In memoria dello "Special One" delle tastiere
L’11 marzo 2021 ricorreva il quinto anniversario di un evento funesto, tristemente indimenticabile…E’ pur vero che non esistono morti più o meno importanti, ma quando a lasciarci è colui che consideri il tuo “eroe” musicale, ti senti veramente colpito al cuore, riconosci che se ne è andato un pezzo della tua storia, con tutte le impagabili emozioni che ha saputo offrirti. Sono convinto che molti appassionati, come chi scrive, si siano sentiti in un mondo diverso e certamente più povero, alla notizia della scomparsa di Keith Emerson nel 2016.
Proprio la sera prima, giovedì 10 marzo, alle porte della mia città si esibiva Carl Palmer, il batterista che completava il leggendario triumvirato fondato da Emerson con Greg Lake, e la sua è stata una stupefacente dimostrazione di acrobatica potenza che mai avrei immaginato ancora di tale intensità. Tanto meno si poteva ipotizzare che lo stesso Carl, il giorno dopo, sarebbe stato portavoce della tragica fine del compagno di ardite architetture soniche; arroccato nella sua fortezza di tastiere, Keith sembrava invincibile…proprio lui ha posto fine alla sua vita, con un colpo d’arma da fuoco.
Keith Noel Emerson ha sicuramente lasciato un segno indelebile nel mio modo di avvicinare ed amare il rock; è stato il simbolo delle potenzialità della musica giovane di spingersi oltre, quando erano in vista i confini del pop ma non si sapeva quale sarebbe stato il punto d’arrivo. Solo anni dopo, la storia ha evidenziato i limiti in quell’esplorazione, ma i veri pionieri non si erano posti il problema; oggi più che mai siamo consapevoli che ben difficilmente si scoprirà qualcosa di nuovo ed attraente, ma allora si erano aperti inusuali orizzonti su cui sperimentare. Così, quando nel 1970 ascoltai l’album d’esordio degli ELP, ero già affascinato dai Nice, ma l’impatto del nuovo Trio fu ben superiore, e ne ho ampiamente parlato lo scorso novembre, celebrando sul Blog il 50° Anniversario di quel disco. Se non l’avete già fatto, vi invito caldamente a leggerlo, per rivivere insieme quell’overdose di emozioni musicali.
Per fortuna non ero il solo ad avvertirne il fascino, perché gli ELP avrebbero spalancato le porte al successo di massa del rock progressivo. Ed il fiammeggiante leader di un trio di fuoriclasse era proprio lui, Emerson, innalzato al rango di “Jimi Hendrix delle tastiere”, ambizioso al punto di sfidare l’egemonia della chitarra elettrica nel rock, suonando a velocità supersonica l’organo Hammond ed il piano, ed inaugurando da assoluto precursore l’era dei sintetizzatori.
In occasione dell’ufficiale “Tribute Concert” che andrò ad illustrarvi, Michelle Moog-Koussa – figlia dell’inventore del Moog – ha dichiarato che con la scomparsa di Keith, si è sentita privata di un’ulteriore parte di suo padre Robert, ben ricordando quali difficoltà abbia affrontato il musicista inglese per collaudare e portare in tour quel complicato strumento, rendendolo famoso.
“Emo” era questo ed altro: soprattutto alle sue creative contaminazioni fra rock, musica classica e jazz fin dal debutto dei Nice (1967), si deve l’invenzione del rock progressivo. E poco importa se i critici con la C maiuscola storcevano il naso verso gli “eccessi spettacolari” del Nostro, preferendo inchinarsi di fronte alla figura da intellettuale, certamente meno glamour, di Robert Fripp.
A me piace conservare un numero di Q Magazine del dicembre ’95 (in copertina i Beatles) che riconosceva a Keith e ai Nice una sorta di primogenitura, storicamente fondata, sulle origini del prog-rock. Dunque i Nice come il prototipo, gli ELP come il trionfo di questo genere di musica, con Keith in qualità di inarrivabile comun denominatore.
Ma dai vertici raggiunti, la caduta può esser ancora più fragorosa…ELP non erano solo rock’n’roll e “non piacevano” (un eufemismo) a chi predicava il ritorno all’ermetica aggressione delle origini, in altri termini, alla generazione punk.
Come e più di tanti loro contemporanei, ELP erano apostrofati “dinosauri”, simbolo di un’epoca da cancellare. Dagli ’80 in poi, Emerson si allontanava dai fasti del successo, continuando però a professare un’inalienabile passione per la sua musica.
“Io mi sento innanzitutto un compositore”, rivelava in una delle sue ultime interviste, e lo diceva con la fierezza di chi crede prioritariamente nella sua vocazione artistica.
