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Ricordo Perfettamente

Frank Zappa Un dissidente americano Parte prima

Di 8 Febbraio 20216 Commenti

Una premessa alla musica postuma di Frank Zappa

Forse non sono la persona più adatta a scrivere di Zappa. Per me la banalità dei ritmi, la semplicità di approccio musicale, la mancanza di creatività e di spaziare attraverso tutto quello che si può produrre con le solite sette note, resta un limite al Vero Piacere. Amo moltissimi artisti e ringrazio Iddio di avermi dato la passione per la musica e di averla vissuta, almeno in parte, in prima persona; lo ringrazio di avermi anche dato la voglia di cercare di comunicare questa passione agli altri, perché DAVVERO sono convinto che senza la Musica, quella con la M maiuscola, questo mondo sarebbe davvero molto più noioso e banale. Credo che se dovessi descrivere a un alieno il nostro mondo, questo sarebbe composto di amore, musica e colori. Tutto il resto ne deriva.

Per questo la Musica di Frank Zappa, per me, è un avvicinarmi a Dio, perché se esiste un essere superiore, credo che solo lui abbia potuto mettere insieme gli elementi necessari a far nascere l’artista più poliedrico, spiritoso, vulcanico e geniale che mi sia capitato di ascoltare. Sono DAVVERO convinto che la mia vita sarebbe stata diversa senza la musica, ma sono altrettanto convinto che senza quella di Zappa, il mio approccio all’ironia, al piacere di avere sempre la mente piena di progetti, di amare le persone che, come me, leggono tre libri insieme, mentre pianificano sogni che forse un giorno vedranno realizzati, che dimenticano tutto e che sono ordinatamente disordinate, le persone che amano ridere e sentir ridere, quelle che amano il piacere di scoprire che la stessa cosa può essere fatta in venti modi diversi, tutti funzionali e perfetti…tutti i miei anni passati e buttati sarebbero stati estremamente diversi. Forse altrettanto belli, ma meno…colorati.

Amo scherzare dicendo che amo la Musica e sono di religione Zappiana. In realtà sorrido ma ne sono convinto. Perché il Maestro è una cosa e tutto il resto è Musica, bellissima musica. Ecco perché ho sempre temuto di non essere adatto a parlarne e scriverne, pur reputandomi molto realista nel giudicare e pur avendo la consapevolezza che un giudizio resta sempre una opinione estremamente personale.

E nel caso di Zappa il giudizio può essere quanto di più variegato e contorto voi possiate immaginare. Provo a spiegarmi. Non è difficile spiegare gli Zeppelin o John Mayall, i Beatles o Dylan ma per me è sempre stato impossibile descrivere l’Arte di Zappa. E quando mi veniva richiesto da dove cominciare ad ascoltarlo, sono sempre stato in estrema difficoltà, decidendo poi di suggerire quello che ritenevo sarebbe stato più prossimo al genere di soggetto che avevo davanti. E ogni volta si trattava di materiale completamente diverso. L’immensa produzione zappiana, quella in vita e quella post mortem, è così variegata ed eseguita di volta in volta da musicisti così distanti tra loro come estrazione e tecnica, la sua musica ha toccato veramente tutte le sfaccettature a noi note della musica popolare e colta, che dare una indicazione certa sarebbe stata pura follia.

Davanti alla domanda : cosa mi consigli ? Avrei preferito mi avessero chiesto il parere sulla teoria della relatività o sul Bosone di Higgs. Mi sarei trovato più a mio agio. E la cosa che mi ha sempre sorpreso è che raramente ho saputo coinvolgere stimati critici ed amici competenti : Zappa è cosa che si apprende di istinto o non si apprende per niente. E’ una sorta di linguaggio segreto che alcuni riescono a decriptare restando ignoto e incomprensibile a tutti gli altri. Ho grande stima di alcuni critici musicali che al solo nominare Zappa ridono e estraggono aggettivi che, se non li stimassi, mi suggerirebbero di gettarli giù dall’auto in corsa, di cucinargli polpette avvelenate, di togliergli il saluto.

