 gennaio su etichetta SPV/Steamhammer. A tutti gli effetti “Here Comes The Rain”, costituisce il suo autentico testamento musicale, ed aggiungiamo che si tratta di un prezioso, estremo lascito, assolutamente degno della grande tradizione instaurata dai Magnum.
Clarkin, che recava lo stesso nome di un chitarrista di ben altra notorietà, anch’egli di Birmingham (Tony Iommi dei Black Sabbath) ha attraversato oltre cinquant’anni di storia musicale, ed in qualità di fondatore ed esclusivo compositore dei Magnum, è stato il vero e proprio artefice del sofisticato stile hard rock del gruppo, dotato di un’impronta inconfondibile.

Negli anni ’70, quando i Magnum apparirono sulla scena in netto anticipo rispetto alla NWOBHM, l’autorevole critico di Sounds, Paul Suter, ne scrisse l’elogio in questi termini: “Il chitarrista Tony Clarkin fornisce gran parte della forza motrice dei Magnum, brutalizzando la sua Gibson e tirandone fuori una raffica di gutturali, ruggenti riffs, prevalentemente veloci, alcuni lenti, ma tutti letali!” Una prosa che appare un po’ anacronistica oggi, assuefatti come siamo a ben altri clangori metallici, ma che fotografa assai bene i tempi, quando la musica heavy riuniva sotto un’unica bandiera i suoi esponenti di differente personalità. Lo stesso Suter ironizzava sull’immagine dei Magnum, che “sembravano un gruppo di roadies ad una festa in maschera”, sottolineando implicitamente come il valore del quintetto delle Midlands risiedesse esclusivamente nella proposta musicale, non potendo fare affidamento sul “carisma del ragazzo carino” (come sentenziava il Record Mirror). Ben sappiamo come nella seconda metà dei Seventies sia cresciuta l’importanza del look dei musicisti rock, che caratterizzava interi movimenti giovanili, a partire dal punk e dall’heavy metal. Ma i Magnum, per abusare di un termine attuale, non erano certo dotati dell’X Factor fotogenico. Proprio Clarkin, allora soprannominato “The Hat”, sfoggiava una lunga barba ed un cappello, che a suo modo lo faceva apparire un moderno Mago Merlino, quasi in ossequio a certe tematiche fantasy che lo ispiravano.
Ma il forte dei Magnum era realmente la musica…Lo scomparso precursore del giornalismo hard’n’heavy, Malcolm Dome, li aveva inizialmente eletti “naturali successori degli Yes e dei Supertramp” (epoca “Crime Of The Century”, aggiungo) ma certamente Clarkin e compagni indirizzavano la lezione di questi modelli, e più generalmente del progressive, verso le frontiere del suono heavy. In altri termini, il gruppo che realizzò nell’agosto 1978 il debut-album “Kingdom Of Madness”, rappresentava la prima, autentica risposta inglese al pomp-rock supremo degli americani Styx, Kansas, Angel e Roadmaster, infondendo nei suoi brani la stessa enfasi mitologica.
Meritano di esser collocati a fianco di quei luminari d’Oltreoceano e certamente gli esponenti del versante raffinato della NWOBHM, quali Grand Prix, White Spirit, Nightwing, Saracen e Limelight hanno tratto vantaggio dalla spinta pionieristica dei Magnum.

