Siamo sicuri che l'utilizzo di dozzine di etichette serva a definire un genere musicale o finiscano con il creare confusione e mescolanza di generi non collegabili ? Personalmente le detesto...parliamone...
Devo ammetterlo, sarà colpa mia ma non ho mai avuto simpatia per le etichette musicali. Le ho sempre trovate troppe e troppo spesso inutili, create da chi ha avuto necessità di inventare un “cassetto” dove riporre una musica o una moda. Per questo motivo, da qualche tempo, non ci faccio nemmeno più caso, le evito come la peste.
In particolare dopo che mi è capitato di leggere descrizioni di scriventi musicali che ne elencavano una mezza dozzina per inquadrare un solo gruppo o un artista… e GIURO che mi erano quasi tutte più che ignote, incomprensibili. Ci avevo anche riso sopra e fatto un post su un social dove qualcuno mi aveva pure tirato le orecchie : come fare a definire un disco quindi ?
Ma perché ? Perché utilizzare dozzine di cassettini sempre più stretti, sempre più limita(n)ti, per piazzare un gruppo ? Chiariamo subito : alcune sono e sono state utili e necessarie… la differenza tra hard rock ed heavy metal, tra progressive ed elettronica, tra rock and roll e blues… ma che dire e pensare dei …millanta… sottogeneri all’interno dei quali , sinceramente, non mi interessa neppure più districarmi ? Industrial Metal, Pagan Metal, Brutal Death Metal, Avant-garde Metal, Melodic Death Metal, Groove Metal… fino al ridicolo Folk Metal… Dico : ma stiamo scherzando ? Davvero ci sono soggetti che propinano a ingenui fruitori di rock questo genere di nefandezze dialettiche ? Sul serio c’è chi abbia il coraggio di sostenere che possa esistere un Folk Metal ? A mio parere, c’è oggi una così assoluta mancanza di facoltà di saper descrivere, di saper raccontare, di saper evocare e ricordare suoni e musiche che possano aiutare l’immaginazione senza ricorrere a elusive e sempre più ottuse, escludenti etichette corrispondenti a immaginari sottogeneri ?
Facciamo qualche esempio. Quando ai Cream venne chiesto se si ritenevano gli inventori dell’heavy metal Jack Bruce rispose : “Che cazzo dici? Vallo a chiedere agli Zeppelin di aver creato quella merda!”. Page e Plant che sempre hanno scortesemente rifiutato la definizione, a vostro parere, potrebbero essere gli inventori del metal ? A Lemmy venne attribuita la invenzione del metal… si incazzò parecchio, definendo la musica dei Motorhead “puro rock and roll”. Iggy Pop, storicamente definito “Il Padrino del Punk” , ha più volte preso le distanze rifiutando un genere che proprio non gli piace… idem per gli Who… ma l’elenco potrebbe non aver fine.
La domanda è : se chi suona sistematicamente rifiuta o odia addirittura il cassetto in cui viene infilato, perché chi ne scrive non ne prende atto e prova a non utilizzare l’ennesima scatoletta che ad altro non serve se non a creare una ulteriore separazione tra i fruitori ?
“Scrivere di musica è come danzare di architettura”, impossibile non essere d’accordo, ma dato che esiste la carta stampata e preso per buono che gentaglia come me dello scrivere di musica degli altri ha fatto parte del proprio lavoro e sostentamento, direi che potremmo almeno tentare di svolgere il nostro porco lavoro con un minimo di dignità.
In primo luogo non etichettando artisti e gruppi secondo convenienza; non seguendo le mode e i modi anglosassoni decodificandone gli scopi e, dove possibile, utilizzare termini in italiano… altra usanza che troppo spesso rende uno scritto ridicolo, se ci fate caso… infine cercando di usare al meglio la nostra lingua, che resta sempre molto più articolata dell’inglese, per invogliare il proprio lettore a una comprensione che stimoli la sua immaginazione ed il desiderio di andare oltre le nostre parole. In breve : dato che descrivere la musica è difficile, oltre che spesso un puro esercizio dialettico, usiamo la parola per suscitare curiosità, espandere immaginazione e voglia di scoperta.
