Il consueto giochino del marketing discografico ci mette sotto il naso due lussuose edizioni del superclassico Machine Head dei Deep Purple : una per sceicchi ed una accessibile a tutti... il dubbio se sia giusto gettarcisi sopra ci assale ancora una volta...
Se avete un po’ di memoria, dovreste ricordarvi di quando vi avevo raccontato di come avessi ascoltato per la prima volta Made in Japan in una discoteca della Versilia. Perché un tempo le discoteche non erano quell’ambiente con centomila battute al minuto e suoni computerizzati senza un Cristo che utilizzi uno strumento… in discoteca si ascoltava dance che poi era una versione del soul, c’erano i cosiddetti “lenti”, si ascoltava musica italiana… quella tua maglietta fina mi fece venire l’odio profondo che ancora oggi nutro per Baglioni… in sostanza, per chi aveva un minimo di gusto, ma giusto un minimo, si poteva sopravvivere. Inoltre c’erano alcuni disk jockey che conoscevano perfettamente molti aspetti della musica e quando le piste erano ancora semivuote, potevi ascoltare musica rock che oggi potresti solo sognare in quei luoghi.
Giorgio Giordano, che diversi anni dopo divenne pure un amico, era un omone alto con un naso schiacciato e sempre sorridente. Era forse il prototipo del DJ versiliese, sicuramente uno dei più stimati. Ricordo perfettamente che Giorgio una sera propose Close to the Edge ad una sala in attesa della mischia dei ragazzi. Gli orari, neppure a dirlo, non erano assolutamente gli odierni : i ragazzini al pomeriggio dalle tre fino alle sette e mezza, quelli più grandi dalle dieci, dieci e mezzo di sera fino all’una, forse le due nelle discoteche più “in”. Oggi alle due si entra, in una sorta di follia priva di senso che comporta che questi defi….. questi frequentatori…. si riempiano di pasticche e alcool prima ancora di entrare in discoteca. Con i risultati che vediamo quotidianamente.
Un tempo c’era più logica. Quella discoteca si chiamava e si chiama ancora Seven Apples ed è una istituzione locale, nota anche nel resto d’Italia.
Io odiavo le discoteche : non c’era la mia musica, odiavo ed odio tutt’oggi il ballo, non mi interessa l’approccio con una ragazza dovendo urlare cazzate per via del volume. Però eri costretto se tutti quelli del tuo gruppo sceglievano la serata in discoteca… e così, in alcune rarissime eccezioni, violentavo la mia natura ed entravo. Pubblico pagante anche se i proprietari abitavano davanti a casa mia ed ero certo mi avrebbero fatto entrare gratuitamente.
Una sera, entrati con un certo anticipo, Giorgio fece ascoltare una intera facciata di un disco nuovissimo dei Deep Purple. Era Machine Head. Ricordo ero smaialato su un divano basso che grazie alla penombra non mostrava i mille sudiciumi che sicuramente avrebbe evidenziato alla luce del giorno e mi concentravo su brani che, pur nuovi, erano per il giovin teenager fantastici.
Non mi resi conto che stavo ascoltando per la prima volta uno degli album più iconici, più basilari della scena hard rock. Da lì ad una manciata di mesi…eravamo sempre per caso lì… la magia dell’ascolto inatteso si ripeteva con Made in Japan. Stessi brani ma con una potenza espressiva stravolgente.
Parlare di Machine Head è del tutto superfluo : è e resterà uno dei dischi più comuni e noti del panorama HR inglese, un disco con almeno un brano che persino le capre al pascolo conoscono a memoria, un riff che è stato definito “la nona di Beethoven del rock”, una copertina di difficile individuazione ed un titolo che per anni ricordo che ci portò ad interrogarci sul significato perché la traduzione letterale non avrebbe avuto alcun senso.
I miei sedici anni mi regalarono l’esordio della Sacra Triade del rock duro, un impatto sui miei gusti che durò per anni e ne condizionò il percorso : gli esordi dei Sabbath, degli Zeppelin e “quel” MKII dei Deep Purple rappresentano il calcio nello stomaco al giovin Trumpets.
Certamente : c’era stato precedentemente In Rock che aveva già dato una bella svolta alla storia del Viola Scuro nome, direi superfluo ricordarvelo, che deriva dalla passione della nonna di Ritchie Blackmore per una canzone di tal Peter DeRose, Deep Purple appunto. C’era stato il Concerto per gruppo rock ed orchestra, una mania figlia della frustrazione della musica popolare dell’epoca in cerca di riconoscimento e confronto con la Musica Colta… c’era stato Fireball, che personalmente non avevo amato come il predecessore… ma Machine Head era davvero la cristallizzazione definitiva del rock con i quattro strumenti di base…basso, chitarra, batteria, tastiere, con la voce spaccatimpani di Gillan.
