A quasi dieci anni dal precedente album solista Gilmour , giovane settantottenne, torna a suonare dal vivo e pubblica un bel nuovo disco, Luck and Strange.
Nel 1977 ero uno svogliato studente di giurisprudenza. E come tutti gli svogliati mi ero imbrancato insieme ad un paio di simili; brave persone, appassionate della stessa musica, con il pallino per gli impianti hi-fi…e con la medesima poca voglia di restare troppo su testi di legge. Ricordo di quel periodo che imparai a fumare la pipa e ad apprezzare il profumo del vero tabacco (un vizio durato pochissimo : quando mi rubarono la macchina con dentro le pipe smisi immediatamente!), a giocare a Subbuteo, che era il nostro intervallo obbligatorio tra una decina di pagine e l’altra, a sentir suonare i due la chitarra. Sotto casa di uno dei due c’era all’epoca un interessante negozio di alta fedeltà… eravamo più lì che intorno il tavolo a preparare gli esami… tre disgraziati in sostanza. Alle cinque preparavamo il tè e discutevamo dell’ultimo disco comprato. Un giorno io arrivai con Animals. L’ascolto fu quasi religioso, ricordo perfettamente. I due precedenti erano piaciuti molto e dedicammo più tempo al 33 giri che allo studio di Diritto Privato. Tre disgraziati, come già detto.
Non ricordo esattamente come scoprimmo che da lì a poco i Pink Floyd sarebbero andato in tour, credo di ricordare che quel tour si chiamasse In The Flesh, ai tempi i mezzi di informazione erano limitati a un paio di giornaletti e a due note in radio Rai, ma sapere che a Dortmund avrebbero aperto il tour ci fece venire in mente la follia di partire. Sarebbe stata la mia prima volta con i Floyd, la prima di altre quattro memorabili presenze. Raccontammo alle rispettive famiglie una catasta di balle per spiegare che avremmo avuto un giorno lontano da casa : sostanzialmente ognuno avrebbe dormito a casa dell’altro. Una telefonata di controllo e il trucco sarebbe stato scoperto, ma incredibilmente genitori avevano fiducia nei tre sunnominati. La macchina non poteva essere la mia : avevo un Dyane 6. Partimmo con una Ford bianca se ricordo bene. Un viaggio con lo stretto necessario e due lire in tasca, roba da restare lungo strada senza benzina. Nel 1977 non c’era bisogno come oggi di comprare i biglietti un anno prima con prevendita, tasse e stampa in casa : arrivavi al botteghino e ti compravi il biglietto. Non vorrei dire sciocchezze ma si trattò di una cifra intorno alle 5mila lire. Che ci sembravano tante. Per Zappa l’anno prima ne avevo pagate 3500.
Non eravamo preparati a un palco fantascientifico, luci incredibili, filmati, maiali che si gonfiavano e svolazzavano sui lati del palco, trucchi scenici che ci lasciarono a bocca aperta. I Floyd erano già incredibilmente avanti con l’apparato scenografico. Non era certamente il mio primo concerto ma era sicuramente il mio primo spettacolo.
Quello che ricordo ancora oggi era il tono della chitarra di David Gilmour. Da ragazzi la prima cosa che ti colpiva nel rock and roll era la presenza della chitarra, l’iconografia più emergente ed immediata della rappresentazione del rock e il suono, il tono di quella chitarra era così… unico, distinguibile, che da allora, pur non essendo un musicista o un tecnico, avrei sempre riconosciuto quel suono in mezzo a cento. Un esempio. Una decina di anni dopo, in un brano dalla colonna sonora di Legend, Is your Love Strong Enough cantata da Bryan Ferry, non appena sentii le prime note al cinema, riconobbi immediatamente Gilmour.
Eppure oggi, riascoltando quell’ Animals che ci spinse così lontano su un trabiccolo di macchina, mi dico che non sempre riconosco quel tono e quel suono. Non saprei spiegare perché ma su quel disco Gilmour non sembra Gilmour. Non che sia giù di ispirazione o suoni svogliatamente : semplicemente ho l’impressione che non sia sempre lui a suonare. Troppe note alte, molta slide, poche note basse e meno liricità nella melodia, che per me rappresentano la mia visione del suono di David Gilmour. Una scelta differente dal suo passato.
