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Reliquie PROG

Epopea del Prog italico II: Saint Just, Sensation’s Fix, De De Lind

Di 12 Marzo 202115 Commenti

SAINT JUST: "Saint Just" (Harvest, 1973)

Una delle formazioni più maliose ed originali dell’intero scenario progressive italiano, discende dal fertile albero genealogico partenopeo, laddove germogliarono Balletto di Bronzo, Osanna, Città Frontale, Cervello, Napoli Centrale e Alan Sorrenti.  I musicisti dei Saint Just si erano trasferiti a vivere più a nord, in una comune sul lago di Bracciano, dove la triade costituita da Jane Sorrenti, Tony Verde e Robert Fix concepiva l’espressione estatica, fluida e dal sapore antico dell’eponimo primo album.
Spesso si è abusato del termine “pop romantico” per codificare le proposte del rock italiano d’inizio anni ’70. Invece quest’etichetta appare a misura dei Saint Just, per le emozioni trasmesse dalla loro peculiare rivisitazione della musica classica “da camera”, dunque non l’opulenza dell’orchestra sinfonica, riprodotta pomposamente dagli strumenti elettrici di tanti sovrani prog-rock. Saint Just operavano in un’ambientazione più intimista, spesso risolta in esoteriche sonorità acustiche, sulle quali spiccavano gli arditi vocalizzi di Jane Sorrenti. Lei era sorella di Alan, rivelatosi nel ’72 con l’album “Aria”, caratterizzato dal virtuosismo della sua voce, usata come un vero e proprio strumento. La solerte critica l’aveva onorato del titolo di Tim Buckley mediterraneo, salvo poi ricredersi in seguito alla svolta commerciale del nostro, esploso nel kitsch astronomico di “Figli Delle Stelle”. Questo però nulla toglie ai suoi meriti iniziali, fra i quali l’aver forse incoraggiato il canto sperimentale della sorella e la proficua opera di missaggio delle registrazioni di “Saint Just”. Aggiungiamo che l’album del trio usciva, come i primi di Alan Sorrenti, per la succursale italiana della leggendaria Harvest, etichetta di superstar come Pink Floyd e Deep Purple.
E’ anche la stessa della Third Ear Band, formazione inglese ben più underground, ma “ringraziata” in copertina dagli artisti napoletani. Li univa probabilmente il gusto per la ricerca di alchimie musicali arcaiche, incuranti delle dottrine del business discografico e ricettive di matrici folk; non a caso il compositore Tony Verde suonava principalmente la chitarra classica. Ma se nell’habitat Third Ear Band non è contemplata la voce, quella di Jane sale al proscenio nei Saint Just, avvicinandoli ai parametri del rock morbido e classicheggiante dei Renaissance, a loro volta guidati da talentuose chanteuses, Jane Relf all’esordio, poi la prestigiosa Annie Haslam.
Il debutto discografico risale al 1973, ed in apertura “Il Fiume Inondò” è una suite di oltre dieci minuti, che raccoglie una mutevole sequenza di quadri musicali, dall’intro per chitarra acustica e pianoforte (dell’ispirato collaboratore Mario D’Amora), agli interventi del sassofono di Robert Fix, moltiplicato dagli echi alla maniera di Keith Gemmell (Audience) in “House On The Hill”, fino alla turbinosa azione ritmica sulla quale si impone anche la chitarra elettrica; naturalmente la Sorrenti cattura l’attenzione con la sua voce da sirena spettrale.