Da quel momento chiunque avesse voluto avvicinarsi al rock duro avrebbe dovuto obbligatoriamente confrontarsi con quel suono, quella formazione, quell’approccio. Machine Head è il disco che ha inciso nell’acciaio la caratteristiche fondamentali per tentare di riprodurre quel suono, così come il Masters of Reality per i Sabbath e … no… per gli Zep non c’è un disco Madre data l’immensa sfuggevolezza del loro suono e l’impossibilità di inquadrarli sotto un unico marchio.
Machine Head… e diciamolo… che è in gergo strumentistico la testa della tastiera delle chitarre e del basso… è , senza aggiungere probabilmente , la pietra di paragone inamovibile pregna di tutte quelle caratteristiche che forse proprio per questo rappresentano l’irripetibilità del caso.
Cinque musicisti al loro top, creatività compositiva al massimo … tutti i brani del disco sono perfetti… capacità esecutiva forse mai più trovata tutti insieme, suono ideale. E tutto questo, ci tramanda la storia, anche per puro caso.
Ripetervi la vicenda del casinò di Montreaux in fiamme, lo scemo con il razzo di segnalazione che spara e dà fuoco a tutta la sala, i ragazzi che fuggono, Frank Zappa e Claude Nobs (il padre padrone del Festival e gestore della sala da concerto) che aiutano i ragazzi a salvarsi, l’intera strumentazione che se ne va in fumo, i DP che erano lì per registrare proprio in quella sala che si trovano senza soldi, tempo e luogo per tirare fuori il disco che loro stessi avevano deciso sarebbe stato “Il” disco di studio dato che gli altri erano stati figli del tempo libero tra un tour e l’altro, un ingegnere del suono, Martin Birch, che sarebbe diventato l’eminenza grigia proprio di quel suono, Roger Glover che vedendo letteralmente sfumare le loro possibilità di registrare il disco, vedendo le fiamme alte in cielo e il fumo basso sulle acque del lago scrive, ispirato, quella canzone che nel fermare il tempo diventa magica. E addirittura noiosa, se vogliamo, date le migliaia di volte che l’abbiamo ascoltata. Ecco, raccontarvi tutto questo non ha un senso : tutti sanno tutto.
E così, dopo una edizione del venticinquennale rimasterizzata e ampliata, il marketing ci mette sotto il naso una edizione di Vero Gran Lusso con tre cd un vinile, un blue ray (insisto a domandarmi chi cacchio li utilizza), due concerti e una nuova produzione assegnata non a caso a Dweezil Zappa, non solo perché il padre fu involontario ispiratore della Smoke on the Water, ma anche perché Dweezil era ed è un fan appassionato del primo hard rock, amico e collaboratore di dozzine di grandi chitarristi, avendo in Eddie Van Halen il suo eroe giovanile.
La domanda resta in questi casi la solita : vale la pena di spendere cifre notevoli su confezioni di superlusso che diventeranno, probabilmente , obsolete tra un tot di anni quando riemergerà un altro marketing che ci riproporrà una versione ancor più lussuosa ? Oppure il marketing avrà già calcolato che tra quel tot di anni noi anziani, unici acquirenti, non ci saremo più e insieme alla inutilità di riproporre un nuovo box di Machine Head a un pubblico inesistente è corretto farlo oggi in maniera definitiva ? Avete a disposizione i 315 eurini che Amazon vi chiede per portarvi a casa un pezzo di SUPERLUSSO di storia impreziosito da un paio di live ? Oppure è molto meglio dirigersi verso i 5cd del box che con soli 102,50 eurini sarà vostro ?
Non posso che lasciare a voi la risposta definitiva. Io, per certo, so che ho almeno tre versioni su cd del maestoso Made in Japan, ho il mio originale vinile in condizioni perfette e completo di foglio pieghevole con i testi all’interno di Machine Head, ho il cd per non sciupare il vinile e portarmelo in macchina… ho in testa fissato per l’eternità un momento che si dimostrò irripetibile per un gruppo che esplose poco dopo per lo smisurato ego di Blackmore e le incazzature di Gillan.
Arrivarono Glenn Hughes e uno sconosciuto David Coverdale… un altro che con il proprio ego ci giocava a biliardo… ma questa è davvero un’altra storia.
Risposta: NO
Estate 1981 – Made in Japan prestato. Acoltato. Folgorato. Assolutamente …. ho avuto un contatto con il Divino. Immenso unico totale.