Ecco tutto questo, invece, è assolutamente presente nel suo nuovo Luck and Strange. Chi ama e riconosce da poche note quella Fender non potrà che essere gratificato da quanto emerge da tutte le canzoni di questo album. Che più viene ascoltato e più ti entra dentro. Non è forse un capolavoro, ma contiene alcuni brani che resteranno a lungo nella memoria, a iniziare dalla luminosa versione di Between two points che differisce dall’originale dei Montgolfier Brothers – gente del tutto ignota dalle nostre parti – per la delicatissima voce di Romany Gilmour (…è nata una stella !) e per l’indovinato solo del padre a chiusura. Una storia ruvida, toccante, narrata da una voce che pare nata per cantarla e, vi dirò, ancora migliore della versione su disco, più ispirata, è quella reperibile nelle prove, filmate e diffuse che hanno promosso il lavoro fin dai primi giorni dall’uscita.
Molte volte mi sono soffermato a esporre tutto il mio disgusto per il soggetto che molti CREDONO essere stato l’anima dei Pink Floyd, Roger Waters. E pure stavolta non mi tirerò indietro. L’anima musicale dei Floyd erano Gilmour e Wright; l’intreccio tra la chitarra di David e le tastiere…che definirei “intelligenti” di Rick erano e sono state le basi su cui costruire un suono inconfondibile. Wright in particolare è stato un perno importante per sostenere non solo l’intero suono del gruppo ma per duettare con l’arte di David. Wright è stata la prova che talvolta non è necessario essere un virtuoso come Keith Emerson per passare alla storia. Gilmour è sempre rimasto umanamente e musicalmente legatissimo all’amico scomparso, contrariamente a quello che ha fatto Waters, il traditore per eccellenza, l’uomo che ha fatto fuori Barrett, Wright e Mason, poi vistosi scansato da Gilmour, ha tagliato via i tre, gli ha fatto causa, persa, per l’uso del nome e che per tenersi in allenamento, recentemente ha tradito pure il figlio licenziandolo. Il passato musicale lo ha tradito nel momento in cui ha fatto la presuntuosa follia di “riscrivere” Dark Side of the Moon, sputando nel piatto dove ha mangiato e rinnegando persino sé stesso.
Un genio, sì, ma di idiozia. Un musicista che non ha mai accettato i propri limiti, che non ha sostanzialmente prodotto più nulla di rilevante da solo, che ha vissuto sulle ceneri di The Wall, riproposta in cento salse, e i cui brani migliori non erano a firma sua e che ha pure messo una pietra tombale sulla vita del gruppo originale con un tristissimo, introverso e insopportabile The Final Cut.
Gilmour ha fatto la sua strada, ha tenuto con sé gli amici, li ha accreditati pure quando non c’erano, ha dato il nome Pink Floyd a un suo disco solo, li ha sempre coinvolti, li ha pianti. Li ha rispettati. Prova ne sia in questo Luck and Strange che uno dei brani più “floydiani” è quello omonimo dove da una session nel fienile di casa del 2007, con la presenza di Wright, David ha costruito un brano affascinante, a tratti commovente, quando nel video compare l’amico alle tastiere.
In genere si elencano i brani migliori a un certo punto della…recensione. Vorrei evitare di farlo semplicemente perché i gusti tali sono ma non riesco a non segnalare The Piper’s call, forse memore nel titolo di un certo pifferaio di tanti anni fa, la lunga sessione finale con il titolo del disco e , per me, la delicatissima Between two points, un brano che non mi esce dalla testa.
Ma nel disco c’è molto di più, dato che, sempre a mio parere, è uno dei migliori se non il migliore del Gilmour solista… e poi c’è quell’indimenticabile tono di chitarra, quello che chiunque riconoscerebbe tra mille.
Polly, la moglie, ha recentemente sparato a zero su Waters, ben più pesantemente di quello che ha fatto il marito. Mi si dice che un presentatore italiano, uno che un tempo conoscevo benino, vorrebbe riunire i Pink Floyd sul palco di Sanremo.
Auguri di cuore, Carlo… più facile con i Beatles, avrei detto.
