Paul Di’Anno e Dave Murray (Foto: Luca Silvestri)
“Time Is On My Side”, una cover resa popolare dagli Stones nel 1964, era idealmente l’inno di una nuova generazione che si ribellava al conformismo massificante nella seconda metà del ‘900. Le lancette del tempo scorrono però inesorabili e da allora sono trascorsi ben sessant’anni. Il rock ha profondamente modificato usi e costumi socio-culturali dal decennio del boom in poi, ma i suoi eroi non sono eterni, anche se alcuni di essi sembrano irridere il destino dei comuni mortali, gli stessi Jagger e Richards, per restare in tema.
In realtà le pagine dedicate ai necrologi di famose riviste specializzate d’Oltremanica s’infittiscono sempre più di defunti eccellenti, mentre è destinata a durare, auspichiamo il più a lungo possibile, la loro leggenda. Se finora era inevitabile attendersi, per ragioni d’età, la scomparsa di idoli degli anni ’60/’70, non siamo altrettanto abituati alla dipartita di artisti che hanno contribuito a tenere accesso il fuoco della passione rock nel corso degli Ottanta.
Il nostro Blog non è né pretende di essere una rivista online in grado di affrontare ogni argomento d’attualità, pertanto mi spiace personalmente non essermi dedicato alla disgraziata fine di Jack Russell, in pieno ferragosto. I suoi Great White sono stati una formazione essenziale dell’hard rock americano, emersi con la moda hair metal che ne ha condizionato anche l’immagine, ma esibendo un amore per il rock classico ed il blues ben più spiccato rispetto ai loro contemporanei, come dichiaravano le numerose ed efficaci cover di Ian Hunter, Led Zeppelin, Hendrix, Stones e pure degli australiani The Angels, oltre ad un originale di grande bellezza, l’atmosferica “House Of Broken Love”. Ne riparleremo nel caso di un’augurabile occasione discografica.
E’ innegabile però che la diffusione capillare del fenomeno hard’n’heavy anni ’80 in Italia (ma non solo, naturalmente) sia ascrivibile all’affermazione nel nostro paese degli Iron Maiden. Ben ricordo il disinteresse iniziale della stampa “che conta” nei loro confronti; quando suonarono il 2 settembre 1980 al Vigorelli di Milano come support-band dei Kiss, l’accoglienza dei media nei loro confronti non fu certo solerte, e solo noi di Rockerilla, appassionati di nuovi talenti, pubblicammo un’intervista proprio al loro front-man Paul Di’Anno, recentemente scomparso il 21 ottobre 2024.
Ricordo ironici commenti del tipo “Bravi gli Iron Maiden, dieci anni fa sarebbero stati i migliori…”, secondo la più stagionata prassi vigente dalle nostre parti nei confronti del rock duro: ogni gruppo emergente, a detta degli “esperti”, sarebbe stato un banale riciclaggio di datate esperienze a tutto volume, destinate ad un carattere di provvisorietà, opinione ampiamente sconfessata dalla storia.
Iron Maiden, foto promozionale per l’album d’esordio (Aprile ’80)
Invece lo stile della New Wave Of British Heavy Metal, con gli Iron Maiden testa d’ariete del movimento, affondava si le sue radici nell’hard rock del precedente decennio, ma non si trattava di un semplicistico rapporto di dipendenza, inducendo soluzioni trasformative subito manifeste nel carattere “urgente” dei brani. In altri termini, la nuova generazione metal assimilava l’umore dei tempi che cambiavano, si confrontava con la frenesia del punk, e ne sarebbe scaturita la formula più dinamica e spontaneamente vigorosa degli stessi Maiden: musica heavy di svolta verso le successive evoluzioni (anche estreme, come il thrash) del metal anni ’80. In una famosa intervista rilasciata a Sounds nel febbraio 1980, proprio Paul dichiarava: “ci consideriamo la sola vera New Wave Heavy Metal band perché siamo gli unici con attitudini punk”, aggiungendo che gli sarebbe piaciuto realizzare un singolo con i Cockney Rejects, a loro volta dell’East End londinese, e che nelle prime file degli spettacoli dei Maiden si agitavano punks e persino rasta: il quintetto colpiva suonando ad alta velocità e con entusiasmante freschezza. Lo stesso Paul aveva precedentemente cantato in un gruppo reggae di musicisti bianchi e si era presentato all’esordio degli Iron Maiden con capelli “scandalosamente” corti – almeno per le usanze heavy rock – giustificando la teoria del crossover punk-metal avanzato dalla stampa britannica. Steve Harris naturalmente correggeva il tiro, riconoscendo che l’ipotesi poteva esser credibile per la giovanile aggressività sguinzagliata dal vivo, ma che la struttura dei brani (da lui stesso composti, con liriche di Paul) era molto differente.
Piaccia o meno, il simbolo di questo rinnovato assalto al muro del suono diventava proprio Paul Di’Anno, con la sua voce irruente e poco incline a formalismi estetizzanti, precursore di uno stile più riottoso rispetto alla tradizione del classico heavy rock; tant’è che la sua sostituzione nell’autunno 1981 con Bruce Dickinson, pur reduce da un fresco e promettente passato con i Samson, veniva accolta con scetticismo degli irriducibili headbangers cresciuti al suono di “Iron Maiden” e “Killers”. Qualcosa di analogo era già successo ai fans storici dei Sabbath, che rimpiangevano Ozzy nonostante un RJ Dio più dotato a livello di registri vocali.
Ma non andrei oltre nel ricostruire le vicende di Paul con gli originali Maiden, ampiamente sviscerate da qualsiasi fonte d’informazione. Mi sembrava piuttosto significativo riportare una breve cronaca del concerto con i Kiss e soprattutto le parole del protagonista, nell’intervista che Paul ci concesse il giorno stesso, pubblicata su Rockerilla n.8 del 1980, che non credo sia ormai patrimonio di molti lettori.
