
Un breve commento per introdurre l’ormai periodica serie di Riviews.
Numerosi giudici, persino dal pulpito di Sanremo (nazional-popolare si, ma per la musica leggera), sentenziano che il “rock è morto”. In compenso proliferano tendenze di successo, dal rap al trap all’electro-pop, viziate da un’inconsistente cultura musicale ma ormai impossibili da arginare, ne prendiamo atto. Così come affermiamo che generi fuoriusciti dall’”emancipazione modernista” del rock negli anni 2000, non hanno granché da spartire con quegli stili musicali che abbiamo amato fino agli anni ’90, iniziando il loro triste declino in quel decennio. Metalcore, nu-metal, alt-rock, oppure tendenze estreme agitate dal growl, improbabili fusioni fra pop-rock-metal ed elettronica dove si faticano a distinguere le rispettive proposte, progressive che ormai di prog classico ha solo il nominativo, NON ci riguardano. Vantano già tonnellate di predicatori.
Siamo solo un blog di nicchia, quindi chiunque può tranquillamente fare spallucce, ma una cosa è certa: non inseguiamo l’ultima moda per compiacere chicchessia. Restiamo fedeli alle sonorità che amiamo, poco ci importa che siano vintage e che non costituiscano una priorità per chi cavalca il declino della civiltà occidentale con annesse espressioni più o meno artistiche. Quindi, in queste Riviews troverete solo novità che mantengono vivo, magari ammodernandolo, lo spirito del rock di una volta, oltre alle ristampe di un passato indimenticabile che molti, troppi, tendono a trascurare. Purtroppo non sono il soggetto da “poche righe” per accumulare più materiale discografico possibile, sappiatelo e accontentatevi. Thank You Very Much.
ANGEL: “Angel” 50th Anniversary Edition (Deko)

Il 1975 è stato l’anno di album senza tempo, universalmente incensati, come “Physical Graffiti” dei Led Zeppelin, “Wish You Were Here” dei Pink Floyd e “A Night At the Opera” dei Queen, tanto per citare un’imperitura triarchia. In ambito più strettamente hard’n’heavy, “Toys In The Attic” consacrò gli Aerosmith e Ritchie Blackmore si rilanciò con il primo Rainbow, ma il successivo “Rising” sarà di gran lunga superiore.
Da parte mia, ho sempre provato un’irresistibile attrattiva per i debut-album poiché assai giovane, nel 1970, fui conquistato dalle colossali opere prime di Black Sabbath e Emerson, Lake & Palmer. Quel gusto del “mai sentito” (allora non si producevano copie derivative in catena di montaggio) e dello scoprire inedite, avventurose identità musicali, mi ha sempre enormemente stimolato; questo retaggio si è radicato in me al punto che durante l’attività su carta stampata dagli anni ’80 in poi, quasi tutte le novità intriganti finivano sotto le mie grinfie!
Ecco perché, nella mia personalissima storia del rock, il 1975 è stato innanzitutto l’anno dell’apparizione degli ANGEL.
Contrariamente alla credenza popolare, gli Angel non sono nati per l’omologazione nella categoria “idoli per teenagers” e il loro nome (che sostituiva l’improbabile Sweet Mama From Heaven) si ispirava all’omonimo brano di Jimi Hendrix, tratto dall’LP postumo “Cry Of Love”. Il quintetto si era costituito a Washington DC nel 1974 e la leggenda tramanda che sia stato Gene Simmons a caldeggiarne l’ingaggio a Neil Bogart della Casablanca, dopo averli visti dal vivo in un club. Questa teoria è contestata dal loro esperto biografo, Dave Reynolds, in ogni caso si trattava di musicisti già collaudati: il chitarrista Edwin Lionel Meadows (soprannominato Punky fin da bambino, nessun rapporto con l’imminente “rivoluzione” musicale) aveva già registrato un album con la formazione psych-pop della stessa città, The Cherry People. Poi si era unito ai Bux di Boston (ex Daddy Warbucks): il loro unico LP fu pubblicato tardivamente nel ’76. Ne faceva parte anche il bassista Mickey Jones. Nell’arco temporale fra le due esperienze, Meadows aveva suonato a New Orleans con Gregg Giuffria, tastierista già attivo fra gli altri con David And The Giants. Il cantante di Boston, Frank Dimino, in azione dall’inizio dei ’70 con i Max, aveva raccolto nelle proprie file la sezione ritmica composta dallo stesso Jones e dal batterista Barry Brandt. Inizialmente Frank era riluttante a raccogliere l’invito dei “nuovi Angeli” ma quando Brandt (nel frattempo a W.D.C. nei Cherry People) si unì al gruppo, anche il cantante sciolse ogni riserva.
Presto scritturati dal management Toby, gli Angel dovettero emigrare a Los Angeles, quando furono affidati alle cure dei produttori inglesi Derek Lawrence (Deep Purple, Wishbone Ash) e Big Jim Sullivan, famoso chitarrista e session man. Il lavoro di produzione dell’album d’esordio fu prettamente “tecnico”, perché il repertorio e gli arrangiamenti erano già pronti. Anche per questo si tratta della collezione più spontanea e luminosa degli Angel, che nemmeno indossavano le discusse tenute da Nights In White Satin (cito i Moody Blues, non a caso) come celestiali antagonisti dei Kiss. Li potete ammirare nella loro naturalezza in rare foto (qui riprodotte), anche sulla copertina interna dell’eponimo LP. Assolutamente nulla di “prefabbricato” ad arte per il successo: superba materia musicale e spiccate qualità esecutive non erano affaire da principianti!