La verità è che chi pensa che Springsteen sia Dio, chi trova Dylan, Young o Marley il viatico al Paradiso, chi se non sente nominare Satana cinque volte ogni brano suonato rigorosamente con doppia cassa alla batteria, difficilmente riuscirà, anche in età avanzata, ad innamorarsi di chi, in un solo brano, cambia più ritmi e fa suonare gli strumenti in tempi diversi di quanto può essere contenuto nelle intere discografie dei loro beniamini. Chi ascolta Jazz, no; per loro l’approccio è parzialmente più facile…Zappa è una mentalità, è osservare il mondo con occhi …e orecchie diverse, perché anche le orecchie fanno vedere, immaginare… è scoprire che dietro a ogni brano ci sono moltitudini di vette musicali da afferrare, estrapolare, assaporare. E’ accorgersi che dieci strumenti diversi possono suonare contemporaneamente nel medesimo brano in tempi diversi e che il risultato sia dolce come il miele di acacia…

E sapere che per ogni band, per ogni tour, per ogni serata, tutto cambia, nulla rimane uguale a se stesso è fonte di immenso piacere. Alla faccia di quelli che ai concerti si incazzano se l’assolo non riproduce esattamente quello che hanno in mente dal disco originale. Non è un caso che decenni fa, quando con il web eri in grado di contattare il resto del tuo mondo, mi ero messo a scambiare le mie registrazioni europee con altre provenienti da paesi ed ere dimenticate, finendo con il collezionare, credo, oltre un migliaio di concerti. Follia ? Può essere. Ma avevo avuto la prova che nella medesima giornata, quando in America si usava avere due concerti al giorno, il matinee e il serale, lo stesso brano veniva eseguito con tempi e assoli diversi. Ogni concerto era speciale, ogni esecuzione una scultura di molecole d’aria irriproducibile. Avevo avuto la prova provata della “Continuità Concettuale” tanto cara allo Zappa… che un coro finale di un brano poteva diventare cinque anni dopo il solo di un brano che poteva diventare due anni dopo l’apertura di un concerto, che estratti di un solo di batteria potevano evolvere in uno spartito che diventava uno dei brani più difficili da interpretare ed ascoltare ma che, una volta che la tua mente lo accettava, era come un bellissimo dipinto di cui finivi con il capire il significato nascosto.

Ed ora dovrei convincervi, qui, che le vostre vite sono più semplici, meno lineari, senza la musica di Frank Zappa ? Non saprei come farlo. Potrei dirvi che nel corso dei, tanti, troppi, decenni di amore per il soggetto, ho provato a chiedere il parere di maestri d’orchestra, di grandi musicisti, di amici e persone che gli erano stati vicini, fino a passare due serate insieme ai figli sperando di carpire ulteriori elementi del prezioso mosaico che avevo costruito nel tempo. Ed avevo scoperto che tutti i difetti erano sostanzialmente sovrapponibili e che l’amore ed il rispetto per il modo in cui produceva la sua musica era in tutti, assoluto, totale.

Quando penso a Zappa non riesco mai ad elaborare quella visione assoluta, quella continuità logica che risulterebbe ideale per immedesimarsi del tutto nella sua filosofia. Ottengo immagini e memorie affiancate in modo parziale l’un l’altra, come un puzzle incompleto. Una cosa che avrebbe fatto imbestialire il Maestro; lui e la sua maniacale necessità di una visione globale, figlia della sua Conceptual Continuity assoluta. Quando mi sono messo a scrivere queste righe non mi sono esplose davanti agli occhi le emozioni di decine di concerti, non ho ricordato le gambe molli di quando l’ho avuto a pochi centimetri e sono rimasto senza parole come una ragazzina davanti a Simon Le Bon, non ho avuto le orecchie piene di quei suoni da ascoltare e da non descrivere a parole. Ho immediatamente avuto in mente due sole frasi, apparentemente banali ma che mi sono rimaste scolpite nel cervello più di decenni di amore e passione. La prima è composta di solo tre parole, strappata senza volere alla fine di un pranzo tra i monti della lucchesia, quando c’era una rete televisiva che non c’è più e Dweezil e Ahmet, i due figli maschi, erano ospiti condotti lì nel nulla dei boschi – dove molto prima dell’avvento della tecnologia digitale e delle nuove telecomunicazioni un editore poco previdente aveva piazzato una rete televisiva nazionale – da una cortese promotrice di una piccola etichetta inglese che non so neppure più se oggi esista ancora. Era la primavera del 1993 ed avevamo parlato di tutto, quel giorno: di muffins, di parolacce in italiano, di radici italiane mai perdute, di un esordio su un palco a 14 anni, di corni di capelli fatti con lo shampoo e di musica in generale. Non avevo mai avuto il coraggio di fare un seppur minimo riferimento al padre, a quello che aveva rappresentato per me, al sentirlo come un parente stretto, al dispiacere di saperlo malato, alla voglia di saperne di più. Poi, un attimo, e la mente che non riesce a frenare la lingua e sfugge dal nulla un involontario, sincero…”Per me, tuo papà, è Dio“. Ed un silenzio dura due secondi, lunghissimi come un film francese, poi Dweezil, il più delicato, il più sensibile, che sussurra: “...anche per me“. E la consapevolezza che quelle parole non abbiano alcun punto di contatto con le mie, ma che siano il simbolo di una tragedia incombente, la perdita prossima dell’affetto più grande, un massacro della tua vita che sta per crollarti addosso. Ecco, lì, compresi quanto nulla di tutto ciò di cui avevamo parlato per ore avrebbe mai potuto includere quelle parole. Era il dramma della perdita di un genitore, la certezza di un vuoto che sarebbe arrivato troppo presto. Ricordo solo che chinammo entrambi la testa per non guardarci negli occhi. Per non scoppiare a piangere.

