Glam-Metal Goes To Hollywood
L’immagine classica del Rinascimento Heavy Metal 1980, era quella del rocker duro e puro, celebrata dall’inno dei Saxon “Denim & Leather”, che dava il titolo al quarto album della loro rapidissima ascesa: gruppi come i Motorhead ed i primi Iron Maiden ne erano la manifesta incarnazione; al loro fianco si schieravano una miriade di bande con la stessa divisa, ivi comprese le “donne in uniforme”, Girlschool e Rock Goddess.
Ma la componente Glam, appariscente, androgina, spesso vistosamente kitsch, non ha mai abbandonato il rock inglese dopo il boom d’inizio Settanta di Bowie-Ziggy e Bolan-T.Rex, senza dimenticare le frange più hard rock, dagli Sweet ai Silverhead, fino ai sofisticati Mott The Hoople.
Nella NWOBHM (New Wave of British Heavy Metal) si poteva rilevare una fitta presenza di gruppi glam, considerati all’epoca figli “illegittimi” del movimento…Addirittura fra i primissimi ad incidere furono i Girl di “Sheer Greed” (Jet, 1980): recensiti entusiasticamente dalla critica inglese – ed anche da noi, su Rockerilla – riscossero solo una tiepida accoglienza di pubblico.
Non era né il tempo, né il posto giusto, infatti Phil Collen ed il cantante Phil Lewis se ne andranno in cerca di maggiori fortune. Il chitarrista centrerà in pieno l’obbiettivo, con i Def Leppard, ma anche il cantante raggiungerà il successo negli L.A. Guns. Accanto ai Girl, tanti altri nomi dello stesso genere, marginali per il mercato anglosassone, come Wrathchild, Silverwing, Rox, Sacred Alien, Virgin, persino gli Agony Bag nati dalle ceneri degli occulti Black Widow.
Quando la risonanza del fenomeno metal britannico venne esportata in America, non c’era dubbio che avrebbe trovato terreno fertile per attecchire. Parliamo di “risonanza” perché negli States il rock duro non era mai parso demodé, nonostante la vasta influenza dell’iconica scena punk di New York (Patti Smith, Television, Ramones, Blondie, Heartbreakers etc.) e di quella “da culto” californiana (Crime, Germs, Dead Kennedys, Nuns…), dal 1976 in poi.
La fortezza Hard’n’Heavy americana restava più che mai granitica, perché sempre nel ’76, gli Aerosmith doppiavano il pinnacolo raggiunto da “Toys In The Attic” con un altro vertice, “Rocks”. Nel 1978, i Van Halen esordivano con il disco che i konnoisseurs di lunga data, pongono in aperta contesa con il primo Montrose, per il titolo di più grande debut-album della storia, nel loro genere.
Quindi, i Van Halen esplodevano rubando la scena agli scarichi Black Sabbath nel tour che li vedeva in coppia negli USA, anticipando così la NWOBHM. Inoltre, sia Van Halen che Aerosmith, pur non rasentando eccessi glamour, esibivano tenute colorate e sgargianti, specie nei loro uomini di primo piano, Steven Tyler e Dave Lee Roth: entrambi dotati di sex appeal ben riconosciuto dal pubblico femminile e perfettamente in linea con la “carnalità” del suono e…degli intenti.
Ma si poteva andare ben oltre in termini di look ostentato, ed i Seventies americani avevano già messo in luce Alice Cooper, il profeta dello Shock Rock, ed i Kiss, probabilmente il gruppo più identificato dall’immagine nella storia della musica popolare. A proposito di deliri oltraggiosamente glam, inevitabile citare Iggy & The Stooges (epoca “Raw Power”) e la sterminata influenza dei New York Dolls al di là delle disavventure commerciali. Il deragliante rock’n’roll dei pionieri “travestiti” possiede una fisicità tuttora sbalorditiva. Dalle loro ultime propaggini emerse il futuro, perverso anti-eroe dei primi WASP, Blackie Lawless (vedi foto), senza dimenticare i diretti eredi nella stessa metropoli, Twisted Sister, che però dovranno rivolgersi all’Inghilterra per sferrare il letale primo assalto (l’LP “Under The Blade”, Secret 1982).
