Quanto sto per dichiarare non è affatto conveniente di questi tempi e può apparire irrimediabilmente demodé, ma poco importa: specie nei cupi chiari di luna del 2022, forse per scacciare i fantasmi dei tragici eventi di “un mondo che ci sta crollando addosso ormai”, riconosco di essere un nostalgico degli anni 80!
Non sto rimpiangendo usi e costumi, tendenze edonistiche di quel decennio, né mi occupo di politica ed economia.
Mi sto riferendo proprio alla musica rock che amiamo.
Ciclicamente mi piace viaggiare nel passato e rivivere trascorsi periodi specifici della sua storia. Mi sono appassionato al fermento musicale giovanile degli anni ’60, che restano “favolosi” per antonomasia. Sedotto dalla canzone di protesta dei Rokes, “Che Colpa Abbiamo Noi” (ne cito un versetto in apertura), primo 45 giri ricevuto in regalo nel 1966 a dieci anni, rimasi colpito da questi capelloni inglesi d’importazione, che nel Bel Paese avevano trovato l’America…Da lì in poi, ho iniziato febbrilmente ad ascoltare ogni proposta di “bitt italiano” – come lo definì il grande Riccardo Bertoncelli – accessibile anche a chi era poco più che un bambino. Subito dopo avrei fatto conoscenza (su vinile, s’intende…) con i grandi della ribollente scena pop-rock inglese ed americana – superfluo citarli – in quei Sixties che diedero i natali ad una miriade di stranianti efflorescenze musicali, dai suoni in technicolor della psichedelia e della West Coast, alla vistosa energia dell’heavy rock fino alle spinte avanguardiste del progressive.
Terminata l’”età dell’innocenza”, per il rock ed anche per chi si affacciava alle scuole superiori, il 1970 fu un anno fondamentale; fra i tanti bagliori creativi che ci illuminavano oltre il déjà vu, esordivano su vinile i miei eroi dell’epoca Black Sabbath ed Emerson, Lake & Palmer.
Sulla loro scia, mi affannavo a recuperare i grandi classici hard o prog del passato prossimo, dalla pionieristica durezza di “Vincebus Eruptum” dei Blue Cheer al visionario “In The Court…” dei King Crimson, senza dimenticare uno dei più grandi album dal vivo di ogni tempo, “Kick Out The Jams” degli MC 5. Persino un autorevole protagonista del nostro giornalismo musicale, Claudio Sorge, dopo lustri ebbe a citare in un articolo su Rockerilla, il “1970” come anno rock preferito da chi state leggendo.
Probabilmente avrei fatto miglior figura a confermare in questa sede il mio persistente amore per i Settanta, decennio fondamentale sotto vari aspetti: il boom del glam-rock, le sperimentazioni elettroniche tedesche, e nella seconda metà, la rivoluzione punk e new wave. Se la scena inglese di tendenza anche modaiola non è stata la mia tazza di tè, ero invece attratto dall’underground punk americano, di estrazione garage rock. Piaccia o meno, la “nuova onda” ha lasciato comunque una traccia indelebile sui destini della musica giovanile.
Guns N’Roses: il quintetto del boom di “Appetite…”
Se nei Seventies, il rock è definitivamente esploso e…maturato, e già venivano liquidati come dinosauri gruppi ed artisti di consolidata fama, negli anni ’80 è diventato infine “adulto” (non solo in ottica Adult Oriented Rock, beninteso), secondo i più, riducendo la sua portata creativa e suscitando, a posteriori, una ventata denigratoria senza precedenti da parte di conoscenti “benpensanti” della sua storia.
In realtà in quel vituperato decennio, la nostra musica prediletta ha dispiegato un devastante arsenale di vendite, rimasto ineguagliato. Non stiamo parlando dell’irraggiungibile “Thriller” di Michael Jackson, ma di vero e proprio rock & roll. Chi avrebbe mai immaginato che gli AC/DC orfani di Bon Scott avrebbero calato l’asso “Back In Black” (1980), superando con oltre 50 milioni di copie ogni record di vendite (eccezion fatta per il Re del pop)? Nel 1987 era invece la volta di un debutto epocale, il best-seller fra gli album d’esordio d’ogni epoca, “Appetite For Destruction” dei Guns N’ Roses (36 milioni). Quindi non affliggiamoci se anche giovincelli “qualunquisti” indossano le magliette di queste celebrità.
Che poi l’impatto senza precedenti di MTV abbia fatto la differenza nella comunicazione della musica, esasperando il potere dell’immagine e producendo in serie campioni di vendite milionarie, non è un mistero.
Secondo un vecchio adagio della critica intellettuale, il successo rovina le cose migliori, le commercializza…Già, ma nessuno si permetteva di obiettare sulle vendite stratosferiche di “Dark Side Of The Moon” dei Pink Floyd, per il suo (sofisticato) tocco commerciale rispetto agli illustri precedenti di “Ummagumma” e “Atom Heart Mother”.
Inoltre, dobbiamo necessariamente disprezzare il lascito degli anni ’80, a fronte del risuonare stereotipato di rap, trap, reggaeton ed affini, che rappresentano la mortificante colonna sonora delle nuove generazioni? Mentre imperversa questa spinta verso l’auto-distruzione della musica d’oggi, c’è chi insiste nello scandalizzarsi per il “declino” d’ispirazione del rock dal 1980 in poi. Mi spiace, anzi no, mi oppongo a questa visione disfattista. Ho vissuto intensamente ed in prima persona quell’epoca e sono convinto che i linguaggi musicali allora perpetrati siano stati funzionali alla preservazione culturale di innumerevoli “grandi classici” del rock. Non per niente hanno riportato in auge vecchi campioni, ad esempio la formazione Mark II dei Deep Purple, riunita per il glorioso “Perfect Strangers”, eppur paventato “incubo dell’anno” (1984) a detta degli ultras new wave; oltre l’Atlantico, gli Aerosmith di “Permanent Vacation” (Geffen, 1987) davano il via al loro rilancio, da nobili decaduti a “più grande R&R band d’America”, come pubblicizzato dalla Columbia per festeggiare il trionfale ritorno del gruppo alla casa-madre.
Revival: La parola alla Musica
Accept epoca “Restless And Wild” (1982)
Al di là di questi exploit esemplificativi, gli anni ’80 hanno a mio avviso prodotto memorabile musica rock in assoluto, e proprio nel 2022, fra le novità discografiche che ascolto con maggior entusiasmo, il ricordo di quell’epopea è tangibile nell’opera di artisti attuali: “Impera” dei Ghost è un caso ammirevole, ed il nuovo singolo “Spillways” è decisamente ispirato al rock melodico degli ’80. Altrettanto si può dire di “Gifts From The Holy Ghost”, terzo album della divina Dorothy, inattesa erede di autentiche killer queens quali Ann Wilson, Lee Aaron, Alannah Myles e Sass Jordan. In tema di riapparizioni di classiche formazioni di quarant’anni fa, dei Journey abbiamo ampiamente riferito sul Blog, ma siccome non è tutto oro ciò che luccica fra la polvere di stelle, il nuovo Def Leppard, “Diamond Star Halos” non mi ha particolarmente impressionato.
Ma ora giungiamo ad un vero e proprio sguardo sulle proposte di quel tempo, senza la pretesa di esser esaustivo né di selezionare il meglio, affidandomi semplicemente al gusto retrospettivo del momento.