Altrettanto diversificata in componenti elettro-acustiche oltremodo suggestive è “Il Risveglio”; fra gli spunti degni di nota, il piano ritmicamente incalzante, sormontato dalla struggente elettricità della solista. “Dolci Momenti” è invece un episodio di assoluta quiete, dove i gorgheggi di Jane si distendono sugli incantevoli effetti da carillon del glockenspiel.
Ogni brano sfoggia momenti di grande intensità, a cui però è necessario dedicare più di un ascolto; ad esempio “Una Bambina” si distingue per l’incisivo cameo dello stesso Alan Sorrenti, mentre il vertiginoso sassofono riecheggia Mel Collins nei King Crimson di “Lizard”, anticipando le parti vocali allucinate, vicine ai Comus di “First Utterance”…Strabiliante, come le dissonanze di “Triste Poeta Di Corte”, che però sfocia in un maestoso incedere finale di pianoforte e sezione ritmica (alla batteria, il valoroso Tony Esposito).
Nel testo si evidenzia la dichiarata ammirazione per i poétes maudits transalpini dell’800, e la title-track, cantata proprio nella loro lingua ed in bilico fra atmosfere folk e teatrali, è un inno all’ispiratore del gruppo: Louis Antoine Saint Just, protagonista della rivoluzione francese, finito sul patibolo per aver tentato di liberare il famoso Robespierre.
Purtroppo non fu resa giustizia al gruppo, nonostante un secondo album altrettanto interessante, “La Casa Del Lago” (1974), folk-progressive più canonico. Si sciolsero fra l’indifferenza del pubblico e la Sorrenti, cambiando il nome in Jenny, inaugurò una carriera solista fino al rilancio della sigla Saint Just (Again) nel 2011. Nell’album “Calypso” (’77) di Tony Verde, partecipavano il luminare delle tastiere Vincent Crane (Atomic Rooster) e il pioniere dell’elettronica David Vorhaus (White Noise).
Ma il primo “Saint Just” resta un’apparecchiatura armonica più che rara nel suo genere.

SENSATION'S FIX: "Finest Finger" (Polydor, 1976)

Spesso e volentieri si è parlato dei Sensation’s Fix come di una accesso segreto, al di qua delle Alpi, verso “le porte del cosmo, che stanno su in Germania…”. Se vale questa premessa, dopo aver citato uno stralcio di “Musica Ribelle” (Eugenio Finardi), si può applicare anche il titolo di un album dei teutonici Xhol, Electrip – memoria ormai sfumata nelle distanti nebbie del tempo – per descrivere le sonorità visionarie dei Sensation’s Fix. Non sconfinano in “meditazioni elettroniche” radicali, come nel più acclamato stile krautrock d’inizio anni ’70 (Tangerine Dream), ma modellano un raga dell’acido elettrico dal pulsante cuore rock, risolto in brani niente affatto prolissi.
E’ questa l’essenza del loro album più diffuso e forse vicino all’estetica progressive, il quarto “Finest Finger”. La musica nasce fitta di sonorità elettroniche e già in forme concise nel primo album “Fragments Of Light” (1974); il progetto è del fiorentino Franco Falsini, chitarrista ma attratto dalla sperimentazione ai sintetizzatori. Già attivo nella seconda metà anni ’60 con i Noi Tre, si era poi trasferito negli USA per maturare nuove esperienze di studio e quindi far ritorno in Italia, avvalendosi di musicisti americani per allestire Sensation’s Fix.
Al debutto fanno seguito altri due LP (di cui un omonimo, non sul mercato, concepito per basi di programmi radiofonici) nel giro di un solo anno. Nel 1976 esce invece “Finest Finger”, fin qui l’opera più accessibile di Falsini, che si impone come una sorta di alter ego “tricolore” di Manuel Göttsching di fama Ash Ra Tempel e Cosmic Jokers; un anno prima, entrambi avevano dato alle stampe un album solista (nel caso di Franco, “Cold Nose”, anch’esso su Polydor). La vena immaginifica del Nostro fluiva fra squarci di rock psichedelico e folate di sintetizzatore, ma le sue “invenzioni per chitarra elettrica” sono meno ostiche e più stringate rispetto al cerebrale solista tedesco. Ad esempio “Strange About Your Hands” si sviluppa su una struttura rock tradizionale, impreziosita dall’arpeggio dark e dal riff ipnotico alternati da Falsini, responsabile anche delle trasognate parti vocali che si chiudono con la richiesta di “ingigantire il suono della chitarra”. “Just A Little Bit More On The Curve” è uno strumentale dall’effetto thriller di una colonna sonora: le orditure ritmiche ed il tappeto elettronico fungono da piattaforma di lancio per le intuizioni elettro-acustiche del leader, che lasciano piacevolmente con il fiato sospeso…In “Yardbirds Dream” è la solista in chiave risolutamente psichedelica a prendere il sopravvento, ed il mezzo di comunicazione musicale diventa catalizzatore meditativo, non distante da strategie Floydiane.
I flussi di chitarra e tastiere cosmiche nella fascinosa “Map” mandano il cervello in orbita galattica, anticipando l’ampiezza melodica dei “Planets” di Eloy, altri teutoni creativi e flippati…

