Ti succede, a volte, di imbatterti in soggetti che non demordono, che nel braccio di ferro hanno il loro unico credo. Qui si offre un'ipotesi del loro agire.
Vi giuro : non sono diventato un isterico anzianotto con crisi di terza età. E’ che da quando esiste la democrazia digitale dell’accesso, siamo noi tutti travolti da una valanga di opinioni e pareri non richiesti che ci vengono non solo gettati addosso, ma imposti anche a fronte della più banale evidenza di errore da parte di chi te li scaraventa addosso. Chi più o chi meno siamo tutti “sfidati” nella nostra sopportazione più volte durante il giorno; grosso modo quasi ogni volta che apriamo un social e ci perdiamo il canonico quarto d’ora. A volte penso proprio che il caro Beppe che si tiene lontano dai social abbia indovinato la via più breve per una sopravvivenza serena…
La base di quello che state per leggere non è una cosa nuova. Una dozzina, forse più, di anni fa, buttai giù una cosa dopo che ero stato sorpreso dalla aggressività di taluni sui nascenti social. All’epoca ero decisamente un novizio e mi ero tenuto lontano dalle comunità per pigrizia, più che per scelta. Poi un amico che mi stuzzicava sia a entrare in facebook che ad aprire un mio blog, stimolò così tanto la mia curiosità che mi feci un account. Devo dire che la mia frequentazione è oggi puro passatempo; allora, dopo un periodo di rodaggio per tentare di comprenderne limiti e linguaggio, scelsi un mio modo di “esserci”, non dissimile da quello di molti amici. Devo ammettere che come passatempo, come modo per restare in contatto con ex-colleghi o amici di un tempo, possa essere un buon mezzo. Il lato negativo è la necessità impellente di imporre quella propria opinione che molti sembrano aver inteso essere l’unico scopo di questi luoghi.
Se è pur vero che la passione calcistica, l’appartenenza a un filone musicale, quella politica o sociale possono suscitare la voglia di dare una posizione diversa a quella che leggi e trovi sbagliata, se non offensiva, è altrettanto vero che non saranno mai due righe di un commento che potranno risolvere situazioni tanto delicate quanto complesse. Ecco, tenendo a mente che la democrazia sta tutta nell’esporre una opinione, seppur contraria, essa diventa un crimine da maledire nel momento in cui dati soggetti si accaniscano contro ignoti “amici virtuali” ingaggiando duelli che fanno diventare l’antico motto di Oscar Wilde (“Mai discutere con un imbecille : ti porta sul suo piano e poi ti batte con l’esperienza!”) un dogma cui mai venir meno.
E se con certi amici veri è divertente trollarsi a vicenda, cazzeggiando, se è vero che rispondere a determinati deliri è quasi un obbligo…che non porterà mai da nessuna parte, però, e lo si sa fin dal primo momento in cui ci si tuffa a rispondere… è altrettanto vero che con la pandemia questo stato di perenne duello si è imbastardito toccando vette imprevedibili. Già i social avevano sdoganato legioni di dementi, sedicenti tuttologi, più che pronti direi unicamente dediti al commento compulsivo su qualsiasi argomento, dalla politica alla religione, dal calcio alla giurisprudenza, dalla cucina alla salute, alla architettura, alle varie arti, e poi caccia, etologia, pesca, comunicazione, ecologia, rinnovabili, lavoro, energia nucleare… qualsiasi argomento la vostra fantasia possa suggerirvi viene sezionato e ricomposto da questi insonni consulenti non richiesti. Lo sapete perfettamente dato che il 90% di voi ha il proprio account su un qualsiasi, o più, social. E nessuno sfugge alla nemesi di chi vive lì dentro solo ed esclusivamente per imporre la propria opinione, oppure per duellare con coloro che, in tempo di assenza di democrazia digitale, non avrebbe mai e poi mai potuto neppure avvicinare. Ed è qui che pensi : maledetta democrazia.