“Angel” uscì per la Casablanca nell’ottobre 1975. Non staremmo a cantarne le lodi per l’ennesima volta, se non fosse che la loro attuale etichetta, Deko, ha deciso di celebrarne il 50° anniversario con una ristampa speciale dell’opera che rappresenta il perfetto bilanciamento fra potenza del suono hard e slanci progressive estetizzanti di scuola britannica, in altri termini, il più grande album heavy-pomp rock di tutti i tempi!
Le varie configurazioni sono illustrate sul sito www.dekoentertainment.com. In via d’esaurimento l’edizione “Mega Bundle” (75 dollari oltre alle spese postali ed eventuali dazi del filantropo Trump), che include: vinile splatter bianco e blu – con etichetta Casablanca – oltre al CD, autografi di tutti i membri del gruppo (eccetto lo scomparso Jones) e laminato del tour.
Nessuna traccia bonus, ma bastano ed avanzano le reliquie dell’originale, a partire dal perpetuo brano d’apertura dei loro concerti, “Tower”: un’intro dagli effetti laser che fanno pensare a scenografie da Star Wars, e nell’occasione, il drumming di Brandt resta fra i più spettacolari cicloni ritmici a mia memoria. Poi l’atmosfera fantasy ordita dall’arpeggio di chitarra e dal mellotron, dove Frank Dimino recita uno dei temi mitologici cari ai primi Angel: un cavaliere solitario viaggia nella notte oscura, dove solo la luce di una torre, dal crepuscolo al mattino, guida il suo percorso in una fredda notte invernale…Infine l’esplosione di Frank nelle acrobazie vocali del refrain, l’impeccabile punteggiatura del basso ed un magistrale assolo di chitarra. Niente eccessi, solo pura emozione, e quel suono inaudito del sintetizzatore di Gregg, distinguibile fra mille altri, epico e malinconico insieme. “Tower” rappresenta l’ impareggiabile perfezione nel suo genere.
“Long Time” è il successivo gioiello, si distende in un clima altamente evocativo tracciato dal mellotron. Prima citavo i Moody Blues: certamente loro ed i primi King Crimson rappresentano fonti d’ispirazione, poi gli Angel manifestano il loro potenziale hard rock ed il carisma vocale di Frank è stupefacente. Si avvicendano l’assolo di Punky ed il clavicembalo di Gregg, finché il coro long time… sfuma in lontananza, dispiegando orizzonti onirici.
“Rock & Rollers” è invece il primo passo verso una matrice stilistica prettamente americana e d’impatto immediato, ma il tocco peculiare del quintetto resta inequivocabile. “Broken Dreams” irrompe con un riff che non è blasfemo far discendere da “21st Century Schizoid Man”, ed anche qui rifulge il mai abbastanza lodato Brandt: un brano che avrebbe ben figurato nel repertorio dei classici Atomic Rooster, ma il synth di Gregg è inconfondibile.
Nel verso iniziale, “Mariner” si riallaccia al celebre romanzo di Hemingway (e relativo film con Spencer Tracy) “Il vecchio ed il mare”: il piano di Giuffria accompagna un Dimino da ovazione, poi il mellotron sembra significare il vento che increspa la superficie dell’acqua, in un inesorabile crescendo prog.
Su “Sunday Morning” si addensano invece minacciose nuvole heavy rock: le sfumature progressive, il cantato melodico e le suggestive partiture strumentali plasmano però un mix esclusivo di creatività. Non meno potente, “On & On” fa supporre una risposta americana ai Queen, specie per la chitarra di Meadows, che regge benissimo il confronto con Brian May. Ultima sorpresa: “Angel (Theme)” non è il preludio ma la sigla di chiusura dell’opera: una mini-sinfonia del synth, accompagnato dalla batteria. Sarà riproposta e debitamente rielaborata, in chiusura del secondo album “Helluva Band”.
Questa musica non era assolutamente concepita per un pubblico pop, e la trasformazione degli Angel in gruppo glam anti-Kiss, indotta dai discografici, si è rivelata un passo falso (al di là della perdurante qualità degli album), perché ha scoraggiato l’avvicinamento di un’audience più preparata.
“Angel” resta un assoluto masterpiece. Chi non se ne fosse accorto, è estraneo a questo genere di musica, oppure necessita di un adeguato test uditivo.
DOROTHY: “The Way” (Rock Nation)

Nel 1984, la cantante canadese Lee Aaron si era auto-proclamata Metal Queen, se non con un consenso plebiscitario, quantomeno con credenziali giustificate.
Oggi, se dovessi assegnare lo stesso titolo ad una cantante di tempra heavy rock (l’accezione terminologica di “metal” è ora più radicale) apparsa negli ultimi dieci anni, lo assegnerei indubbiamente a Dorothy Martin. Ne abbiamo già parlato un paio d’anni fa in un articolo dedicato a Wonder Women della scena contemporanea, a seguito del suo più che brillante terzo album, “Gifts From The Holy Ghost” (2022).
Oggi la rockeuse nata a Budapest – ma da tempo residente a Los Angeles – è chiamata a confermarsi con il quarto “The Way”. Nel frattempo, la sua fama si è estesa grazie a collaborazioni eccellenti: con la chitarrista Nita Strauss ha inciso “Victorious”, un inno alla determinazione femminile nell’imporsi ad onta delle proprie difficoltà: un tema evidentemente caro a Dorothy, che ha conquistato ulteriore esposizione a fianco di Slash. Con il chitarrista storico dei Guns N’Roses, la cantante è apparsa dal vivo, ma ha anche registrato come voce solista il brano “Key To The Highway” (tratto dall’album “Orgy Of The Damned”) dove risalta la sua passionale interpretazione rock-blues. Per chiudere la trilogia di featuring, rieccola in duetto con Scott Stapp dei Creed nell’intensa ballata acustica “If These Walls Colud Talk”.