Non potevo che iniziare con l’heavy metal, l’etichetta “magica”, specie all’inizio del decennio, che riuniva ogni specie di rock duro e ne costituiva il nuovo look. In realtà il termine heavy metal era già utilizzato e forse abusato da anni, tant’è che il luminare inglese Geoff Barton, battezzò non a caso il nuovo corso New Wave Of British HM, come rinnovamento di quanto già espresso nei ’70.
Ma di NWOBHM e di esponenti di spicco dell’American Metal che ne fece seguito ci siamo già occupati sul Blog.
Mi preme stavolta sottolineare il ruolo di apripista che i teutonici Accept hanno esercitato sulla tendenza speed-thrash che sarà deflagrante negli USA dall’83 in poi. Li avevo conosciuti attraverso il più tradizionale secondo album “I’m A Rebel”, nulla di paragonabile al bombastico “Restless And Wild”, uscito su Brain, etichetta storica del krautrock, nell’82.
Il loro classico per eccellenza, “Fast As A Shark”, ne apre le ostilità con la forza dirompente di un fiume in piena, impareggiabile all’epoca.
La puntina che deraglia dai solchi di una vetusta canzone popolare, poi l’urlo disumano di Udo, che accende un ritmo più impetuoso degli stessi Judas Priest d’annata e giostrato su riffs altrettanto siderurgici. Gli Accept resteranno un’autorità inossidabile dell’euro-metal, probabilmente senza eguagliare i livelli di clamorosa intensità di questa prodezza.
Nel caso opposto di “promesse non mantenute” rientrano invece i Warrior, californiani di San Diego, che debuttavano per la pericolosa MCA intorno alla metà del decennio, con un’immagine da reduci di Star Wars ed acconciature hair metal. Ma il mid-tempo minaccioso di “Fighting For The Earth”, brano che intitola l’omonimo debut-album (1985), fugava ogni sospetto. Forse anche troppo heavy per i tempi che vertevano verso suggestioni più commerciali, ma molto apprezzato anche da noi, “FFTE” fu eletto disco del mese su Rockerilla: certo non potevamo determinarne le fortune.
Infatti i Warrior finirono la loro prima vita abbattuti dall’insuccesso, ed il cantante Parramore McCarty – prospetto di potenziale stella – cercò altre soluzioni come una scheggia impazzita. Sembrava ad un passo dalla consacrazione con gli Atomic Playboys di Steve Stevens: niente da fare, si scontrava anche con il chitarrista e la riunione dei Warrior negli anni ’90 infoltiva la schiera dei come-back di nicchia, senza regalar loro maggior visibilità.
Marillion agli esordi con Fish (al centro)
Gli anni ’80 sono stati anche il decennio del ritorno di fuoco del progressive, considerato ormai defunto dagli apostoli del “nuovo rock”. Il gruppo-capostipite che ne guidò la resurrezione, Marillion, non a caso battezzato in omaggio ad un romanzo di Tolkien (“Silmarillion”), giungeva a colmare il vuoto lasciato dai Genesis dell’era-Gabriel, con uno stile affine impugnato dalla EMI, che ne svelava la magia pubblicando l’EP d’esordio dell’82, “Market Square Heroes”. Un brano dinamico ed accattivante grazie alla voce dello scozzese Fish, che sul retro esibiva anche una suite di quasi 18 minuti, “Grendel” dalle tipiche ambizioni prog. A differenza dei loro contemporanei Pallas, Twelfth Night, Pendragon, IQ etc. i Marillion saranno destinati ad una lunga e prestigiosa carriera, che li ha immortalati fra i gruppi fondamentali nella storia del loro genere. Personalmente, continuo a preferire la loro incarnazione con l’imponente Fish piuttosto che la successiva, più matura (ed attuale) guidata dal vocalist Steve Hogarth.
Nel 1983 si segnalava il ritorno ai vertici delle classifiche dei grandi veterani Yes, con una formazione che presentava il chitarrista sudafricano Trevor Rabin ad infondere rinnovata energia nel quintetto completato da Jon Anderson, Chris Squire, e dagli altri membri storici Tony Kaye ed Alan White. Ne risultava una perfetta chimica di gruppo nel nuovo classico “90125”, grazie alla produzione modernista di Trevor Horn, già con gli stessi Yes ed ancor prima nei Buggles, insieme al tastierista Geoff Downes, partito alla volta degli Asia. Il singolo “Owner Of A Lonely Heart” diventa una pietra miliare del progressive-pop, modellato da raffinati arrangiamenti nello stile del decennio ed inconfondibili polifonie vocali; anche l’aspetto dei musicisti appare più giovanile, adeguato ai tempi, e viene giustamente premiato dal pubblico vecchio e nuovo.
L’acceso tifo per la musica degli ELP non mi impedisce di ammettere che i miei idoli non riuscirono nell’impresa di replicare il successo delle origini con l’isolato album della versione Emerson, Lake & Powell (1986), che pur si fregiava del batterista forse più acclamato del decennio, il compianto Cozy.
Comunque il singolo “Touch And Go” era fantastico, riuscendo a coniugare il maestoso incedere degli ELP belle époque con uno stile più conciso e diretto, scandito da Mr. Powell che “picchia” alla sua maniera. Da notare come il magniloquente riff emersoniano sia in realtà figlio di un antico brano folk, “Lovely Joan”. Lo stesso Cozy dichiarò, nonostante i suoi favolosi precedenti, di non aver mai suonato con musicisti di tale levatura, dicendosi stupito da tanta acredine della stampa britannica nei loro confronti.
Ricordo che furono le riviste “heavy metal”, Kerrang! in testa, a dar spazio spazio al prog negli anni ’80: ad esempio eleggendo “ELPowell” disco della settimana. Nella nostra nicchia, seguii la stessa strada iniziando con Rockerilla (subito i Marillion all’epoca del primo EP), e proseguendo con gli speciali Hard’n’Heavy: lungo articolo sugli stessi ELP quando non ne parlava più nessuno!
Lo potrebbe testimoniare Sandro Pallavicini, fra i primi in Italia a credere nel risorto progressive, presto inserito fra i collaboratori.
Ma gli Eighties hanno rigenerato altri navigati campioni del rock: fra le eccellenze scegliamo Golden Earring, i “Rolling Stones olandesi” per irripetibile longevità di carriera. Nati nel 1961, hanno attraverso con assoluta vitalità sessant’anni di musica disseminandoli di opere notevoli, arrendendosi solo nel febbraio 2021 alle precarie condizioni di salute del fondatore/chitarrista George Kooymans. Divennero famosi oltre i confini nazionali con un’estesa versione di “Eight Miles High” apprezzata dagli stessi Byrds, e nel 1970 si convertirono all’ascendente hard rock con l’omonimo “Golden Earring”. Poi, il grande successo internazionale del 45 giri “Radar Love”…Al tramonto dei ’70 anche loro apparivano declinanti, ma fu falso allarme. Nel 1982 tornavano ai vertici delle classifiche con lo straordinario singolo “Twilight Zone”, punta di diamante dell’album “Cut”. Poco meno di otto minuti di space rock a presa rapida, ma altamente sofisticato: inconfondibile, pulsante melodia interpretata dal carismatico vocalist Barry Hay, con dilatata improvvisazione strumentale idealmente al crocevia fra Doors e Pink Floyd: un classico nientemeno che monumentale.