Tra le etichette che non ho elencato, e sono moltissime lo sapete voi meglio di me, ho sempre trovato il Grunge un escamotage di maniera, una falsità voluta dai tempi e dal marketing. Mi spiego meglio : è superfluo non sottolineare che gran parte delle etichette che ci vengono propinate siano create da un marketing che deve venderti un qualcosa che già esiste facendo finta che si tratti di un qualcosa di nuovo. Sta nel gioco delle parti. Io ho un prodotto e devo fare in modo che tu lo compri : una delle regole di base del mercato è che quel prodotto abbia qualcosa in più, di diverso, di innovativo che al mio potenziale acquirente manchi e lo costringa…scusate : spinga… all’acquisto. Me lo sono chiesto decine di volte il perché di quel cassetto, di quella definizione. Ho ascoltato molti gruppi di quel filone e, ammetto, apprezzandone parecchi.
Certamente, mi sono spesso domandato perchè l’elemento comune fosse più la sfiga e la depressione, più del suono o dello stile; ho cercato di capire anche perché altri denominatori comuni fossero la droga ed il suicidio, ma la definizione di un genere la cui traduzione letterale è “trasandatezza”, solo perché quelle camicie a quadrettoni tipiche dei campagnoli e dei montanari… o se preferite, visto che vi piacciono i termini inglesi : dei redneck, dei colli arrossati dal sole… potessero definire un nuovo suono mi è sempre sfuggito.
Andiamo alle origini. Seattle, Stato di Washington. La prima cosa che viene in mente è la città di Jimi Hendrix, della Pietra Filosofale, di paragone, di tutto il rock odierno. Sì, d’accordo…anche delle Heart e dei Queensryche… ma Jimi, che dite?, è un pelino più in alto, no ? Seattle, luogo dove non sono mai stato, è la città delle contraddizioni : moderna e futuribile, circondata da boschi e verde, con una popolazione a metà tra Torino e Palermo, la città dello Space Needle, dell’ago spaziale che domina la città. Una città portuale, tutto sommato come cento altre se non fosse stato per quel vento che lo attraversò agli inizi dei novanta : decine di gruppi, tutti con la medesima etichetta anche se non necessariamente con il medesimo suono, anzi!, che invasero il mondo con la loro tristezza contenutistica ed un suono delle chitarre in qualche modo sempre ossequioso nei confronti del Grande Vecchio Jimi.
Quando i Pearl Jam alzarono la testa ebbi la fortuna di poter organizzare le riprese di quello che sarebbe stato il loro primo concerto filmato in Europa. Fiuto, con tanto culo. Lo stesso, quasi, mi accadde con i Nirvana, che a mio parere con il grunge avevano ben poco a che spartire, se quel suono avrebbe dovuto essere un filo rosso a unire il tutto. Poi, così li elenca la mia memoria, Mudhoney, Soundgarden, Bush, Collective Soul, Mad Season, Screaming Trees, Audioslave, Mother Love Bone, Alice in Chains, Malfunkshun… e quanti ne dimentico in questo momento. Ma dato che ero e resto convinto che quel filone fosse solo una luminosa invenzione di mercato, peraltro perfettamente resa funzionante se ha avuto il successo che ricordiamo, ho provato a capire se ci fosse qualcos’altro che potesse unire i tratti di quei ragazzi, di quei gruppi.
Andando oltre le morti, più o meno occasionali, spesso cercate ma non immaginate, ho creduto di vedere in una sorta di “comune musicale” forse il vero elemento distintivo. Se a San Francisco dei tempi andati ci si mescolava quotidianamente, a Seattle ci si univa per un amico, per un progetto, per un’idea. Nascevano così Mad Season, Audioslave, partecipazioni mescolate e progetti comuni la cui vetta, sempre a mio parere, resta quel Temple of the Dog, omaggio alla prima morte di rilievo, quella di quel Andrew Wood cui la leggenda fa risalire la formazione di Pearl Jam e cui offre alla memoria la nascita del cosiddetto Grunge.
Se dovessi dare una manciata di nomi per i migliori dischi dei novanta, Temple of the Dog, per me, sarebbe un nome da non dimenticare. Uno dei dischi dove, rara avis, tutte le composizioni sono di ottimo livello, dove il suonare è perfetto, dove l’amalgama è tangibile, dove da un evento tragico si lascia alla Storia un disco di una qualità eccezionale.
Cosa ha di Grunge, Temple ? Nulla, temo. Un suono tipicamente anni settanta, lunghi assolo, composizioni in perfetto stile hard rock, voci potenti e armoniose, melodie immediatamente riconoscibili che ti si fissano in mente fin dal primo ascolto. Un disco che se fosse uscito per la Vertigo nel 1970 sarebbe stato perfettamente inserito nel suono di quegli anni.