Che il soggetto Waters non sia un mostro di simpatia, anzi, sia per molti aspetti odioso, ci sta. Che musicalmente fosse ( e sia) inferiore agli altri tre, anche. The Final Cut, assieme al suo primo The Pros … è l’appendice di The Wall. E Amused to Death rimane a mio parererun grande album. Direi così: senza la chitarra di Gilmour non ci sarebbe il “suono Floyd” e il solo di Confortable Numb; senza Waters non ci sarebbero (stati) The Wall e i Pink Floyd. Senza scomodare anime e animali. Saluti
Vedi Massimo, non si tratta solo di simpatia ma anche di giudizio artistico. I primi PF erano Barrett. Scacciato lui musicalmente il gruppo è sempre stato Wright + Gilmour. Waters ha scritto testi interessanti e angosce personali che hanno minato la coesione del gruppo. Se hai problemi esistenziali te li risolvi a casa. Non li vomiti sulla tua arte. La nascita, quella vera, di The Wall è indicativa direi.
E comunque ogni opinione è rispettabile e personale.
Lungi da me voler essere il Defensor Fidei di Waters. Però, che i primi PF fossero Barrett significa poco (un album e mezzo a esser generosi): sarebbe come dire che i Rolling erano Brian Jones! Le angosce personali quando riescono a essere pensate comprese e sublimate diventano arte. E’ successo anche in The Dark Side, Wish You were Here e Animals. Dare tutto il merito di quei lavori a Wright e Gilmour, con tutto il bene e il rispetto che posso avere per loro, mi sembra troppo (fra l’altro, il biografo ufficiale Mason potrebbe avere da ridire). Il suono della chitarra di Gilmour e le scale usate per alcuni assoli, questi sì, oltre ad aver marcato il Floyd Sound, sono stati determinanti per molti chitarristi, non solo neo-prog. Se penso ad alcuni accenti di Steve Rothery (Marillion) o ad alcuni legati di John Petrucci (Dream Theater), sento che la matrice è eredità di stampo gilmouriano? Saluti
Massimo… considerato che pure il basso era spesso suonato da Gilmour in studio e che due brani essenziali come Us and them e The great gig sono di Wright, come Run like hell o Comfortably numb che sono di Gilmour. Che Wish senza Wright varrebbe meno della metà…che quasi tutte le partiture erano arrangiate dai due e che Waters portava testi non definitivi… 🙂
I Pink Floyd rappresentano una parte importante dell’ immaginario di molti e la loro dipartita musicale suscita sempre rimpianti. Gilmour per me rappresenta il loro suono e lo caratterizza e speriamo che continui a produrre musica, certi eroi vorremmo che fossero immortali. Ultimo suo disco concordo è buono, mi piace. Rimango legato fortissimamente ai Pink e ai loro dischi dove questo grande chitarrista ha potuto avere il pallino in mano. The finale cut è inascoltabile. Grazie bell’ articolo.
…beh sapere che qualcuno condivide il mio pensiero su Final cut mi rinfranca… 🙂 grazie di aver letto.
Non sono il primo fan dei Pink Floyd, ma ovviamente mi inchino ai classici.
Animals effettivamente non è proprio sovrapponibile ai precedenti, e segna una discreta discontinuità con WYWH.
Rispetto a Waters sottoscrivo ogni parola, un personaggio sgradevole oltre ogni limite, almeno da quello che posso capire senza ovviamente conoscerlo, ma leggendo le sue periodiche dichiarazioni.
Sono d’accordo quando dici che l’asse portante dei PF era costituito da Gilmour e Wright; il contributo lirico di Waters è fin troppo sopravvalutato.
Riguardo l’ultimo disco di Gilmour, l’ho ascoltato ma francamente non mi ha granchè impressionato, ho preferito il precedente Rattle that lock. Mi ha fatto piuttosto fatto tornare la voglia di risentirmi i precedenti dischi dei Floyd post Waters, cioè A Momentary Laps Of Reason e Division Bell, che sostanzialmente sono dei solisti di Gilmour.
Poi di questi tempi è vero che un disco come Luck and Strange è da accogliere con soddisfazione.