Lo scorso novembre, il singolo “Mud” aveva anticipato l’album con un turgido suono in equilibrio fra hard rock e metal moderno, con impennate di felina aggressività della cantante, sulla spinta dei riff tonitruanti del nuovo chitarrista Sam Bum Koltun. Il filmato sfoggia anche le notevoli grazie di Dorothy, ma prettamente in chiave rocker, senza licenze per ricorrenti pose pruriginose: il suo talento non ne ha bisogno.
Nel brano d’apertura “I Come Alive”, accompagnato da un video d’ambientazione sepolcrale, Dorothy canta “prendo vita quando guardo la morte dritto negli occhi” con verosimili riferimenti autobiografici sul suo passato “spinto al limite” prima di scoprire la fede…L’emozione è palpabile, la musica profonda e permeata di magia voodoo-blues, eppur melodica. L’ispirazione della cantante attinge costantemente dal lato oscuro della vita, chiama in causa i propri “demoni personali”, come in “Haunted House” (ogni giorno è Halloween, quando la tua testa è una casa stregata, senza vie di fuga e piena di cattive intenzioni) oppure in “The Devil I Know” (un fantasma che infesta i miei sogni…ma l’inferno non ha la furia della mia anima); paradossalmente, la musica è heavy, a fosche tinte, ma i refrain assolutamente orecchiabili, rendendo l’esperienza d’ascolto davvero avvincente.
La bravura di Doro Martin è incontestabile, lo dimostra anche nell’atmosfera cinematografica da western-noir di “Tombstone Town”, resa ardente dalla chitarra (e assolo d’obbligo) di Slash che vi partecipa restituendo il favore; nondimeno nelle melodie rock inclini al country di “Puttin’ Out The Fire” e nella ballad nient’affatto edulcorata “Superhuman”. Non colgo sbavature né tanto meno “riempitivi” fra le canzoni di quest’album, certamente all’altezza dell’eccellenza del precedente “Gifts From The Holy Ghost”.
Anzi, “The Way” dimostra come si possa ancora produrre heavy rock di stampo classico con un taglio attuale e personalità nella scrittura dei brani, senza ricorrenti déjà vu (o meglio, déjà écouté…). Se non è imperdibile, poco ci manca.
CRAZY LIXX: “Thrill Of The Bite” (Frontiers)

La Svezia è attualmente il centro nevralgico, in Europa e non solo, del retro-rock ispirato agli anni ’80, sebbene vanti una notevole varietà di “specie protette”, dai teatrali Ghost, ormai stelle affermate, ai prog-modernisti Opeth, per sconfinare nelle gelide terre del metal estremo.
Eredi di uno stile nostalgico dell‘hair metal americano (con il suo concentrato di influssi glam, pop, sleaze…) sono indubbiamente i Crazy Lixx; meritano a buon diritto il rango di veterani di tale revival, che loro stessi hanno contribuito ad originare negli anni duemila.
Abbiamo recensito il precedente album “Street Lethal” del 2021, un assalto frontale al quale era difficile resistere per gli appassionati di un’epoca aurea dell’hard’n’heavy; infatti contestiamo i toni denigratori di certa stampa radical chic, per la quale pochi accordi punk sono sempre più “rivoluzionari” dell’hard rock melodico forgiato con tutti i dovuti crismi.
Nel 2024, il quintetto di Malmö sempre agli ordini del fondatore e vocalist Danny Rexon, si è riaffacciato sul mercato discografico con “Two Shots At Glory”, antologia con inediti; un mese fa è uscito il nuovo album di studio, “Thrill Of The Bite”, adornato da una copertina che emula nella posa fotografica le illustrazioni di Ken Kelly per i Kiss (“Destroyer”) ed i Manowar (“Fighting The World”). Al fianco di Rexon, al bassista Jens Andersson ed al tandem di chitarre, Jens Lundgren e Chrissie Holson, è cambiato solo un fattore, il nuovo batterista Robin Nillson, ma non il prodotto.
Infatti il loro ritorno in azione è esattamente ciò che potevamo attenderci dagli autori di “Street Lethal”. Sembrerebbe limitativo, ma non lo è se valutiamo la carica di un suono viscerale d’indubbia energia, l’impeto delle parti vocali, in altri termini: la credibilità della proposta che non delude le aspettative. Ovvio, non c’è da pretendere nessun cambiamento sbalorditivo dai Crazy Lixx, ma è quello che chiede il loro pubblico? Forse un allineamento a certe lune cacofoniche del metal moderno? Assolutamente no: chi ha amato quel suono, lo desidera divertente e VITALE. Rexon si permette anche di contestare l’affermazione del “leggendario bassista” di una famosissima band, secondo il quale, ormai “il Rock’n’Roll é morto”. Opinione rispettabile di Gene Simmons – da storica icona rock qual è – meno ammirevole quando richiede una cifra astronomica ai fans desiderosi di vivere la bass experience ad un suo concerto!
Crazy Lixx rispondono al suo j’accuse con lo scatenato anthem (e singolo) “Who Said Rock N’ Roll Is Dead”. Il videoclip riporta stralci di un film del ’92, “Wayne’s World”, con protagonisti due nerd appassionati di metal, cameo di Alice Cooper e colonna sonora a base di Queen-Cinderella-Sabbath-Hendrix etc.
Lo start è sbandierato a tutto volume dall’ancor più roboante “Highway Hurricane”, mentre “Recipe For Revolution” è un mid-tempo a tambur battente di cui si sono quasi perse le tracce. Prevedibilmente, non si contano le affinità con il passato, dal riff graffiante simili-Ted Nugent in “Run Run Wild” all’irruenza al pari degli Skid Row nell’edonistica “Little Miss Dangerous”. Nessuna rituale ballata nella “sporca decina” di brani, solo una concessione alla melodia più ariosa di “Hunt For Danger”.