Ma dimentichiamo per un attimo i deliri che abbiamo e continuiamo a leggere quotidianamente in merito a sanità e ricerca e limitiamoci ad argomenti del tutto futili come i nostri : la musica. Un tempo chi scriveva su un periodico, parlava in radio, viveva una situazione di privilegio, un piedistallo che non gli garantiva di essere una fonte primaria, ma che comunque non ammetteva repliche. Chi sceglieva di scrivere a un giornale era una percentuale così limitata da risultare assolutamente irrilevante. Oggi, dal proprio cellulare, puoi mandare affanculo chi ti pare, in ogni momento, senza preoccuparti di risponderne davanti a qualsiasi giudice, dato che la legislazione, per quanto si stia affinando, è ancora lontana dall’impedire assalti verbali di chi, di persona, sarebbe un cucciolo di cocker indifeso, ma che su un social diventa una pantera nera donando epiteti come se piovesse prima di tornare a fare il garzone di bottega o il bagnino… eccellenti mestieri ma che, dicono, non ti mettono in grado di spiegare altro che come si consegna in tempo al quinto piano o come si piantano gli ombrelloni sulla rena senza far buche. Non certo come gestire una pandemia o interpretare un testo di Dylan.
Quello che la democrazia digitale ha definitivamente sdoganato è la possibilità di esporre i propri inesistenti muscoli dialettici ogni volta che si apre una applicazione. Ed è qui che ci sovviene la storia di Billy the Kid che avevo scritto tempo addietro, nella speranza che alcuni di voi si riconoscano … in Billy, ovviamente.
Spiega la leggenda che alla mezzanotte del 14 luglio un giovanotto entrasse nella camera da letto di Pete Maxwell, un suo amico. Dentro c’era lo sceriffo Pat Garrett che lo stava interrogando; Henry McCarty, detto anche William Harrison Bonney, ma più noto per il soprannome di Billy The Kid aveva solo ventuno anni ed in mano un coltello, essendo proveniente dalla cucina. Chiese ad alta voce due volte “Chi è?”, venne riconosciuto ed ucciso con due colpi di pistola. Era il 1881. Da quella notte la leggenda già ampiamente non verificabile di Billy, divenne sempre più contorta e sfuggevole. Nessuno seppe mai con esattezza chi fosse il vero McCarty e se il ragazzo ucciso fosse il vero Billy; molti sostennero di esserlo, in seguito, ed in almeno un caso un sedicente aspirante The Kid, John Miller, morto nel 1938, venne addirittura esumato nel 2005 e sottoposto a verifica del DNA. Ma nessuno rese mai pubblici i risultati. Nessuno seppe mai con esattezza il numero degli uomini uccisi dal “Ragazzo”: si sostiene ventuno, uno per ogni suo anno di vita, si tramanda di ventisette, ma più probabilmente furono nove, di cui solo due uccisi con certezza da Bonney/McCarty nel corso di una fuga da un carcere; le altre morti avvennero nel corso di violente sparatorie dove chiunque aveva potuto sparare a chiunque altro.
A 129 anni dalla morte, nel dicembre del 2010, Bill Richardson, governatore del Nuovo Messico, rifiutò di concedergli la grazia postuma, facendo così – il miglior favore alla leggenda di un ragazzo la cui vita ha colpito chiunque abbia avuto la voglia di approfondirla. Almeno cinquanta film hanno affrontato la storia romanzata della sua brevissima strada, anche se solo uno è riuscito a far parte, anch’esso, della leggenda: quel “Pat Garrett & Billy The Kid” di Sam Peckinpah del 1973 con la bellissima colonna sonora di Bob Dylan. Almeno una trentina le canzoni note a lui dedicate. Innumerevoli i libri dedicati al Kid.
Del Kid non si riportano alcune notizie che, al giorno d’oggi, ne farebbero un povero disgraziato : Billy quando venne ucciso aveva solo 21 anni. Orfano dall’età di dieci anni, venne per la prima volta incarcerato per aver rubato dei vestiti in una lavanderia. Non rapinò mai una banca o un treno e venne per certo solo coinvolto in una faida tra mandriani; si sostiene che non sia morto ucciso da Garrett nel 1881. Il testo della canzone di Billy Joel, tanto per specificare, è del tutto errato dato che ne fa un ladro e rapinatore.
Estremamente affascinante. Ma in particolare mi è capitato di scivolare su di una non banale teoria che forse ha dato vita in seguito al tentativo di chiedere la grazia postuma a un ragazzo che pare oggi più una vittima di un crudele assassino. L’intera vita in fuga di Billy venne segnata dal primo omicidio, avvenuto per legittima difesa: l’assassinio di Frank Cahill. Dopo quell’episodio, Billy si guadagnava da vivere facendo il mandriano per John Tunstall, un mandriano inglese che venne ucciso nel corso di una faida tra mandriani quando era al pascolo, disarmato. Billy decise insieme ad altri di vendicarlo e lì iniziò la sua vera leggenda. L’interessante teoria, però, voleva Billy vittima di un gruppo di più sanguinarie amicizie ma soprattutto della sua stessa fama di pistolero per cui veniva costantemente sfidato a duello da giovani pistoleri desiderosi di passare alla storia avendo ucciso Billy The Kid.