La ritengo testimonianza attendibile della personalità del protagonista – indicativa anche di certi chiaroscuri del suo futuro – incontrato nel bar di un hotel milanese, dove insieme al resto del gruppo fu invitato da un responsabile della EMI ad andarci piano con gli alcolici. Seduto poco distante, un incuriosito Steve Harris prestava occasionale interesse alla conversazione.
Anche in Italia, Iron Maiden si sono rivelati l’incarnazione più coerente del ridefinito heavy metal inglese: una band che ha rinnegato il circuito sterilizzante dei reiterati clichés di “eroismo” individuale, per mascherarsi del più insidioso anonimato di forza complessiva, dall’impatto globale.
L’immagine offerta da Iron Maiden in occasione del loro concerto milanese al Vigorelli, di fronte a 20.000 persone prevalentemente calamitate dal gigantismo coreografico dei Kiss, è stata quella di un commando tenacemente proiettato lungo il tunnel del rock duro, e disposto a cimentarsi su ogni riff fino ai limiti dell’esaurimento fisico. Opponendo precisione strumentale ed un’inflessibile convinzione nella musica professata agli artifici spettacolari che andranno in scena dopo il loro set, Iron Maiden si sono presentati sul palco privi di quell’arma di shock, rappresentata dal sinistro volto di Eddie dalle orbite incandescenti, che abitualmente accompagna le loro esibizioni. Ma non era necessario, perché bastava il torrenziale esordio di “Prowler” a redimere i molti cervelli bruciati dall’uso indiscriminato di musica pesante. Il suono “live” restituiva magistralmente la lucida, potente architettura strumentale dell’album d’esordio, con in più una dose di insolente freschezza e di incomparabile excitement non trasferibili su vinile. E questa predisposizione nel fondere ai massimi livelli, competenza strumentale e sincera tensione emotiva, in un equilibrio di componenti nemmeno intaccato da una “Running free” traboccante primigenia vitalità, mi ha letteralmente conquistato, convincendomi definitivamente che qualcosa di importante stia avvenendo attraverso la New Wave del British Heavy Metal. Dopo l’aggressione spoglia di sottigliezze dei brani succitati, Iron Maiden si sono prodotti in un’epica sequenza delle composizioni più ambiziose dell’LP, “Remember Tomorrow”, “Transylvania” e “Phantom Of The Opera”, ricche di momenti intensamente drammatici, dove la band dimostra di non subire contraccolpi dalle temporanee pause concesse al cantante Paul Di’Anno, che con la sua voce roca e potente, scossa da brividi di enorme emozionalità, infonde al sound della formazione londinese un carisma inconfondibile. Dave Murray e Dennis Stratton confermano “on stage” il livello assoluto del loro binomio di chitarre, ed impressionante è la forza motrice del corpo ritmico Steve Harris-Clive Burr, due strumentisti tellurici. Con il rientro in forze di “Iron Maiden”, la band conclude l’esibizione, dimostrando com’è possibile concentrare, nel breve volgere di mezz’ora, un’energia che ammette oggi rari confronti, e non solo nel raggio d’azione del rock duro.
Prima del concerto, abbiamo avuto la possibilità di incontrare Paul Di’ Anno, il vocalist di Iron Maiden. Paul ci ha fornito l’impressione di un ragazzo disponibile e spontaneo, assolutamente non artefatto dal cospicuo successo riscosso in Inghilterra. E’ apparso sorpreso dall’attenzione che la nostra rivista ha dedicato ad Iron Maiden, sembra rifuggire francamente manie divistiche ed assicura che i musicisti della NWOBHM rifiutano il ruolo di rockstar per instaurare un nuovo rapporto di complicità con il pubblico. Crediamo sia importante.
L’avanguardia del rinnovato HM inglese è stata celermente definita Heavy Metal New Wave; credi che gruppi quali Iron Maiden, Def Leppard o Samson siano una sorta di punk-metal crossover bands?
PAUL: “Intendi formazioni che costituiscano un “ponte” tra il punk e il rock duro? Non è cosi nel nostro caso, e non credo neppure per gli altri gruppi. Iron Maiden è certo una rock band, ma una band di Hard Rock, non di Heavy Metal.”
Qual è la differenza?
“Per me, l’HM è puro e freddo rumore distorto. Gruppi come Motorhead e Black Sabbath sono HM bands. C’è una grande differenza rispetto alle formazioni di Hard Rock.”
I vostri primi brani, da “Prowler” a “Running free”, sono brutali ed immediati, tuttavia altri come “Remember Tomorrow” e “Phantom Of The Opera”, inclusi nell’album, rivelano un lavoro strumentale più sofisticato. Ritieni che il vostro sound possa evolversi?
“Si, si sta facendo più raffinato e le nuove composizioni che stiamo preparando sono più complesse, pur mantenendo, è fondamentale, l’impatto dei primi tempi.”
Voi infondete nell’hard rock un’energia sovraccarica, sprigionata da riffs ad alta velocità. Pensate di poter ridefinire i confini entro i quali si muove attualmente il vostro genere musicale?
“Non aspiriamo a questo. E’ il nostro modo di suonare, di essere un band, e riteniamo di costituire la logica evoluzione dell’Hard Rock degli ultimi dieci anni. Penso semplicemente che sia stato differente il nostro approccio alla musica, suoniamo proprio come ci sentiamo di fare; assolutamente non ci interessa diventare un gruppo di rockstar come è accaduto ad altri in passato, teniamo a salvaguardare la nostra energia.”
Quali bands hanno maggiormente influenzato il vostro sound?
“Citerei Led Zeppelin, Deep Purple, UFO, Jimi Hendrix, molte blues bands, e potrei continuare ancora la lista…”
E per quanto riguarda altri gruppi fondamentali come Black Sabbath e Judas Priest?
“Black Sabbath? No. I Judas Priest mi piacciono ma non credo ci abbiano influenzato.” (nda: Steve Harris, il compositore principale della band, cita invece questi ultimi fra le sue maggiori influenze).