Franco chiude la prima facciata cantando “il battello della pazzia per gente senza speranza” (“Boat Of Madness”) con il suono che si innalza a spirale verso un climax di vibrazioni, fino a dissolversi nel nulla fra effettismi space-rock.
Da sottolineare come la musica conservi un tenore di modernità al di fuori di qualsiasi categoria stilistica (“The Left Side Of Green”) senza mai apparire obsoleta, come nel fluttuare di sfondi crescenti e decrescenti, rinvigoriti da chitarra heavy-psych, di “Into The Memory” o nel robusto rock siderale, flagellato dalle raffiche del sintetizzatore, del brano “Finest Finger”.
Un disco dagli affreschi interplanetari nient’affatto astrusi, da valutare attentamente per chi desidera non accontentarsi dell’ovvio. Il ciclo dei Sensation’s Fix prosegue e si completa nei ’70.

DE DE LIND: “Io Non So Da Dove Vengo E Non So Dove Mai Andrò. Uomo E’ Il Nome Che Mi Han Dato” (Mercury, 1973)

In questa nuova trilogia di ristampe in vinile, atte a tramandare la cultura del prog italiano, non poteva mancare un gruppo che ha lasciato il segno fra i cultori di questo prezioso filone, raccogliendo proseliti oltre i nostri confini: De De Lind non si segnalavano semplicemente per l’album dal titolo interminabile, o per l’amenità di essersi battezzati in onore di una modella di Playboy degli anni ’60, che evidentemente aveva gli argomenti giusti per ammaliare i musicisti. All’alba del 2000, “Io Non So Da Dove Vengo…” è stato infatti definito “il gioiello assoluto del rock italiano” da Dag Erik Asbjornsen: trattandosi dell’autore di “Scented Gardens Of The Mind”, enciclopedica guida al progressive europeo, non è referenza di poco conto. Il complesso nato in provincia di Varese ha realizzato quest’unico album nel 1973 per la Mercury, custodito in una fragile ma caratteristica copertina bianca, con disegno a carboncino, dell’affermato Mario Convertino. Lo stile musicale era decisamente intrigante: un’originale, crepuscolare mistura di drammatici accenti hard-prog e soffuse partiture folksy sottolineate dal flauto, nemmeno troppo debitore nei confronti del caposcuola Ian Anderson. La sua inevitabile lezione si affaccia soprattutto nell’elaborato prologo di “Smarrimento”, commista al profumo di misticismo esotico dei Jade Warrior di “Last Autumn’s Dream”.
De De Lind amavano rappresentare anche brumose atmosfere dark, come dimostra l’iniziale “Fuga E Morte”, introdotta dal minaccioso rimbombare dei timpani e screziata da una ferale chitarra acustica, apparente eredità di bardi gotici; il lugubre testo risente della tendenza di quegli anni ed è sottolineato da un riff di chitarra decisamente hard rock. Non meno oscure le intonazioni di “Cimitero Di Guerra”, che rievoca le vite spezzate dall’orrore bellico, non senza uno spunto di lirismo polemico verso la religione, laddove si citano i militi sepolti, ignoti ma “noti a Dio”.
Le avvincenti note del sax che “ululano come il vento” sulla memorabile trama rock di “Indietro Nel Tempo”, avvicinano gli impulsi febbrili di Dave Jackson dei Van Der Graaf Generator, pionieri del prog inglese fra i più seminali nel nostro paese.
L’atmosfera magicamente folk di “Paura Del Niente” è interrotta dalle cupe cadenze del basso che aprono la strada ad accelerazioni ritmiche e vortici heavy-psichedelici, poi stemperati dall’assolo di flauto, lento ed evocativo. L’intensità espressiva del quintetto si riafferma nella scrittura cangiante di “Voglia Di Rivivere”, soave melodia bucolica che si trasforma in solido rock elettrico e sfocia nel similare epilogo “E Poi”: il testo del medesimo altro non recita che il titolo dell’LP, di eccezionale lunghezza.

