The Angels sono una reliquia dimenticata o frutto della scemenza di chi vi scrive ? In occasione della morte del buon Mike Nesmith ricordiamo un vecchio scritto.
PARTE UNO : LA STORIA DEI THE ANGELS
Non amo ritrovarmi con gli amici quando il fulcro della serata è la gara alla scoperta della tomba del Milite Ignoto del Rock. Mi spiego, da molto tempo ho preso le distanze dalla classica domanda: ”Ma tu li hai mai sentiti i…”? Segue nome di gruppo ignoto anche alla mamma del cantante, che non ha mai pubblicato un disco e che se lo ha fatto è stato in duecento copie per un’etichetta fallita da tempo immemore e che un mese dopo la pubblicazione del disco, avendo necessità di rientrare delle spese, ha ritirato le copie dal mercato andandole a rivendere a peso di vinile. Ma una copia resta sempre in circolazione…e quella copia sta nella teca del tuo interlocutore occasionale. Sempre pronto a decantartene le lodi e le prerogative quasi sempre uniche e rare. Già, perché in genere i veri amici non si mettono mai in competizione ed anzi, se possono, evitano la circonlocuzione odiata e al massimo entrano in argomento con discrezione. Perché la gara a chi conosce più gruppi sconosciuti a me è sempre stata sulle scatole. Eppure c’è chi pare vivere a quel solo scopo. Chi salta scuola o lavoro, dimentica moglie e figliolanza per non perdersi una convention allo scopo di acquistare dischi tanto ignoti quanto inutili che va a ricercare con un paio di “bibbie” del settore sotto braccio e che compra a qualsiasi prezzo solo se non trova alcun riferimento all’interno di quei libri.
Perché se si tratta di album recensiti o mentovati da un periodico di fama o, peggio ancora, da un tuo presunto “collega” allora proprio non val la pena di spendere il tuo denaro… Perché lo scopo è gustare l’attimo di indecisione nel tuo futuro interlocutore, il momento di smarrimento, la risposta a voce dubitativa che giunge sottovoce: “…ma sono mica quelli che…” cui rispondere con ghigno sarcastico: “No! Sono quelli capitanati da…” seguono nomi ignoti, che preludono a pezzi ignoti, con precisi riferimenti a gruppi noti. Tutti sempre nati in seguito alla formazione di quell’imperdibile gioiello del rock tanto brillante quanto sfortunato perché nessuno lo conosce o lo ha mai ascoltato. E’ la rivincita di quelli che ti schifano perché nomini sempre i medesimi gruppi, perché continui ad eccitarti ascoltando sempre le stesse canzoni, perché sei ancora convinto che al millesimo ascolto attento di quelle antiche cose una nuova nota di colore, un’emozione inattesa possano emergere.
E’ per questo che odio profondamente dare amicizia su quella minchia di fessbuk a tipi che al primo contatto iniziano a chiederti se hai i dischi di Tizio e Caio, se ti piace Sempronio e ti cliccano “mi piace” ogni volta che ti capita di mettere un qualcosa di vagamente poco comune sulla tua bacheca e ne approfittano per dilettarsi postandoti nomi nebulosi chiedendoti che ne pensi. Ecco perché provo a capire in anticipo come certe serate si svolgeranno quando tra i partecipanti compaiono tizi mai visti ma riconoscibilissimi dall’occhio assatanato; ecco perché mi sfogo con i miei pallini solo quando sono in compagnia fidata. Perché io odio la competizione che, al contrario, tanto adorano alcuni noti, o sedicenti tali, artigiani della tastiera. Ma per una volta vorrei venir meno a questo mio patto di sangue con me stesso e parlare per la prima volta di un gruppo che so per certo noto a pochissimi – anzi meno! – perché a volte la sfortuna esiste davvero, perché pur di fronte a opere geniali il fato si adopera per cancellare qualsiasi traccia e perché in realtà queste perle – seppur in misura infinitesimale – esistono davvero nell’Universo.