Che il party (metal) abbia inizio.
THE NIGHT FLIGHT ORCHESTRA: “Give Us The Moon” (Napalm)

Si può essere alquanto critici nei confronti di correnti rock e metal emerse negli ultimi trent’anni, ma talvolta fattori di pregiudizio possono inibire l’ascolto di proposte musicali sorprendenti.
L’alleanza stretta nell’ormai distante 2007, fra il cantante Bjorn Strid ed il chitarrista Dave Andersson – già insieme nei Soilwork – con il bassista degli Arch Enemy, Sharlee D’Angelo, non era tale da sollecitare l’attenzione di chi era cresciuto attingendo a fonti classiche del rock (pur riconoscendo a quest’ultimo la militanza nei retro-stoners Spiritual Beggars). Invece The Night Flight Orchestra hanno presto palesato un insospettabile e competente amore per le limpide sonorità dell’AOR anni ’80. Tutti noi, ascoltatori di lungo corso, giudichiamo insuperabili i maestri di siffatto genere (e non è il caso di nominarli per l’ennesima volta), ma dobbiamo anche ammettere che non tutto ciò che si estraeva nella miniera d’oro degli Ottanta fossero luccicanti pepite. Vivacchiavano anche numerosi gruppi derivativi; rispetto a questi ultimi, formazioni contemporanee come gli svedesi Nestor, Daytona, Perfect Plan e prima di loro, The Night Flight Orchestra, hanno dimostrato che il tempo non è trascorso invano, e si possono rielaborare con freschezza e creatività attuale anche canoni musicali relegati nel passato. Quel che conta, per l’ennesima volta e più che mai in questa arena (rock), è la qualità delle canzoni.
Si poteva semmai dubitare che i NFO, reduci dalla non irresistibile coppia di album degli anni 20-20 (“Aeromantic” e “Aeromantic II”), a maggior ragione dopo l’abbandono del tastierista Richard Lanford ed il prematuro decesso del principale compositore, David Andersson, potessero ancora decollare verso l’AOR Heaven. Invece il rinnovato equipaggio è pronto a superarsi, ed il settimo album “Give Us The Moon” è quanto di meglio potessimo aspettarci dal loro come-back, rappresentando un termine di paragone difficilmente eguagliabile dai competitors in circolazione.
Dopo il gimmick d’apertura, ossia la “chiamata finale” per il volo da parte delle hostess, il Jet dei NFO imposta subito le giuste coordinate in “Stratus”: immaginifica intro di tastiere, che poi combinano con la chitarra il riff trainante, cori d’effetto ed un’atmosfera che riecheggia gloriosi slanci di Asia, Shooting Star, Styx. “Shooting Velvet” ha un refrain talmente accattivante da teorizzare una versione rock degli Abba (non sottovalutate uno dei più originali gruppi storici di popular music) anche grazie al contributo delle coriste, fondamentale nell’intero sviluppo del disco.
“Like A Beating Of My Heart”, oltre alle armonie vocali a presa rapida, contempla una ritmica dance ed un sofisticato arrangiamento pomp-rock. La voce di Bjorn suscita il paragone con uno dei più nobili rappresentanti del classico AOR, Bobby Kimball dei Toto, ed anche per questo motivi salienti quali la ballata in crescendo “Paloma”, l’arrangiamento di prima classe di “Cosmic Tide” o il ritmo funky di “A Paris Point Of View” si confrontano senza complessi di inferiorità con il più versatile gruppo storico di L.A.
Altri episodi come la title-track oppure “Way To Spend The Night” (in quest’ultima emerge più che altrove l’affinità con la scena svedese) dimostrano come sia la capacità di comporre anthem accattivanti a far la differenza e onestamente, non trovo nulla di trascurabile in quest’album altamente consigliato anche a smaliziati cultori del rock melodico.
BON JOVI: “Slippery When Wet” Deluxe Edition (Universal)

Dopo il promettente album d’esordio, Bon Jovi ottenevano analoghi risultati di vendita con il successivo “7800° Fahrenheit” (1985), ma i progressi sul fronte commerciale non corrispondevano alle maggiori aspettative del loro entourage e della casa discografica, che s’interrogavano sulla rendita dell’investimento. Il tour americano con i Ratt rappresentò l’inversione di tendenza, poi l’ascesa dei Bon Jovi era confermata dalla partecipazione al “Farm Aid”, lo spettacolo benefico organizzato da John Cougar nell’estate 1985 a favore degli agricoltori americani vessati dalla politica reaganiana. Il gruppo del New Jersey poteva così esibirsi di fronte a oltre 80.000 presenti; l’evento era inoltre seguito da milioni di telespettatori. Un’occasione di incalcolabile portata promozionale che certamente gettava le basi per il macroscopico successo del terzo album, “Slippery When Wet”. Ma il gruppo non dimenticava l’accoglienza favorevole del pubblico inglese, e dopo il primo tour in qualità di attrazione principale, in maggio, tornava trionfalmente nel Regno Unito in occasione del festival “Monsters Of Rock” di Castle Donington (agosto 1985). I Bon Jovi erano in programma come terzo gruppo più importante dello spettacolo, dopo ZZ Top e Marillion, ma davanti ai Metallica e agli stessi Ratt.