Così si chiude l’effimera vicenda di un gruppo che avrebbe meritato almeno la chance di un seconda prova discografica, a riprova di un suono di manifesta personalità.
Nonostante varie partecipazioni ai rituali Festival dell’epoca, De De Lind si scioglievano molto presto, trascurati dalla casa discografica; il batterista Ricky Rebajoli ritornava al pop leggero dei Nuovi Angeli, con i quali aveva vissuto frammenti di stagione beat nei ’60 (anche nei New Dada). Al talentuoso Vito Paradiso non restava che collaborare episodicamente con Latte E Miele e Dik Dik, prima di ripresentarsi al tramonto del decennio con due album da solista, ai quali contribuivano prestigiosi musicisti della scena italiana, da Ares Tavolazzi degli Area ai fratelli Nocenzi (Banco). Ma le attraenti note abbozzate da De De Lind non si perderanno affatto.

Le nuove ristampe Universal

Sensation’s Fix: “Finest Finger”; De De Lind: “Io Non So Da Dove Vengo…”: Saint Just: “Saint Just”, costituiscono rispettivamente i Volumi 5, 6, 7 della nuova serie della Universal, “Prog Rock Italia”; anche i precedenti sono stati diffusamente trattati sul nostro Blog. Le ristampe sono rimasterizzate dai nastri analogici originali, con doppia fascia “Obi” in stile nipponico su entrambe le facciate delle copertine apribili e fedeli agli artwork originali. Sull’Obi strip sono presentate in sintesi note illustrative delle opere.
Le tre versioni a 33 giri (esclusivamente in vinile) limitate e numerate, sono le seguenti:

– Vinile nero 180 gr. in 899 copie numerate
– Vinile colorato in 99 copie numerate
– Vinile Test Pressing in 30 copie

Per ulteriori ragguagli potete visitare il sito:

https://www.universalmusic.it/custom-shop/prog-rock-italia/

15 Commenti

  • Gianluca CKM Covri ha detto:

    Ennesimo bell’articolo. Anche qui mi sento scoperto perché non ho ascoltato nessuno di questi gruppi, e sono stato sempre curioso di sentire la voce della Sorrenti, forse in qualche comparsata però la devo avere beccata. Il fratello invece l’ho sentito da casa mia durante una festa di paese, diciamo, che cantava quelle canzoni la….😁. Mi metto alla ricerca soprattutto sono curioso per i De De Lind. Bye.

    • Beppe Riva ha detto:

      Grazie Gianluca. Per il pubblico di “estrazione” hard rock, i De De Lind sono probabilmente il gruppo più accessibile, quindi ti consiglio di approfondire. Al di là dei vincoli di genere, le tre proposte, pur differenti,sono davvero valide. Ribadisco che Alan Sorrenti dei primi due LP è artista degno di grande rispetto, poi la brusca inversione di rotta, che ovviamente non ho gradito. Ma il pubblico di massa gli ha dato ragione. Bye

      • Gianluca CKM Covri ha detto:

        Ma infatti su Alan ero sarcastico, perché il CD di Aria ce l’ho pure io, trovandolo particolare come prog rock, diciamo così, ma molto interessante. Stesse sensazioni le ho avute con Battiato ed il suo “sulle corde di Aries” , prog non convenzionale.