Questa era la prova che la “Grande Mela” rimaneva in ombra underground agli albori del glam-metal anni ’80, mentre il comando delle operazioni veniva assunto decisamente sulla Costa Ovest, da Los Angeles.
I riflettori di Hollywood indugiavano ora sui club della metropoli, dove emergono nuove, eccentriche figure di rockers come i Motley Crue, che già nel 1981 si imponevano con il primo album, “Too Fast For Love”; avrebbe rappresentato il viatico per un immediato contratto Elektra, fungendo da autentico detonatore per la cosiddetta scena L.A.H.M. Anche l’etichetta indipendente californiana Metal Blade, destinata ad un futuro più consistente rispetto alle inglesi da cui aveva tratto spunto (Neat, Heavy Metal Records), sarà vigile su quel fronte. Nella sua storica compilation “Metal Massacre-Vol.I” (1982), che porta sugli scudi pionieri del metal americano senza compromessi come Malice, Cirith Ungol e soprattutto Metallica, ci sarà spazio anche per i Ratt, futuri concorrenti dei Crue per la supremazia cittadina. Sono soprattutto queste due formazioni a portare (in alto) nelle classifiche di Billboard il glam-metal e a diventarne un simbolo anche a livello iconografico.
Nel 1982, prima che i Ratt dessero alle stampe il mini-LP d’esordio, già debuttavano sul mercato i Dokken, con l’album “Breaking The Chains”: ancora lontano dai fasti del successivo “Tooth And Nail” (1984), che li avrebbe imposti come un perfetto connubio fra heavy rock di classe e suggestiva ispirazione melodica, rendendoli un prototipo di questo genere. Nel L.A.H.M., il look era decisamente fondamentale, ma l’aura glamour oscillava dall’immagine selvaggia e scioccante di Motley Crue, WASP, Lizzy Borden, alle apparenze cool, a loro modo ostentatamente curata, degli stessi Ratt (approdati al contratto Atlantic) e degli chic rockers, Dokken.
Proprio questo stile/fashion, con capigliature curate da far invidia (o attirare!) le attrici di Hollywood, apre i battenti al boom nella seconda metà anni 80 dell’hair metal, complice MTV. Spesso vilipeso, questo genere ha invece consegnato alla storia, sempre con L.A. nell’epicentro del ciclone, autentiche gemme in bilico fra rock duro e pop.
Tornando alle origini del fenomeno, dal 1982 all’84, l’incremento della popolazione glam-metal aveva fatto passare in secondo piano la primigenia rivalità fra headbangers e punks, sovrastata da battaglie intestine fra difensori della vera fede metallica e la nuova tendenza “poser”; gli esponenti di quest’ultima erano accusati di annacquare la loro proposta in termini commerciali, ma replicavano rivendicando una matrice più strettamente rock & roll. Questa diatriba si accese anche in Italia, dove i giubbotti di pelle nera erano l’emblema dei gruppi della prima ora: Vanadium, Vanexa, Strana Officina, Crying Steel, Steel Crown. Mentre i Death SS vagavano solitari nell’oltretomba, i Revenge iniziavano a sfoggiare un look più spettacolare e ben presto Halloween (non i quasi omonimi tedeschi), Gow, Mausen etc. si indirizzavano decisamente verso la discussa immagine glam.
A testimonianza di quanto sopra, ricordo le lettere che Rockerilla riceveva in redazione, ma soprattutto, in omaggio a quelle pagine ingiallite dal tempo, ripresentiamo i gruppi di L.A. che fecero più sensazione.
