Dagli archivi riemerge per caso una registrazione del 1990 al Town & Country Club di Londra e con la sua pubblicazione riemerge con lei la nostra antica passione per uno dei musicisti più spontanei e credibili su un palco.
Il mio ultimo ricordo di Rory è di un uomo ingrassato, ma forse sarebbe meglio dire gonfio, curato con steroidi a causa del fegato malato, problemi alla tiroide, psoriasi ma fondamentalmente sofferente per anni di assunzione di alcolici che ne avevano minato il fegato. Non indossava la sua classica camicia a quadri e il giubottino di jeans ma una giacca di pelle, che nel caldo dell’estate italiana, nella Piazza del Duomo di Pistoia, faceva un notevole contrasto con un uomo che pareva non soffrire la temperatura; era il luglio del 1994. Aveva appena terminato il suo concerto, di cui avevo concordato le riprese qualche ora prima con in fratello Dònal, l’uomo che ne curava parte dell’aspetto manageriale da quando i Taste si erano malamente separati a causa di un manager che Rory definì, all’epoca, come “un vero bastardo”.
Rory era il prototipo del vero musicista appassionato. In tutta la sua carriera non era mai riuscito a dare l’impressione di star lì per far soldi, ma per suonare rock e blues, per onorare la musica che aveva imparato ad amare. Non aveva mai rincorso le mode e gli atteggiamenti, l’estetica ed il cambiamento dei tempi : Rory suonava la sua musica, la musica che amava e che amava, soprattutto, far ascoltare a chi lo amava. Era un soggetto tanto esuberante ed esplosivo su un palco quanto fragile e semplice al di fuori : il ragazzo che pareva sorridere solo sul palco e al di fuori aveva sempre quella espressione di velata tristezza, come se si sentisse lontano dal suo posto preferito. Incontrarlo e parlargli era come fare due chiacchiere con un amico : impossibile non adorarlo. Rory era l’uomo che, nato Ballyshannon e trasferito a Cork, aveva portato in giro nel mondo l’essenza irlandese – il cui accento non aveva mai “americanizzato” come la maggioranza dei suoi simili – la forza di una musica tanto semplice da approcciare quanto difficile da riprodurre, il musicista che aveva adorato i classici del blues nero ed aveva imparato ad amare il blues elettrico da Muddy Waters. Rory, per quasi trent’anni è stato sinonimo di pura essenza di rock and roll, una vera esplosione di energia dal vivo, perché per quanto belli e pieni di eccellenti composizioni, i suoi dischi di studio non riuscivano mai a rendere l’idea di cosa lui fosse dal vivo. A Rory Gallagher vanno iscritti almeno tre album dal vivo imprescindibili per chi voglia sostenere di avere una buona discografia del genere : Live in Europe , Irish Tour 74 e Stage Struck, gioielli di tre diversi momenti cristallizzati per sempre su vinile e cd.
Certamente, ci sono Photofinish, Tattoo, Top Priority, Deuce, Blueprint album luminosi, con grandi brani… ma l’esperienza live non lasciava confronto possibile. Insieme a una manciata di altri artisti, Gallagher è il musicista che più volte ho avuto la fortuna di poter vedere su un palco, sicuramente più di dieci volte. E nessuna mi ha mai deluso.
Non esiste un periodo migliore, né una band in particolare, dato che il fedele Gerry McAvoy lo ha praticamente sempre accompagnato al basso e solo pochi batteristi si sono alternati… il mio preferito era Ted McKenna… un trio completamente irlandese con il solo Lou Martin ad accompagnare alle tastiere per il periodo mediano. Al finire dei settanta, Rory fu scosso dalla cometa punk, e più dall’istinto dell’impatto sonoro che, ovviamente, dal genere. Per un paio di anni difatti scelse di spingere ancora oltre la forza del suono della sua vecchia Stratocaster; era quello il periodo fissato da Stage Struck, una vera bomba di album.
E d’altra parte, al di là della leggendaria frase attribuita ad Hendrix (“Come ci si sente ad essere il chitarrista migliore al mondo? Chiedetelo a Rory Gallagher!”) su cui ho sempre personalmente nutrito dubbi, è Rory che vanta estimatori che coprono vari generi e stili, da Joe Bonamassa a Slash, da Ritchie Blackmore a Alex Lifeson, Larry Corryell, Ace Frehely… e tra solisti, gli apprezzamenti non sono facili da regalare…
Oggi, pare per caso, riemerge una registrazione del 1990 in un teatro che ha cambiato nome e pure aspetto, se non luogo. Londra è davvero il centro del mondo per locali e possibilità di suonare e veder suonare, pare che la vita della Città e il pulsare del suo cuore debba andare di pari passo con la musica rock. Ed anche se gli inglesi, ogni tanto, scivolano su una follia irrispettosa e chiudono templi intoccabili come il Rainbow, il Marquee Club dimenticando di spezzare il cuore di milioni di appassionati, riescono comunque a mantenere altissima la potenzialità e la presenza di luoghi destinati alla musica. Nel 1990 quello che oggi è chiamato O2 Forum, a Kentish Town, si chiamava Town & Country Club, un bel teatro dalla architettura imponente e dall’interno splendidamente gestito. Rory presentava quello che sarebbe stato il suo ultimo disco di studio, Fresh Evidence, ed iniziava ad essere rincorso dai suoi fantasmi : la paura di volare che lo attanagliava sempre più, il terrore di non essere al passo con i tempi, la solitudine. Una serie di angosce che ebbero una parte importante negli ultimi anni della sua vita; difficile se non impossibile suonare in America, più complicato girare in Europa, facile ricorrere sempre più spesso all’appoggio del bourbon Four Roses, difficile gestire la vita da solo, senza una compagna fissa ed una famiglia, tranne l’inseparabile fratello.