Quindi le vostre liriche non si inoltrano nella sfera delle fantasie gotiche, spesso tipiche dell’HM?
“No, assolutamente. Nell’album c’è un solo brano fantasy: “Strange World”. Le altre sono tutte ispirate a fatti accaduti o a situazioni realistiche.”
Tuttavia non disdegnate atmosfere musicali inquietanti, alle quali si riallaccia una lugubre iconografia, vedi la copertina dell’LP.
“Al momento di scegliere la raffigurazione di copertina ci siamo rivolti ad un artista nostro conoscente, Derek Riggs, e fra i suoi lavori abbiamo trovato l’immagine a cui vi riferite, che era veramente “forte”. Ci piace l’impatto che questo genere di cose ha sulla gente.”
Indicaci quelle che a tuo avviso sono le migliori speranze dell’Heavy inglese…
“Saxon, Tygers Of Pan Tang, Fist, Raven ed Angel Witch sono sicure promesse. Anche i Witchfynde ed i Mythra sono buoni, anche se non amo particolarmente la loro musica.”
Risalendo ai vostri esordi, nel 1977 l’interesse generale era concentrato sull’esplosione del punk rock/new wave. Avete avuto problemi ad emergere come gruppo dedito al rock duro?
“Si, non riuscivamo a lavorare, e per due anni non abbiamo potuto suonare con continuità in pubblico perché molta gente seguiva quasi esclusivamente le punk bands; poi, con il ridimensionarsi del punk, il pubblico ha ripreso a seguire la scena Hard.”
Pensi che nella vostra musica si rifletta una certa situazione sociale-giovanile?
“Credo di si, ma in questo senso: noi siamo ragazzi semplici, come tanti altri, senza false presunzioni. Forse molti giovani lo capiscono, e per questo si identificano in noi.”
Com’è stata l’accoglienza del pubblico, al festival di Reading?
“Il giorno della nostra esibizione siamo risultati la band più acclamata, la reazione dei ragazzi è stata veramente incredibile, il loro entusiasmo ci ha commosso, sinceramente.”
Giungendo all’attuale tournée italiana, ci riferiscono che a Roma abbiate ottenuto un successo proporzionalmente superiore ai Kiss, che non hanno riscosso il consenso previsto. E’ vero?
“E’ parzialmente inesatto; noi abbiamo dato il massimo per riscaldare l’ambiente, dapprima freddo, e presto il pubblico si è scatenato. Quando sono apparsi i Kiss, il livello di coinvolgimento del pubblico ci è parso circa lo stesso.”
Avete avuto problemi con l’organizzazione?
“No, anzi tutto OK. I Kiss, stessi, Gene in particolare, hanno fatto il possibile per agevolarci, e continuano a farlo.”
Molti giovani rock fans, in Italia, vengono soprattutto per vedere Iron Maiden, anzichè i Kiss. Lo immaginavi?
“Mi piacerebbe pensarlo, ma sono più realista che sognatore, certamente la vera attrazione è costituita dai Kiss. Comunque sono davvero sorpreso da quanto mi dite.”
Ci puoi ora fornire qualche notizia riguardo le vostre prossime realizzazioni discografiche?
“Appena concluso il tour, entreremo in studio per incidere i nuovi singoli ed LP. Il singolo uscirà in ottobre, ma sfortunatamente non posso dirvi il titolo per motivi contrattuali (“Women In Uniform”, ottobre 1980). L’album invece, uscirà in gennaio/febbraio (“Killers”, febbraio 1981).”
Cosa ci puoi anticipare dell’album?
“Sarà piuttosto diversificato rispetto al primo: più veloce, compatto, ma contemporaneamente più tecnico nel suono. Ci coadiuverà colui che riteniamo il migliore produttore del mondo: Martin Birch, già responsabile della resa sonora dei Deep Purple e dell’ultimo album dei Blue Oyster Cult (“Cultosaurus Erectus”).”
Le parole di Paul furono in parte rivelatrici di quello che accadrà in seguito, e grazie al nostro corrispondente da Londra, Piergiorgio Brunelli non perdemmo l’occasione di interessarci al suo primo progetto post-Maiden, Lonewolf.
L’intervista uscì su Rockerilla n.26 (1982) e rivelava un aspetto che avevo notato prima del concerto a Torino con gli Iron Maiden il 3 aprile 1981, durante il Tour di “Killers”. Nell’occasione Paul declinò garbatamente l’invito ad una nuova intervista, ma apparendo scostante e disinteressato. Fu Steve Harris a prestarsi in sua vece, ma proprio Paul figurò nella prima copertina dedicata esclusivamente ai Maiden in Italia (Rockerilla n.14, maggio 1981), dopo aver già figurato in una precedente della stessa rivista con artisti new wave.
A Brunelli confessò sorprendentemente che era stanco, annoiato dagli anni con i Maiden e dalla vita on the road, confermando la mia sensazione, perché lui – disse a chiare lettere – non era propriamente nell’heavy metal, preferendo dedicarsi all’hard rock vecchio stampo e persino al progressive. Non riteneva né giusto né onesto continuare con i Maiden, e per questo aveva lasciato, non era stato “licenziato” per presunzioni da rockstar, come sostenevano le malelingue. Ribadiva che lui e Dennis Stratton erano “costretti” ad ascoltare metal tutto il tempo, perché la mente del gruppo era Steve Harris (con il quale aveva vissuto un rapporto conflittuale), e “lui si che era(è) nell’heavy metal”. Paul non si rammaricava del successo crescente di “Number Of The Beast”, attribuendosi però la scrittura di molti pezzi, “ideati quattro anni prima insieme a Steve”.