Motley Crue: "Too Fast For Love" (1981)
Nonostante l’aspetto provocatorio e scenografico, comunque ridondante di borchie luccicanti e cuoio nero, i Motley Crue avevano una fama da “duri” che nemmeno i seguaci tradizionalisti dell’HM osavano discutere.
Vennero rapidamente scritturati dall’Elektra, che ripubblicò nell’82 il primo album, “Too Fast For Love”, restaurato dal produttore dei Queen, Roy Thomas Baker. L’immagine oltraggiosa dei Crue fu cementata dal secondo, “Shout At The Devil”, che addirittura metteva in mostra una simbologia satanica (vedi foto) ed ottenne un immediato, ragguardevole successo in America.
Sicuramente le pose glam-horror dei quattro ed il suono, incapsulato da Tom Werman nelle geometrie squadrate dei riffs siderurgici, produssero il “decollo in classifica”. Però gli appassionati più accesi degli originali Motley Crue continuano a privilegiare il primo “TFFL”, autoprodotto a tiratura limitata su Leathur Records ed incorniciato dalla copertina che faceva il verso ad una delle più celebri del rock: “Sticky Fingers” degli Stones, pruriginosa fotografia di Andy Warhol su zona inguinale maschile; stavolta però niente cerniera da abbassare, solo gli indumenti di pelle nera e gli accessori cromati esibiti da Vince Neil.
L’energia del quartetto vi appare sguinzagliata senza freni; anche la chitarra di Mick non risulta irrigidita negli schemi tipici, seppur vincenti, del metal d’inizio 80, dando vita ad un vero e proprio Mars Attack in “Piece Of Your Action” e “Take Me To The Top”. Nell’iniziale Live Wire” c’era già tutta la force de frappe dei Crue più intransigenti; la sezione ritmica costituita da Nikki Sixx e Tommy Lee non teme paragoni in tale contesto e la voce di Vince è il fattore che più si riallaccia alla tradizione glam: inflessioni efebiche bizzarre in rapporto alle pose macho alla D.L. Roth ostentate sul palco, ma anche reminiscenze di Steven Tyler, Brian Connolly e Marc Bolan. Inoltre, la gran tradizione del rock americano dei 70, viene chiamata in causa sul fronte melodico, quando “Come With The Show” riecheggia i maestri del power-pop, Cheap Trick.
Quella dei primi Crue era dunque un’offensiva debordante, al servizio di brani dalla spiccata personalità. In seguito risulteranno più cristallizzati in produzioni prevedibili, palesemente nel quarto “Girls Girls Girls”, del 1987. Pur insistendo sulla loro immagine da “cattivi ragazzi”, risultavano imborghesiti nella proposta musicale e nell’immagine…Come risulta dalla foto di retro-copertina del primo numero di Metal Shock (qui pubblicata), i Motley Crue adottano a loro volta un look patinato, tipico dell’hair metal allora dominante, mettendo in ombra la “natura della bestia” scatenata in origine.
(Recensione tratta da Rockerilla n.22-Marzo 1982)
Ratt: "Invasion Of Your Privacy" (1985)
Il fattore che sollecitò la mia attenzione per i Ratt non fu certo la comparsa su “Metal Massacre” con la zoppicante “Tell The World”, ma la versione di “Walkin’ The Dog” sul mini-album omonimo (Time Coast 1983, poi MFN) che costituiva un ideale anello di congiunzione fra questi esordienti e la grande tradizione rock & roll di Rolling Stones ed Aerosmith. In particolare, sono sempre stato un acceso sostenitore degli Aerosmith come principale rock band d’America al di là di qualsiasi omologazione, e lo testimoniano le mie recensioni su Rockerilla di “Rock In A Hard Place” e “Done With Mirrors”, quando la tendenza unanime era di darli per spacciati…Salvo poi inneggiare sfacciatamente al rilancio di “Permanent Vacation” e “Pump”.