Negli anni ’80 è esploso anche il fenomeno delle power ballads, inevitabilmente legato al rock addolcito che puntava alla Top Ten di Billboard. Sfido chiunque a non rimpiangerle…Un campione di vendite multi-milionario, il terzo album di Bon Jovi, “Slippery When Wet” (1986), portava sugli scudi la superba “Wanted Dead Or Alive”, generata dall’intrigante arpeggio acustico di Richie Sambora. Eppure il tema, metafora dell’estenuante tour di “7800° Fahrenheit”, era tutt’altro che frivolo. Jon Bon Jovi cantava il senso di frustrazione derivato dall’incessante vita on the road, paragonandosi ad un moderno cowboy, al galoppo su “un cavallo d’acciaio, ricercato vivo o morto” sulla grande autostrada del rock’n’roll.
Brano che sbaragliava la concorrenza, rievocando il fascino dei grandi orizzonti western del cinema di John Ford, come scrissi su un libro della Giunti dedicato all’artista del New Jersey e alla sua banda.
L’anno seguente era ancora denso di superbe ballate: ne riepilogavo i momenti magici in un articolo su Metal Shock, ironicamente intitolato “Mettete dei fiori nei vostri cannoni”! Se non erro, elessi al primo posto la misconosciuta “Sometimes” del futuro cantante dei Bad English, John Waite. Splendida ed intimista, ma a posteriori devo riconoscere che l’autentica regina del melodramma nell’anno di grazia 1987 fu “Alone” delle Heart. Anche il gruppo delle sorelle Wilson era reduce da tempi difficili, ma con la svolta AOR dell’omonimo album datato 1985, sotto l’egida Capitol, tornavano a conquistare i favori del pubblico, esibendo appariscenti costumi elisabettiani. Una tendenza che Ann & Nancy hanno poi apertamente ripudiato, ma che veniva replicata nel successivo “Bad Animals”. La loro versione di “Alone”, un brano di Billy Steinberg e Tom Kelly già presente nell’album cult degli I-Ten, “Taking A Cold Look”, svettava al numero uno negli USA ed in Canada. Inaugurata da un cristallino accompagnamento pianistico, candidava Ann Wilson al titolo di più grande voce femminile della cosmogonia hard rock, in grado di oscurare nel video anche le movenze sexy della bellissima Nancy. Nel dicembre 2012 la cantante di Seattle esibirà un’interpretazione da brividi di “Stairway To Heaven” (alla cerimonia di premiazione dei Led Zeppelin al Kennedy Center Honors) che commosse persino Robert Plant, avvalorando la tesi della sua superiorità sulla concorrenza femminile…e non solo.
Palese il motivo per cui le Heart vennero avviate sulla levigata strada del rock melodico: l’AOR (Adult Oriented Rock) era il genere musicale dominante degli anni ’80, quantomeno nel mercato americano, il più lucrativo in assoluto. Le sue contagiose sonorità erano state annunciate in Italia da una campagna pubblicitaria della CBS – circa 1979 – che promuoveva oltre a Boston ed altri famosi, persino Trillion e Aviary (!), ma a conquistarmi definitivamente era stata l’inevitabile “Don’t Stop Believin’” dei Journey.
Anni dopo, su Metal Shock avevo istituito una rubrica, AOR Heaven; il caporedattore (indovinate chi?) non era affatto un appassionato di rock per FM, così mi giungevano stoccate dai suoi cortigiani, a cui rispondevo in termini tutt’altro che pacati; mi confortava aver dalla mia parte Bergonzi e Cossali. A ben ricordare, Metal Shock era una rivista animata da pungenti polemiche interne!
Heart: Nancy & Ann Wilson
Meglio disquisire di musica, e per chi se ne fosse dimenticato, la stagione AOR di Michael Bolton – durata lo spazio di un paio d’album – è stata mirabolante, in particolare il secondo per la Columbia, “Everybody’s Crazy” (1985). Prodotto da Neil Kernon (dai Queensryche ai Dokken) ed accompagnato da un cast di musicisti stellari, il fantastico timbro vocale “scuro” di Michael svettava ovunque, ma ancor più in “Can’t Turn It Off”, composta con l’uomo (d’oro) delle tastiere, Mark Mangold. Reduce dai Touch, Mark forgiava il brano su un indimenticabile riff di sintetizzatore, ed il fulmineo assolo di chitarra di Bruce Kulick è a sua volta encomiabile. Peccato che nonostante lo spiegamento di forze, le vendite dell’album furono fallimentari, inducendo Michael a tornare alle sue radici R&B (quando si presentava con il suo vero cognome, Bolotin) ma virate verso il pop-soul “leggero”.
Diventerà così una superstar, ma noi ci teniamo stretti la sua AOR Era 1983-’85, sublime ed incompresa.
Spiace davvero, annoverare fra i grandi “perdenti” del rock melodico anche un fuoriclasse come Paul Sabu, talento multiforme (cantante, chitarrista, produttore: collaborò anche con Bowie, Alice Cooper, e ha rivelato Alexa ed i Silent Rage).
Sabu, che ha rinnegato il suo esordio “disco” su Ocean nello stesso anno del rilancio in chiave rock su MCA (1980, entrambi gli album, da non confondere, sono omonimi) fu un autentico “protetto” dei critici di Kerrang! la rivista leader dell’hard’n’heavy che creò una speciale votazione massima per il suo album con gli Only Child del 1988.
Senza nulla togliere a questo opus magnum, il mio favorito della sua produzione è “Heartbreak” (1985): un vertice dell’hard melodico & pomposo, specie in “Angeline” e “Breakin’ Out”. La title-track è un gradino al di sotto come sofisticatezza, pur ostentando l’energia più vistosa e la puissance vocale di Sabu, ma il videoclip è una rarità nel mostrare il suo gruppo in azione all’epoca.
Può bastare, questo intervento non vuole essere un articolo meticoloso o una classifica di merito, ma una rassegna musicale in libertà dedicata ad una grande passione.
Come il racconto di vicende del passato sotto l’ombrellone, anche se al mare, quest’anno, non ci sono proprio stato…
“Everybody’s Crazy” autografato dall’autore
Citi Springsteen… be’ un’altra faccia del rock anni ’80 (ma iniziata nei ’70) è stata proprio il cosiddetto Heartland Rock. Ti piace Beppe? Magari un articolo in
futuro? Springsteen a parte, uno stile un po’ dimenticato e di cui si parla poco al giorno d’oggi, mi sembra (così come il Pub Rock). Penso meriterebbe un approfondimento. Ciao!
Ciao Ale, “heartland rock” è un’etichetta che non ho mai utilizzato; presumo si riferisca a certo rock americano prettamente “roots” con esponenti di spicco, a parte Springsteen, quali Bob Seger (personaggio eminente che mi dimentico talvolta di citare fra i grandi di Detroit), Tom Petty (che ho sempre stimato moltissimo) John Mellencamp etc. Artisti che comunque hanno ottenuto vasta risonanza su alcune riviste italiane ben note. In ambito pub-rock, mi sono interessato al genere ai tempi dei Dr. Feelgood, ma non mi ritengo un esperto in materia. Grazie comunque del suggerimento.
Hai detto giusto Beppe riguardo agli Accept di Restless & Wild – “” Gli Accept resteranno un’autorità inossidabile dell’euro-metal, probabilmente senza eguagliare i livelli di clamorosa intensità di questa prodezza.”” – Assolutamente d’accordo !! Restless & Wild rimarra’ un capitolo Clamoroso ed Unico della loro storia (nonostante altri ottimi dischi) non per niente ad oltre 40 anni dalla sua pubblicazione gira ancora regolarmente sul mio piatto dello stereo e lo reputo personalmente tutt’ oggi il piu’ grande disco Heavy Metal di tutti i tempi….!!!!!