Eccitato dall’entusiastico bagno di folla, Jon manifestava profeticamente il desiderio di tornare come headliner, onore che gli spetterà due anni dopo. A fine anno l’intensa esposizione dal vivo del gruppo aveva proiettato “7800° Fahrenheit” oltre il milione di copie vendute a livello internazionale, scongiurando così le riserve sul potenziale dei Bon Jovi. Il quintetto era ormai pronto a dare il colpo di grazia: il successivo “Slippery When Wet” (agosto 1986), diventa infatti l’apoteosi, sia sotto il profilo artistico che sul piano commerciale. Il suo record di vendite ammette rari paragoni: oltre 28 milioni di copie vendute nel mondo, di cui 15 negli U.S.A., dove ha regnato per due mesi al primo posto della classifica di Billboard, con una permanenza consecutiva in classifica ben superiore all’anno, che l’ha reso l’album in assoluto più venduto in America nell’87.
Il terzo Bon Jovi incarna la perfetta formula party rock, ovvero una collezione di contagiosi successi pop dispensati a colpi di martello attraverso scoppiettanti ritmi hard. In origine la copertina doveva raffigurare una procace fanciulla che esibiva una succinta T-shirt bagnata con il titolo del disco; ma la foto appariva troppo spregiudicata e dunque confinata al mercato giapponese e a pochi altri. La formula vincente è la collaborazione con il produttore canadese Bruce Fairbairn e con il compositore Desmond Child.
Come se non bastasse, completava il team un altro grande prospetto, l’ingegnere del suono Bob Rock. La stessa trilogia d’assi rilancerà prepotentemente gli Aerosmith di “Permanent Vacation”. All’epoca dell’alleanza con Bon Jovi nessuno di loro aveva ancora legato il proprio nome a realizzazioni discografiche di risonanza assoluta. Fairbairn, che vantava importanti esperienze con Blue Oyster Cult, Black’n’Blue, Loverboy e vari artisti dell’AOR canadese, forgia per il disco l’ideale suono pop metal di metà anni ’80; Desmond Child, un personaggio cult nell’ambito del rock melodico – specie per il secondo album con le Rouge, “Runners In The Night” – ha la tempra del compositore di anthem a presa rapida. Infatti “Slippery When Wet” è letteralmente costellato di brani orecchiabili e trascinanti.
Restano comunque maggiormente impressi i singoli più famosi, come “You Give Love A Bad Name”, subito al primo posto negli Stati Uniti nonché archetipo di altri successi dalla formula affine firmati Desmond Child, e “Livin’ On A Prayer”, dove per la prima volta Jon avvicina lo stile springsteeniano e la sua visione piuttosto enfatica dell’eroe della classe operaia. Ma il pezzo che sbaraglia la concorrenza è “Wanted Dead Or Alive”, magistrale power ballad che rievoca nel prologo acustico i Led Zeppelin nonché il fascino dei grandi orizzonti cinematografici western. Il cantante caratterizza il brano con una delle sue più intense interpretazioni da credibile, moderno desperado.
Pronti per la conquista del pianeta, i Bon Jovi partivano alla volta di un ambizioso giro del mondo in 16 mesi, che giungeva all’apice quando il gruppo ribadiva il suo ruolo di nuova superpotenza sul fronte di Castle Donington (22 agosto 1987) in qualità di principale attrazione del festival “Monsters Of Rock”.
In anticipo rispetto al suo 39° anniversario, “SWW” riappare sul mercato in una nuova edizione picture disc, che riproduce la copertina più diffusa, senza variazioni contenutistiche, oltre al doppio CD che aggiunge 7 tracce bonus. La più stimolante è la versione acustica della classica “Wanted Dead Or Alive”, impreziosita dai ricami della chitarra di Sambora e con la voce di Jon più abrasiva del solito. I differenti mix di “Livin’ On A Prayer” e “Raise Your Hands” sono semplicemente più estesi, con un saggio di solista powerhouse in apertura della seconda. Si evidenzia poi una sintesi del concerto del marzo 1987 (ancora “Livin’ On A Prayer” e “Wanted…”) alla leggendaria Cobo Arena di Detroit, con pubblico particolarmente hot che richiama l’atmosfera infuocata dello storico “Alive” dei Kiss. In chiusura il remake, fin troppo prolungato (circa 12 minuti fra intrattenimento con l’audience e divagazioni strumentali), dell’inno “Let It Rock”. Segnalo che stante l’enorme notorietà del disco, le proposte d’ascolto a margine sono tutte tratte dal bonus CD.
Piaccia o meno, “Slippery When Wet” è una pietra miliare della musica giovane degli anni ’80 (non è questione di sottogeneri, AOR, pop-rock o hair metal che dir si voglia), perché allora Bon Jovi erano realmente un’invincibile armata del rock & roll.

Caro Beppe, ti informo che mi sei costato una cifra perché dopo l’ascolto degli splendidi House of Lords, mi sono dovuto procurare tutti i cd degli Angel, che erano disponibili solo in versione giapponese all’epoca..ma comunque grazie , ( ps. invece i Giuffria si trovavano facilmente a special price); sui Bon Jovi gruppo che mi aperto la strada al Hard rock e che oggi amo ancora incondizionatamente, posso solo esprimere un giudizio di parte ovviamente, infine anche io trovo molto bello l’album dei Crazy Lixx, un glam anni 80 che oggi ne Motley ne Poison purtroppo sono più in grado di fare, il tutto alla faccia della nostalgia….
Ciao Raffaele, sono contento di averti spinto ad ascoltare gli Angel; per quanto riguarda le spese, beh ognuno deve fare i conti con le proprie risorse, ma non credo che te ne sia pentito. Comunque agli eventuali interessati, faccio presente che esiste un box (economico) della Caroline/Universal, intitolato The Casablanca Years, che include tutti i 6 CD degli Angel (compreso il live) di quell’epoca, più un CD di Rarities. Fa piacere che qualche lettore dia fiducia ai nuovi gruppi, che servono anche a portare avanti la tradizione e a farla riscoprire ai volonterosi. Nel tuo caso, hai apprezzato i Crazy Lixx. Sinceramente grazie del riscontro.