Era decisamente stimolante che un gruppo di nuova generazione prendesse spunto dagli “strangolatori” di Boston, mediando la loro lezione con la tendenza americana al metallo cromato degli ’80. Ratt ci erano riusciti perfettamente nel primo album su Atlantic, “Out Of The Cellar” (1984), che metteva a fuoco componenti essenziali per il raggiungimento del successo in quel panorama e a quell’epoca: ESTETICA del suono e dell’immagine.
Il primo fattore é concentrato nella magistrale produzione di Beau Hill e Jim Faraci, che conferivano alla musica strutture metalliche simultaneamente dure ed ariose; il secondo, sia nel look del quintetto (capelli cotonati e mascara, ormai uno standard per le bande americane del settore), sia nell’immagine di copertina, sexy ma tutt’altro che volgare, possibilmente con una supermodella in primo piano (Tawny Kitaen in questo caso, su “Invasion Of Your Privacy” sarà la volta di Marianne Gravatte). Insomma, sembrava proprio che il tempo del metal per soggetti in stile Hell’s Angels volgesse al tramonto, ma il futuro smentirà questa sbrigativa ipotesi.
Proprio “IOYP” si confermerà l’album definitivo del Ratt’n’Roll (la mania di etichettare lo stile stavolta era suggerita dagli stessi musicisti); il talento di Stephen Pearcy nell’istigare trascinanti armonie vocali è confermato da “You’re In Love” e “Lay It Down”. La coppia di chitarristi Warren De Martini e Robbin Crosby risulta perfettamente coesa ed essenziale, nella formula musicale, più affine all’ispirazione di Warren (Joe Perry, con Brad Whitford). Robbin era invece un grande fan di Hendrix…Anche lui verrà prematuramente a mancare , nel 2002.
L’immancabile power ballad, “Closer To My Heart”, é scandita dai lucenti riverberi degli arpeggi ed immersa in una dimensione di romantica melanconia. Ragionando come negli anni d’oro del vinile, ora tornato di moda, si può solo imputare all’album una seconda facciata sensibilmente inferiore alla prima.
Ma la svolta che impone il L.A.H.M. al vertice del rock americano di metà anni 80 è ormai avvenuta.
(Recensione tratta da Rockerilla n.59/60-Luglio/Agosto 1985 –
S. Pearcy in 3a di copertina di Rockerilla n.73-Settembre 1986)
Dokken: "Under Lock And Key" (1985)
Non nascondo che parlare di metal negli anni ’80, in ogni parte del globo, induceva alla smania di “etichettare” generi e sotto-generi. Uno dei termini su cui fantasticavo (o peggio, dipende dalle interpretazioni…) era il contestato “class-metal”. C’è chi l’ha fatto risalire – ma era precedente – alla recensione di “Tooth And Nail” dei Dokken, che esordiva con l’impegnativa affermazione: “Il class-metal, ossia l’heavy sound potentemente melodico … REGNA sull’America e si impone come la forma più in forma del rock duro fuso nell’84!”.
Con mia grande sorpresa, anni dopo il termine mi venne addirittura attribuito con una voce di Wikipedia, prima che qualche puntiglioso si prendesse la briga di farlo cancellare; in realtà non ero per nulla coinvolto in tutto ciò…ma in questo blog concedetemelo, era un’amenità da raccontare. In ogni caso, il suono dei Dokken divenne il termine di paragone, assolutamente autorevole, del cosiddetto class-metal.
Il leader Don Dokken si può annoverare a pieno diritto fra i pionieri della nuova scena metal californiana; in origine era principalmente un chitarrista appassionato di Zeppelin, Cream ed Hendrix. Già nel 1979 aveva conosciuto il produttore Michael Wagener, suonando in Germania. Dieci anni dopo, la Repertoire pubblicherà l’album “Back In The Streets”, frutto della loro collaborazione.
Né quel lavoro embrionale, né il debutto tedesco effettivo, “Breaking The Chains” (Carrere, 1982), suscitavano l’impressione di un gruppo di primo piano, nonostante Don avesse già ceduto la chitarra solista all’astro nascente George Lynch, adattandosi benissimo al ruolo di cantante. L’influenza del produttore degli Scorpions, Dieter Dierks trasferirà a Dokken qualcosa dello stile vocale, ben riconoscibile nelle parti aggressive, di Klaus Meine.