In quest’ottica, il solo ed unico Keith Emerson chiudeva il cerchio con il meraviglioso “The Three Fates Project”, autentico festival sinfonico registrato con un’orchestra classica di 70 elementi (uscito su etichetta Varese Sarabande, 2012) che idealmente tornava all’epoca d’oro dei Nice di “Five Bridges”.
Si può immaginare che per un musicista come lui, capace di strepitosi zenit virtuosistici nella sua carriera, gli insormontabili problemi alle articolazioni delle mano destra, siano stati un ostacolo oltremodo frustrante da superare.
Questi miei gravosi pensieri volevano e vogliono esprimere eterna gratitudine verso colui che ritengo sia stato il più grande e visionario tastierista del rock. Li trovo d’attualità per introdurre “Fanfare For The Uncommon Man”, il definitivo tributo discografico in suo onore. Scusate se posso essermi ripetuto su cose già dette…ma si è trattato di una perdita enorme, perché non è retorica dire che non ci sarà mai più un altro Keith Emerson!
Anche da una tragedia può scaturire un evento di mirabile valore, ad esempio quando l’eredità artistica tramandata da chi ci ha lasciato è inestimabile. E l’arte non è soggetta alle leggi caduche della natura umana…”Non c’è fine alla mia vita, non c’è inizio alla mia morte. La morte è vita”.
Questi versi ferali che suggellavano la drammatica maestosità di “Great Gates Of Kiev”, gran finale di “Pictures At An Exhibition”, ben rappresentano il perpetuo retaggio musicale di Keith Emerson, immune al trascorrere degli anni.
“Fanfare For The Uncommon Man”, il concerto-tributo al supremo tastierista, tenuto il 28 marzo 2016 al Teatro El Rey di Los Angeles, appare sul mercato cinque anni dopo la sua scomparsa; un’imponente celebrazione racchiusa in 2 DVD + 2 CD (Cherry Red), testimonianza di uno spettacolo di oltre tre ore.
Particolare encomio va riconosciuto al chitarrista e cantante californiano Marc Bonilla, il più stretto collaboratore di Emerson da quando l’artista inglese si era stabilmente trasferito a Santa Monica (1994), e Los Angeles era diventata ormai il suo centro operativo.
Il feeling fra i due mi era stato dichiarato dallo stesso Keith, in un’intervista del 2008, a Milano: “Riflettevo sul fatto che non registravo con un classico quartetto dall’epoca del debutto dei Nice… Mi piace anche applicarmi nell’accompagnamento musicale, senza dover suonare a tutti i costi lo strumento solista principale. E poi con Marc tutto è molto semplice! Ho sempre avuto difficoltà a suonare con dei chitarristi, che talvolta non possiedono uno spiccato senso di disciplina musicale, ma lui sa evitare qualsiasi eccesso, è come il componente di un’orchestra, che sale al proscenio quando necessario.”
Nel breve volgere di un paio di mesi dalla scomparsa dell’amico, Marc è riuscito ad organizzare un tributo in grande stile, coinvolgendo un cast altisonante di musicisti prettamente dell’area westcoastiana, e passando in rassegna i classici di Emerson, Lake & Palmer in un autentico tour de force dal vivo.
L’esibizione inizia con una toccante sequenza fotografica sulla vita di Keith, dai ricordi d’infanzia ai ritratti del formidabile showman che ha incantato le platee internazionali. La galleria d’immagini sfuma sulle note meste ed intimiste di “Prelude To A Hope”, suonata dalla pianista giapponese Kae “M Black” Matsumoto; subito dopo, il tono commemorativo lascia spazio alla festosa irruzione rock di “Karn Evil 9 – 1st Impression”, dove l’ossatura strumentale è basata essenzialmente su membri della K. Emerson Band: lo stesso Bonilla, il bassista Travis Davis ed il ben noto drummer Greg Bissonette, rivelatosi con David Lee Roth, ora con la All Starr Band di Ringo. Le fa seguito un altro classico, “The Barbarian”; ai musicisti citati si uniscono il tastierista dei Toto, Steve Porcaro, la pianista Rachel Flowers ed il chitarrista Mike Wallace, che aveva suonato con Emerson, Bonilla e Glenn Hughes nel “Live From California” dei Boys Club (2009). La forza propulsiva delle due chitarre ribadisce il potenziale heavy-prog del brano che inaugurò la carriera degli ELP su vinile. Con l’aggiunta di un terzo solista, Jeff “Skunk” Baxter, membro storico di Steely Dan e Doobie Brothers, “Hoedown” si trasforma a sorpresa in una spettacolare palestra d’esercitazione per virtuosi delle sei corde!