Ciao Beppe, ho conosciuto gli Angel per un tuo articolo su Rockerilla, i faraoni del white metal, e da allora ho recuperato tutti gli lp. Mi piacciono un tutte le forme,da quella più pomp dei primi due a quella più pop degli altri ( ero/sono assolutamente d’accordo con te nel definire Sinful, Firepower dei Legs e Violation degli Starz il trio da antologia per tutto il metal pop! ). Bon Jovi sicuramente hanno segnato un’epoca, ma personalmente rimango più affascinato da un suono più ‘ricco’, come i Prophet di Cycle Of The Moon, che non al party rock di Slippery ( comunque grande intendiamoci, nella mia scala di valori superiore ad esempio ai Warrant di Cherry Pie ): insomma tutto sommato rimango più ancorato al debutto. Per i nuovi devo prendere NFO perché ritengo Amber Galactic un album sontuoso. Grazie Beppe! Con te si respira sempre aria di Shock Relics Ps: sono assolutamente d’accordo con l’introduzione!
Ciao Fabio, bentornato. Aver diffuso certi artisti/gruppi in Italia dove nessuno (all’epoca) se ne occupava per me è motivo d’orgoglio. Che appassionati poi diventati scrittori di musica rock se lo ricordino, anche! Angel, Starz e Legs Diamond erano una santissima trinità Hard Rock. Sulle preferenze personali poi, non si può obiettare. I NFO continuano a riscuotere i maggiori consensi fra i gruppi degli anni 2000 trattati. Che si respiri ancora aria di Shock Relics (e non di muffa!) è pure un motivo per recuperare certi dischi cogliendo l’occasione della ristampa; poi ci sono dovuti aggiornamenti, sui quali i lettori più presenti esprimono parecchie riserve. Ma sono a loro volta necessari ad un ricambio generazionale che inviti anche al recupero della storia! Grazie di aver gradito.
Ciao Beppe, ribadisco quanto detto precedentemente in commento ad altri argomenti trattati… per me è difficile apprezzare più di tanto le proposte musicali odierne perché non provo lo stesso coinvolgimento emotivo che scaturiva anni fa quando la musica non era appannaggio di condivisione scellerata da streaming ma oculata scoperta da ascolto da supporto fisico quale vinile e poi malauguratamente CD… oggi sono considerati boomer quelli che rimandano i tempi passati come migliori? ebbene lo sono… che il rock sia morto lo dimostra che il concerto d’addio dei Black Sabbath abbia esaurito i biglietti a tempo di record e ho detto tutto….tra poco torneranno gli AC/DC in Italia e sicuramente faranno un exploit come l’ anno scorso quindi… lasciamo le sparate a chi pensa che siano artisti i nuovi fenomeni dell’ autotune e curiamoci di preservare chi come te Beppe divulga il suo sapere sulle basi di un’ esperienza e cultura concreta in materia di musica.. personalmente continuerò ad amare gli Angel anche se dimenticati e snobbati dai più compreso gli espertoni del genere e pensare che The fortune sia uno dei brani più belli del Rock ….dei Bon Jovi credo che non serva commentare ulteriormente,mentre gli altri nomi citati carini e basta, niente di che strabiliarsi… piuttosto mi sarei aspettato che recensissi i Ghost il cui nuovo singolo quello sì mi ha stuzzicato..
Ciao Roberto, mi dici dei Ghost di cui ho parlato ripetutamente e che ammiro moltissimo…Il nuovo singolo “Satanized” l’ho ascoltato e mi piace, ovvio, ma il nuovo album “Skeletà” uscirà il 25 aprile! Ormai sono superstar, presumo che riceverò il preascolto ma non si potrà recensire prima della data stabilita dalla label, a meno di anteprime riservate a mezzi di importante diffusione, funziona così. Oltre un mese prima della pubblicazione difficile che avvenga. Per esempio ho a disposizione il nuovo Smith/Kotzen, ma si potrà recensire dal 1 aprile in poi (anche se la data fa sorridere). Per quanto riguarda le novità, la mia linea la conosci, capisco che non si possano paragonare i NFO agli Angel, non è certo mia intenzione. Fra l’altro “The Fortune” l’ho trasmessa in una mia playlist personale qualche tempo fa in Linea Rock (Radio Lombardia) e ci torno il 27 marzo. Grazie della fiducia sull’esperienza!
Ciao Beppe
Parto con una critica..
Scrivi troppo poco!!!
Quanti dischi ho comperato a scatola chiusa leggendo le tue recensioni solo immaginando la musica,e non credo di aver mai sbagliato un acquisto”consigliato”.
Venendo ai giorni nostri,poco ho ascoltato e distrattamente dei Crazy Lixx…ed anche a sto giro non mi sono pentito del”consiglio”.
Mi fa piacere che pure tu apprezzi The NFO che ritengo essere a pari dei loro compaesani Ghost le più liete novelle dell ultimo decennio in ambito hard rock.
Alla prossima….
Ciao Paolo, tante grazie della stima, anch’io vorrei scrivere di più ma sono a mio modo meticoloso e col passare del tempo, un pò lento. Però queste cinque Riviews sono decisamente lunghette, specie quelle delle ristampe. Ben più degli spazi che occupavo a suo tempo sulle riviste mensili (si parla delle recensioni). Fortunatamente c’è chi apprezza anche i dischi nuovi (ma capisco le riserve degli altri). Penso comunque che i Ghost siano di livello superiore, specie per la versatilità della loro musica, ed attendiamo tutti il nuovo album “Skeletà” a fine aprile. Alla prossima, ok!