Con Elektra, il destino del quartetto cambia radicalmente; “Tooth And Nail” è un esponenziale passo in avanti ed “Alone Again” diventa una magistrale ballata da MTV, dal tono suadente e melodrammatico. Un anno dopo, “Under Lock And Key”, magistrale produzione di Neil Kernon e Wagener, impone irrevocabilmente i Dokken nell’empireo dei grandi dell’hard di qualità, degni di succedere agli Starz e ai non più freschi Van Halen.
La formazione genera magia d’atmosfera in brani che convivono in modo assolutamente originale con l’impronta ritmica mid-tempo, ascoltate “The Hunter” e “Will The Sun Rise”, spaziando dalle maliose arie melodiche di “In My Dreams” all’urgente heavy rock di “Lightnin’ Strikes Again”.
“Non c’é alcun piano alle nostre spalle – dichiarò Dokken – non abbiamo mai pensato ad un look elegante prima che alla nostra musica, né ci siamo preoccupati di comporre brani heavy metal o pop”.
(Recensione tratta da Rockerilla n.65-gennaio 1986)
Intanto, lo stile di “quel” George Lynch resta un marchio di fabbrica inconfondibile, e quando ascoltai “Rats”, il primo singolo dei dilaganti Ghost di “Prequelle”, non ho fatto a meno di pensare a lui. La sua eredità si ritrova nell’opera di una delle più originali formazioni di oggi (ascoltate qui il pezzo “incriminato”…). Chi l’avrebbe mai detto?
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Azzardando pronostici su future celebrità si rischiano brutte figure, ma capita di cogliere nel segno…Visto che siamo in tema di glam / hair metal, andatevi a rileggere le prime righe della recensione allegata, apparsa su Rockerilla n.62, ottobre 1985 (in copertina, i già straripanti Metallica).
Si trattava del demo di un quartetto di tutt’altra natura, emigrato a L.A. in cerca di fortuna, e ci sbilanciavamo sul successo del futuro debut-album. Loro erano i Poison, l’LP “Look What The Cat Dragged In” sarebbe uscito nell’estate 1986; nonostante gli stucchevoli ritratti da bambole Barbie in copertina, finirà per vendere circa quattro milioni di copie. Molti anni dopo, nel 2012, il canale televisivo americano VH1 li ha nominati miglior formazione hair metal per la carriera negli anni ’80. Nascevano di “seconda generazione” rispetto ai prime-movers sopra descritti, ma nello stile erano più affini a questi che ai loro contemporanei della “street scene”, Guns N’Roses, L.A. Guns, Faster Pussycat.
Tipicamente amati e odiati dalle opposte fazioni di appassionati, i Poison sono passati dalla freschezza scapestrata degli esordi ad una maggior maturità espressiva nel terzo “Flesh And Blood”, che includeva classici del loro repertorio come “Unskinny Bop” e “Something To Believe In”.
Uscito nel 1990, poco prima della rivoluzione grunge, fu anche “Top Album” sul nostro Metal Shock. La capacità di scrivere canzoni accattivanti va tuttora riconosciuta a Bret Michaels e compagni.
Ciao Beppe, una curiosità: cosa ne pensi di “Motley Crue”, l’album con Corabi alla voce?
Ciao Alessandro, nella marea di ascolti del periodo ovviamente rientrava anche quell’album che non credo però di aver mai recensito. Non mi ha impressionato favorevolmente ed è stato archiviato in fretta. Quindi non posso aggiungere altro.