Fate attenzione perché queste sono forse le uniche informazioni che mai potrete reperire su questo rarissimo parto di genio…
La storia ha il suo inizio agli albori del 1966 quando Mike Nesmith, ahimè appena scomparso, era già noto per essere parte del quartetto dei Monkees; un oggetto musicalmente tanto inconsistente quanto fortunato e messo in piedi quasi esclusivamente per dar vita a un serial televisivo statunitense e per contrastare le fortune di un quartetto inglese; mi ricordo che, da ragazzino, qualche imprevedibile programmatore Rai ne doveva aver acquisito i diritti turbato dal successo nel paese d’origine perché ho ancora ottima memoria delle puntate trasmesse alla metà del pomeriggio di due o tre vite fa. Ma quel che conta qui è che Nesmith aveva talento e ben prima dei Monkees, nel 1963 a Beatles quasi esordienti, aveva già tentato la scalata alla gloria senza successo. Questo prima di diventare famosissimo, ricco e attore, compositore, musicista, scrittore, uomo d’affari e autore di successi per Linda Rondstadt nonché produttore del film Repo Man. Con i primi soldi imbottati dalla serie televisiva, Mike tentò di riprendere un suo antico progetto risalente addirittura a tre anni prima: chiamato originariamente The Nesmiths, il gruppo venne re-intitolato The Angels, cosa che procurò anni luce dopo problemi ai più noti Angel perché ufficialmente il nome non venne mai dismesso. Gli Angeli erano un indescrivibile gruppo che fondeva la psichedelica dei primi Warlocks con il suono acido e blues dei Quicksilver, unito all’istinto melodico e jazzistico degli Allman di Live at Fillmore East. E non era un caso. Alle chitarre Mike aveva messo insieme i due leader dei rispettivi gruppi, John Cipollina e Duane Allman ancora non coinvolto con gli Hourglass insieme al fratello Gregg. Nesmith ne era l’eccellente cantante insieme – da non credere! – al Paul Kantner ancora indeciso se restare con Angel o scegliere i Jefferson Airplane, come poi fece da lì a pochissimo.
Ma il suono non era quello tipico della fresca era pre-Woodstock ma un aggressivo, potentissimo rock blues, psichedelico, rugginoso, violento, più simile agli attuali Gov’t Mule che ai Cream di Clapton che parevano scolarette a confronto; più tagliente dei Blue Cheer, più creativo degli Amboy Dukes, più d’impatto del gruppo che avrebbe sconvolto il rock da lì a breve, gli Zeppelin. La leggenda narra che Page, difatti, in tour – o in studio non lo si è mai capito – venne in contatto con gli Angels finendo coinvolto in una session, registrata e che compare nel disco, che ebbe su di lui tale influenza da indurlo a re-inquadrare gli Yardbirds prima e mettere in piedi gli Zeppelin poi, proprio ricalcando quel gruppo. Page non venne citato sulla copertina per ragioni contrattuali emerse in seguito a quella registrazione che nessuno volle cancellare. Un disco tanto bello, innovativo, fresco e splendidamente composto che avrebbe dovuto fare faville, esplodere facendo dei componenti i primi miti da tramandare insieme a Beatles e Stones. Un disco che davvero precorreva i tempi a venire. Il resto era, da lì a breve, ancora da inventare. Due lunghe suite da citare su tutto: “Evidence” ,brano in cui alcuni sentono quel che poi sarebbe divenuta la famosa “In memory of Elizabeth Reed”, e “Soul trains” in cui non è possibile non riconoscere la “How many more times” di Plant/Page in embrione. Ma il diavolo fa le pentole e non i coperchi…Nesmith, il giorno stesso dell’uscita del disco, venne denunciato e immediatamente perseguito dalla Screen Gems che non gli promise soltanto ma immediatamente bloccò qualsiasi suo emolumento dovutogli per la serie televisiva The Monkees, chiedendogli una penale così elevata che avrebbe potuto assommare a quanto egli avrebbe guadagnato con i cinque anni con i Monkees. Il problema erano, ovviamente, i legami legali che impedivano a Nesmith qualsiasi mossa non approvata dalla Screen Gems; e The Angels, così lontani dall’immagine che si voleva dare di lui, evidentemente lo erano.
The Monkees mostrava un quartetto pulito e divertente alle prese con situazioni da scuola media, costruito sull’immagine iniziale dei Beatles di Help! The Angels evidenziava una natura “nera” e contenuti ambigui con riferimenti espliciti a sesso e droghe, con Nesmith che indossava una parrucca lunghissima esattamente come le prime band psichedeliche tanto odiate dal pubblico dei Monkees. Il disco – un doppio con dieci pezzi ! – venne ritirato dalla circolazione in un nulla e l’unica cosa che non fu possibile impedire fu una recensione su Rolling Stone a firma di Greil Marcus che passò un mare di guai perché aveva ingenuamente ottenuto un demo che avrebbe permesso al suo giornale di uscire con una mezza pagina che avrebbe potuto cambiare il corso della storia del rock. La Screen Gems, facente parte della potentissima Columbia, facendo perno sulle pagine pubblicitarie che sarebbero venute a mancare al mensile, riuscì non solo a bloccarne la distribuzione, ma ad impedirne qualsiasi riedizione o notizia, cancellando dalla faccia della terra qualsiasi riferimento a quel progetto.