Lonewolf si basavano prevalentemente su ex-membri dei londinesi Minas Tirith, presentandosi in un incoraggiante tour con i Thin Lizzy, in quanto Christine Gorham era la loro manager. Ma il sestetto ebbe vita breve, anche perché il nome si prestava ad essere confuso con altri esponenti della NWOBHM. A quel punto, il cantante scelse di adottare la propria sigla, Di’Anno, tentando un rilancio discografico con l’omonimo album, edito da FM Records nel 1984. Il nome dell’etichetta fu maldestramente profetico, perché il disco gettò nello sconforto gli accesi aficionados di Paul, essendo indirizzato verso sonorità AOR che certamente non si confacevano alle doti espressive del carismatico ex Iron Maiden. Fu un inevitabile flop, e lo stesso Paul lo rinnegò a posteriori, riconoscendo di aver trascorso tre mesi ai Caraibi per comporre una serie di pessime canzoni che non gli piacevano per niente…Non va affatto meglio al progetto di “supergruppo HM” ideato dal dj Jonathan King, Gogmagog, che oltre a Di’Anno annoverava Janick Gers, Pete Willis, Neil Murray e Clive Burr; tutto il clamore si risolveva in un isolato e trascurabile EP, “I Will Be There” (1985).
Al cantante non restava che tornar sulle tracce della “bestia” che gli diede notorietà, e l’esordio dei suoi Battlezone (organico similare ai Maiden) venne salutato come un parziale ritorno “in forma”. Il nuovo gruppo si impegnava anche in un criticato tour americano, ma assorbendone significative influenze: il secondo album “Children Of Madness”, del 1987, veniva addirittura paragonato ai Queensryche (ascoltate “Rip It Up”). Dopo un tour europeo alla fine dell’89, i Battlezone si ritiravano provvisoriamente, e Di’Anno affrontava gli anni ’90 alla guida dei Killers, inizialmente con il bassista dei Raven, John Gallagher. Nel ’97, ennesimo riferimento ai Maiden, Paul attivava una carriera solista con l’album “The World First Iron Man”, che esordiva però con un’imprevedibile versione di “Living In America”, un successo di James Brown. La carriera proseguiva nel terzo millennio con innumerevoli richiami agli Iron Maiden. La sua autobiografia, “The Beast” (2002), dove indugiava anche sulle sue cattive abitudini in fatto di sesso, droga e alcol, suscitava disgusto persino nei suoi parenti, e lui stesso fece mea culpa.
Non mi soffermo sui problemi di salute che l’hanno costretto ad esibirsi su sedia a rotelle con innegabile forza d’animo fino a quest’estate, nonostante le onerose cure con annesso intervento chirurgico al ginocchio finanziate da un crowdfunding e dagli stessi Maiden.
Il fatale epilogo l’ha allontanato definitivamente dal suo pubblico a 66 anni, annullando anche il previsto, finale rendez-vous con i fans italiani che l’hanno sempre amato.
L’avventura musicale di Paul dopo i fasti iniziali con i Maiden, condensata nel recente album retrospettivo (con inediti), “The Book Of The Beast” – uscito in settembre su Conquest – è stata in parte deludente, condizionata da scelte artistiche opinabili e dalla sue “dipendenze”, ma a sprazzi ha riacceso il furore delle origini. Il cantante della periferia londinese di Chingford ha pagato un caro prezzo allo stile-di-vita, ma resta personaggio assolutamente rappresentativo e indimenticabile per chi ha vissuto la belle époque dell’heavy metal anni ’80. Al punto che molti appassionati della prima ora, lo annoverano ancor oggi come il front-man per eccellenza della più popolare formazione britannica di rock duro, e ricordano “Iron Maiden” e “Killers” (insieme a “The Number Of The Beast”) come gli apici del gruppo in quanto a freschezza compositiva ed impatto sulle generazioni hard’n’heavy a seguire.
N.B.: Ho preferito usare foto dei migliori anni, anche se le stampe in mio possesso sono un pò logore. Concedetemelo.
Come sempre, articolo bellissimo caro Beppe. Speravo profondamente che uno di voi due scrivesse qualcosa sulla voce più scura ed affascinante dell’heavy metal tutto. Questo articolo mi chiarisce tante cose, sai? Inizio il mio fiume di pensieri – perché sul metal avrei davvero libri personali da potere scrivere – con una premessa: la tanto consociuta “questione punk” sulla prima parte della storia maideniana, dipinta, grazie alla presenza di Di Anno, come la “fase punk” della band; cosa da cui io ho sempre preso le distanze; e lo dico da buon appassionato dell’era hardcore punk (da qualsiasi parte provenisse). Per quanto si decantasse una presunta attitudine punk, forse più legata al nichilismo di cui lui stesso era pregno, io ho visto sempre e solo una figura piena di energia, tanto carismatica (per certi aspetti anche più di Bruce Dickinson, che io ovviamente amo), ma comunue lontana anni luce da come si presentava un punk su un palco e da come gestiva ed “emanava attitudine” al proprio pubblico. Che poi ai concerti venissero pure dei punk ad ascoltare il metal degli Iron Maiden… beh, probabilmente era semplicemente una frangia di giovani che si ponevano a cavallo tra i due mondi; perché, per come ho conosciuto io i punk – quelli “puri”, diciamo – non si può dire che avessero proprio tutta questa curiosità di andare a vedere concerti metal (almeno fino ad un certo momento storico). Ovviamente, sono riflessioni che dovrebbero sempre essere storicizzate, anno per anno, visto che nel rock in quel periodo tutto si evolveva a velocità assurde. Insomma, per chiudere, io ho sempre rifiutato l’idea del Di Anno punk. Per me era solo un rocker ribelle con tutti i crisimi, piuttosto.
Ascoltando, negli anni, i lavori suoi da solista post maideniano (mea culpa, cosa fatta non da ragazzo… fatta con molto ritardo nei decenni più recenti), ho sempre pensato invece che il famoso punk, dopo i maiden si fosse stranamente dato all’hard rock di stampo più americano possibile. Questa cosa mi ha sempre fatto riflettere che su due cose: 1.: che la potente energia che fuoriuscì da Iron Maiden e da KIllers era il concorso di una serie di fattori (compositivi, creativi, “di discussioni e scontri” etc) , dati da cinque persone le une diverse dalle altre; 2.: che la scrittura, che era principalmente scaturente dalla mano di Harris, veniva poi tradotta in energia da lui. Ed è inevitabile che il cantante influenzi, tra l’altro, il sound della band (vedasi, cosa uscì fuori quando Dio sostituì Ozzy… o quando Gillan, ancora di più, sostituì Dio).