Primavera 1983 – finalmente ho isoldi per prendere Machine Head – Delusione, che permane tuttora. Non per l ‘aspetto
compositivo e/o per l’importanza per la band, per il Rock in generale, ma ovviamente per un suono registrazione che nessun remaster è riuscito a riequilibrare. E’ la matrice “difettosa” complicel e difficoltose condizioni di registrazione. Hammond passato per un Marshall 1974 troppo avanti e troppo saturo; chitarra costretta in un angolo su un Vox AC30 forse manco boostato dal Treble-Booster, troppo
indietro e troppo poco presente. Assoli bellissimi ma molto disciplinati (checchè il divino facesse al max 3 take).
Risultato: Ragione e Cuore in parziale contrasto sul giudizio da dare all’album …. non riesco ad amarlo troppo sotto il profilo diretto
emotivo e troppo quel pensiero, “ah se avessero avuto la chance di rendere sonoramente come hanno reso Who Do We Think We Are, con quel livello compositivo”.
Poi i Remasters ai DP non è che hanno fatto molta giustizia. Mi pare che Kevin Shirley non abbia valorizzato troppo Come Taste The Band …. ed ora pare voglia mettere le mani su Made in Japan … tremo … e la rabbia già bolle ……
Fabio… ti rispondo parlando d’altro. Ho un amico fissato con gli impianti stereo. Credo di non esagerare dicendo che se mettesse insieme il denaro che ha speso in 50 anni, ora ne ha 70, sugli impianti, avrebbe una villa con piscina. Ma sono sicuro di non eccedere.
A volte mi sono fermato ad ascoltare un nuovo ampli, nuove casse, una puntina. Lui sentiva ciò che non sentivo io. In meglio o in peggio. Altri non sentivano proprio niente.
Traduco : ogni orecchio ha le sue frequenze. Se a questo aggiungiamo il gusto, le aspettative, il ricordo ogni traccia di qualsiasi disco avrà per ognuno una valenza diversa. Credo che la bellezza della musica stia anche nella assoluta differenza di ciò che la nostra mente percepisce e decodifica.
Nulla, credo, sia assoluto. E meno male.
Il mio primo disco regalato nel 1977 da mio zio malato dei DP. Da quel giorno, avevo 11 anni, sono diventato un malato di musica H&R e tutto ciò che c’è stato dopo. Mi tengo stretto il mio vinile datato e grazie per la rubrica
Uno zio di buoni gusti… grazie a te per leggerci.
Personalmente considero “Machine Head” uno dei migliori 5 dischi di Hard Rock di sempre, e non perdo neanche tempo nel commentarlo. Non serve, su di esso si sono già sprecati i cosiddetti fiumi di parole, spesso per nulla, tanto ormai ogni singola nota è scolpita nella leggenda. L’unica cosa che mi sento di aggiungere è che l’ ho sempre considerato il disco in studio che paradossalmente suona meglio live e che dal quale i DP hanno quasi sempre colpevolmente tralasciato 3 autentici capolavori, ma è questione di gusti. Ognuno ha la sua personale storia nei riguardi di questo miracolo musicale, e ho letto piacevolmente la tua Giancarlo, come sempre carica di simpatia, ricordi romantici e idee condivisibili. Il cofanetto per me rimarrà negli scaffali dei negozi, mi basta avere il vinile ed il CD, e aver ascoltato su “Spotify” (ah, la prole mi ha sedotto…) l’interessante remix di Zappa Junior. Bene così, mi accontento dei ricordi e delle impressioni del “me” giovane, che si è a suo tempo innamorato di 7 (8 nel CD) canzoni immortali e che ne rimarrà sempre fedele.
Dai Marco… la versione box in CD non è poi così fuori portata… Machine Head suona perfetto dal vivo, ma se non ci fosse stato quel disco luminoso registrato in un albergo… 🙂
Ascoltai su una radio libera (ma libera davvero) Highway star, al termine il conduttore disse che durante il concerto giapponese e dopo l assolo di Blackmore si erano contati almeno 7 orgasmi ! Io pischello, rimasi ammutolito. Pochi mesi dopo, riuscii ad andare a collaborare gratuitamente in quella radio e chiesi al conduttore, come avessero potuto contare quegli orgasmi ! Vi evito la risposta e la mia figura da imbecille. E va be`.
Io sono contrario (nel senso che non li compro), tutte queste riedizioni mega scintillanti, per carita a volte anche interessanti ma sinceramente, investo quei pochi soldi che ho alla ricerca di ristampe di gruppi sconosciuti dei ’70. Poi per carita ognuno fa cio che crede.