A proposito di Rachel Flowers, la musicista non vedente “protetta” da Keith, solo 22enne all’epoca del concerto, si prende letteralmente la scena nell’emozionante rilettura di “Endless Enigma”, suscitando l’entusiastica ovazione del pubblico. Ma non di soli ELP è vissuta la carriera del nostro eroe, abbiamo citato la K.Emerson Band, che nel 2008 aveva realizzato l’omonimo album (“Featuring Marc Bonilla”), tristemente sottovalutato; in quest’occasione Marc ripropone una “A Place To Hide” altamente suggestiva, intonata dalla sua calda voce à la John Wetton, con l’elegante contributo di un’altra star, Steve Lukather.
Il chitarrista dei Toto è anche protagonista di “Lucky Man”, eseguita da una line-up mirabolante; ben quattro tastieristi, fra cui l’ex enfant prodige dei Curved Air, Eddie Jobson (poi nei Roxy Music e U.K.), magnifico nel rivisitare l’assolo di Moog che ha fatto epoca, ed il venerabile pioniere dell’organo Hammond, Brian Auger. Non meno sorprendente l’arrangiamento dagli aromi West Coast di “Skunk” Baxter alla steel guitar, a dimostrazione che la musica di alto livello non conosce barriere stilistiche. Rammentiamo che lo stesso Jeff aveva suonato con Emerson nel fugace supergruppo The Best; al loro fianco (nel 1990) nientemeno che Joe Walsh, John Entwistle, Simon Phillips, oltre al vocalist canadese Rick Livingstone; ritroviamo quest’ultimo “assorto” nella parte vocale che fu di Greg Lake (interpretazione invero non memorabile, rispetto al contorno d’eccezione). Jobson dà sfoggio di sé anche nel remake di “Bitches Crystal”, mentre il leggendario Brian Auger presentava in questo concerto la sua versione di “Fanfare For The Common Blue Turkey”, plasmata con “Rondo” di Dave Brubeck (e cavallo di battaglia dei Nice); l’ha riproposta nell’album del 2020 “Introspection”, in prossimità del suo 81° compleanno!
Una seconda cover di “Fanfare” è invece caratterizzata dalla presenza di Terje Mikkelsen, il maestro d’orchestra dell’indimenticabile excursus sinfonico “Three Fates Project”; giunto in volo da Oslo per l’occasione, dirige una sezione di fiati e timpani che conferisce al brano l’inconfondibile enfasi marziale. Mikkelsen rende omaggio al ruolo di Keith, non solo come insuperato tastierista rock, ma elogiandone anche il talento di compositore.
Un altro accorato ringraziamento giunge da un personaggio che non necessita di presentazioni, Jordan Rudess dei Dream Theater. Racconta come l’ascolto di “Tarkus” gli abbia letteralmente cambiato la vita, rivelandogli la strada che avrebbe percorso fino a diventare uno dei più importanti keyboards-men sulle scene. Inevitabile che sia affidata proprio a lui la versione dell’epica suite, dove figura anche Troy Luccketta, il batterista dei Tesla, che a sua volta aveva suonato con Emerson. Sicuramente un brano assai difficile, e Jordan recita bene la sua parte; ma per non limitarci alla pura ammirazione, va detto che il timbro vocale di Bonilla non è l’ideale per emulare certe performances di Lake (sottolineerei “Stones Of Years”). Pur eseguito con destrezza tecnica, “Tarkus” manca un po’ dell’esplosività dell’originale, frutto dell’”alchimia” e della coesione, assolutamente uniche, del tridente ELP. Non è un caso che certe unioni artistiche siano state consacrate nel Paradiso dei musicisti! Un altro vertice del progressive, “Take A Pebble” espone le giustificate vanità pianistiche di CJ Vanston, produttore di “Toto XIV” ed esperto musicista al servizio di celebrità (fra cui Prince, Michael Bolton, Ringo Starr).
Ma nel Regno dei Tasti d’Avorio, perché tale non può che essere una celebrazione emersoniana, concludiamo proprio con due rappresentanti della specialità, scusandomi per non aver enunciato tutti gli eminenti protagonisti dello show. La classe del pianista francese Philippe Saisse (Al Di Meola e PSP Trio, con Pino Palladino e Simon Phillips) rifulge nel suo raffinato arrangiamento jazz di “From The Beginning”. Maliosa anche la melodia per solo pianoforte di “Ride”, composta ed eseguita dal figlio di Keith, Aaron.