Caccia al Dragone & altre storie

Magnum 1980

Fin dalle origini, i Magnum erano fondati sul connubio artistico rappresentato da Tony Clarkin e dal peculiare carattere teatrale della voce di Bob Catley. Il chitarrista, che a scuola eccelleva nei temi ed in letteratura inglese, si dedicò subito alla composizione di testi e musica, e si ha notizia di un primo demo risalente al 1973. Il singolo d’esordio uscì invece nel febbraio 1975, presentando una versione di “Sweets For My Sweet”, successo dei Searchers al primo posto fra i singoli inglesi nel 1963; benché pubblicato dalla CBS, non lasciò traccia.
Disilluso, Clarkin fu sul punto di lasciare la carriera musicale, ma collaborando alla realizzazione di un nuovo studio, preferì esser compensato con la registrazione gratuita di quattro brani, che convinsero David Arden della Jet Records (fratello di Don, titolare dell’etichetta e padre di Sharon Osbourne) a scritturarli.
Il primo album “Kingdom Of Madness” (1978),registrato nei rinomati studi De Lane Lea di Londra, già annunciava nella memorabile title-track il tipico stile dei Magnum, in bilico fra progressive (l’intro acustica, il flauto) ed impeto hard rock.
La promettente risposta del pubblico inglese convinceva la Jet ad affidare il quintetto (completato dal bassista Wally Love, dal batterista Jim Simpson e dal tastierista/flautista Richard Bailey) alle cure dell’ex-Ten Years After, Leo Lyons, già produttore degli UFO. Il risultato era lusinghiero, ma “Magnum II” (1979) arretrava nella classifica inglese rispetto al predecessore, così l’etichetta decise di puntare sulla crescente attrattiva live di Clarkin e compagni (già collaudata in tour con Blue Oyster Cult e Krokus, a seguire date con UFO, Whitesnake, Def Leppard e Tygers Of Pan Tang) pubblicando un doppio singolo e soprattutto l’album “Marauder”, entrambi registrati dal vivo al Marquee; non solo nel “pugno di ferro” in copertina, “Marauder” (aprile 1980) catturava la riaccesa energia del rock duro britannico e finiva sulla cresta dell’onda impetuosa della NWOBHM. Magnum raggiungevano così le soglie dei Top 30 britannici, ma perdevano Bailey, sfinito dall’incalzante dinamica dei concerti; il suo sostituto però era Mark Stanway, autentico “eroe” delle tastiere che spingerà il gruppo di Birmingham verso nuove vette espressive.
Il terzo album di studio infatti è il maestoso “Chase The Dragon” (1982), adornato dalla prima, splendida copertina di Rodney Matthews, l’artista inglese che elaborava la lezione di Roger Dean nel suo leggendario stile fantasy, ideale per effigiare certe mitologiche rappresentazioni musicali dei Magnum. Salvo rare eccezioni, le sue opere d’arte illustreranno le copertine dei Magnum fino ai giorni nostri. Si aggiunga che l’album è valorizzato dalla produzione dell’americano Jeff Glixman (di fama Kansas), ed annovera classici immortali del gruppo, dalla grandeur epica di “Soldier Of The Line” alla criptica magia da menestrelli medievali di “The Spirit” (indimenticabile la versione unplugged che ascoltai in un concerto all’Odissea 2001 di Milano!), oltre a gemme quali “Sacred Hour” e “The Lights Burned Out”.
“Chase The Dragon” entrava sorprendentemente nei Top 20 della classifica inglese ed i suoi creatori andavano alla conquista dell’America, quantomeno al seguito di Ozzy, star dell’etichetta. Purtroppo la Jet abbandonava i Magnum al loro destino, rifiutandosi di ingaggiare Glixman per il nuovo album, onde investire su altre priorità. Il poliedrico Clarkin finiva per incaricarsi dell’onere di produrre “The Eleventh Hour” (1983), meno riuscito del predecessore. Sarà l’LP terminale realizzato per la Jet, e dopo il Festival di Reading dello stesso anno, la formazione sembrava destinata allo scioglimento, con Tony afflitto da seri problemi di salute e gli altri membri in cerca di nuove prospettive.
La salvezza dei Magnum è dovuta principalmente alla dedizione del nuovo manager Keith Baker (già batterista di Bakerloo e Uriah Heep) che ravvivava nei musicisti il fuoco per il concepimento del nuovo capolavoro, “On A Storyteller’s Night” (1985); splendida la copertina Tolkien-esca di Matthews, in contatto medianico con “Il Signore Degli Anelli”. Difficile sceglier fra i brani: spicca ad esempio la suggestiva e tempestosa “How Far Jerusalem”. In realtà la Gerusalemme delle liriche è un’allegoria di Londra; Clarkin racconta i tempi bui di sfortunati viaggi da Birmingham alla Capitale inglese in cerca di opportunità favorevoli per il gruppo. Memorabili anche l’enfasi solenne di “All England’s Eyes” e l’atmosfera evocativa della title-track, senza dimenticare “Just Like an Arrow” e “The Last Dance” (Clarkin sapeva scrivere anche canzoni d’amore…).