W gli anni delle radio libere (anche solo x il fatto che si aveva qualche anno in meno)
Un abbraccio
Parecchi… almeno nel mio caso 😆
Aneddoto. Settembre/ottobre 1986. IV ginnasio. All’epoca avevo già un amplissima conoscenza musicale: i miei gusti spaziavano dai Beatles ai Pink Floyd; nel senso che erano gli unici due gruppi di cui avevo qualche 33giri (pardon: cassetta). Il resto non pervenuto o quasi e, nel caso, comunque sotto forma di canzone singola. Un mio compagno di classe aveva questo diario in cui c’era una pagina: i 20 dischi da avere. Poiché la musica comunque mi interessava, mi appuntai i titoli e iniziai all’acquisto: Ziggy Stardust, Yellow brick road, Selling England, Tubular Bells, Desperado, qualcosa di Dylan, Springsteen e CSN&Y e via discorrendo. C’era pure Transformer, album che trovo tutt’ora bellissimo sebbene ogni volta che leggo qualcosa da parte tua su Lou Reed mi renda conto di condividere anche i punto-e-virgola. Tra i suggerimenti c’era Made In Japan. Comprato, colpito e affondato. Ancora oggi penso che l’assolo di chitarra di Highway Star sia la massima espressione chitarristica di ogni epoca: non c’è mai stato nulla prima e tanto meno dopo di così perfetto. Sotto ogni profilo: tecnico; compositivo; del gusto nella ricerca della nota giusta. Senza contare quello che suonano gli altri 3. Gillan dal par suo si conferma il n. 1. Non penso che procederò all’acquisto: ho il vinile e un’edizione di lusso con bonus in cd. Andrò però a sbirciare la scaletta dei live, ma non penso che sarà molto diversa da Made in Japan, Scandinavia nights, In concert…anche se, lo so, la grandezza dei Purple stava nel fatto che ogni concerto, ogni canzone, ogni assolo era diverso da una sera all’altra, come dimostra il triplo Live in Japan da cui trassero poi M.i.J. Grazie per l’articolo interessante come sempre
Paolo, grazie a te per leggerci… comunque se avevi conosciuto Beatles e Pink Floyd eri già un bel pezzo avanti…come dicono in Toscana 😉 dei 20 dischi da avere avrei qualche considerazione da fare ma lo sai, sono sempre troppo polemico…
Faccio sempre molta fatica a resistere quando escono queste deluxe edition (molto deluxe).
Mi pare inoltre che i prezzi stiano lievitando; l’imminente box dei Sabbath dedicato all’era Martin, in versione cd sta intorno agli 80 €, ovviamente già ordinato, ma si tratta pur sempre di quattro dischi già editi.
Nel caso specifico possiedo già una versione celebrativa di Machine Head uscita qualche anno fa, questa edizione nuova nel formato 5 cd forse la prenderò, il punto comunque è un altro; ciò che rimane dell’industria discografica vive di questi prodotti, visto che evidentemente il pubblico disposto a pagare per i supporti audio (che si tratti di pubblico giovane o maturo), lo fa solo per i nomi storici e/o storicizzati, e vista la generale pochezza delle proposte contemporanee, è giusto così.
Certo che ormai questi prodotti non sono più solo semplici cd o vinili, sono diventati oggetti da collezione, alla stessa stregua di un paio di sneakers limited edition. Questo è, purtroppo.
Le leggi del marketing, giuste o errate che siano, sono rigide e prevedibili. Il marketing discografico che ci tocca, fa scelte anche di sopravvivenza : se non ci fossimo noi lucci da far abboccare il supporto fonografico, sia vinile che digitale, sarebbe chiuso da tempo.
Mi dirigerò sui 5 CD 💿 e mi accontento. Chissà se FZ ha mai provato, registrato, suonato una sua versione di Smoke ? Forse no, per l’incazzatura o…forse si !!
Da buon esegeta del Maestro direi che gli sia bastato veder bruciare tutta la sua attrezzatura in quell’anno maledetto che fu per lui il 1971… al Rainbow lo tirarono giù dal palco…
Certamente la cifra è elevata e probabilmente si tratta di una delle ultime occasioni di fare cassa con questo gigantesco disco. Ci sono operazioni di recupero come quella in corso dei Black Sabbath era Tony Martin che hanno un senso, altre sembrano più speculative. In ogni caso io ascolto e ascolterò sempre il metal e l’hard rock. Il resto mi interessa poco
…c’è la versione da 5cd a 100 eurini… forse fin lì merita lo sforzo, specialmente per i due live d’annata…