Queste due cose, quando Paul si ritrovò solo, hanno pesato pesantemente, scusando il gioco di parole. Il risultato fu che non sempre l’energia è stata possibile catalizzarla; perché Harris sarà anche stato una specie di despota, ma in certe cose sono persone come lui a far sì che non si sprechino i talenti delle persone. Ora, tornando all’inizio della conversazione, che vedeva la mia messa in discussione del Paul punk, in più, dalla tua intervista si aggiunge il fatto che, addirittura!, lui quasi negasse la possibilità di vedere gli Iron come una heavy metal band, ma piuttosto come una hard rock band. Fantastica la tua domanda “qual è la differenza?”. Bene, questa cosa a me, giusto o sbagliato che sia, mi chiarisce in qualche modo il mistero di questa sua “rinascita” hard rock- aor, se non altro nel primo periodo, per quanto poi anche egli stesso avesse rinnegato quel primo, curiosissimo disco a nome Di Anno. Anche se poi, effettivamente, a prescindere dal fatto che fecero solo un ep, “la traccia resta”: Gogmagog era un (mediocrissimo) disco di fm rock, chissà perché nato con quella veste.
Secondo me, i due dischi a nome Battlezone (primo e secondo) sono due dischi belli belli, il primo tra l’altro di una potenza davvero notevole. Ed il secondo ha davvero qualcosa che rimanda ai gloriosissimi Queensryche… Metal Tears, ancora più che Rip It Up, ha un tono che a me addirittura rimanda tantissimo alla stupenda London di Rage For Order (disco peraltro immenso)… Diciamo che in questo disco si sentono i Queensryche sospesi tra il mitico loro ep (alla Queen Of The Ryche) e le atmosfere alla Rage For Order. E, paradossalmente, Paul Di Anno sarebbe il cantante – sebbene di estensione non paragonabile e con un colore molto più scuro di Tate – che più potrebbe rendere certe canzoni di Geoff. Con i Killers, secondo me, con primo disco ha fatto meglio dei Maiden post Senventh Son, che sono stati veramente capaci di scrivere due dischi mediocri come No Prayer e Fear Of The Dark.
Paul Di Anno è stato sicuramente un artista sfortunato; ma io mi sono fatto un’idea da tanto tempo sugli artisti che fuoriescono dalle band storiche e che, poi, negli anni, hanno fatto la storia del metal. Quelli che hanno “svoltato”, dopo la fuorisciuta dalla band, al punto di diventare un riferimento al pari della band originaria, quanti sono? Pochi, direi… Due su tutti: Ozzy Osbourne e Ronnie James Dio. Ovviamente mi sto riferendo al periodo d’oro del metal, non alla fase degli anni a venire (Novanta, Duemila…). Non vorrei dire che è merito delle mogli, ma secondo me… andrebbe un po’ rivalutato il ruolo che le donne hanno in contesti come quello rock. Ozzy era un relitto e se non ci fosse stata Sharon (personaggio che non ho mai digerito, per altri aspetti legati alla gestione degli interessi di famiglia), chissà se da solo ce l’avrebbe mai fatta… Su Dio onestamente non so se dietro la gestione ci sia mai stato lo zampino di Wendy. Ma se Paul Di Anno avesse avuto con sé una figura di polso, anziché donne che non hanno saputo/potuto gestire la furia di quell’anima in pena (perché era sicuramente un’anima in pena, Di Anno)… non c’è nessuna certezza… ma forse il suo talento non si sarebbe sprecato così e non sarebbe stato ad inseguire per tutta la sua vita un fantasma – quello metal che aveva quasi inizialmente negato – in un modo triste come ha fatto da un certo momento in poi della sua vita. Aveva una voce immensa, come pochi. Della stessa grandezza di quella di Dio, senza ombra di dubbio. Di quei timbri che ne nascono uno ogni tremila: Dio, Ozzy, io ci metto Jim Morrison pure. E lui era una sorta di Jim Morrison del metal: una voce scura come nessun altra ma in un mondo diverso da quello psichedelico di Jim Morrison. Tutti gli altri, grandissimi cantanti. Ma loro erano OLTRE. Solo che lui era solo, e solo è rimasto. Abbandonato da tutti ma ricordato da tutti per il contributo immenso che ha saputo dare in quei due dischi pazzeschi, dei quali io ho sempre avuto più devozione per il primo… ma questa solo una storia di preferenze personali, cosa assolutamente più banale dell’importanza oggettiva dei due dischi.
No, certamente non lo dimenticheremo. E’ come dici tu, assolutamente.
Scusa la lunghezza, ma i vostri articoli mi portano a riflessioni che difficilmente le riviste on line mi farebbero fare – fatte solo di dichiarazioni a cui seguono solo commenti di persone che hanno solo il gusto insano di sputare merda su tutti. Una cosa assolutamente inaccettabile, per me.
Grazie, grazie davvero. Avrei tanto da aggiungere, ma non voglio appesantire un commento già lunghissimo.
Spero prima o poi di avere il piacere di conoscerti di presenza (cosa già avvenuta con Giancarlo, un paio di anni fa)
Ciao Egidio, il tuo commento è un articolo a sua volta, molto esteso. Che il Blog stimoli riflessioni così approfondite, è un ottimo risultato. Certamente noi siamo noi e basta, per quanto mi riguarda non so bene quale sia la tendenza altrui “online”, ma resto quello di sempre e certamente figlio di altri tempi. Chiarisco che non volevo perorare la causa “Di’Anno Punk” o simili; intendevo ricostruire l’epoca in cui i Maiden si sono affacciati sulla scena, citando una allora famosa intervista su Sounds, dove si ventilava la teoria del nuovo heavy metal sferzato da rinnovata energia/attitudine punk. Che in sé rientrava in un certo tipo di evoluzione storica (dai Motorhead al thrash). Però ho volutamente riportato la nostra intervista prima del concerto con i Kiss, proprio perché è una testimonianza vera: rivelava l’essenza del Di’Anno pensiero, i suoi gusti personali e anticipava il disagio nei Maiden. Se ci incontreremo di persona, mi farà piacere e grazie davvero della stima.