Interessante il dibattito se il rock sia più o meno morto … di certo non si può dire goda di ottima salute dato che il mainstream attuale è ben diverso (come d’altra parte hai ben sottolineato nell’introduzione) … personalmente mi accontento di far rivivere l’epoca aurea del vero rock con l’ascolto quotidiano di capolavori come per l’appunto il primo Angel (per inciso io preferisco Helluva Band e Sinful/Bad Publicity) … se poi possedessi una macchina del tempo per vedere i miei tanti eroi dei seventies dal vivo, potrei tranquillamente soprassedere allo squallore contemporaneo …
Ciao Giuseppe. Eh già, c’è una certa dose di rassegnazione negli ascoltatori non più giovani nei confronti del rock attuale, ma ognuno fa le proprie scelte. Per quanto riguarda i nostri Angel, aggiungo che a detta degli stessi musicisti, si sono troppo concentrati sulla splendida “The Fortune”, trascurando un pò il resto di “Helluva Band”, che resta un gran disco. “Sinful”, è generalmente considerato il loro classico in ambito pop-metal, e ribadisco, sarebbe stato perfetto in epoca “hair”, ma loro erano parecchio in anticipo. Quella “macchina del tempo” la vorrebbero in molti. Grazie dell’opinione.
Buongiorno Beppe.
Sottoscrivo ogni parola dell’introduzione.
Venendo alle recensioni, poco da aggiungere a quanto hai scritto su Angel e Bon Jovi, diffondere vieppiù la qualità di certi capolavori discografici non è mai abbastanza; anche perchè vista la qualità della roba che gira oggigiorno, personalmente preferisco ascoltare per l’ennesima volta Slippery…. o l’omonimo degli Angel. Discorso ormai fatto e rifatto, anche su questo blog, ma sempre valido.
Riguardo ai dischi contemporanei proposti, sono onestamente poco preparato, ma ascoltando qualcosa in rete di The Way, mi pare che sia la cosa migliore. I Crazy Lixx mi dicono poco e per quanto i NFO (che mi pare raccolgano molti consensi), sbaglierò, ma ho l’impressione di ascoltare una specie di parodia dell’AOR, che sia voluta o meno. In ogni caso, e al di là dei gusti personali, questa rubrica è sempre super gradita.
Ciao Lorenzo, una prefazione di quel tipo andava fatta, era da un pò che ci pensavo, e secondo mia attitudine, preferisco inserirla in un contesto generale dove possa funzionare da “cappello introduttivo” piuttosto che farne un pamphlet polemico e stop. Cerco di unire nelle Riviews i classici di un tempo ad epigoni degni e di radice musicale affine, proprio per non apparire legato solo al passato. Bisogna pure guardare avanti, anche se chiunque è padronissimo di far come crede. Dorothy è assolutamente degna di essere ascoltata, i brani sono molto belli, e nel loro ambito i NFO sono delle priorità. Vero, il look del gruppo (comprese le hostess), sottende una certa ironia di fondo, ma ciò non significa che vogliano smitizzare l’AOR (non ce n’è bisogno). Inoltre compongono molto bene. Grazie per la rubrica “super gradita”.
Ciao Beppe, gli Angel sono stati per decenni oggetto di culto e di dischi introvabili; ora è tutto così semplice ma quei tempi in un certo senso li rimpiango, i dischi si “sudavano” e poi li si imparava a memoria. Ti dico la mia sugli Angel: interessanti, ma non mi sono mai piaciuti più di tanto. Qualche canzone importante per disco, ottima tecnica, ma onestamente non ho mai compreso cosa in realtà volessero fare, forse neanche loro, e non mi sorprende che abbiamo avuto un successo commerciale limitato. E passiamo al sig. Bongiovi e ai suoi amici d’avventura. Nulla da dire su “Slippery…”, è un disco fatto bene, soprattutto per il pubblico americano, contiene 2 o 3 hit di valore, ma come per tutto quello che ha fatto, gli riservo un ascolto e poi via. Niente da fare, non mi hanno mai preso e mai lo faranno; posso ascoltare 10 volte di fila un “Four” dei Foreigner o un “Escape” dei Journey, giusto per restare in un certo ambito, ma loro no. E “Slippery…” è quello meglio, pensa gli altri (e i primi 5/6 ce li ho tutti). Comunque riconosco che i BJ hanno saputo vendersi bene, e quindi tanto di cappello lo stesso, anche se poi sono invecchiati male, con dischi smielosi e poco interessanti. Le “nuove” proposte non mi sembrano granché, ma non mi piace giudicare definitivamente dopo un breve ascolto; approfondirò. Come sempre grazie per i tuoi articoli e alla prossima.
Ciao Marco. Ebbene, se gli Angel fossero piaciuti a tanti come al sottoscritto, sarebbero andati in cima alle classifiche. Quindi non sto a ribadire il mio pensiero. Aggiungo solo che i due primi album non era affatto commerciali; i successivi tre (oltre al live) a mio avviso, soprattutto “Sinful”, se fossero usciti nell’era di MTV avrebbero sbancato. E questo lo pensano vari esperti in voli “angelici”. Su “Four” ed “Escape” sfondi una porta aperta, ma ritengo che Bon Jovi meritino più considerazione, anche per aver avvicinato il grande pubblico al loro genere di musica. Le “nuove proposte” non inventano nulla, ma fanno in modo convincente il loro. Un pò di fiducia, concedila, si tratta comunque di tre personalità musicali ben differenti, scelte apposta come rappresentative (per me). Grazieee
Ciao Beppe,
Pur nell’immenso rispetto per Angel (soprattutto) e Bon Jovi, non sono un grande fan delle “Anniversary Edition” et similia, salvo rare eccezioni.