Realizzato per l’indipendente FM/Revolver, il nuovo 33 giri rilanciava i Magnum a livello commerciale ed in sede di consuntivo anni ’80, Kerrang! inserirà sia “Storyteller”, sia “Chase The Dragon” nei 100 Greatest Heavy Metal Albums fino ad allora pubblicati. Subito dopo una roboante apparizione al Festival di Castle Donington nell’agosto 1985 (headliners gli ZZ Top) Catley confermava che il gruppo si era assicurato un nuovo contratto per la Polydor. Ne conseguiva un album, “Vigilante” (1986) dalla produzione più sofisticata, affidata a Roger Taylor dei Queen. Il maggior successo in patria lo ottiene però il successivo “Wings Of Heaven” (1988), al quinto posto in Inghilterra, traguardo mai più raggiunto, e persino al numero 2 in Svezia, dove il pomp-rock degli Europe ha letteralmente sfondato. “Wings” finisce in gloria con l’ipnotico tour de force di oltre dieci minuti, “Don’t Wake The Lion”.
A questo punto, la casa discografica si fa tentare dal dominante mercato americano, ed induce Clarkin a collaborare con autori di successo per la stesura dei nuovi brani, fra i quali l’elettrizzante singolo “Rockin’ Chair”, scritto con Russ Ballard (ex Argent) e “What Kind Of Love Is This”, composto con il partner di Bryan Adams, Jim Vallance. Fanno parte di un album AOR di elevata qualità, “Goodnight L.A.” (1990), prodotto da Keith Olsen; si scontra però con un bilancio negativo fra spese e ricavi della Polydor, che decide di non andar oltre nell’affaire. Il rapporto contrattuale si estingue con il pur pregevole live “The Spirit” (1991).
E’ un periodo critico per la band, che cerca il rilancio con la Music For Nations, ancora strizzando l’occhio all’AOR nel singolo “Only In America”, tratto da “Sleepwalking” (1992). Ma i venti non spirano più a favore del rock melodico, ed anche i Magnum ne fanno le spese. L’ultimo album di studio degli anni ’90 per la EMI Elecrola, “Rock Art” (’94) non è certo fra gli indispensabili e nel dicembre 1995, il quintetto giunge ai titoli di coda. Il tandem Clarkin/Catley appare però inscindibile, giocando le sue carte in un nuovo gruppo dall’approccio più “moderno”, Hard Rain; ma la nostalgia per il progetto originale riemerge, ed il cantante inaugura una carriera solista (smarcandosi dagli Hard Rain dopo il secondo album, nel 1999) e riavvicinandosi allo stile delle origini.
La rinascita dei Magnum avviene due anni dopo; al fianco dei due iconici fondatori figura ancora il magistrale Mark Stanway, mentre la sezione ritmica annovera Al Barrow (già bassista degli Hard Rain) e l’ex batterista dei Thunder, Harry James. L’undicesimo album di studio “Breath Of Life” (2002), che inaugura il definitivo corso Steamhammer/SPV e spalanca ai Magnum le porte del nuovo millennio, è inferiore alle attese, ma il successivo “Brand New Morning” (2004) appare rassicurante non solo nel titolo.
E’ il preludio all’opera per eccellenza della maturità dei Magnum, “Princess Alice And The Broken Arrow” (2007), che dopo tredici, fatali anni riporta il gruppo in classifica, benché distante da posizioni di rilievo. Ciò che conta è che torni a splendere l’incanto dei classici Magnum anni ’80, tirati a lucido dall’incisiva ma immaginifica produzione dello stesso Clarkin, ormai abile stratega anche in studio. Il leader si è anche documentato negli archivi storici per riesumare le vicende del Princess Alice, un orfanotrofio ormai demolito di Birmingham, che l’artwork di Matthews illustra come alquanto sinistro. “Out Of The Shadows” e “Dragons Are Real”, ennesimo omaggio all’ispirazione mitologica del compianto Tony, sono semplicemente due saggi della ritrovata creatività.
A suggello della medesima, il successivo “Into The Valley Of The Moonking” (2009) rivaleggia con “Princess” per il titolo di loro miglior album del decennio. Ma la corsa del gruppo è ormai irrefrenabile: dopo l’ulteriore prova di valore del 2011, “The Visitation”, e a partire da “On The 13th Day” (2012), Magnum pubblicano, sempre sotto l’egida SPV, una sequenza di pregevoli album a regolare scadenza – circa biennale – tutt’altro che scontata per un gruppo di veterani, ma che dimostra l’unicità del fervore creativo di Tony Clarkin.
Il ciclo si conclude proprio con l’attualissimo “Here Comes The Rain”, inevitabilmente destinato, per l’infausta scomparsa dell’inimitabile artefice, ad intonarne il canto del cigno.