Ciao Morian, definire il disco Top di un genere musicale non è un’impresa facile e per me è anche una questione di “cuore” che può fare la differenza. Ciò detto, ci sono delle “pietre miliari” oggettivamente riconoscibili, dunque “Restless & Wild” si colloca senz’altro fra queste nell’arena heavy metal. Grazie!
Lo so Beppe…io parlo per me…sai quanti dischi tengono ancora caldo il mio stereo…ma penso sinceramente che sulla lunga distanza Restless & wild sia quello che abbia vinto la Pole in fatto di giri sul piatto tra i vari Ace of spades, Into glory ride, Melissa, Black metal e tante altre “pietre miliari” … Sacre colonne sonore della mia vita!! Cheers !!
Ma i Van-Halen?? Forse quelli che hanno venduto di più dopo ACDC…e il vero cambiamento che hanno portato ai musicisti negli anni a venire
Dopo aver scritto sui Van Halen dal lontano 1979, dopo aver dedicato due differenti “In Memoria” di Edward VH sul Blog (del Signor Trombetti e mio) oltre ad aver recentemente parlato di “You Really Got Me” dei VH come una delle più grandi cover del rock, è confortante sentirsi dire che mi dimentico dei van Halen. Ho già spiegato con quali intenti é nato l’articolo in questione.
Bellissimo articolo…adoro il rock anni 80-90 ..non molto quello di ora .ora ascolto i Crazy lixx che propongono con nuove canzoni lo stile di quei anni..un saluto
Grazie Daniele, se ti può interessare, ho trattato “Street Lethal” dei Crazy Lixx nell’articolo “Sulle frontiere dell’hard rock melodico” (Blog, gennaio 2022). Ciao!
I Van Halen ?
Vale lo stesso discorso fatto per altri grossi nomi. Un articolo “nostalgico” non è l’Enciclopedia Rock Anni 80 e nemmeno l’Enciclopedia Hard & Heavy. Ho scritto a profusione su entrambe (edizioni Arcana) oltre 30 anni fa…Lì c’era (quasi) tutto.
Ciao Beppe,
Sono un tuo lettore 54enne, che comprava Rockerilla per le 8 paginette di Hard N Heavy e che poi ha seguito te e Sir John Charles Trumpets sul Metal Shock dei tempi d’oro (a partire dal primo numero, of course!).
Quanti ricordi… AOR Heaven, Shock Relics e anche gli Stronzons, che pur prendendo per i fondelli l’hard rock melodico mi divertivano con le loro cretinate.
Ricordo anche un tuo spazio radiofonico su Radio Popolare, se la memoria non mi tradisce.
Gli anni ’80 li ho vissuti in prima persona, ho amato la musica del periodo e trovo ingiusto spernacchiarli per il look dell’epoca,
decontestualizzando la musica dal periodo storico in cui è stata creata e proposta. Rispetto i gusti di tutti, ma liquidare l’hard rock e l’hard rock melodico come ciarpame e parlare solo di capelli cotonati ed extension o spandex è scorretto e superficiale.
I Warrant non erano uguali ai Winger, che non erano uguali agli House Of Lords e così via.
Non sono un musicista e non credo che la musica debba necessariamente essere tecnica, tuttavia per curiosità mi farebbe piacere vedere certi sputasentenze suonare Rainbow In The Rose dei Winger o Slip Of The Tongue degli House Of Lords, giusto per vedere il risultato 😉
Tu per me hai sicuramente lasciato un segno.
Grazie a te ho scoperto l’AOR/hard rock melodico (complici anche i tuoi sodali Bergonzi e Cossali e pure il grande Marco Garavelli, che seguivo dai tempi di Radio Peter Flowers).
Quante band e quanti solisti mi hai fatto scoprire, ne cito alcuni in ordine casuale: Journey, Foreigner, Signal, Giant, Winger, Diving For Pearls, Tall Stories, Bad English, The Storm, Drive She Said, Shadow King, Michael Bolton, Richard Marx, Benny Mardones e tanti altri
Ho sempre ammirato la tua profonda competenza e la passione con cui scrivi ed è sempre stato un grande piacere leggerti. E lo è tutt’ora, Ça va sans dire.
Come resistere alla tua recensione di Escape dei Journey per l’esordio di AOR Heaven? (BTW, ne ho appena acquistato il remaster 2022 in HD audio e per il mio gusto il risultato sonoro è ottimo!).
Tu e Giancarlo siete due giornalisti musicali con la G maiuscola e in un mondo perfetto ciò vi verrebbe riconosciuto in un nanosecondo!
Per quel che può valere, voglio esprimerti la mia sincera stima e ringraziarti per avermi fatto scoprire tanti dischi bellissimi, che ascolto ancora oggi e che mi regalano tutt’ora tante belle emozioni.
Sei un grande Beppe! Ciao!
Davide, commenti come il tuo (anche molto circostanziato) sono di grande soddisfazione per me ed in generale per chi scrive. Che ci siano appassionati con “memoria storica” è davvero apprezzabile. Mi fa piacere anche per gli altri del team – Rockerilla/Metal Shock – che hai citato, perché appunto, eravamo un bel team! Giancarlo ti ringrazia a sua volta. Faccio sapere anche al grande Marco Garavelli. E’ vero, per qualche tempo ho tenuto una trasmissione settimanale su Radio Popolare a Milano. Più in breve, grazie a giornalisti effettivamente famosi, Bertoncelli e Gentile (loro ospite), anche in Rai. Il mondo non è affatto perfetto, ma per ben altri motivi, purtroppo. Comunque la tua sincera stima per me vale molto, anche per i contenuti manifestati. Ti ringrazio sentitamente, ciao!
…non ho capito perché non hai detto del successo di Ozzy da solista, ne tantomeno del successo dal cambio di line up dei Black Sabbath con Dio alla voce, ne del successo di Dio da solista, oppure della nascita dell’epoca metal con i Manowar… boh, mi pare manchi tanta musica famosa negli anni ’80…
Accetto le critiche, ma evidentemente non mi conosci. Sono da sempre un fan dei Sabbath, ho appena scritto dell’ultimo album di Ozzy, ed un articolo sulla “nostalgia rock anni 80” è un punto di vista soggettivo che non può e non deve includere tutto. Mica ha la pretesa di essere un’enciclopedia ed è stato scritto chiaramente che era un fatto personale. Non è una classifica e non pretende di dettare valori assoluti.
Ciao Beppe ti faccio i miei complimenti per l’ articolo! Di tanto in tanto ci occorre qualcuno che ci parli e ci rinfreschi le orecchie con certa musica, grazie.
Io sono nato nel 91 ma sono un grande fan della musica 80, del movimento hair metal e del rock in generale, da Elvis agli Iron Maiden con tante cose sono passate tra queste “due torri” della musica!
Mi piacciono anche tanti pezzi AOR 80 o band tipo H.E.A.T, volevo una tua opinione su due band che sono le mie preferite e sul cantante Sebastian Bach, i Great White e i Bonfire, grazie ed un abbraccio di puro r’n’r.
Ciao Nicola, come dice in radio l’amico Marco Garavelli è in corso una certa rivalutazione degli anni ’80 e gli H.E.A.T. sono fra i gruppi più noti che ne hanno ravvivato il ricordo. Fra l’altro il loro ex cantante è ora negli Skid Row, di cui esce il nuovo album. Sicuramente dotato, ma io preferivo la versione originale del gruppo con Seb Bach, il loro stile pulsava al ritmo di quei tempi. Great White, con le loro influenze Zeppelin, certamente fra i pilastri dell’hard rock anni ’80. Ti meraviglierà che se dovessi scegliere un loro disco da classica “isola deserta”, porterei il mini-LP “Out Of The Night”, forse perché me li ha fatti scoprire. Bonfire gruppo competente, rinomato e di ormai lunga storia, per il mio gusto a livello di composizione non fra i più brillanti. Penso in generale che il revival degli Eighties vada bene, ma che gli originali dell’epoca, tanti da riscoprire, siano i migliori. Grazie!