Inevitabile difendersi in quei casi ed in quei tempi. Inevitabile uccidere.
Questa situazione acutamente descritta ed individuata come la sindrome di Billy The Kid diviene per traslato un problema comune anche ai non pistoleri. Il web ha ridefinito la sindrome, che ora insorge ad ogni occasione in cui un emergente blogger, un soggetto autodichiaratosi difensore di una fede di qualsiasi provenienza, un qualsivoglia digitatore che desideri imporre la propria opinione basata, nel 99% dei casi esclusivamente sulle personali convinzioni formatesi interpretando a proprio uso e consumo letture occasionali dove un frustrato pensatore che non ha trovato altro spazio se non il proprio auto-costruito, decide di sfidare a duello verbale e di pensiero chiunque goda di una maggiore visibilità, a suo parere. Una giungla di gelosie, di desiderio di esposizione ad ogni costo che ben individua i nostri tempi: non si scrive più per il piacere di farlo, per condividere, ma per imporre la propria opinione, senza neppure averla confrontata neppure con se stessi precedentemente. Un’opinione che è sempre e rigorosamente contro qualcuno. Una giungla dove chiunque sfida e spara a chiunque altro. Raffiche di cazzate prive di qualsiasi riferimento reale o storico, pensieri inventati, opinioni inesistenti rimbalzano di pagina in pagina diventando una tanto inconsistente quanto sempre più pesante vox populi che si replica per scissione, come un’ameba che non ha necessità di fecondazione. Diventando in questo modo credibile. Questo rende il web sempre meno utile, meno affidabile, specialmente da parte di quei milioni che lo utilizzano con superficialità cercando solo un conforto alla propria opinione.
Se un tempo gli imbecilli che scrivevano su un giornale erano circoscritti, oggi l’intera galassia non potrebbe contenerli: baristi, palombari, tennisti o avvocati si mutano i esegeti del rock e lanciano fatwe; ragazzini implumi che frequentano un paio di blog sparano a zero contro chiunque abbia toccato il loro disco preferito, probabilmente uno dei due posseduti e scaricati gratuitamente dalla rete; ex-collaboratori non pagati (ed ora si comprende il perché) vomitano il loro disgusto, in branco, tutti insieme, contro il colpevole della loro mancata scalata al successo. Migliaia di pensatori occasionali (nel senso che pensano occasionalmente) si aggregano ora all’uno, ora all’altro secondo comodità. Soggetti che leggono un posto dove si dice che il disco XXX di Tizio sia molto bello che si sentono obbligati a specificare che in realtà è YYY il disco più bello di Tizio; il perché lo sanno solo loro.
E’ la democrazia 2.0 bellezza. E’ la rissa continua, è la moltiplicazione del troll, del falso nome, del passamontagna virtuale. E’ la fine della comunicazione operata con rispetto e della ricerca delle fonti certe.
Billy the Kid è ancora tra noi. Bang, bang….Benvenuti nel 1881.
Bello. Unico appunto: di bagnini, nel rock duro, ne abbiamo avuto uno di grandissimo proprio da noi, nello stivale… e forse sarebbe stato in grado di interpetrare (se mi concedi un arcaismo) anche un testo di Dylan…
E per il piacere di condividere, segnalo che su Billy the Kid c’è un signor fumetto di Rino Albertarelli
…beh…nulla contro le categorie citate, ci mancherebbe. Anche se non ho idea di chi possa essee il bagnino rock che ricordi. In realtà, quando mi capita di fare elenchi casuali di mestieri giusti nel posot sbagliato, mi torna sempre in mente il finale di Quando è modo è moda, da Polli D’allevamento di Gaber/Luporini… ecco : diciamo che provo a buttarla lì come loro.
L’utilizzo delle categorie era chiaro, sono io che l’ho preso come assist per ricordare questo rocker, tra i miei preferiti. Parlo di Yako de Bonis, forse hai anche avuto modo di conoscerlo? (grande appassionato di cose western, sempre per collegarsi al Kid)
NOn personalmente. Molti anni fa ci parlammo diverse volte per telefono per alcune cose che preparammo su MS.