"Here Comes The Rain", il capitolo finale

Magnum 2023 (Foto: Rob Barrow)

Prima che la malattia lo allontanasse sventuratamente dalle scene, Tony Clarkin aveva presentato il nuovo album ribadendo il suo desiderio di una costante ricerca nel fare musica, perché insistere nella composizione era il “suo mondo”, anche dopo cinquant’anni di attività. Un’euforia che motivava appieno l’incessante attività discografica dei Magnum. Ad accompagnarlo nell’ultima avventura, oltre all’irrinunciabile Bob Catley, persiste la line-up degli anni “Venti”, già protagonista dei precedenti “The Serpent Rings” e “The Monsters Roar”, ovvero: Rick Benton (tastiere), Dennis Ward (basso) e Lee Morris (batteria).
Inizia il disco e l’elegante tessitura della chitarra di “Run Into The Shadows” riporta indietro le lancette del tempo all’epoca d’oro dell’hard rock melodico. Se aggiungiamo che gli esercizi di ginnastica vocale dell’eroico Bob Catley non sembrano risentire del trascorrere degli anni – almeno in studio – sosteniamo più correttamente che questa è musica senza età, che nulla ha perso in quanto a fascino e freschezza espressiva. Poi la title-track, un andamento slow scandito dalla punteggiatura della solista e con una cornice sfarzosa di tastiere che fanno da sfondo al distintivo refrain.
“Some Kind Of Treachery” è invece introdotta dal pianoforte di Rick Benton e si risolve in una ballata dall’atmosfera vigorosamente orchestrale.
L’afflato melodico di “After The Silence” è ancor più avvincente, trionfale pomp-rock sottolineato dalle tastiere in grande spolvero, che confermano Benton degno erede del maestro Mark Stanway. “Blue Tango” è invece il singolo che aveva anticipato l’album a fine novembre ’23: dimostra come i Magnum non avessero perso la voglia di sperimentare al di là delle loro classica tipologia musicale. Si tratta di hard rock raffinato ma deciso, sostenuto da un riff incalzante accompagnato dalla ritmica del piano. La voce di Catley, doppiata dai cori, è impeccabile ed i rapidi assolo di organo e chitarra accentuano il dinamismo di un brano trascinante come pochi, di questi tempi.