Quel che non fu possibile bloccare furono qualche centinaio di copie che, distribuite qua e là, non servirono a nessuno, dato che l’etichetta ne rinnegò la produzione e che Mike Nesmith era del tutto irriconoscibile nelle foto interne di copertina, così come gli altri, ancora non famosi, componenti del gruppo. Ora vi domando: quanti punti potrebbe valere, in un’ipotetica guerra alla ricerca del Santo Graal del Rock, la storia che vi ho raccontato oggi per la prima volta? E badate che solo alcuni speleologi del web potranno, forse – e dico forse – recuperare scampoli incompleti rispetto alle informazioni finali ma mai tutta la storia così come ve l’ho narrata. Storia che ho ricevuto tramandata per via orale e diretta solo perché un mio più anziano amico, tuttora residente a Laurel Canyon, Los Angeles, fu l’assistente ingegnere del suono di quel disco di cui, un Natale di oltre trent’anni or sono, come ricompensa di averlo aiutato a rappacificarsi con la attuale moglie, volle regalarmi il racconto seguito poi da un pacchetto con copia di quel vinile al ritorno a casa…aggiungendo una frase di accompagnamento…”Tanto dirlo in giro non ti servirebbe mai a niente! Nulla e nessuno potrebbero mai confermarti anche parte di quelle vicende pena la fine di qualsiasi attività professionale sul suolo degli Stati Uniti!”. E forse il monito vale ancora oggi, dato che il silenzio su questa vicenda è assoluto ed io stesso avrei i miei dubbi se non fossi confortato da una testimonianza in vinile, su etichetta viola ed un anonimo fronte copertina non a caso analogo all’immagine dell’indimenticato Happy Trails e con interno pressoché identico all’esterno del Live at Fillmore East che dorme tranquillo nel settore “americano” della mia discoteca. Un album davvero e purtroppo ignoto e a questo punto dimenticato persino dai protagonisti superstiti anche se certamente strozzato da decine di vincoli contrattuali incrociati e stretti negli anni successivi da quei ragazzi quel tempo liberi che divennero poi icone del rock, ma i cui indizi e citazioni paiono per loro volontà emergere nel tempo sparse un po’ ovunque anche se nessuno potrà mai avere il piacere di assaporarne il contenuto.
A meno che non venga a casa mia o faccia il più fortunato incontro della propria vita di collezionista.
PS : In caso qualcuno si fosse domandato il perché della mia citazione dei Gov’t Mule, aggiungerò che “Mule” altro non è che uno dei brani contenuti su “The Angels”…forse la verità sta iniziando a far capolino dopo cinquantadue anni…
PARTE DUE : NE SIETE DAVVERO SICURI ?
Spero che lettori e amici accettino di essere stati temporaneamente sfottuti. I miei ricordi sugli inesistenti The Angels band del 1966 sono del tutto inventati. Le ragioni di una falsa recensione esistono, però, dal mio punto di vista. Io non credo che saranno in molti a risentirsi – o almeno lo spero – perché ai miei occhi l’intera storia era piena di indizi al punto che io stesso pensavo che nessuno, ma proprio nessuno, ci sarebbe mai cascato. Potere delle cazzate che vengono scritte! E comunque ho creduto che esistesse un buon motivo per tentare l’avventura…
La prima lezione che dovrebbe essere assimilata da questa sòla che vi ho tirato è semplice: non fidatevi mai di nessuno, specialmente se chi scrive è un sedicente giornalista che si crogiola nella sua pseudo fama millantando opere e cose accadute in tempi lontani. La seconda lezione è forse ancor più semplice: non fidatevi del web. Perché io immagino che alcuni siano andati immediatamente a ricercarsi scampoli di informazioni che non avrebbero certo mai potuto trovare quando, in fondo, la verità stava sotto il loro naso. Il fatto che internet non riportasse a una traccia non doveva farvi necessariamente pensare che nulla esistesse, ma semplicemente – come troppo spesso accade – che nessuno avesse ancora deciso di inserire un’informazione in rete. Perché le cose non esistono solo perché te le racconta Google.