Beppe a Rockerilla era come una bibbia per iniziati al metallo più o meno duro, tra i gruppi class metal che preferivo anche gli Hurricane di Over the edge. Un caro saluto sultano dell aor, aspettando anche Mr. Paul Sabu, heartbreak un moloch che si può definire anche lui L.A. ‘Classy’
Di esempi di valore, lo sai bene Fabio, se ne potrebbero fare a decine. Certamente “Heartbreak” di Sabu é un grande classico dell’hard rock melodico e bisognerà che lo rispolveri prima o poi sul Blog. Ciao!
Anche se con ritardo eccomi a scrivere qualche riga direi più che doverosa. Ti avevo richiesto o per meglio dire invocato i Dokken ed eccomi un triplete da paura. Vedere Motley, Ratt e Dokken penso sia un pezzo di storia della musica da me tanto amata. In un’epoca in cui non c’era internet, ma solo brevi news e pochi articoli sentendo i tre gruppi sopracitati, ma ce ne sarebbero altri, si sognava. Si sognava e si immaginava un L.A. messa a fuoco e fiamme da rock, notti di concerti nei vari locali, bellissime ragazze, eccessi di ogni sorta…
Con il tuo modo di scrivere, di esporre ogni recensione non era una entità avulsa, ma mi ha sempre catapultato nella musica facendola sentire mia, sempre più mia. Forse il mio amore verso l’hard rock, il metal è così forte, sentito proprio grazie ai tuoi scritti.
Un bellissimo regalo, grazie Beppe!
Luca
Luca, ringrazio davvero per le tue parole che fanno pensare di aver realizzato un tramite utile per la diffusione del rock che ci ha regalato tante emozioni. Continua ad ascoltare la tua musica “del cuore”, senza porti limiti. Sarà sempre una soddisfazione. Ciao!
Forse è un sogno o forse no!!! Il 17 maggio citavo il LOS ANGELES HEAVY METAL… 10 giorni dopo un delizioso articolo sul LOS ANGELES HEAVY METAL appare su questa vera “RIVISTA VIRTUALE”!!! INFINITAMENTE GRAZIE MAESTRO per questo regalo…E spero di riuscire ad incontrarti di persona, sarebbe davvero un sogno per me!!!
Ciao Marco, può essere che si presenti l’occasione sebbene la pandemia abbia cancellato ogni potenziale “assembramento” (dai concerti agli stadi). Speriamo di andar oltre e che prima o poi torni la normalità. Intanto, grazie mille per esserti appassionato alla rievocazione, seppur circoscritta, del LAHM.
Ciao Beppe! Al liceo compravo sempre Metal Shock, e non vedevo l’ora di leggere le tue recensioni e la posta di Trombetti. Ora sono un ingegnere edile, a tempo perso scrivo recensioni cinematografiche, e devo dire di avere imparato tantissimo da te e da Giancarlo. Le tue recensioni erano (e sono ancora) fantastiche. Pur lasciando intendere una straordinaria competenza non erano mai fredde e asettiche, ma comunicavano un infinito amore per la musica: sembrava quasi che la creatività degli artisti fluisse verso il recensore, tanto erano ispirate. Ricordo di essere rimasto molto deluso dalla tua opinione su “Thunderstruck” degli Ac/Dc, ma a distanza di anni non posso non ammettere che avevi ragione tu. Come sempre. Un caro saluto.
Caro Ing. Ivano (oltre che esperto di cinema) quel che ci scrivete voi fa pensare che non sia stato superfluo tornare a comunicare attraverso questo Blog. Da commenti come questo si deduce un’attenzione tutt’altro che asettica. Non ho mai pensato, ci mancherebbe, di essere “infallibile”, ma di aver scritto con passione e buona fede, questo si. Gli AC/DC non avevano certo bisogno dell’ennesima lode per quell’album, inoltre da gruppi di tale portata è lecito pretendere il meglio. Sicuramente in altri casi sono stato più generoso. Ciao, ti ringrazio molto.
Beh, 3 album leggendari, poco da dire e da aggiungere. Ricordo solo che quando ascoltai il primo dei motley crue mi fece pensare subito ad un modo “vizioso”, tanto quanto pensai all’inferno con hell awaits. Insomma un sound che caratterizzava alla perfezione gli artisti da cui nasceva.