Al di là dei molteplici spunti di rilievo, è la potenza, la forza espressiva della musica di Emerson ad imporsi trionfalmente e viaggiare nell’universo, tant’è evidente nel coinvolgimento passionale dei musicisti che la rielaborano; così la rivelazione del veterano Brian Auger: “Sento lo spirito di Keith aleggiare nell’atmosfera del teatro”, non appare affatto ridondante.
Se si voleva onorare il Maestro inglese, il livello qualitativo doveva assolutamente risultare all’altezza, e “Fanfare For The Uncommon Man” non tradisce le aspettative, é un documento eccezionale. Non mi vergogno di ammettere che mi ha spesso commosso.
In conclusione, l’intero concerto è riprodotto su DVD e su due CD; un secondo DVD include interviste agli artisti, rassegna fotografica e filmati dietro la scena. Il ricavato delle vendite sarà interamente devoluto alla fondazione per musicisti affetti da distonia muscolare, lo stesso male che ha minato la personalità di Emerson, e forse l’ha spinto alla tragica soluzione finale.
Visti live qui a Verona in Arena durante il tour di Black Moon. Album che peraltro amo molto. Artisti visionari come Keith non sono replicabili.
Che concerto nel fantastico scenario dell’Arena di Verona. C’ero anch’io naturalmente e rimarrà indelebile nel mio cuore. Momenti magici! “Black Moon” album che giudico di grande valore, ben al di sopra del successivo “In The Hot Seat”. Ciao!
L’Arena era lo scenario perfetto per loro, infatti.
Gran articolo di cui condivido tutto!
Poco cosa aggiungere il mondo delle tastiere oggi non sarebbe lo stesso senza Keith… quindi giusto tributarlo anche con iniziative di livello come questa 😉 Thx Beppe!
In Italia, Keith Emerson é tuttora considerato un mostro sacro; solo personaggi in malafede o di scarsa cultura rock possono negarlo. Questa é sicuramente la mia opinione, ma anche la tua a giudicare da un’affermazione inconfutabile: “il mondo delle tastiere oggi non sarebbe lo stesso senza Keith”. Come diceva il tuo quasi omonimo Tex Willer: “Puro Vangelo!” Grazie Luca
Beppe, racconto davvero emozionante dedicato ad un grande del rock. Si
capisce chiaramente l’ammirazione per il musicista e per l’uomo. Noi semplici fruitori musicali ci concentriamo sul primo aspetto, ovviamente, ma anche grazie a pezzi come questi abbiamo la possibilità di conoscere meglio l’essere umano che sta dietro a tanti capolavori musicali. Nei prossimi giorni cercherò questo video, sicuro della bontà del prodotto, perché realizzato da colleghi sinceramente rispettosi del musicista e dell’uomo, per quanto fragile fosse. Grazie ancora. Bye.
Ciao Gianluca, fortunatamente ho incontrato Emerson più volte, era un artista riservato, non certo estroverso negli incontri con la “stampa”. Credo che nell’epoca d’oro si sentisse assai sicuro di sé, poi il declino del successo ed i problemi fisici ne hanno minato probabilmente la personalità. Non potrei mai nascondere l’ammirazione nei confronti suoi e di ciò che ha rappresentato. Non vado a dire agli altri “non sapete cosa vi siete persi” trascurandolo, so cosa mi sarei perso io, mi basta ed avanza. Grazie di avermi ben interpretato.
Caro Beppe complimenti e grazie per l’articolo sul tuo Blog, rispettivamente perché bello e con tanto sentimento, oltre al fatto che chiunque porti una luce sull’operato di Keith Emerson è per me il benvenuto, perché è un artista che merita ed è stato sempre troppo sottovalutato a discapito delle sue capacità come esecutore, ma anche come compositore e inoltre, come scrivi tu: “ha sicuramente lasciato un segno indelebile nel mio modo di avvicinare ed amare il rock …”.
I brani che ho maggiormente apprezzato sono le seguenti tracce: 1- Prelude to hope – Kae Matsumoto, 7- Tribute to Keith – CJ Vanston e Michael Fitzpatrick, 9 – Take a pebble – CJ Vanston, Travis Davis, Gregg Bissonette, 12 – Ride – Aaron Emerson. Nel complesso comunque mi è piaciuto, anche se concordo con Paolo Rigoli che c’è un po’ “troppa America”. Per certi versi mi ha sorpreso la non presenza di Robert Berry, ma onestamente non ne ho sentito la mancanza.