Anche l’alternanza del mood espressivo giova all’ascolto di “HCTR”, e con “The Day He Lied” torniamo all’atmosfera sinfonica e melodrammatica che ha reso indimenticabili i Magnum degli anni ’80: il vellutato bridge pianistico serve a rilanciare il crescendo finale, monumentale!
Il secondo singolo “Seventh Darkness” è un’altra sorpresa, perché caratterizzato dall’inusuale arrangiamento dei fiati, che ne dettano il ritmo. Clarkin si era detto particolarmente soddisfatto dal vibrante assolo di sax a cui lui stesso rispondeva con le folgori elettriche della sua chitarra. A tale impeto fa seguito il brano più intimista e crepuscolare del disco, “Broken City”, dove Catley sfoggia le sue riconosciute doti da cantastorie su un soffuso background strumentale.
“I Wanna Live”, dal titolo amaramente smentito dalla fine del suo autore, è lussureggiante pomp-rock che sembra specchiarsi a ritroso nella miglior tradizione del genere; le tastiere di Benton la fanno da padrone e sottolineano un maestoso epilogo.
Infine, “Borderline”, con un’intro d’atmosfera medio-orientale che lascia spazio alla chitarra di Clarkin nel condurre l’ultima danza…Un mid-tempo epico di oltre sei minuti che suggella in grande stile quello che verosimilmente sarà l’album d’addio dei Magnum.
Mi accorgo di essermi espresso su tutti i dieci brani (scelta efficace degli autori, non debordante di quantità), semplicemente perché nessuno di essi è trascurabile, ed ogni appassionato di buona volontà può scovare nuove gemme nel dispiegarsi di “HCTR”. Approfittate delle varie configurazioni (CD+DVD, 2 LP in vinile colorato, deluxe box set, ma anche semplice CD) per rendere l’estremo omaggio ad un mirabile musicista; Tony Clarkin ha forgiato l’ennesima opera di valore prima di librarsi verso l’Altro Mondo degli eroi, che ci aveva fatto sognare con le visioni mitologiche dei suoi Magnum.

20 Commenti

  • Andrea ha detto:

    Ciao Beppe. Abbiamo scambiato alcune cassette di stampo AOR nel lontano 1989, ricordo REFUGEE, SIGNAL, BALANCE. Ho trovato il tuo blog e leggendo questa recensione non posso che condividere ogni tua parola. Il mio album preferito dei Magnum è On a Storyteller’s Night, seguito da Wings of Heaven, due classici del POMP AOR più sublime. Ti ringrazio per il tuo elogio a Tony Clarkin, ma soprattutto per avermi fatto scoprire ed innamorare di questo mondo (HARD ROCK MELODIC)O, tramite le pagine di Metal Shock. Oggi alla veneranda età di 55 anni ho una collezione enorme che comprende tutto il genere e i suoi derivati. Un saluto e un abbraccio.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Andrea, scusami ma non ricordo l’episodio delle cassette, però il 1989 è stato un grande anno per l’AOR, infatti (al di là dell’epoca Metal Shock) gli ho dedicato un articolo sul Blog tempo fa, che puoi ricercare se ti fa piacere (digita “1989” e lo trovi). Per me sapere di aver “indicato la via” (non uso termini più pretenziosi) ad appassionati che poi sono diventati grandi esperti/collezionisti di un certo genere musicale è uno dei complimenti più importanti. Per quanto riguarda Clarkin/Magnum, mi sembrava un omaggio doveroso oltre che sentito. Ti ringrazio davvero per le tue parole.

  • MarMar ha detto:

    Ciao Beppe e grazie per questo articolo, che giustamente rende onore alla carriera e alla musica prodotta da mr. Tony Clarkin. I Magnum li ho scoperti relativamente tardi, quando pubblicarono quello che per me è il loro apice assoluto, ovvero il capolavoro a titolo “Wings of Heaven”, disco perfetto, ben rodato dai due precedenti lavori, che se l’avesse partorito qualche altra band più “sponsorizzata ” avrebbe ottenuto chissà che successo planetario. Si sono ahimè persi con l’album successivo, quel “Goodnight L.A.”, azzardo andato male (mi ricordo che quando lo ascoltai appena uscito rimasi perplesso), per poi ritrovarsi con l’ottimo “Brand New Morning” (“Breath…” manco lo considero), e da lì proseguendo con buoni lavori, ma che secondo me non hanno aggiunto nulla alla magniloquenza e all’estro compositivo raggiunti nei secondi anni ’80. Un sentito addio al maestro Tony, che ci ha lasciato tanta buona musica, che unitamente a delle splendide copertine, ci farà sempre ricordare il mondo fatato dei suoi Magnum.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Marco, hai ragione, Tony ci ha lasciato un’importante eredità, “il mondo fatato dei suoi Magnum”; certamente avrebbe gradito questa tua considerazione. Sui vari album le opinioni come sai sono molto soggettive. Ognuno ha i propri “favoriti”, ma sulle eccellenze assolute convergono (quasi) tutti i pareri. Grazie.