La terza lezione è di provare a leggere dietro alle parole quando sorgono dei dubbi. E, come detto, dal mio punto di vista di indizi ce n’erano anche fin troppi! Proviamo a elencarli: il primo, il più clamoroso sta nel nome di Greil Marcus. Marcus è uno scrittore che moltissimi anni addietro recensì sul serio un disco inesistente proprio su Rolling Stone. Il disco si sarebbe chiamato “The masked marauders” e dentro quell’album sarebbero comparsi Bob Dylan, Mick Jagger, John Lennon e Paul McCartney. Qualcuno aggiunse anche Frank Zappa, ma questa informazione non venne mai scritta dal Marcus. Con un po’ di pazienza tutte le informazioni su quel disco – che venne poi realmente pubblicato dalla Columbia nella seconda metà del 1969, che io possiedo e di cui, volendo, potrei stavolta sul serio farvi una copia! – le potrete trovare sul web. La leggenda intorno a quel disco cadde a breve ma a distanza di decenni ci sarebbero indizi che riporterebbero a Zappa, dato che sul disco compare una “I can’t get no nookie” che avrebbe attinenze con la sua lunga suite di Nanook l’esquimese che non doveva…”mangiare la neve gialla” (Don’t eat the yellow snow), ossia dove i cani avevano pisciato… ma temo che siano tutte balle pure queste.
Altro indizio stava nell’impossibilità fisica di mettere insieme in quegli anni Duane Allman che abitava a Macon, in Georgia, con John Cipollina e Paul Kanter che se ne stavano a San Francisco; un po’ lontano… per ragazzini che erano ancora alle prime armi… Mentre il riferimento a Laurel Canyon era per Zappa, la cui casa è a Laurel Canyon e che con gli indizi e con i falsi (il suo disco di “Cruising with Ruben and the Jets” che originariamente si pensò fosse un disco di doo-wap a nome, appunto di Ruben and The Jets) ha sempre avuto simpatia…
Perché tutto questo? La lunga introduzione a quel pezzo avrebbe dovuto insinuarvi il dubbio. Io effettivamente non ho mai sopportato – ed ancor meno sopporto oggigiorno – quella tendenza tutta nostra, ma non di tutti, a Dio piacendo!, di porsi sistematicamente in competizione sfidandosi l’un l’altro alla conoscenza di gruppi non minori bensì ignoti. E’ una attitudine tutta nostrale, penso, e sfrontatamente esposta in ogni recensione (chiamiamole così), in ogni ricordo di musica prodotta decenni or sono. Se devo dare un’origine a tutto questo, la darei all’epoca di quel foglio chiamato Metal Shock, dove la maggioranza dei collaboratori, spinti da un istinto di competizione con i nomi più noti, chiedeva o direttamente inviava pareri/recensioni su dischi sempre più sconosciuti, evitando accuratamente di volersi occupare dei… soliti nomi noti probabilmente perché non faceva fico. Cosa che veniva fatta solo su esplicita richiesta redazionale.
Non vorrei dar la colpa a qualcuno in particolare per aver dato il via a questa mefistofelica abitudine ma certo è che la ritrovo appieno nei commenti che mi ritrovo su Fessbuk o nelle pagine di certi miei contatti social. Oggi, nel 2021, dire che “Dazed and confused” è una gran bella cosa è banale e scontato; è, al contrario, necessario possedere e conoscere i Barlafus, progr-southern band del nord del Canada.
Oggi comprarsi il box di “Dark Side of the Moon” è accondiscendere alla volontà delle infami majors. Ricercare a una convention di dischi usati il primo album dei Bazza è ficooo… un po’ come dice Bart Simpson. E cazzi tuoi se non li possiedi e non li conosci.
Vi racconterò una breve ma vera storiella redazionale… a Roma, alla metà degli Ottanta, avevo ottimi colleghi che insieme a me portavano regolarmente a termine i dodici (dodici!) periodici che quell’editore infame ci faceva preparare; tra questi c’erano, ovviamente Metal Shock e Flash. Ricordo in particolare alcuni di loro, come Ermanno Labianca, Patrizio Nissirio, Guido Bellachioma, Roberto Paggio, Peter Sarram che oltre che bravi erano anche amici… con loro, le otto/dieci ore giornaliere se ne andavano via spesso ridendo… E la tendenza dei “miei” collaboratori di MS di scendere sempre più nell’ignoto venne un giorno identificata con un nome immaginario di una band immaginaria: The Schiekel-Grueber Happy Band, autori di un album tanto bello quanto poco diffuso “Peppermint Caterpillar of the Boot’s Hills”.