Ciao Beppe
Volevo un tuo personale parere sui KISS…..
Visto che sei una istituzione nel nostro paese….
Grazie mille
Ciao Pietro, “un’istituzione nel nostro paese”? Ehm, chi te l’ha detto? Comunque per un’opinione sui Kiss potrei innanzitutto suggerirti di leggere l’articolo sul 45° Anniversario di “Destroyer” cliccando a fondo pagina sul 2 nei precedenti del Blog. Posso dirti che ho scoperto i Kiss all’epoca del primo “Alive!” che li impose anche in America e secondo me resta uno dei più energici e memorabili album dal vivo dell’heavy rock e non solo. Fra l’altro metteva in evidenza una loro dote fondamentale passata fino a quel punto in secondo piano, stante lo scarso successo dei primi 3 LP di studio. ossia la capacità di scrivere canzoni, pur nell’ambito del rock duro, che restano negli anni. Dopodiché ho molto amato i loro dischi dei Seventies, anche se a mia volta (come quasi tutti all’epoca) ero rimasto un pò sconcertato dalla pur efficace “I Was Made For Loving You”…Negli anni ’80 il livello degli album a mio giudizio è stato altalenante ma sempre competitivo nei confronti della concorrenza…Dal vivo ovviamente lo spettacolo era assicurato a prescindere. In tempi recenti o quasi il disco che mi ha convinto di più è stato “Sonic Boom”. I Kiss sono stati determinanti anche nell’influenzare gruppi fondamentali dell’hard melodico. E’ tutto, in estrema sintesi.
Ciao Beppe, stasera ho avuto il tempo di leggere e sopratutto anche “ascoltare” il tuo articolo, in quanto mi sono passato una ad una le “finestre musicali” che hai proposto. L’articolo va un po’ di la e un po’ di qua, ma te lo concedo (ci mancherebbe….😊); ha quasi la forma di un parlare tra amici, quando i ricordi affiorano e gli argomenti si accavallano, apparentemente senza un filo logico, ma invece il tutto risulta unito da uno dei più grandi sentimenti umani: la Passione. Di tutto il ben di Dio musicale che hai citato la palma di n. 1 per me va alla bellissima “Touch and Go” degli EL&P, sia per motivi musicali che affettivi. Nell’ estate ’86 ero sotto naja, nella capitale, e la sera, dopo il silenzio, quando potevo usufruire del walkman di un commilitone, lo sintonizzavo sempre su una certa Radio Luna, la quale trasmetteva rock ( sollievo!) e passava spesso “Touch and Go”. Che dire, quando sentivo le stratosferiche melodie di Keith, la suadente voce di Greg e le possenti rullate di Cozy ( un mito), mi scendeva sempre una lacrima, e la lacrima mi è scesa anche stasera, vedendo il video della canzone e pensando che quei tre unici ed inimitabili musicisti ci hanno da tempo lasciati. Quanto ai dischi da te citati forse la palma del migliore va a “90125” degli Yes, che tolta proprio “Owner…” ( mai piaciuta) è semplicemente fenomenale, nel suono, nelle melodie e nella produzione. Grazie per la canzone dei G.E. che non conoscevo, e per il resto (sisters Wilson, Sabu, Warrior, etc…), sul quale ci sarebbe da scrivere per ore, come sempre, per la favolosa musica che amiamo. Un salutone
Ciao Marco, mi spiace se l’articolo ti è parso “un pò di là un pò di qua” (per citarti); l’intento era quello di una rassegna stile “chiacchierata”, è vero, perché mi suggeriscono che nel blog bisogna fare un pò così, ma io dopo decenni di scritture varie mi esprimo a modo mio. Certo se il tema non appare ben focalizzato è un peccato. Ciò detto, sono contento che tu sia un estimatore di quel brano degli ELP (con Powell) ed è tristissimo pensare che i tre magnifici protagonisti non ci siano più. Non tutti apprezzano la loro grandezza, purtroppo. Ti invito a leggere, se non te ne fossi accorto, gli articoli sugli ELP negli arretrati sul Blog. Apprezzo anche il tuo interesse verso i Golden Earring, gruppo ampiamente sottovalutato. Grazie dell’attenzione.
Ciao Beppe, non solo il brano, tutto quel disco ( conservo chiaramente il vinile acquistato nel ‘ 86) è veramente notevole, potente e magniloquente, melodico e ricercato, una vera chicca. Peccato che si fermarono a quello, riportava veramente ai primi tempi tellurici del trio. Qualcosa dei vecchi articoli ho letto e commentato, ma riapprofondirò con piacere. Mi spiace che ancora dopo tanti anni tu ti danni per le varie “critiche” ricevute dal trio; penso che ormai il tempo sia stato galantuomo e che gli EL&P siano da tutti considerati dei pilastri della storia del Rock. Alla prox!
Grande non ti conosco ma complimenti per aver citato i grandissimi Marillion colonna sonora dei miei 80
Grazie, penso fosse doveroso ricordarli proprio fra le “colonne sonore” di quegli anni. Ciao
Ho pensato la stessa cosa ♡
Ciao Barbara, immagino tu alluda ai Marillion. A posteriori ho pensato che nel contesto stilistico anni ’80, avrei dovuto privilegiare la memorabile “Assassing”. In origine ho preferito “premiare” il debut-single, più vicino però al prog dei seventies. Grazie.
Salve Signor Beppe Riva..mi scusi..ha citato tantissimi nomi del rock anni ’80….vorrei farle una domanda..Perché non ha citato i Queen e Freddy Mercury che a mio modesto parere sono un icona di quelli anni?
Gentile Antonella, se non ti dispiace, visto che non si tratta di un atto formale, diamoci del tu. Per quanto riguarda i Queen, posso dirti che nel 1993 mi è stata affidata l’introduzione critica sulla loro storia, per i due volumi “Tutti i testi” (i primi in Italia) editi dalla Arcana; introduzione che è stata autorizzata dall’entourage della band. Quindi non si discute che i Queen siano stati “anche” un’icona degli anni ’80; si tratta di una delle più grandi e conosciute formazioni di tutti i tempi, e Mercury è da molti considerato il front-man per antonomasia del rock. Personalmente ho preferito il loro stile nei Seventies, ma questo poco importa. L’articolo del Blog era qualcosa di più legato a passioni meno arcinote, in certi casi finite nell’oblio, infatti ho precisato di proporre una rassegna un pò umorale e soggettiva che non facesse classifica. Certamente, fra i grandi eventi degli anni ’80 c’è stato quel Live Aid dove i Queen hanno sbaragliato la concorrenza. Si poteva parlarne, assolutamente si. Ma non avevo la pretesa di esser esaustivo, volevo solo dar sfogo ad una spinta emozionale. Spero pertanto di averti convinto, senza nulla togliere alla magnitudo dei Queen. Grazie per l’attenzione.