…. arrivo tardi, ma ringrazio anche io per questo ricordo molto bello.
Anche io inevitabilmente legato a Killers a Wrathchild ed a Murders in Rue Morgue …..
…. i commenti che mi precedono spingono la mente ai sentimenti che ebbi ascoldando il precitato e quando arrivò Number …. direi che la stradaiolità grezza e diretta dei primi due album è stata parte essenziale nella costruzione della NWOBHM come idea e stle …. già con Bruce le cose cambiano …. non necessariamente in peggio … è il salto … la maturazione compositiva … e le masse che accorrono diversamente e … appunto in massa ai concerti.
Il paragone è per me lo stesso che passa tra In Rock e Machine Head …
Detto questo, la parabola di Paul è anche triste, e purtroppo emblematico del mondo dello spettacolo …. dalle stelle alle stalle in pochissimo tempo …. e con l’inevitabile effetto catalizzatore delle droghe.
Mi rimangono le immagini degli ultimi tempi … il corpo sfatto da droghe malattia e dalle condizioni fisiche ….. il continuare a lottare e cantare per sopravvivere (nel senso puro del portare a casa qualche doldo per mangiare ) ….. quel cercare o chiedere … l’aiuto dei vecchi compagni ….. voglio credere che in ogni caso l’interessamento di Steve Harris ed anche le parole di Bruce Dickinson, con il bell’omaggio fatto la sera del decesso (anche se avrebbero potuto suonare Wrathchild come bonus extra) siano state sincere e vere …. immagini che is chiudono con le foto che andavano dritte sui suoi occhi e sul suo viso e sul loro tono triste e perso e quasi disperato.
Grazie Beppe ancora una volta.
R.I.P. Paul di Anno
Ciao Fabio, parafrasando un programma TV ben noto ai boomers, “non è mai troppo tardi” per un commento, soprattutto se intelligente e meditato: non è una gara a chi lo fa prima, a qualcuno vien di getto, altri ci pensano un pò. Detto questo, che vale per tutti, il paragone fra i due dischi dei Purple ci può stare. Avendoli vissuti a suo tempo, differente che a posteriori, io continuo a preferire “In Rock”. La storia di Paul, è vero, rappresenta il lato oscuro del mondo dorato (ma non solo) delle rockstar. Sottolinei giustamente le ultime immagini desolate di Paul, un tempo decisamente atletico e carico; ho preferito pubblicare sul blog foto di tempi migliori, in qualche caso difficili a trovarsi. Il Paul in cui abbiamo creduto e sperato. Grazie a te.
Ciao Beppe,
un bellissimo ricordo scritto da chi ha vissuto quei tempi in prima persona.
Io ho conosciuto i Maiden con Piece of Mind e ricordo che quando recuperai i primi due album, rimasi spiazzato dalla voce di Di’Anno, così diversa da quella di Dickinson, ma era l’uomo giusto nel momento giusto, in due dischi memorabili che hanno fatto storia.
Ciao Marcello, Paul era “il figlio del furore” che ci voleva all’apparizione di Iron Maiden sulle scene. Tuttora non riesco a considerare un loro album superiore al primo in quanto a freschezza e impatto delle composizioni. La produzione certo era perfettibile, la tecnica esecutiva sarebbe ulteriormente progredita, ma i brani restano super. Ti ringrazio dell’opinione.
Non sapevo della morte di DiAnno e chiaramente mi colpisce. Li vidi forse due giorni prima della data di Milano, al palasport di Genova, gran bel concerto nonostante l acustica. Non l ho mai amato particolarmente, ma lo riconosco come il cantan te degli Iron maiden. Mai piu seguito dopo l abbandono, ma ripeto Lui era il singer, come giustamente evidenzi tu con i fans dei Sabs, con evidenti difficolta a digerire l abba dono di Ozzy, pur rimpiazzato da un ottimo R.j. Dio cha a sua volta identifico con i migliori album dei Rainbow. Rammento, che si, Steve Harris era il ns prototipo di rockers, nel look ma anche nell atteggiamento sul palco, di come interagiva con il pubblico. Nel mio giro di amici, era difficile digerire qualcuno che parlava di punk o che ne apprezzasse la musicalita,’ ma si sa , da pischelli si pensa di essere sempre nel giusto e poi si era un po’ dogmatici, scarsamente aperti, la “fede” . Avevamo anche difficolta’ ad apprezzare Rockerilla, che compravamo solo per i tuoi articoli e non capivamo come si poteva scrivere di generi cosi’ diversi dal “nostro”. Peccati di giovincelli ignoranti e presuntuosi. Chiudo questo pistolotto, mi dispiace solo che dalla morte del cantante degli Iron maiden, si contino gli anni scivolosi di una vita di ascolti e speranze r’n r’.
Grazie Maestro, come sempre i tuoi articoli sono uno specchio della vita di qualche anno fa’. Prosit !