Gianluca, la componente “viziosa” come la definisci tu, è stata essenziale nel glam-rock ancor prima che si estendesse al metal. Si ritrova tangibilmente in “Too Fast”, così come un suono claustrofobico ed “infernale” è costitutivo del repertorio degli Slayer. Alla prossima, ciao
La cosa che ancora oggi dopo tanto tempo mi sorprende è il rendermi conto dell’efficacia, della semplicità e del gusto che avevano gli assoli di chitarra. Credo che questi musicusti, e parlo anche di gruppi non di prima fascia, non siano mai stati “celebrati” abbastanza e meritino maggior approfondimento. Tanto per non fare i soliti nomi, settimana scorsa ho rispolverato gli slave riders, non c’era una nota fuori posto. Esagero? Forse. . Poi mi rendo conto che quando avevo 20 anni assorbivo la musica in maniera diversa, ma questi assoli così calibrati nei pezzi, non li ho più ritrovati. Poi magari sono io che dopo averli ascoltati migliaia di volte mi si è fossilizzato il metal cervello.
Sarebbe un discorso lungo, Gianluca. Sicuramente il cosiddetto hair metal è stato oggetto di una campagna denigratoria dopo il boom del grunge che ha mortificato le qualità esibite dai suoi esponenti. Ci sono stati casi forse anche più clamorosi nella storia del rock, per esempio i nomi storici del progressive disprezzati dai punks. Ognuno di noi, come fruitore ed appassionato di musica, deve esser convinto di ciò che ascolta, ed è giusto che lo sostenga, si tratti di gruppi multi-platino o di Slave Raider. Non c’è motivo di interrogarsi sull’essere “fossilizzati” o meno. Si interroghino i tuttologi prezzolati della musica che sposano ogni genere di novità-spazzatura…si interroghino sulla loro onestà intellettuale.
che meraviglia, Beppe!
non mi sto perdendo una riga del vostro blog… mi piace moltissimo il taglio di articoli come questo, nel quale una scena ed i suoi nomi di punta sono raccontati sia ‘con il senno di poi’, e quindi con taglio storico, sia attraverso le riproposizioni dei preziosi articoli originali, che non hanno perso una briciola del loro fascino primigenio.
azzardo l’idea di un libro che comprenda l’opera omnia del Beppe Riva, consentimi il termine, “più underground” (diciamo dunque quello del periodo pre-Metal Shock), corredato ovviamente da tue riflessioni contemporanee. anche per favorire coloro che, mea culpa!, causa traslochi ed eventi vari non hanno potuto conservare tutto il materiale dell’epoca.
un virile abbraccio da un tuo antico ammiratore,
Giovanni
Grazie Giovanni, il taglio di questi articoli è stato pensato proprio come hai detto, un ponte fra passato ed attualità, ossia con una visione a mente fredda “storicizzata”, ma naturalmente influenzata dalla passione. Ovviamente non si sceglie il peggio di quanto recensito…Mi accorgo con piacere che sono apprezzati. Il progetto di un libro, per tanti motivi, non l’ho ancora preso in considerazione, già non è stato semplice far partire questo Blog. Ascoltiamo comunque con attenzione la voce dei lettori. Un abbraccio a te
Bellissimo, tutti gruppi che ho scoperto nelle pagine di Rockerilla prima e di Metal shock dopo. Le mie riviste musicali preferite. Grazie a Beppe Riva e collaboratori ho scoperto anche Great White, Silent Rage, Stryper, Firehouse, Bon Jovi etc. Un unico appunto: il cantante dei Girl e dopo dei L.A.Guns si chiama Phil non Dave
Davide, hai fatto bene a segnalare il refuso. Qualche giorno prima avevo giustamente citato lo stesso cantante, Phil Lewis, parlando del nuovo singolo dei L.A. Guns (in Short Talk). Si è trattato di un vero e proprio lapsus, ora ho corretto…Fa davvero piacere che ricordiate quei gruppi e quelle riviste, non avrei immaginato questa attenzione. Grazie e buona serata
Buon pomeriggio Beppe
sempre bellissimo leggere questi scritti !