Complimenti per tutto, Beppe e in ultimo, ma solo per ragioni cronologiche, per questo splendido blog. Due cents al volo: credo che la nostalgia vada depenalizzata. Perché esiste una nostalgia sana che c’entra nulla con il trombonismo di chi, come secondo mestiere, censura ciò che accade nel (non più suo) presente. Quella sana è la comprensibile e umana nostalgia di chi è conscio di aver vissuto, seppur lontano migliaia di chilometri dall’epicentro degli eventi, un’età dell’oro mai più replicabile. E, oggettivamente, al di là di ogni successiva evoluzione o precedente avvenimento storico, gli anni ’80 hard-heavy sono stati un paese di Bengodi in cui sono strafelice di aver vissuto. E qui torni in ballo tu: giornalista, ambasciatore, “veicolo”. Tu sei stato uno di quelli che hanno ridotto le distanze, avvicinato le nostre province e le nostre periferie al Sunset Strip o, più ampiamente, a tutto quel mondo – dischi, concerti, scene confliggenti – per cui si prova questa umana nostalgia. Quindi di nuovo grazie e… Stay tuned anche tu: sto lavorando a un piccolo progetto personale in cui ti cito. Ti farò sapere 🙂
Con affetto. Emiliano.
Ciao Emiliano, mi lusinghi con il tuo intervento, che spero di aver meritato e comunque fa piacere. Certamente la sana nostalgia non è un male, anzi, implica aver vissuto momenti belli. Per quanto riguarda il settore rock di cui si parla, mi sono impegnato con sincerità (e probabilmente questo è stato colto) a divulgare ciò che mi piaceva. Sulla qualità dell’operato, il giudizio non spetta a me. Ringrazio a mia volta affettuosamente.
Grande Beppe è un piacere ritrovarti e leggerti! Hai forgiato la mia passione per la musica hard & heavy con le tue splendide recensioni su Metal Shock (ho archiviato la collezione del giornale che avevo dal 1987 al 1994) Ritrovarti e rileggerti è un vero piacere!
Ciao Lorenzo, anche per me è gratificante esser ritrovato da vecchi lettori che mi confermano il loro apprezzamento. Un caro saluto, grazie di esser intervenuto.
Grazie Beppe per il viaggio nel tempo in un epoca che mi ha musicalmente formato, essendo del 73 , nel 1987 con il mio primo impianto hi-fi ( per modo di dire 😅) ho cominciato a seguire e ad appassionarmi al genere ed ammetto di essere stato fortunato nel vivere il picco commerciale del movimento fino al 1992 e molto spesso grazie alle tue recensioni su Metal Shock.
Grazie a te Samuele di esserti “ritrovato” in ciò che ho scritto; penso anch’io che molti appassionati, dall’heavy metal al rock melodico, si siano formati in quel decennio, a cui era giusto rendere omaggio.
Grazie Beppe, che bell’ articolo.
È grazie a te e Trombetti stesso se ho scoperto bands che ancora adesso seguo con amore. Rockerilla era il mio giornale perfetto in quanto mi sono sempre mosso senza barricate; potevo ascoltare tranquillamente i Cure e Dokken con lo stesso piacere. Quello che ci sarebbe da capire meglio e studiare è il perché ognuno di noi è legato indelebilmente a ciò che ascoltava nel periodo adolescenziale, è sempre così. Quello che si scopre successivamente non ha lo stesso impatto emozionale, almeno è stato così nel mio caso. Ora ascolto di tutto, dal Jazz al metal, cerco di rimanere collegato all’ attualità musicale anche se la trovo deprimente, ma sono punti di vista… Se mi confronto con i miei figli e i loro gusti c’è una rottura generazionale netta, a loro il rock semplicemente non piace.
Il problema di oggi è che manca un vero e proprio ricambio generazionale nel Rock, manca la band che spacca e diventa tendenza, porta un po’ tutti noi a rimanere nostalgici e non sempre è un bene….
Con tutto il rispetto non penso che i Ghost della situazione possano ricoprire un ruolo rilevante, ci vuole ben altro…
Ciao Max, lieto di accogliere il tuo punto di vista. Fa piacere che tu apprezzassi Rockerilla per la sua diversificazione musicale, io stesso ho scritto pezzi che riguardavano gruppi ed artisti non strettamente legati alla scena heavy e prog, però ricordo che allora erano preminenti i confini netti fra i generi, specie per il pubblico. Il tuo discorso relativo all’impatto emozionale della musica con cui si cresce è condivisibile. Ne ho parlato in apertura dell’articolo. Sul fatto che alle nuove generazioni il rock non piaccia come tempi addietro, penso che dipenda dai media che tambureggiano tutt’altro. Quando una trasmissione molto seguita ha lanciato i Maneskin, hanno avuto l'”impatto” che sapete. I Ghost possono non piacere e non essere così determinanti, sinceramente (nel mio caso) mi hanno fatto riconciliare con il rock d’attualità. Ti ringrazio, sempre lusinghiero ritrovare i lettori di una volta che non hanno dimenticato.
Ciao Beppe, parole sacrosante e sentimenti condivisibili anche da un ormai ex giovane 35enne come me.
Simpatico il refuso di Bertoncelli, uomo poco conosciuto nell’ambiente hard’n’heavy.
Ho smepre trovato il neoprog più AOR rispetto a quello settantiano (fighi entrambi) e non solo per i suoni, peccato quelle sonorità siano finite (ma chissà che ritornino…)
ELP e YES negli 80 da riscoprire, anche i 3 con Robert Berry, per non parlare di Union e Talk.
l’Heavy del periodo lascia poco da dire, altri lettori han citato nomi immani.
Oggi ci vuol più coraggio da parte di chi ama quelle sonorità e modi. E tu ne hai, grazie anche di questo.
Ehi Luca, ex giovane a 35 anni? Beh, allora io sono una mummia (Citaz.: “Mummy Dust” dei Ghost)…Su Bertoncelli non è un “refuso” (forse il correttore ti ha equivocato?), penso sia sicuramente un Maestro del giornalismo rock italiano. Non ho le stesse predilezioni musicali, ma la sua scrittura mi ha insegnato molto (spero di esser stato a modo mio un discepolo decente) inoltre, proprio Riccardo mi ha “convocato” per le Enciclopedie dell’Arcana ed altro. Gli sarò sempre riconoscente. Sul Prog forse meno che su altri generi, comunque l’AOR negli anni ’80 è stato molto influente. Oggi non mi serve molto coraggio nel sostenere le mie idee su un Blog condiviso con Giancarlo. Sicuramente ne avevo molto di più su Rockerilla dal ’79 in poi, dove supportare un certo tipo di musica poteva significare esser cacciato, se l’hard’n’heavy o il prog non si fossero rilanciati. Per fortuna è andata diversamente. Grazie a te, a voi lettori.
Caro Beppe hai nominato i Trillion e subito mi è venuto in mente quel capolavoro a nome Clear Approach, disco sublime dove le 2 ballad (Love me anytime e soprattutto Cities) erano di un livello superiore.
Gran bell’articolo dove la nostalgia lascia spazio alla consapevolezza di aver vissuto quegli anni con sommo gaudio.
Ciao beppe e alla prox…
PS ….e intanto gli hai prolungato la vita al buon Bruce Kulick visto che purtroppo quello scomparso era il fratello Bob….