Ciao Giorgio, i contrasti fra fans di heavy metal, punk ed altri generi erano ricorrenti in quei tempi. Nelle grandi città ce n’erano intere “bande” caratterizzate dal proprio look, però non ricordo episodi gravi o quantomeno ripetuti, da loro causati; a differenza di quanto avviene oggi, soprattutto fra seguaci di un certo trend purtroppo molto diffuso. Sul piano musicale si, c’era rivalità, infatti molti lettori di Rockerilla di estrazione new wave non erano certo favorevoli al metal, e viceversa. Quindi tu e i tuoi amici non eravate un’eccezione. I cantanti hanno sempre caratterizzato i gruppi d’appartenenza: i Rainbow erano il regno di Blackmore, ma quando si è indirizzato verso gli ottimi Bonnet o JL Turner l’ha fatto adeguando anche lo stile musicale. Grazie a te e alla tua idea dello “specchio”…
vista la formazione originale al rolling stones nel 81 (mi pare ) nel concerto aggiunto nel pomeriggio per richiesta eccessiva di biglietti . il concerto fu eccezionale e pur apprezzando il suo successore ho sempre amato i maiden originali con quel teppista dalla voce roca che urlava nel microfono . con dickinson intrapresero poi un genere di rock epico troppo ridondante per i miei gusti . non fui presente al vigorelli ma ricordo che gran parte del pubblico era li per loro , molto affermati in italia . begli anni per il rock duro
Ciao Meo, dopo l’inserimento di Bruce i Maiden hanno continuato la loro clamorosa ascesa nell’Olimpo dell’heavy metal; il rapporto fra Harris e Dickinson è stato più sereno, lo dimostra il fatto che il cantante, pochi anni dopo, venne da solo in Italia per rappresentarli e promuovere “Live After Death” (1985). Lo incontrai e ricordo che si trattava di una persona molto disponibile all’intervista e piacevole. Ma come sostieni anche tu, non si può dimenticare il “teppista” Paul indissolubilmente legato agli esordi del gruppo. Begli anni davvero, grazie.
Sacrosanta celebrazione, grazie Beppe! RIP Paul!
E grazie a te Giuseppe per l’approvazione.
Hail Beppe, ad essere sincero aspettavo un tuo “amarcord” su Paul Di Anno. Personalmente non sono incline a soffermarmi (troppo) nei ricordi o nella nostalgia ma, come possiamo dimenticare quegli anni? Per me, i primi tre album dei Maiden sono quanto di meglio il gruppo abbia prodotto ( parere personalissimo). Come confermato dallo stesso Paul le composizioni di molti brani di The Number lo videro coinvolto. Li conobbi con l’uscita di Killers ed “estasiato” dopo qualche giorno acquistai il primo album . Proprio Killers è quello in cui certe influenze punk si avvertono maggiormente. Personalmente in alcuni passaggi riscontro similitudini con i Buzzcoks di Another Music in a Different …. che ascoltavo in quel periodo. Il bello era che allora non ci facevamo troppe elucubrazioni su i generi da ascoltare. L’ immagine dei Maiden,che mi piace ricordare( io, ragazzino dei primi anni 80) è proprio quella con Paul Di Anno.
P.S. ..Suo padre era di origini siciliane, del messinese o proprio di Taormina. Lo disse lui stesso ,con una certa commozione, durante un concerto a Catania nella primavera del 2012, se non ricordo male.
Ciao Gaetano, a tua volta dichiari la passione accesa in te dall’ascolto dei primi Maiden, che naturalmente hanno entusiasmato tutti i giovani “metallari” d’inizio anni ’80, e sottolinei quell’accostamento tutt’altro che scontato con il punk. Non è una questione di nostalgia, ma di memorie inalienabili. In un’intervista del 1980, il noto critico inglese Garry Bushell citava spiritosamente Paul come il “Signor Di’Anno”, a conferma delle sue origini…Grazie del commento
Ciao Beppe,
Per me, come per quasi tutti i miei coetanei, è iniziato tutto così: ancora minorenni, “Killers” primo vinile acquistato alla sua uscita + “Iron Maiden” per ammortizzare i costi di trasferta al negozio di dischi in città (altri tempi…).
Dobbiamo tutti molto a Paul e tu lo hai ricordato nel migliore dei modi, senza retorica e con racconti di prima mano.
Sarebbe bello se, come tributo, i Maiden ristampassero “The Soundhouse Tapes” in veste ufficiale (quanti unofficial…) con la copertina originale che vede Paul assoluto protagonista.
Leggere questo pezzo mi ha fatto bene: il motivo alla sua base è triste ma sono descritte cose che resteranno immortali.
Grazie!
Un saluto
Ciao Fulvio, anche tu segnali un aspetto fondamentale: sei cresciuto amando la tua musica preferita grazie a Paul e ai Maiden; io ero un pò più “grande”, ma sinceramente devo al fatto di aver puntato sugli Iron Maiden una parte significativa della reputazione che mi è stata attribuita, grazie a lettori che condividevano i miei interessi. Ci sono sempre debiti di riconoscenza. Se leggere il pezzo ti ha fatto bene, per me è gratificante. Grazie.
Ciao Beppe, e grazie per questo splendido articolo, che ha il pregio di soffermarsi sul Paul artista e sull’esplosione di un movimento musicale, che continuo a definire unico ed irripetibile. Per me Paul rimarrà per sempre il Cantante degli Iron Maiden, punto e basta. Ero adolescente nei primi ’80, e i loro primi due dischi mi hanno completamente fulminato, perché sono ad un livello tecnico ed emotivo “hors categorie”, giusto per usare un francesismo, e la figura centrale di quel gruppo era Paul, una vera ” bestia” con un carisma ed una voce unici. All’epoca c’era un programma su TV Koper Capodistria, che noi del nord Italia potevamo gustarci a volta a settimana, e dove ci davano giù forte con il rock e il metal; una delle sigle era proprio quella “Women in Uniform” che hai citato, e per me e i miei amici era diventata il video di culto, non esisteva nulla di meglio. Poi il grande shock, quando girando la copertina del vinile di “TNOTB” appena acquistato ho visto che Paul non c’era più e nella foto del gruppo compariva un biondo cappellone….. E poi ho messo quel vinile tanto agognato sul piatto e sono scoppiato a piangere: i “miei” Iron Maiden non c’erano più, erano diventati un’ altra cosa. Sì, sono un nostalgico, e pur riconoscendo l’enorme valore della band dopo, ritengo che quella di “Killers” sia la formazione migliore di sempre dei Maiden. E non mi si venga a dire che il loro successo sia merito di Bruce (che per inteso non sto affatto criticando); dopo “Killers” erano già in orbita, e oltre al genio di Harris e alla bravura degli altri musicisti, molto di questo volo era merito di Paul, e noi vecchi fans della prima ondata non lo scorderemo mai. Peccato che Paul artisticamente sia scomparso 40 e passa anni fa, un grandissimo talento sprecato, una vita malgestistita se non gettata via, ma quel poco che è rimasto di quei tempi lontani ha un valore assoluto. Addio Paul, e adesso “corri libero”….