  • Alessandro Massara ha detto:

    Grazie Beppe per questo bellissimo tributo. Meritato. All’epoca ero letteralmente in fissa con “On A Storyteller’s Night” e ho assistito anche alla loro esibizione a Donington nell’85 di cui parli nel tuo pezzo. Una band forse sottovalutata, di grandi strumentisti, capace di volare dall’hard-rock al prog, dal pomp all’AOR sempre mantenendo il proprio stile. Confesso di averli “abbandonati” negli anni ’90, ma le tue parole mi stanno ispirando nell’acquisto di qualche loro classico della seconda parte della loro carriera.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Alessandro, mi fa tanto piacere che il Presidente della Universal legga il nostro Blog, ma soprattutto, se mi permetti, che per te sia sempre fondamentale la musica rock che ti ha appassionato fin dai tuoi anni giovanili, al di là del ruolo che hai conquistato e delle priorità professionali. Se poi mi aggiungi che ti ho fatto venir voglia di acquistare qualche classico della fase più avanzata dei Magnum, per me è particolarmente gratificante. Davvero, grazie.

  • Raffaele ha detto:

    Sono d’accordo purtroppo la scomparsa del grandeTony Clarkin è stata trattata anche dei siti specializzati quasi come una notizie marginale, invece i Magnum sono stati un grande gruppo che ha avuto molto meno riscontro commerciale di quello che meritavano.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Raffaele, non entro in merito a quello che scrivono gli altri perché se avessi voglia di polemizzare, avrei un profilo “social” dal quale sparare sentenze. Questo Blog mi consente di proporre ciò che mi piace senza forzature auspicando che la mia nicchia di lettori apprezzi, stop. Che i Magnum siano stati un grande gruppo che non ha riscosso in proporzione ai propri meriti, è sacrosanta verità. Grazie.

  • Roberto Torasso ha detto:

    Ciao Beppe, purtroppo di epitaffi nel Rock dovremmo aspettarcene ancora dato la ormai non più verde età della maggior parte degli eroi che ne hanno scritto la storia chi a grandi lettere,chi come Tony Clarkin in maniera silenziosa …artigiani della musica come lui non avranno goduto del consenso delle masse ma hanno sicuramente segnato il cuore di quegli appassionati che non si omogeneano ai gusti della maggioranza ma sanno valutare in maniera individuale il valore delle cose… nella loro lunga carriera i Magnum hanno scritto grande musica, anche quando si sono prestati alle esigenze di mercato nel finire degli ’80 lo hanno fatto imprimendo la loro personalità con il loro gusto melodico inimitabile e dalla capacità compositiva di Tony e tutta la discografia ha momenti di pregio in ogni pubblicazione…per dire io adoro Breathe of Life e non lo considero così deludente come la maggior parte delle recensioni ho letto…eppoi la costanza qualitativa nel numero di album pubblicati molti gruppi anche blasonati se la sognano…

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Roberto, largamente condivisibile la tua opinione: artigiani della musica per chi sa valutare autonomamente il valore della proposta…I Magnum erano senz’altro amati da un pubblico con tali caratteristiche, disinteressato a seguire la massa. Poi, a mio avviso, ogni carriera discografica lunga ed importante (come nel caso del quintetto di Birmingham) ha i suoi alti e bassi; semplicemente non tutto può essere al top e chi scrive di musica ha il dovere di dire la propria, ma senza la spocchia di personaggi che spesso blaterano senza basi adeguate. Vero, molti gruppi blasonati non hanno avuto il livello medio qualitativo della discografia di Clarkin e compagni. Grazie.

  • Lorenzo ha detto:

    Grazie per questa bella retrospettiva in onore di un artista e di una band che nonostante una lunga e prolifica carriera, non hanno probabilmente raccolto quanto meritavano.
    In questi giorni ho un po’ rispolverato la discografia dei Magnum, e la qualità dei loro dischi è indiscutibilmente alta, nonché costante negli anni.
    Personalmente trovo che il loro periodo migliore sia compreso tra “Storyteller..” e il live di commiato che ha sigillato la fine della prima parte di carriera, cioè “The Last Dance”…ma sono opinioni.
    Tecnicamente, credo che i Magnum abbiano scelto (consapevolmente) forse la via più difficile; come dire, troppo hard rock per i il pubblico prog, troppo prog per il pubblico dei rockers. Una scelta coraggiosa e personale, ma che li ha danneggiati da un punto di vista commerciale. Inoltre come hai tu Beppe giustamente sottolineato, non hanno mai dato troppo peso a questioni legate all’immagine.
    Da anni i loro dischi erano garanzia di qualità, ormai svincolati dalla ricerca del successo di massa, ed è veramente un peccato che la storia si sia conclusa in modo così repentino e triste.
    Tony lascia una ricchissima eredità musicale, a ricordarlo nel tempo.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Lorenzo, sottolinei un aspetto importante; la musica dei Magnum non era frutto di mirate concessioni ad un genere o a quell’altro; era la loro personalità rock caratteristica e basta. Anch’essi hanno svelato qualche inclinazione commerciale, fa parte del gioco, ma risolta con classe ben superiore alla media. Sull’immagine non potevano certo puntare, non avevano le physique du rôle, ma hanno continuato a lungo, forti della loro proposta artistica, e come dici tu, “hanno lasciato una ricchissima eredità musicale”. Grazie!

  • Fulvio ha detto:

    Ciao Beppe.
    Uno dei due gruppi, per quanto mi riguarda, che ho sempre acquistato a scatola chiusa.
    Una leggenda ed una garanzia.
    Contento di essere ancora riuscito a vederli dal vivo, al Legend di Milano nel 2018.
    Grazie di tutto Tony

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Fulvio, è confortante che la scomparsa di Tony Clarkin abbia colpito molti appassionati, consci del rilevante contributo che il musicista ha offerto alla musica rock che prediligiamo. Grazie per la partecipazione al nostro tributo.

  • Samuele ha detto:

    Come sempre un grande racconto! Essendomi occupato degli ultimi due dischi dei Magnum per il mio sito, non posso che essere totalmente d’accordo con te. Questo Here Comes The Rain è veramente un ottimo disco, per me il migliore della loro fase ‘matura’ ed una chiusura magistrale per una carriera enorme. R.i.p. Tony❤️

    • Beppe Riva ha detto:

      Un racconto da “storyteller”? Permetti la battuta per citare ancora una volta il nostro stimatissimo Tony. Sono contento che tu abbia molto apprezzato il nuovo “Here Comes The Night”. Per emettere giudizi definitivi su una carriera di valore, personalmente lascio scorrere un pò di acqua sotto i ponti, tanto per “raffreddare” l’entusiasmo del momento. Ma se tu sei convinto fai benissimo ad eleggere “Here Comes The Rain” al top. Senz’altro è un album da considerarsi pienamente riuscito, l’ho scritto a mia volta a chiare lettere. Ciao Samuele e grazie.

  • Paolo Migliardo ha detto:

    Grazie Tony per tutte le emozioni che ci hai regalato con la tua musica…
    Grazie Beppe per tutte le emozioni che ci regali scrivendo della nostra musica…

    • Beppe Riva ha detto:

      E grazie a te Paolo, per accostarmi con le tue parole ad un artista che ho molto ammirato in questi lunghi anni! Ciao.

  • Alessandro Ariatti ha detto:

    Ciao Beppe. Semplicemente una delle mie band preferite di sempre, proprio per la loro innata capacità di unire le due fasi che personalmente prediligo nell’hard’n’heavy: melodia ed epica. Ci voleva proprio un lungo articolo che rendesse merito ad uno dei songwriter più talentuosi del genere! Provvederò a condividerlo il più possibile. Peraltro il canto del cigno Here Comes The Rain è, come hai sottolineato, veramente bello.
    Grazie!

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Alessandro, fa sempre piacere osservare che ci sono specialisti che non mancano di sottolineare le qualità di artisti dotati di un linguaggio espressivo di alto livello, seppur trascurati dalla massa. E ti ringrazio anche per diffondere il mio operato a riguardo. Uno scopo significativo per noi che scriviamo, è rendere il giusto merito a chi se l’è guadagnato sul campo con la nostra musica preferita, sostenendone la causa.

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