Per mio limite non riesco a farmi piacere le female vocals, e anche Dorothy la mettiamo, ingiustamente, da parte…
Per giustificare il fatto di essere qui a scrivere resta quindi in piedi solo la “lotta” tra “Crazy Lixx” e “The Night Flight Orchestra” per la più coerente evocazione dei nostri irripetibili anni ’80.
Certo, stili molto diversi ed ognuno potrà trovare la sua “cup of tea”.
Pur essendo una competizione anacronistica e di mia pura invenzione, per me “The Night Flight Orchestra” vincono a mani basse per l’abilità compositiva e la freschezza che riescono a trasmettere con questo album.
Anche io dopo i due Aeromantics e le note vicissitudini in seno alla band non ci avrei sperato e sono rimasto favorevolmente stupito.
Last but not least…sposo totalmente quanto da te espresso nelle premesse.
Grazie sempre per i tuoi preziosi scritti, leggo sempre e commento quando riesco…
Un saluto
Ciao Fulvio, stavolta inizio ringraziandoti perché il “leggo sempre e commento quando riesco” va benissimo. Per quanto riguarda le riedizioni, lo scopo non è tanto di spingere all’acquisto, quanto aver un’occasione importante d’attualità per trattare di nuovo artisti ed album interessanti (dal “fondamentale” al “significativo”, ci sono ordini di valore). In fondo, uno scopo del Blog è proprio ripresentarmi/ci con ciò che è stato valorizzato a suo tempo anche dalla mia/nostra azione. Ad esempio, il 50° degli Angel l’ho ordinato in USA e mi sarà spedito a fine marzo (mail di ieri), ma i contenuti sono ben noti e le informazioni relative agli “accessori” pure, quindi ne ho scritto perché le edizioni limitate sono tali, per il lettore eventualmente interessato. Altrimenti, si tratta di un “mini-trattato” di storia rock (che piace a me) idem Bon Jovi. A proposito dei NFO posso dirti che il consenso su questo gruppo è pressoché unanime. A risentirci.
Si,continuano a dirlo tutti che il rock è morto. Però lo sento da quando ero adolescente e impazzava il punk. Poi però arriva la NWOBHM e tutti zitti per un decennio almeno. Poi arriva Nevermind e sfascia tutto. Poi arrivano i Pantera e buonanotte. Però il rock c’era sempre. Il problema è che finora la gente ha sempre suonato e ha tirato fuori qualcosa da pelli e corde, ma adesso quello che senti per la maggior parte è artificiale. Non è neanche un problema di avere gente che suona perché tanti sono in camera a provare e riprovare, ma “non è il momento “. Ma il rock è vivo. Sono andato lo scorso week end a una fiera del vinile e c’era una marea di gente a scartabellare vinili da lacrime agli occhi, con prezzi da infarto ma questo è un altro discorso, TANTI giovani. E tutti a girare e rimirare i vecchi classici. Ho speranza, anche perché Lucio Corsi me l’ha riaccesa improvvisamente mentre sonnecchiavo stancamente davanti allo schermone . Mi ha fatto dire che forse ci risiamo. Forse.
Ciao Maurizio. Non volevo polemizzare, tanto non serve a nulla al giorno d’oggi quando tutti si fronteggiano senza metter in discussione le loro convinzioni, intendevo solo aprire una parentesi e chiarire cosa tendenzialmente aspettarsi da questo Blog. Ultimamente non frequento le Convention, perché non mi piace veder esposte cifre esorbitanti, quando magari alcuni dischi sono stati recuperati a prezzi stracciati. Comunque ci tornerò…Prendo atto volentieri della tua esperienza, spero che sia così più in generale, ed ho sempre sostenuto che “corsi e ricorsi” della storia (anche della musica) riportano in auge certi fenomeni. Che poi, salvo ECCEZIONI, il rock possa tornare in massa quello di una volta, beh sono scettico a riguardo. Grazie del contributo.
Ciao Beppe, attendevo questa tua sontuosa celebrazione dell’esordio omonimo degli Angel, band che mi hai fatto scoprire negli anni 80 con i tuoi articoli. Oggi è facile ascoltare tutto dovunque, ma all’epoca si dovevano sudare le proverbiali sette camicie per reperire i loro LP, peraltro a prezzi decisamente importanti. Poco da aggiungere a quello che hai scritto: posso solo dire che personalmente apprezzo gli Angel pop metal di White Hot e Sinful quanto quelli dei primi due. Spero che lo stesso trattamento venga riservato dalla Deko anche a Helluva Band, anche perché reputo l’intro di The Fortune addirittura superiore a quello di Tower. Parere soggettivo, ovviamente. Riguardo agli altri album trattati in generale, mi fa molto piacere che tu abbia apprezzato i The Night Flight Orchestra: secondo me hanno una marcia in più rispetto alla stragrande maggioranza della concorrenza di oggi. Ciao!
Ciao Alessandro, i miei “Angeli custodi” sono stati assolutamente all’altezza anche negli album successivi, ho perso il conto di quante volte li ho trattati. Ad esempio, anche all’esordio sul Blog, con i loro 10 brani consigliati: fra questi naturalmente “The Fortune”, con la miglior performance di Giuffia in apertura, per il resto un seguito ideale di “Tower”. Proprio per aver tanto (secondo alcuni, troppo…) scritto a riguardo, qui volevo proporre una diversa chiave di lettura (avvalorata anche dalle foto), ossia il loro esordio niente affatto riconducibile a montature commerciali. Che poi siano stati rivestiti di “bianco” per spingerli verso il successo, con uno show altamente spettacolare, questo non toglie nulla alle loro qualità. The Night Flight Orchestra li hai sempre caldeggiati e già recensiti sul blog “Déjà Vu”, meritavano ampiamente spazio anche qui. Grazie tante.