L’altra frase fu molto più brusca, come uno schiaffo a risvegliare le mie speranze, esili. Era il medesimo anno, solo qualche mese più in là. E la EMI mi regalava un viaggio per intervistare i Duran Duran a Los Angeles. A me fregava meno di niente di andare e non sapevo chi mandare in viaggio premio tra i miei “intervistatori ufficiali”… ricordo che ne spedivo a dozzine un po’ ovunque per il mondo e che ad ogni disco in promozione ricevevo telefonate di …prenotazione da parte di una decina di soggetti che non aspettavano altro che partire, pagati e spesati, per andare a chiedere troppo spesso le medesime banalità… Ma quella volta mi venne una illuminazione: lì abitava la Famiglia, forse sarebbe stato possibile fare un intervista, un piccolo scoop, una cosa da far vedere per divulgare il Verbo prima che fosse troppo tardi. Così lo chiesi all’unica persona che pensavo sarebbe riuscita a entrare in quella casa in quelle condizioni. Ricordo che il mio amico tornò indietro con una mezza dozzina di diverse interviste video quando avrebbe dovuto farne solo due. Ma quella che aspettavo non c’era. Mi attaccai al telefono e chiesi perché. “Perché non si poteva“, mi disse ma a me non bastava. E chiesi come stavano le cose, ansioso. “Lavora, mi disse, sta sempre in studio a mettere insieme dischi…sta lasciando da mangiare alla famiglia…sta a mori’, Giancarlo…“. Ecco, lo sapevamo tutti, eravamo in attesa, ma sentirselo dire da un amico, sicuramente dispiaciuto quanto me, in un romanesco che non avrei più dimenticato…beh me lo sarei risparmiato volentieri. Ecco, per me, da quel momento, questo sarebbe stato lo Zappa che avrei ricordato di primo acchitto. Tutto il resto, tutto il bello, solo dopo, con calma, dopo un respiro profondo, quando la splendida logica di quell’insieme di note avesse deciso di riaffiorare. Come una meravigliosa marea che sale. Ed il bello di quell’onda non è solamente la Musica, l’immensa e irripetibile musica che ci ha lasciato; sono anche le meravigliose puttanate che per decenni noi zappofili abbiamo dovuto sorbirci dai sedicenti critici che avrebbero dovuto saperne più di tutti e che, al solito, non avevano capito la famosa mazza di niente. E’ ancora oggi spettacolare capire come dello Zappa uomo, del suo pensiero e della sua musica, gli esegeti locali non abbiano saputo cogliere null’altro che un paio di cose e pure sbagliate.