Caro Medeo, il concerto è stato organizzato a Los Angeles da Marc Bonilla, quindi era prevedibile la presenza maggioritaria di musicisti U.S.A. Inoltre Keith risiedeva da tanti anni in California, quindi frequentava da tempo artisti della zona. Però la presenza di virtuosi inglesi come Brian Auger e Eddie Jobson rende l’evento non esclusivamente “americano”. Probabilmente la collaborazione con Berry era alternativa a quella con Bonilla, forse é la ragione dell’assenza di Robert. Ti saluto e grazie per l’opinione espressa in merito.
Recensione molto bella e toccante. Condivido tutto. Grazie e complimenti
Cosa aggiungere? Sono felice che molti emersoniani si riconoscano in quello che scrivo. Grazie a te, e a voi che leggete.
Emerson iniziatore del prog: il fatto che lo pensi anche chi seguiva già i Nice come te, e non solo un emersoniano gestato da Honky Tonk e Fanfare come me, mi fa provare un moto di giustificato orgoglio. Arricolo superbo che racconta Emerson a chi non lo conosce e lo fa ritrovare tutto a chi lo ama. Grazie Beppe.
Ciao Leandro. La storia si presta ad interpretazioni e chi la conosce ha il diritto di formulare la propria. Certo, ricordiamo che i Beatles con “Sgt. Pepper” hanno determinato la svolta dal 45 al 33 giri, le sonorità neo-classiche dei Moody Blues e dei Procol Harum, ma in un’ottica pop, la rivoluzione psichedelica-sperimentale dei primi Pink Floyd. Ma l’era prog è stata inaugurata (a mio avviso, anche a furor di popolo) da Emerson con i Nice. Ti ringrazio e sottolineo: ORGOGLIO per l’opera di Emerson, a dispetto degli affabulatori insensati di certa critica, sempre! Grazie…
Ottima recensione Beppe, apprezzatissima nel “covo Facebook” Emersonology… qualcuno che sa di cosa sta parlando, finalmente! grazie
Grazie Giuliano, accolgo con soddisfazione il tuo apprezzamento. Per me è un onore esser seguito su Emersonology, veramente: un caro saluto a tutti voi!
Bell’articolo per ricordare un genio e anche il mio idolo.
Non sono un amante dei tributi, ma in questo caso farò un’eccezione !
Soprattutto però questo tuo scritto trasuda in un amore profondo e sentito verso la persona Keith e la passione che si puo’ cogliere è veramente tangibile.
Questa è una sensazione molto bella e che ti fa onore.
Complimenti !!!
Francesco, neanch’io sono un “aficionado” dei tributi, ma occorre distinguere. Il livello dei convocati, in quest’occasione, non si discute. Ti ringrazio per aver letto fra le mie righe la devozione per la grande figura di chi non c’è più. E’ quello che ho cercato di trasmettere. Tante grazie, ciao!
Carissimo Beppe, davvero un bel tributo al tributo, che mette insieme il doveroso spirito critico con il flusso dei ricordi e delle emozioni personali, non trascurando, anzi esaltando, l’importanza storica di colui che, insieme a pochi altri, ha cambiato in maniera radicale il modo di utilizzare le tastiere nel rock. Da sottolineare che nessuno dei partecipanti era lì per caso o, peggio, per sfruttare un’occasione di visibilità, tutti al contrario avevano già dimostrato la loro ammirazione per Emerson prima della sua tragica morte. Anche per questo il coinvolgimento e la vicinanza spirituale con il tastierista traspaiono in ogni esecuzione, anche quelle non completamente riuscite.
Carissimo Paolo, come sempre un commento lucido e puntuale su un artista di cui sei grande esperto ed appassionato. Giusto sottolineare la “vicinanza spirituale” degli esecutori (di prestigio) con il Maestro scomparso; lasciami aggiungere che musicisti di valore, più che gran parte del pubblico, sanno riconoscere un inestimabile talento. Grazie davvero, continueremo ad amare l’arte di Keith Emerson.
Impareggiabile come sempre. Grazie Beppe per la giusta luce storica che, senza alcuna enfasi, riservi all’indimenticabile e mai piu’ replicabile compositore Keith Emerson. Marco
Ciao Marco, sono io a riconoscere un po’ di enfasi a riguardo, ma la statura artistica del personaggio la giustifica! Aggiungiamo pure che Emerson è stato il più rocker fra i talenti progressive…Tante grazie per i complimenti.
Complimenti per l’articolo, ricco di aneddoti e informazioni puntuali e interessanti.
Nonchè per la fluida narrazione letteraria.
Anche per l’aspetto prettamente grafico, facile da leggere e accattivante.
Bravi.
Grazie Stefano, è un piacere che tu abbia apprezzato anche l’impaginazione dell’articolo, che deve essere fruibile e rendere più accattivante la lettura. Si cerca di fare del proprio meglio. A presto, ciao!