Devo dire che al primo ascolto non sono rimasto colpito. Dopo un pomeriggio di ascolti ripetuti confermo che per me si tratta di un disco molto interessante. Riprova…
Ma perchè la maggior parte dei giornalisti musicali quando scrive la recensione di un disco non fa altro che autocelebrarsi (speciamlmente nel mondo Rock), te invece, anche se inserisci cose personali, riesci sempre ad entrare nella testa delle persone e a stimolare la curiosità, ed io che ancora non ho ascoltato il disco corro ad ascoltarlo, se eravamo negli anni ’70, avrei cominciato a risparmiare i soldi per acquistare il vinile!!!
Well done!!
Francesco… al di là del piacere del leggere le tue parole, la domanda iniziale meriterebbe un trattato, una analisi approfondita. Io ho le mie opinioni. Il guaio è che se le mettessi nero su bianco mi verrebbero a cercare sotto casa, scriverebbero fiumi di offese per essersi, quelli che non considero miei colleghi… e non per presunzione ma per scopo nella vita… sentirsi denigrati nella loro essenza. Ho molti amici che stimo nell’ambiente ma molti di più che rientrano perfettamente nel famoso motto : possibile tu non riesca a renderti ridicolo ogni cinque minuti ? 😄
Stai bene Francesco…
Hai ragione. Tantopiù che, adesso, abbiamo la possibilità di scegliere chi leggere.
E’ bello leggere articoli del genere perché, a loro modo, sono “coraggiosi”.
Coraggiosi perché mettono in discussione, motivando, personaggi intoccabili. Ai Pink Floyd sono legatissimo. La canzone “Another brick in the wall II” è uno dei primi ricordi musicali che ho (avevo 7 anni). Dai Beatles passai a loro e The Wall è il loro disco che ho ascoltato di più, preso libri monografici, spartiti, film…
Oggi come oggi l’album che ascolto di più è Animals: e Gilmour in Dogs è forse al suo meglio.
Non mi sono mai posto il problema delle loro personalità sebbene Wright abbia sempre esercitato un gran fascino su di me (penso a Echoes a Pompei). Ma devo dire che i testi che ha scritto Waters sono tra i più belli (per me d’accordo) mai finiti in musica.
Poi il giocattolo si è rotto.
E Waters (di cui adoro, penso unico al mondo, lui compreso, Radio KAOS) ci ha messo molto del suo con il suo atteggiamento da despota.
Ha un culto della (propria) personalità leggermente smisurato cosa che emerge nei concerti (visto due volte).
E non parlo di quanto indossa i panni di Pink in Run like Hell.
Tornando ai Pink Floyd, A momentary lapse of reason è stato il loro primo album comprato in diretta e…che dire…David Gilmour fa la differenza: Sorrow, One Slip, On a turning away….
Secondo me il suo tocco ce l’hanno in pochi; non mi bisogna essere ultra tecnici e ultra veloci per emozionare, anzi, è vero il contrario ed è per questo che preferirò sempre un Gilmour/Trower/Gallagher/ Schon ai velocisti degli anni ’80 (con eccezioni: Gary Moore e Malmsteen in testa).
Tutta sta sbrodolata per dire cosa?
Che il disco l’ho preso il giorno stesso; l’ho ascoltato una cinquantina di volte e in testa non mi è rimasta una sola canzone.
E aggiungo: il falsetto in Luck and Strange è veramente fastidioso.
Ma ogni volta che sento la chitarra uscirsene in assolo resto ipnotizzato.
E’ pura magia.
Forse per la prima volta in vita mia mi ritrovo ad ascoltare un disco solo ed esclusivamente per gli assoli (ce ne è un altro “Shut Up ‘n Play Yer Guitar” e giuro, Giancarlo che non è una marchetta, l’ho preso proprio per avere un disco di Zappa chitarrista).
Ma secondo me il suo solista più bello resta l’omonimo del ’78.
Ben tornato, erano mesi che aspettavo il tuo ritorno.
Ogni parere vale oro. Il tuo incluso ovviamente. Io trovo Luck and strange un disco importante, ben costruito, rispettoso, un lancio per la figlia che se non scivolerà su brani inutili ha un grande futuro. Credo meriti molti ascolti per essere apprezzato.
PS : hai ragione. Ho lasciato Beppe solo a reggere il blog per una estate, ma ho dovuto occuparmi di altro. Succede nella vita… adesso vedrò di ritagliarmi più spazio per scrivere qualcosa sperando che piaccia.
romany è semplicemente incantevole !
È vero Aldo. Ha una voce ed un tono, per ora, perfetto.