Per la stampa musicale italiana Zappa nasce e muore artisticamente tra il 1966 ed il 1969. Di tutto il resto non v’è traccia alcuna. Forse le case discografiche non gli avevano più regalato i dischi ed i cd e per loro era morta lì. Perché il “critico musicale” non acquista: accetta, riceve. Non decide e sceglie : attende che qualcuno lo faccia per lui. Non scopre e crede: legge e ripete. E lui, rispettoso, non delude mai gli amici: tratta tutti i regali ottenuti nel modo migliore. A volte l’ho pure pensato: che la crisi della discografia sia dovuta alla decisione di non distribuire più i cd in regalo? Ma non divaghiamo…per il critico italiano Zappa era “di sinistra”. Forse perché aveva i capelli in disordine, forse perché aveva scritto “Trouble every day” all’esordio; una cosa che, era stata spiegata alla critica, faceva riferimento ai disordini sociali di Watts. E loro avevano etichettato. No, la considerazione che in America, di sinistra ce ne stessero pochi, ma pochi, pochi, pochi oppure la voglia di cercarsi i testi di “Rudy wants to buy yez a drink” o di “Stick together” non li aveva mai sfiorati. Zappa non è che non fosse di sinistra o fosse di qualche altra parte: era Zappa. Punto. Un libero pensatore, un dissidente americano. E se per musicista di sinistra si debba intendere il prototipo che abbiamo sdoganato noi in Italia, ben vengano i dissidenti americani ! Zappa usava il cervello, il suo, sperando che gli altri sarebbero riusciti ad afferrarne il filo logico e, conseguentemente, l’evidente “continuità concettuale”. E vediamo di precisare una volta per tutte le radici di ‘sta frase fin troppo sfruttata. Agli esordi o da quelle parti lì, Zappa consegnò al solito direttore artistico un suo prodotto; il tipo, che si aspettava qualcosa di più pratico, meno ostico, più oleato, gli disse: ” Non vedo un potenziale commerciale – e poi, forse volendo mostrare una riflessione più profonda della semplice scoperta della mancanza di singoli – e dove sta la vostra continuità concettuale?“. Io non conoscevo la storia, l’avrei scoperta con gli anni, ma ricordo che quando scoprii che i dischi ufficiali non mi bastavano mai e decisi che invece di comprare un miniappartamento mi sarei riempito la casa di bootlegs, due titoli “No commercial potential” e “Conceptual continuity” mi affascinarono moltissimo, al punto di far pazzie per possederli. Star dietro alla logica zappiana spesso era un vero casino, una difficoltà fisicamente impegnativa, intellettualmente contorta. Ma se dovessi oggi spiegare al figlio che non ho avuto il mio perché, cercherei di fargli capire che il mio approccio al senso dell’ironia, al rifiuto delle banalità, alla disillusione nei confronti dell’amore (per come ci viene raccontato), alla comprensione che il sesso non è altro che una pratica sportiva raramente lineare e spesso insoddisfacente, che soffermarsi sulla superficie delle cose è deleterio, che tutte queste cose, infine, sono frutto dell’ascolto ripetuto e privo di protezione dei suoi 143…145 album, ad oggi. E perdonatemi se ho perso il conto.

Qualcuno tra i detrattori, non sapendo a cosa attaccarsi, ha detto che Zappa non ha mai avuto rispetto per i suoi musicisti, cambiandoli troppo spesso, come pedine di un gioco. E questo dimenticandosi che la maggior parte dei leader in campo musicale ha sempre fatto esattamente lo stesso… L’immagine dell’allenatore che per perseguire i propri schemi ed obbiettivi sceglie gli atleti migliori per quella partita o quella stagione non li ha mai sfiorati. Le Mothers of Invention sono morte, come marchio, nel 1976 ed io ho ancora negli occhi le immagini del mio film personale del loro ultimo concerto con l’ultima presentazione del gruppo : Lugano, 13 marzo 1976, “…Your five favourite relatives: The Mothers!“. Immediatamente dopo e da lì in poi i cartelloni avrebbero riportato solo il cognome del compositore di tutte le musiche, che fossero pop, rock, jazz, blues, orchestrali, doo wap o elettroniche o tutto insieme…un compositore che scriveva “piccoli puntini neri su fogli di carta bianchi a righe” che consegnava ad ogni suo musicista che fosse stato in grado di leggerli. Per tutti gli altri non restavano che mesi e mesi di prove per sopperire alla mancanza. Un altro flash. Il retropalco del concerto di Firenze, ultimo tour 1988; Bruce Fowler che amabilmente incazzato racconta che quel gruppo sapeva e poteva suonare 104 pezzi di cui una trentina in altri due tempi completamente diversi. Che a occhio fanno 160 pezzi, di cui quasi una ventina di durata oltre i venti minuti. Niente male, se solo consideriamo, a paragone, che mostri di tecnica e improvvisazione come gli Emerson, Lake & Palmer o i Colosseum o i Jethro Tull – tanto per citarne tre a caso – avevano versioni dal vivo accorciate dei loro brani più lunghi: Tarkus o Pictures, Valentyne Suite, Thick as a Brick. Cose che solo un vero musicista può capire quanto difficili e incredibili siano anche solo da immaginare, non solo da assimilare, anche se è la pura realtà : 160 brani da memorizzare e su cui “variare”. Sotto il controllo delle dita del Maestro a dirigere.