Riguardo il termine class metal ti confermo che molti di noi continuano ad usarlo correntemente riferendosi ad un connubio tra muscolarità HM e classe e melodia…
a tal proposito direi che ad es i citati Malice ( meravigliosi) non sono neppure distanti da questo concetto ; proprio pochi giorni fa pensavo a bands con caratteristiche tali da piacere al tempo stesso ad HM Maniacs e Melodic Lovers e direi che ad es Fifth Angel, Leatherwolf, certi Keel, Lizzy Borden ( Visual lies era) etc potrebbero starci in questo concept….questione di senzazioni e sfumature..ovviamente non è matematica 🙂
Un caro saluto e un ringraziamento !
Ps : una raccolta/pubblicazione delle pagine HnH di Rockerilla sarebbe una meraviglia… non ci avete mai pensato/parlato tra voi autori ?
Ciao Nevio, sulla diffusione del termine class-metal sono informato. Pazienza per chi ne è infastidito, può tranquillamente rivolgersi altrove…Certo, i confini fra generi limitrofi sono labili, com’è giusto che sia, perché è impensabile non ci sia contaminazione fra i medesimi. I musicisti, gli appassionati non devono limitare i propri orizzonti. Bello veder citati da tanti di voi i nomi di quelle bands. A proposito delle pagine H’n’H di Rockerilla, l’operazione non è facile, gli originali di allora erano dattiloscritti e corretti a mano, non ho altro in mio possesso se non copie delle riviste. Grazie a te
La triade perfetta della NWUSHM o LAHM!!! Nulla da aggiungere sugli articoli, li ricordo perfettamente in quanto raccolti in illo tempore e periodicamente sfogliati, specie “in casi di astinenza”!!!
Grazie Prince, spero ti interessi anche la parte ex novo, oltre alle recensioni “storiche” (non foss’altro per la vetustà). A risentirci
Prima i Manowar, adesso i Crue e compagnia bella, mi porti indietro nel tempo della scuola; dove portavo i rockerilla per farli leggere ai miei compagni di classe, uno, un mio grande amico si fece beccare dalla professoressa di italiano, una vecchia megera, con la pagina aperta di Blackie Lawless grondante sangue su una ragazza sdraiata in reggicalze bianco, non ti dico la scena, ancora oggi resta uno dei ricordi più belli che ho della scuola.
Ciao e grazie.
Marco, l’aneddoto diverte anche me. L’ambientazione scolastica mi rimanda (con situazione ben diversa) al video di “Girlschool” dei Britny Fox che trasmette ancora buonumore. Speriamo che ci possiate apprezzare anche in eventuali scritti su temi attuali; comunque, è attuale la lettura del classic rock o metal che dir si voglia (presentata accanto a quella di vecchia data). Grazie a te e rimani “sintonizzato”, ciao.
Grande Beppe! Che anni indimenticabili. Hai citato i Ghost nell’articolo . Aspetto con ansia da tempo un tuo parere su di loro, a mio avviso una delle band più interessanti degli ultimi anni.
Si Paolo. A mio avviso i Ghost sono senz’altro fra le formazioni più creative ed originali degli ultimi anni, indipendentemente dal “trasformismo” nell’immagine, a sua volta ben mirato. Devo trovare un’idea, ad esempio in riferimento ad una prossima uscita, per esprimere il mio pensiero su di loro. Grazie per la lettura e per l’osservazione.
Bene. Attendo fiducioso
Ho colto il tuo spunto e aggiunto il link di “Rats” dei GHOST a margine dell’elaborato sui Dokken. Potrebbe incuriosire altri lettori. Ciao