Un disco datato e vetusto, dunque ? Macché, semplicemente perfetto alle mie orecchie, un disco che fin dalla Say hello to heaven – scritta da quell’anima tormentata di Chris Cornell, uomo dotato di bellezza e voce che come altri di quella mandata ha scelto di lasciare il Pianeta troppo presto – esplicitamente dedicata a Wood e alla sua attitudine autodistruttiva e cantata in modo unico dalla coppia Cornell/Vedder, introduce a una sequenza di rara bellezza e rara reperibilità. Un dolore che il gruppo abbia scelto di non avere un futuro, neppure occasionale.
Ma se davvero voi riuscirete a trovare in Reach Down , Hunger Strike e al resto dei brani una parvenza di quel Grunge che lo ha inquadrato e definito per sempre… beh, vi prego : spiegatemelo. Io amo quel disco di cuore senza essere mai riuscito a definirlo altrimenti che puro, sano, vivo hard rock.
E questo credo sia più che sufficiente.
Concordo con il tuo articolo Giancarlo.
Le etichette servono per dare un senso a diverse esperienze ma poi sono diventate una comodità abusata perchè facile strumento per mascherare incapacità di analisi o ignoranza.
Esemplare il termine Punk abusatissimo ed utilizzato per decine di gruppi che tali non erano, o il più recente proto-punk o proto-metal.
Quanto al Grunge è più un termione generazionale che capace di descrivere compitamente un movimento, al contrario del Punk stesso.
Da una certa data sia ha il Punk che ha una sua identità musicale, estetica e ideologica che lo rende tale, anche pur con le differenze di esperienze ed ascendenze musicali tra UK e USA.
Stessa cosa fu col Metal.
Con il Grunge (id est, con quei gruppi usciti dalla scenza di Seattle) vi è una tale eterogeneità che è difficile mettere tutto sotto la stessa esperienza.
Il grunge è come le esperienze diverse di mix tra caffè e latte o tra bitter campari e vino bianco: a seconda delel diverse percentuali nascono esperienze olfatto gustative radicalmente diverse. A seconda della percentuale di ascendenza Punk o Hard Rock o Garage Rock, si sono concretizzate esperienze musicali diversissime.
Certo che mettere i RHCP sotto il Grunge … è come quelli che hanno scritto che l’Heavy Metal nacque col Black Album dei Metallica (giuro che è vero!).
La reazione a questa degenerazione – permessa da una storica mediocrità e da un abuso di parvenù del nostro giornalismo musicale – può essere duplice:
– o fregarsene e lascare in dietro il concetto di etichetta, che però è una esigenza istintiva di quando ti addentri dentro la musica ed un genere di musica (pensate faccia piacere ad un Jazzista sentirsi dire che Louis Armstrong sia identico ad Ornette Coleman?)
– o lavorare per una canonizzazione di certe cose basata su ascolto storia etc ….
In ogni caso …. in un sistema dominato dalla rete, dai social … dall’uno vale uno e dai leoni da tastiera che denigrano insultano etc ….. una battaglia forse persa in partenza ….
La musica è come il calcio : fazioni troppo contrastanti troppo spesso. Con la differenza che la musica è una cosa seria, per me. Ma chi è il cogl…. fesso che ha scritto quella bestialità sul Black Album ? E’ in Siberia adesso o libero di circolare ? 🙂
Quando ho iniziato ad ascoltare musica i vecchi ascoltavano di tutto; Ivan Graziani e gli Area, gli AC/DC con i Genesis, i Pink Floyd e i Grateful Dead e avanti cosi, tutto era rock, il termine di paragone era il confronto con un altro gruppo, guarda se ti piacciono i Lynyrd allora ascoltati i Molly Hatchet , poi pian piano si è iniziati a fare generi e sottogeneri: il melodic death metal cosa sarà mai? Ho il terrore di scoprirlo, lo sludge, eppure sopratutto per quelli nati dopo gli ottanta, funziona.
Temple of the dog : disco spaziale e anche quello dei Mad Season lo segue a ruota.
Un esempio a proposito del cosiddetto grunge
Ricordo distintamente che in un vecchio numero di Metal Shock risalente ai primi anni 90 (ero molto giovane) mi imbattei in una recensione riguardante una sorta di raccolta dei maggiori artisti “grunge”…ebbene, tra i vari pezzi ce n’era uno dei Red Hot Chili Peppers, e l’estensore della recensione stessa si chiedeva giustamente cosa mai avessero a che fare con il grunge.
La risposta è, oggi come allora, niente…
Detto ciò, secondo me le etichette, i generi, hanno senso eccome, e personalmente mi sono sempre stati di grande aiuto; solo che bisogna sapere ciò di cui si parla, e questo non sempre avveniva e avviene.