Mimmo ciao, è un piacere che qualcuno ricordi il classico “Clear Approach” dei Trillion. Il loro disco distribuito in Italia era invece l’omonimo debut-album, che in ogni caso sfoggiava il compianto e leggendario cantante Dennis “Fergie” Frederiksen (poi nei Le Roux, Toto etc.). Questi effettivamente “scomparso”…Hai ragione, ho confuso i due fratelli. In “Everybody’s Crazy” suona Bruce Kulick (già con Bolton nei Blackjack, poi famoso nei Kiss), attualmente vivo & vegeto. Invece ci ha lasciato nel 2020 Bob Kulick, chitarrista ex Balance etc. a cui a suo tempo ho dedicato proprio sul Blog un ampio omaggio alla carriera. Ma ogni tanto le distrazioni capitano, bene che ci siano lettori attenti che segnalano. Grazie.
Ciao Beppe… Beh io ho vissuto come tanti gli anni 80 e naturalmente non posso che ricordarli come un decennio unico, straordinario ed irripetibile… La cosa che mi piace rimembrare è che a livello musicale è stato un periodo di evoluzione e di scoperta… Evoluzione perché appunto si è sviluppato un nuovo suono derivante dai dettami dei precedenti decenni ed attualizzato alle tecnologie del tempo, nasceva così l’Heavy metal che diventerà un movimento di costume oltre che sonoro che catalizzerà tutto il decennio… Di scoperta perché la sua diffusione partì a livello amatoriale quì in Italia sulle poche righe scritte da appassionati come te sulle poche riviste che circolavano, o a livello casalingo col fenomeno delle fanzine che avevano diffusione esigue.
Successivamente il crescente successo commerciale dei gruppi che esplosero portò l’interesse a livello mediatico del fenomeno e cominciò l’era dei videoclip, strumento ormai quasi in disuso ai giorni nostri ma che marchiò a fuoco gli anni 80… Che poi il genere fosse settorializzato in molte derivazioni poco importa, ogni derivazione proponeva molte realtà di talento a cui il tempo ha dato il suo plebiscito e molte volte la fortuna non ha aiutato gli audaci… Perciò come dici tu, inutile fare classifiche, godiamoci in questi tempi cupi quello che il periodo ha regalato e se regala ancora emozioni può darsi che non sia mera nostalgia… ma anche se lo fosse che male c’è?
Roberto, anche il tuo intervento dimostra come gli anni ’80 siano stati molto significativi per moltissimi appassionati di rock. Quindi certe critiche spesso superficiali lasciano il tempo che trovano. Prima di quel decennio ad esempio, come giustamente sottolinei, non esisteva una scena hard rock o metal che dir si voglia in Italia. Anche questo aspetto è da sottolineare. Ti saluto e ringrazio.
Articolo bellissimo per un periodo bellissimo, anch io ho vissuto in diretta gli anni 80 e per me rimangono il periodo migliore con i ’70. Tra gli album da te citati menzione particolare per i Warrior, Sabu e il fantastico Cut dei G.E. Impossibile stilare una classifica completa ma tra i miei preferiti anche Metalized degli Sword, Noble Savage dei Virgin S., Into Glory ride dei Manowar, Melissa dei M.F., e tantissimi altri. Grazie Beppe per i bei ricordi
Ciao Fabio, mi fa piacere che dimostri di apprezzare i Golden Earring, un gruppo storico da noi difficilmente considerato fra i fondamentali. Ma la loro discografia è ricca di valori. Infine, gli album heavy metal che citi sono assolutamente fra i migliori del decennio, escludendo i nomi arcinoti e commercialmente vincenti. Grazie!
Ogni volta, davvero ogni volta che con l’auto transito all’incrocio salernitano tra via Guercio e via Rotunno, guardo quel chiosco dell’edicola e la palestra sul lato destro: e penso a quel pomeriggio di novembre 1986, prima del turno in palestra delle 19. Il decennio si era aperto col terremoto che fu la fine dell’infanzia, e l’inizio della scoperta della Musica, con l’impianto approdato a casa l’anno dopo e quell’armadillo di Tarkus che mi cambiò la storia. Da allora, ogni giorno bazzicavo l’edicola sotto casa e quella dinanzi alla palestra per cercare qualcosa di ELP, gruppo di cui ormai si era perso anche il ricordo. Ma le riviste del settore erano un tripudio di Duran, Boy George, Michael Jackson, Sigue Sigue Sputnik, Springsteen. Io però da anni e anni continuavo cocciutamente a guardare. Fino a quando, quella sera, esce appena dal vetro laterale un nuovo giornale e una riga tra quelle sotto la testata recita testuale “Emerson Lake & Palmer”! Il cuore ha un sussulto, devo avere quel giornale ma non ho soldi! Con i battiti accelerati, faccio irruzione in palestra e un bravo ragazzo mi presta 5000 lire per avere tra le mani la gioia. Quella retrospettiva così completa, competente e sincera che non mi fece sentire più solo: ELP erano davvero grandi, e questo giornalista me lo confermava in modo incontrovertibile. Solo a dicembre, grazie a un amico che studiava alla Sapienza, sarei riuscito a mettere le mani su ELPowell, e quelle parole sul “titanico come back” a fine retrospettiva mi fecero salire in cielo fino alla notizia ferale dello scioglimento che non sono mai riuscito a metabolizzare.
Sono testimone: in quel decennio in cui ho scoperto la Musica mai nessuno avrebbe scritto una retrospettiva così.
Dovrò farti avere prima o poi una foto con l’edicola e la palestra: rappresenta forse la più grande emozione della mia vita. E del resto, resistono entrambe: The Miracle.
Caro Leandro, mi hai commosso…Sei un fiero testimone di una mia breve affermazione nell’articolo, ed è giusto che siano i lettori ad evidenziare certi aspetti. Posso solo aggiungere che ho sempre cercato di trasmettere le emozioni che ricevevo dalla musica e la soddisfazione più gratificante era la reazione positiva di chi mi seguiva, tanti o pochi che fossero non importa. E mi fa davvero piacere che alcuni lettori, come nel tuo caso, collaborino attualmente a riviste importanti nel panorama nazionale. Grazie mille e continua a impegnarti con le competenze che hai maturato.
Difficile spiegarlo a un trentenne di oggi, ma era un mondo in cui potevano volerci mesi per completare una discografia (unico modo di ascoltare brani che nessuno trasmetteva in radio) e dove potevi maturare conoscenze solo attraverso gli eventuali articoli sulle riviste specializzate. Però avevamo la fortuna di non poter skippare i brani e dunque di essere costretti a concentrarci su di essi, e di poter leggere e rileggere quanto ci interessava senza che fossimo compulsati dalla velocità come avviene per i testi sul web: c’era una cura nei titoli, nella scelta dei caratteri tipografici, nelle dimensioni e nel posizionamento delle foto. Più poveri forse di opportunità e informazioni, ma ci siamo arricchiti tanto e quella forma mentis ci è rimasta attaccata. Non ho mai potuto realizzare il mio sogno di diventare giornalista, ma ringrazio sempre quei pochi che mi hanno mostrato come bisognerebbe farlo. E, direbbe Peppino De Filippo, ho detto tutto…
Articolo meraviglioso ed esaustivo, visto che include più generi musicali che, negli Eighties, diedero nuova linfa al rock. Tempi meravigliosi, in cui si vendevano dischi a palate e la fantasia veniva innescata da veri e propri capolavori. Chi critica quel periodo per partito preso, evidentemente non l’ha vissuto in presa diretta. Mi dispiace per loro: ho 53 anni, ma non baratterei 20 anni di meno nemmeno morto. Ciao Beppe, grazie per il tuo articolo: mi ha emozionato come solo i tuoi scritti sono in grado di fare.