  • LucaTex ha detto:

    Sempre bello leggerti su questi argomenti (epopea senza precedenti a mio avviso) e colgo anche l’occasione per andarmi ad ascoltare i Sensation’s Fix che sinceramente non conoscevo ( si impara sempre qualcosa).
    Colgo l’occasione su questo ottimo articolo per porti una domanda : Lessi tempo addietro un articolo che paragonava il progressive Italiano anni 70 alla attuale Trap.
    Ovviamente non vi era un paragone musicale (improponibile) ma di movimento giovanile musicale (se non completamente autoctono rielaborato in maniera personale).
    Trovo che siano due momenti storici, di linguaggio, di intenti e culturali completamente diversi ma evidentemente qualcuno trova delle affinità.
    Volevo sapere cosa ne pensi/pensate su un pensiero del genere.
    Grazie Beppe come sempre lo splendido articolo 😉
    PS – allego link articolo incriminato https://www.vice.com/it/article/j5nvqy/trap-nuovo-prog-italiano?fbclid=IwAR1zanUVtVjx0IXxOchQZHi080lMBx4Ex3mABlESjGe8HxSuRg3ZbnXdSxQ

    • Beppe Riva ha detto:

      Dunque Tex, non sono un appassionato “polemista” perché quando mi capita di imbattermi in dibattiti televisivi difficilmente li reggo, specie se basati sul “nulla”. Nella stesura degli articoli, talvolta mi capita di lanciare qualche frecciata, spesso in fase di rilettura la elimino. I motivi sono vari…Nella vis polemica, senza ironia, penso sia più competitivo l’amico Giancarlo. Ho letto l’articolo da te segnalato; ovviamente è condivisibile che il prog abbia trovato terreno fertile in Italia grazie al retaggio di musica classica e melodia del Bel Paese, ne ho parlato a mia volta. Che poi si sostenga che “la trap” nostrana, sia fondata sulla “conditio sine qua non” della melodia per imporsi da noi ed essere esportata all’estero, questo non autorizza un paragone con il prog italiano dei ’70; posso però riconoscere alla “creatività” di un giornalista il diritto alla propria opinione. Personalmente non sopporto l’autotune, la trap, annessi e connessi, quindi non mi sento affatto di instaurare un rapporto fra queste due tendenze distanti nel tempo. Se fossi cresciuto ascoltando certe “innovazioni”, di certo non avrei una collezione di dischi. Ciao. P.S.: Se qualcuno vuol dire la sua, ben venga.

      • Giacobazzi ha detto:

        Il nesso rilevato dall’autore esiste, ma mi pare abbastanza labile. Ci sarebbe anche da che un po’ tutte le tendenze della musica giovanile degli ultimi 60 anni sono nate all’estero e arrivate qui d’importazione (mi sfugge qualche fermento sostanzialmente autoctono?)… Qualcosa di simile accadde anche con l’hardcore: partendo dai modelli anglo-usa si sviluppò nello stivale una scena incredibile e poi apprezzata fuori dai confini: CCM, Negazione, Raw Power, Indigesti e tanti altri nomi “minori”

      • LucaTex ha detto:

        E che collezione di dischi aggiungo io…
        Grazie per la risposta che mi trova completamente in linea con il tuo pensiero.
        Ai prossimi articoli! 😉

  • francesco angius ha detto:

    Ciao Beppe
    altri nomi interessanti con una nota speciale per i De De Lind che erano dei veri fuoriclasse e , per me, di un livello superiore accostabile ai nomi di oltremanica senza temere il confronto. Il prog italico fu un fenomeno non passeggero e di una valenza culturale e musicale non inferiore a molte correnti musicali dell’altro secolo.
    Purtroppo faccio piu’ fatica a “digerire” i Saint Just, la voce di Jenny Sorrenti è straordinaria, ma difficile da accettare, eppure quella del fratello altrettanto straordinaria la ritengo godibilissima.
    Ma, che strano, ma i gusti sono così personali e non certo mettono in discussione il valore di questi dischi che tratti.
    Come sempre grandi presentazioni e ottima impostazione del contesto in cui si inseriscono.
    Ancora complimenti !!!