Ciao Marco. Quando mi cimento in necrologi, lo faccio se ritengo di aver qualcosa da dire…Come avevo anticipato, oggi se ne potrebbero fare a profusione, ma non possiamo essere omnicomprensivi. Grazie per aver apprezzato. Bello il tuo ricordo di Paul, a conferma che quella mia considerazione sul legame indissolubile con i Maiden sostenuto da tanti fans (in Italia particolarmente) si basava su fatti reali.
Ciao Beppe,Paul Di Anno è stato uno di quei personaggi artistici volenti o nolenti relegati al ricordo di un passato illustrissimo, non a caso la sua scomparsa è stata annunciata come la prima voce dei Maiden tralasciando il suo proseguo delle varie avventure musicali..
Del resto essere ricordati per aver contribuito alla vita artistica di una band di successo,e quello dei Maiden è stato di livello planetario, raramente concede occasione di scinderne il legame e l’ eredità …lo stesso Paul scegliendo il moniker Killers l’ ha dimostrato…
È altresì vero che il suo proseguo di carriera non ha avuto risalto anche per meriti puramente artistici a dimostrazione che certe chimiche(ehm …) siano uniche e irripetibili e i dischi incisi con gli Iron resteranno eternamente tali…
Ciao Roberto, anche artisti più fortunati di Paul sono legati al gruppo più importante di cui hanno fatto parte. Paul ci ha poi messo la sua indole “autodistruttiva” ed anche l’ambizione, mal riposta, di realizzare qualcosa di grande in autonomia. Ha pagato duramente entrambi i fattori. Grazie dell’intervento.
Ero proprio curioso di leggere cosa avresti scritto a riguardo, sulla persona e sull’artista. E le aspettative non sono state deluse. Elegantemente hai sorvolato sull’uomo, il peggior nemico di se stesso, e hai descritto l’artista.
Premettendo che per motivi anagrafici i miei primi Maiden, in tempo reale, furono quelli situati tra Somewhere in Time (in realtà i video che passavano su Videomusic – e scatta la lacrimuccia) e Seventh Son (l’album). Poiché mi piacquero andai a ritroso. Confesso che a mio avviso perfetto come il debutto per me non ne hanno mai fatti. Canzoni che avevano quel fascino oscuro e arcano che rimandava al decennio appena finito , ma che suonavano fresche. Gli arpeggi di Strange World sono inquietanti e al contempo ipnotici. E la voce di Paul? Così autentica, cruda, violenta che sapeva essere melodica. Un talento letteralmente buttato via.
Per dirla tutta, se penso ai grandi cantanti della NWOBHM Diamond Head, Girl, Tygers of Pan Tang, Def Leppard, Saxon non ce ne è uno uguale all’altro e soprattutto uguale a Paul Di Anno (i Samson non li cito nemmeno). Forse, e lo dico a bassa voce, forse solo gli Angel Witch.
Interessantissima l’intervista dell’epoca rispetto a quanto avvenuto (e detto) dopo e, come sempre grazie per i link perché ho avuto modo di ascoltare una The Living Dead veramente bellissima.
Sono tra i pochi (ma forse nemmeno così pochi) che lo preferisce a Bruce (come cantante, l’Uomo è lontano galassie) la cui voce, invece, non mi ha mai preso più di tanto.
Ma al contempo ritengo che se fosse rimasto il gruppo non avrebbe mai raggiunto le vette successive; qualcuno ha scritto “sarebbe imploso”. Lo penso anch’io.
Una domanda frutto della mia ignoranza: ma Paul DiAnno era di origine italiana? Ho scoperto solo con il decesso che si chiamava Andrews.
Ciao Paolo, sul valore insuperato delle composizioni di “Iron Maiden” sfondi una porta aperta. Mi fa molto piacere che hai apprezzato l’innesto dell’intervista, un contributo vero ed originale dell’epoca, con indizi (come ho scritto) di quello che poi succederà: le visioni diverse del gruppo, etc. Dickinson è un grande professionista, con voce più tipicamente heavy metal, quella di Paul aveva un carattere tutto suo. Non penso che gli Iron Maiden sarebbero mai implosi: Steve Harris, un autentico leader “forte”, in caso di necessità avrebbe scacciato chiunque attentasse alla vita del suo gruppo. Se ricordo bene, Paul era di origine siciliana da parte di madre (Di’Anno, appunto). Non ci giurerei però. Grazie.
Ciao Beppe. Ci voleva proprio questo splendido articolo, scritto da chi ha parlato per la prima volta in Italia di “quegli” Iron Maiden. Ci voleva perché, nonostante la notizia della scomparsa di Paul fosse ancora calda, ne ho lette di ogni tipo: immani ca**ate, cattiverie gratuite, storture della realtà. Incredibile. Grazie, nel mio piccolo diffonderò il tuo pezzo il più possibile.
Alessandro
Ciao Alessandro, immagino che tu ti riferisca a interventi sul web: ormai è diventato un tiro al bersaglio, come tragicamente succede nelle strade, è la tendenza generalizzata di questi anni. Non partecipo a polemiche di nessun tipo, invece ti ringrazio della costante fiducia che riponi in me.
Grandissimo ricordo. Grazie Beppe
E tante grazie a te per aver apprezzato. Ciao Matteo