Ciao Alessandro, gli anni avanzano impietosamente, ma per me è motivo di conforto e di orgoglio aver assistito in diretta a certe epoche rock. Mi rattristerebbe oltremodo non averle vissuti, un po’ come i trionfi della squadra del cuore (certo, non le sconfitte…). Perciò approvo pienamente le tue considerazioni e ti ringrazio davvero del supporto.
Con tutto il rispetto per le tue scelte e per i gruppi che hai citato, negli anni ‘80 il mio interesse si è rivolto in altre direzioni. Non lo dico per egocentrismo, ma per sottolineare la ricchezza di quel decennio. Ho bypassato il fenomeno del new prog perché in generale troppo rivolto a rinverdire il passato: un controsenso per chi dovrebbe avere come elementi costitutivi la sperimentazione, l’originalità, lo scatto in avanti. Ho invece trovato quello che cercavo in gruppi come i Residents, i Tuxedomoon, i primi Wall of Voodoo, mentre la freschezza di un rock stimolante negli Smiths, in Marc Almond o in Joe Jackson.
Si potrebbero aggiungere molti altri gruppi validi e dimenticati o di successo passeggero, a dimostrazione di un decennio tutto da riscoprire, in cui la nostalgia è solo uno degli elementi. È la storia che lo richiede!
Ciao Paolo, ovviamente io ho parlato dei “miei” anni ’80, di ciò che mi appassionava. Fino alla primavera 1987 ho scritto su Rockerilla, dove, nonostante le inevitabili stoccate, convivevano le tendenze new wave e hard’n’heavy con reciproco rispetto, con prevalenza delle prime. Io invece stavo dall’altra parte della barricata. Infatti tutti gli artisti che citi hanno avuto ampio spazio su Rockerilla, alcuni di essi sono apparsi anche in copertina. Il nuovo va bene, ma bisogna vedere anche dove porta. Ed è sbagliato cancellare la grandezza del passato, lo sai come sono stati trattati certi nostri comuni eroi. Inoltre assistiamo con sgomento a quelli che si possono definire gli orientamenti musicali d’attualità. Comunque le opinioni differenti sono ben accette ed il tuo intervento fa sempre piacere. Grazie
Ciao Beppe,
Per ragioni anagrafiche la mia passione nasce negli anni ’80 ed è cresciuta con il contributo non trascurabile della tua guida (preziosissima nell’era pre internet).
Quindi per me siamo oltre la nostalgia, possiamo quasi parlare di crisi di astinenza.
Felicissimo comunque di aver potuto vivere in prima persona quegli anni che ritengo siano irripetibili (mio figlio, che ho musicalmente “allevato” come si deve, mi invidia molto questa cosa).
Che disco quello dei “Warrior”! Avevo già espresso il mio apprezzamento in un post passato: bello leggerli all’interno di questo articolo, scelti da un mazzo che aveva potenzialmente centinaia di carte. Oltre a loro furono molte le “meteore” che ci allietarono con uno max. due albums (ma che albums!)…A memoria ed a casaccio mi pemetto di citare Warlord, Prophet, Heavy Load, Exxplorer, Malice, Sword, Sacred Blade, Tobruk…mi fermo qui…nostalgia canaglia…
Grazie ancora, come sempre, per lo splendido articolo
Un saluto
Ciao Fulvio, ricordo che un lettore in passato aveva citato i Warrior, eri tu. Hai ragione, sono tante le meteore di quell’epoca e probabilmente avrai notato che alcune di quelle che segnali sono state trattate sul Blog. Certo, l’argomento è molto esteso e come ho scritto a chiare lettere, non c’era nessuna pretesa di esaurirlo, solo di fantasticare un po’ a riguardo. Sono contento che “nostalgici” come te, che hanno vissuto quegli anni, possano aver apprezzato. Ti ringrazio.
Buongiorno Beppe
Ovviamente mi sono ritrovato in questo articolo, pur non avendo visssuto in prima persona i Big 80’s, per ragioni meramente anagrafiche.
Tutto il materiale discografico che citi (interamente in mio possesso, ho controllato…) lo ho quindi recuperato un po’ alla volta durante i trenta e rotti anni successivi.
Sugli anni 80 il discorso sarebbe effettivamente lungo e complesso sia da un punto di vista musicale, che da un punto di vista sociale ed economico, ambiti questi che giustamente lasci fuori dalla tua trattazione. Mi limito a dire che questo decennio è stato spernacchiato oltre ogni limite, salvo poi accorgersi che probabilmente non era tanto male, visto anche l’immondizia (musicale e non) che ci circonda oggigiorno e che rischia seriamente di sommergerci.
Parlando di musica, hard rock e metal nello specifico, gli 80 sono stati indubbiamente il decennio in cui questi generi hanno conosciuto il loro massimo splendore, sia commercialmente che a livello artistico; tanti nomi li hai fatti tu, altrettanti se ne potrebbero aggiungere.
Per alimentare ancora maggiore nostalgia, credo altresì che ogni tentativo di replicare quei suoni e quelle proposte al giorno d’oggi sia impossibile, poichè tutti quei dischi sono stati registrati in condizioni (tempo, budget, produttori, studi di registrazione veri, songwriter), che oggi sarebbero impensabili, stante l’implosione dell’industria discografica.
Questo spiega in parte il motivo per cui il pubblico di riferimento è sempre più o meno quello, con pochissimo ricambio generazionale.
La cosa che mi ha sempre fatto specie è che anche alcune band (poche in realtà) che hanno trovato fama e successo proprio negli anni 80, hanno tentato di ridimensionare la portata del fenomeno. Ricordo in particolare una dichiarazione di Ann Wilson, che sostanzialmente declassava gli album AOR delle Heart come dei sottoprodotti poco amati dalla band stessa e al massimo tollerati, troppo attenti all’immagine al suono. Ebbene se c’è una band che ha beneficiato della svolta AOR sono proprio le Heart, che senza quei 4 dischi (Heart, Bad Animals, Brigade, Desire Walks On), oggi sarebbero ricordati come una ottima band hard rock molto zeppeliniana, con la tendenza a confondersi in mezzo alla miriade di gruppi nati nei 70 negli Stati Uniti. Invece oggi Alone (che non hanno scritto le sorelle Wilson) può ergersi tuttora come uno dei simboli musicali del periodo. Una simile presa di posizione me la sarei aspettata da qualche critico musicale italiano “mainstream” (notoriamente incompetenti e in malafede) , certamente non da chi fu attore principale di quegli anni.
Buongiorno Lorenzo, grazie per l’attenzione e la lunga analisi che dimostra il tuo gradimento del “tema”. Sono d’accordo, quei suoni spettacolari degli ’80 oggi si possono “imitare” ma niente più, anche James Christian degli House Of Lords ha ammesso di rimpiangere gli studi di registrazione ed i budget di quegli anni. In quanto alle sorelle Wilson, riconosciamo loro l’onestà delle dichiarazioni ma non le condividiamo. Molto probabilmente sono state sottoposte a pressioni per adeguare la loro musica ai tempi, giudicandole forzature. In un’intervista dell’epoca a Metal Shock, le loro affermazioni erano di tutt’altra natura. Comunque le ammiro per bravura e longevità artistica, anche se mi spiace leggere certe loro opinioni. A risentirci
Grandissimo Beppe, credo quel caporedattore fosse …, giusto?
Me le ricordo le stoccate che davi.
Ciao Francesco. Permettimi di omettere il nome che hai ipotizzato, perché non vorrei dare il sospetto di alimentare polemiche. Non è però il caporedattore che pensi. Non eravamo “contemporanei”. Si tratta di un amico, semplicemente con gusti musicali differenti. Grazie dell’attenzione.