Dylan è un genio. Non solo per aver lasciato alla Storia alcuni tra i più intelligenti e poetici testi del rock, ma anche per aver saputo assorbire come una spugna al momento opportuno il meglio dagli altri, adattando la sue canzoni alle potenzialità dei musicisti con cui si è accompagnato di volta in volta allo scopo di dare nuova vita alle sue composizioni; musicisti mai scelti a caso. Zappa ha cambiato i suoi interpreti, usandoli come strumenti di una orchestra legata a triplo filo ai suoi umori, ma rendendoli immortali. E ricchi se è vero che chi ha saputo gestire il proprio talento, dopo di lui, ha fatto fortuna. Zappa ha avuto i più grandi strumentisti al mondo, e quasi sempre prima che al mondo fosse noto il loro talento. I racconti sulle audizioni di Frank hanno del mitologico…ne trovate parecchie raccontate in prima persona che vi ho allegato dal Tube e vi prego di capire che chi parla è tra i migliori musicisti al mondo. Zappa non ha mai suonato due volte lo stesso assolo e altrettanto, quasi sempre potrei dire, hanno fatto i suoi musicisti. Anche questa è una leggenda che vale per tanti altri, uno dei famosi “si dice” ma che per Zappa è verità assoluta. Io, e moltissimi appassionati, come vi ho accennato, possiamo dirlo e provarlo ai San Tommaso nascosti ovunque.

Noi abbiamo contato centinaia di album ufficiali, prima. Meglio sarebbe stato dire “contenitori”, perché molti sono doppi, tripli, quadrupli, quintupli album: una produzione immensa, estremamente articolata e complessa, di difficile comparazione per quantità e qualità. Di questi una quantità è postuma e pochissimi quelli in cui lo Zappa ha avuto tempo di apporre il marchio in prima persona; questi che sembrano moltissimi ma sono un numero assolutamente in linea con la media della produzione in vita, rappresentano le uscite che “coloro che hanno visto la luce” sanno essere stati gestiti in prima persona da Gail, la mogliettina, agli inizi e dal…perdonatemi…figlio scemo Ahmet, poi. Ma non c’è la “sindrome di Hendrix” in queste uscite, non c’è l’equilibrismo obbligato di chi ha poco da sfoggiare tra gli stessi nastri consunti e ripetitivi. Esiste un’incredibile quantità di materiale registrato e catalogato in tutta la carriera, materiale che veniva registrato dal vivo per uno di quegli aspetti logici e pratici che tanto gli erano cari. “I miei gruppi provano per mesi, dieci ore al giorno; quando siamo in tour sono in grado di eseguire perfettamente tutto quello che hanno imparato. perché dovrei spendere altro denaro per riportarli in studio per eseguire quelle cose che hanno suonato per più di un anno?“. Ecco perché, dal 1970 in poi la maggior parte dei dischi, pur sembrando di studio, aveva basi estrapolate da concerti dal vivo. Ed ecco perché la maggior parte delle uscite postume sono recuperi di incisioni catalogate nella “Cucina per la Ricerca dell’Utilità della Brioche” che è il modo in cui avrebbe Frank chiamato il suo studio posto nelle cantine di casa se fosse stato italiano, invece di chiamarlo UMRK, Utility Muffin Research Kitchen. E’ una sindrome più prossima alle centinaia di uscite dei Grateful Dead, ma onestamente molto più varia come contenuti. Il nostro compito odierno è di provare a ricordare, prima, e di invogliare poi chi non ha mai creduto nella First Church of Appliantology a recuperare suoni e sentimenti attraverso la musica di questi anni senza Frank.