    • Beppe Riva ha detto:

      Francesco, ti ringrazio dell’apprezzamento. I gusti personali e le opinioni ovviamente variano, esprimetevi pure. La voce della Sorrenti è molto particolare, anche quella di una superstar come Kate Bush (ad esempio) lo é. Giova chiarire che l’impaginazione degli articoli non deve far pensare ad una classifica di preferenza (quando non dichiarata); conta anche l’immagine di apertura sul Blog, che deve catturare un pò l’occhio. In questo caso inoltre, copertine a parte, ho dovuto scannerizzare immagini tratte dai miei dischi, perché quelle reperibili su internet erano inadeguate per dimensione, definizione o altro. A risentirci

  • Massimo ha detto:

    Ciao Beppe, sentirti parlare di prog è affascinante. Ti faccio i miei più sentiti complimenti e ti ringrazio per l’input sui Sensation’s Fix che non conoscevo affatto (eppure sono miei concittadini, a quanto pare!).
    De De Lind è un album che apprezzo particolarmente, ma con Saint Just…si vola: credo si possa parlare più di ” esperienza ” che di musica. A questo proposito, mi piacerebbe leggere un tuo pezzo anche su Aktuala, altro esperimento “mistico” nostrano che di sicuro conosci. Grazie e buon weekend.

    • Beppe Riva ha detto:

      Grazie Massimo, é proprio un bel complimento, ma diciamo che la musica affascinante aiuta a trasmettere nelle parole il suo feeling. Si, il leader dei Sensation’s Fix, Falsini, è di Firenze. Riascoltando questi dischi, mi meraviglio ancora della qualità delle proposte, decisamente in linea con i tempi. Superfluo ripetermi, l’hai colto assai bene. Quando ci sarà l’occasione giusta, mi occuperò anche degli Aktuala e di altre esperienze. Buon weekend a te.

  • mox ha detto:

    Beppe, … no words.
    ma il cogliere rimandi a Xhol Caravan e White Noise mi esalta ancora di più, e puoi immaginarne il perchè .
    Il tuo lavoro è oggi come oggi più che mai essenziale.

    • Beppe Riva ha detto:

      Caro Mox, so che sei ANCHE un appassionato di Krautrock tramite il canale YouTube di Tsunami, perciò non poteva sfuggirti la citazione (a mio avviso, adeguata ai Sensation’s Fix giusto per il titolo “Electrip”), mentre per i White Noise, si tratta di un gruppo cult della sperimentazione elettronica, che a suo tempo (cioè, secoli fa…) aveva incuriosito il sottoscritto per i riferimenti occulti che ben conoscerai del primo album. Tante grazie dell'”essenziale”…Speriamo

  • Giacobazzi ha detto:

    Rispetto a quella del prog, che ebbe risonanza internazionale, la deflagrazione del metal tricolore ha avuto senz’altro portata minore, ma non sarebbe male se qualche etichetta illuminata proponesse una serie di ristampe: Heavy Metal Eruption, Born to Fight, Rock’n’ roll Prisoners, Sunset Warriors e parecchi altri… che ne dite?

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Giacobazzi, le proporzioni sono senz’altro ben diverse. I gruppi del Prog tricolore erano prevalentemente scritturati da etichette importanti, quindi le registrazioni originali non sono certo andate disperse. Giusto valorizzare quel patrimonio oggi, c’è tanta nostalgia per il rock classico. Nel caso del metal italiano, si trattava quasi sempre di piccole etichette; la mia compilation che ricordi, “Heavy Metal Eruption”, é stata riedita in CD qualche anno fa dalla Jolly Roger e personalmente l’ho saputo a cose fatte. Per gli altri titoli che citi ad esempio, non entro in merito a quali possano esser stati ristampati, in ogni caso servirebbe l’impegno fattivo di una label specializzata a riguardo. Edizioni limitate e numerate potrebbero senz’altro attirare gli appassionati. Grazie dell’intervento.

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