E’ questa del Town & Country una registrazione importante perché risalente a un periodo non esplorato dalle uscite dal vivo, essendo il precedente Check Shirt Wizard di tre anni fa, un doppio veramente bello, datato 1977. Che dire del disco ? E’ Rory. Con la sua voce roca, la sua tecnica raffinata che riusciva ad rendere ritmica e solista senza una seconda chitarra ad aiutarlo, neppure quando cantava… una cosa difficile da fare, chiedetelo ai più grandi esecutori… una sezione ritmica robusta a supportarlo e una sequenza di brani a metà tra il nuovo ed il classico del passato a fissare una scaletta che avrebbe dovuto portarlo lontano. Colpisce la scelta di proporre brani di grande effetto come Shadow Play… tra le mie preferite di sempre, un brano al limite dell’autobiografico, che mostra la difficiltà di sentirsi sempre a proprio agio… o Shin Kicker , Messin’ With the Kid, tutte in un tempo ristretto, più breve del solito. Una scelta che voleva, forse, lasciare più spazio ai pezzi nuovi. A metà della registrazione, quasi sicuramente integrale, l’ormai imprescindibile intermezzo acustico, con quella che per me resta una delle canzoni da cowboy più immediate insieme alla Cowboy Song dei Thin Lizzy : Out On The Western Plain. Un momento topico dei concerti di Rory, che era un mago anche alla chitarra acustica. Uno dei miei ricordi dei suoi concerti è proprio quella sorta di intermezzo, in cui Gallagher si sedeva su uno sgabello e restava solo a imbeccare i cori nei tre, talvolta quattro, brani acustici nel corso dei quali non volava una mosca e l’apprezzamento era assoluto, perché d’altra parte, quando un grande è tale lo è anche quando decide di …rallentare il ritmo del battito della sua musica.
A chiudere questo album diverso da tutti gli altri proprio per la presenza di brani inediti, dal vivo chiaramente, quella All Around Man che dà il titolo al disco : All Around Man – Live in London.
Se vale la pena di portarselo a casa ? Perché no ? Vedete di meglio in circolazione di questi tempi ? E poi Rory non delude mai.
Alla salute…cheers Rory… sempre con noi.
Secondo me questo album supera l’altro eccellente live Stage Struck, soprattutto la sezione ritmica e’ notevole, alla batteria dovrebbe esserci Brendan O’ Neill che in questo live ha superato se stesso
Il mio cuore va a Stage Struck che ho amato moltissimo anche perché vidi quel tour almeno tre volte… ma ovviamente questo disco resta, come detto, un eccellente fotografia di un grandissimo interprete.
Mamma mia Rory
Ebbi la fortuna di vedere il tour di photofinish… Milano 79
Grandissimo
… e ottima annata, per di più… 🙂
Artista incredibile, grande bluesman e contaminatore di suoni. Dal vivo incredibile, ma tutti i vinili, anche quelli in studio sono meritevoli di essere posseduti e consumati dagli ascolti. Una musica che scorre vera, sentita, sofferta e ricca di pathos. È impossibile non essere dei partiti di un artista che era andato da tutti, ma che amava poco se stesso! Da possedere tutto!
Buongiorno GC.
Adolescente, mi imbattei per la prima volta nel nome di Gallagher su HM (quelle pagine in bianco e nero, carta ruvida… la concorrenza, lo so, però la cito ugualmente) ma ebbi modo di ascoltarne la musica solo qualche anno più tardi.
Non averlo visto dal vivo rimane il mio più grande rammarico concertistico. Assieme ad un amico dell’epoca, persona di grande stramberia ma di altrettanto grande genuinità, progettammo di scendere a Pistoia ma purtroppo all’ultimo minuto il viaggio saltò, e così mi persi quella che, immagino, sarebbe rimasta una delle esperienze musicali di una vita.
Direi di sì. Soprattutto perché ho raramente visto un musicista più schietto e interessato alla musica di Rory.
Ciao Giancarlo, concordo in tutto e pertutto. Rory è tra i miei preferiti, la carica che riusciva a mettere dal vivo aveva pochi eguali. I tre live citati li ho tutti con una leggera preferenza per l’Irish tour 74 che, a parer mio, contiene la migliore versione di A Million Miles Away. Da vedere e ascoltare, anche per il periodo Taste, il live all’Isola di Wight del 1970.
Bel ricordo e bella recensione di un album che mi precipiterò ad acquistare appena uscirà . Il mio rammarico è di non averlo mai visto dal vivo ne lui ne Steve Ray .
Un peccato. Erano entrambi incredibili dal vivo… con una preferenza per Rory, per i miei gusti : più… vero. Spero tu abbia già in casa i tre live citati. Sono spettacolari.
Prima o poi, sarà assolutamente necessario colmare questa enorme lacuna della mia collezione, ovvero non avere nulla di Rory, che peraltro è un artista che apprezzo molto. Dovrò selezionare le cose migliori.
Saresti da denunciare… 🙂 io inizierei dai dischi che ho citato. Sia i live che gli studio.
Sicuramente la doppietta photofinish – top priority… È naturalmente Irish tout
🖤Rory
👏👏👏