C’è un’altra sua frase, strappata infine dal mio amico in quel suo ultimo incontro, che mi riaffiora nella memoria : “Tutto finisce con me. La mia musica finisce con me.” gli disse. La speranza è che per una volta il Maestro si sia sbagliato. Per tutti quelli che giudicheranno solo ascoltandolo, perché…”scrivere di musica è come danzare di architettura“. Qualcuno può sostenere il contrario ?

Questa è la doverosa, lunghissima e accorata introduzione al mio tentativo di farvi orientare all’interno della discografia postuma di Zappa che vi pubblicherò a brevissimo giro di posta…così come, prometto, chiuderò il cerchio dopo la pubblicazione della prima parte dedicata agli Zeppelin.

6 Commenti

  • Lorenzo ha detto:

    Caro Giancarlo, quando lessi questo tuo scritto ormai qualche anno fa mi ricordo che ebbi più o meno la stessa reazione di Sergio e Gabriele : commozione pura. Non lo so perché e neanche ho voglia di star lì a ragionarci, però una cosa simile mi accade quando con qualcuno parlo di Andre Pazienza e scatta una sintonia che non si basa su disquisizioni, su tecnica , bravura, stile e quant’altro, che pure ci stanno, ma solo di un enorme, immenso, totale amore!
    E approposito di Pazienza, sono ancora curioso di conoscere la storia della copertina di Liberatore di The Man From Utopia ;qualche tempo fa, non mi ricordo più dove, accennasti a un qualcosa che successe tra Frank, Tanino . Attendo fiducioso un bell’articolone qui su rockaroundtheblog.it!

    Ciao e grazie ancora per la condivisione del vostro talentaccio!

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      Grazie Lorenzo…quello che leggesti era una cosa per Outsider, ma sostanzialmente diversa da questa, decisamente più… personale, diciamo. La seconda parte che dovrebbe contenere solo le uscite postume, a brevissimo, promesso. Mentre la storia di Tanino…beh forse è meglio raccontarla in privato. Pubblicamente alcuni episodi è bene tralasciarli. Non si sa mai.

  • Gabriele ha detto:

    Mi sono sciolto in lacrime leggendo questo tuo tributo al Maestro.
    Grazie Giancarlo per le emozioni che sei riuscito a farmi arrivare in maniera cosi semplice ma che mi riportano indietro negli anni al primo ascolto che feci sul Maestro Zappa.
    E che ancora oggi dopo quasi 30 anni dalla sua morte sono sempre li dentro di me.. Dentro una lacrima di gioia che provo ogni volta che ascolto la sua Musica.

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      Sai una cosa, Gabriele ? Molti dei miei idoli, di quelli che hanno accompagnato la mia pubertà, la gioventù, adolescenza e maturità sono morti. Lasciandomi un vuoto e un dispiacere che però non è neppure lontanamente paragonabile a quello che ho provato e provo tutt’ora pensando a Zappa. Mi manca da morire il mio appuntamento annuale con i suoi concerti, mi mancano le sue uscite, la sua ironia, la girandola di musicisti che ci proponeva, sempre singolarmente perfetti. Non credo che mi abituerò mai. Continua ad ascoltarlo : scoprrai ogni volta colori e note che ti erano sfuggite. Grazie a te.

  • Sergio Schillaci ha detto:

    Articolo straordinariamente commovente, centrato, rispondente al vero e da far leggere – se sapessero leggere – a tutti quelli che dicono di amare la musica e non apprezzano la musica di Zappa. Gente senza “big ears”.

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      Beh Sergio…la mia intenzione non era esattamente di far piangere, commuovendolo, qualcuno … 😉 onestamente non ho fatto altro che provare a scrivere quello che puoi dire quando chiaccheri con un amico… e pensando a Frank, non posso non ricordare pezzi della mia vita. Io e Beppe siamo molto amici, ci conosciamo da più di 40 anni… sarebbe divertente registrare e trascrivere le nostr chiacchierate quando siamo insieme e parliamo di musica… ne verrebbe fuori qualcosa di piacevole. Forse molto più di quello che scriviamo. Stai bene, Sergio, amico mio.

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