Ecco, da quel giorno, tra noi, quando arrivava una recensione ignota, ci divertivamo a raccontarci degli Schiekel-Grueber, gruppo del mitico chitarrista italo-americano Mike Ciuccelebocce…. si lo so: sono belinate, ma noi ci divertivamo e servivano ad allentare la tensione.
Ecco, un giorno non mi stupirei se qualcuno di quegli speleologi a tempo perso se ne andasse in cerca di quel primo, imperdibile album degli Schiekel-Grueber… che si scrive con la dieresi sulla “u”…
PS : …dimenticavo di lasciarvi con un paio di informazioni… Mike Nesmith ha realmente inciso un brano che si chiama “Angel band”; il ritornello ha questa frase: “Oh, come, angel band, Come and around me, stand/ Oh, bear me away on your snow-white wings”.
Un gruppo a nome The Angels è esistito ed ha inciso un album che si chiama “Evidence”, “prova” in italiano, esattamente come il nome dello strumentale che ho citato. Esiste un blog dove compare questa frase :” While a part of the seminal fake rock band The Monkees in the `60s, Michael Nesmith always displayed a certain attitude – part cockiness, part just pissedoffness that he wasn’t a huge star on the merits of his music rather than his silly TV show. It’s actually amazing how long he stayed with the band considering his overall bitterness about the whole experience. Quite frankly, it’s a bit disgusting reading old interviews and listening to him bitch and complain about not being able to create the music he WANTED to create”… Forse qualcuno ne sa qualcosa?
Nel 1971, Nesmith, che ebbe una sua personale carriera solista, pubblicava un album con Eric Clapton alla chitarra in un brano; Eric, in quell’anno suonava con Derek & Dominos.
Nel 1966 Nesmith pubblica un 45 giri sotto il falso nome di Michael Blessing, blessing significa “benedizione” e…un angelo è certamente benedetto…… il singolo si intitola “Until It’s Time For You To Go” che è già abbastanza indicativo di per se, mentre la facciata B ( si intitola: “What Seems To Be The Trouble, Officer?” che appare ancor più esplicito ) viene indicata come una “parodia” del modo di cantare e comporre di Dylan. Qualcuno la compara alla “Flakes” di Zappa, dove compare, appunto una parodia di Dylan, ma interessanti sono i testi….”You might think I’m young to be such a powerful protester, but I’m durn near 19/I’d like to tell ya about all my hard times I’ve seen!“. Direi che siamo un po’ lontani dai tipici testi all’acqua di rose dei Monkees…
John Cipollina è stato più volte ospite dei concerti degli Allman, almeno fino a quando Duane è stato vivo, insieme a componenti dei Grateful Dead. Uno dei gruppi di John Cipollina si chiamava The Ghosts, i fantasmi, dove suonavano Donna e Keith Godchaux dei Dead, appunto. Paul Kantner nel 1965 era un cantante folk e lavorava in duo con David Freiberg, uno dei fondatori dei Quicksilver Messenger Service…il gruppo di Cipollina…
Non avete l’impressione che il solo che potrebbe mettere davvero fine a questa storia potrebbe essere Warren Haynes, spiegando le origini di “Mule” che, talvolta, viene presentata dal vivo come “Kind of Mule” o come …”The origin of the Mule”…
E vi domando: siete sicuri che vi abbia raccontato fesserie ? ?
Ma io com’è che mi ero perso questo capolavoro di articolo?
Da te c’è sempre da imparare e non finirò mai di benedire quelle 3.000 lire che nell’ottobre del 1988 spesi per comprare il mio primo numero di quel foglio, come lo chiami tu, che fu Metal Shock.
…Egidio… il vino più invecchia più è buono, mi dicono… sai che sono astemio… noi siamo più bravi adesso che siamo nella terza età che 35 anni fa… o almeno credo. Mi fa piacere che ti sia divertito a leggere.
Buongiorno Giancarlo,
pezzo esilarante che mi ah fatto epnsare a questa storica pagina di un noto sito di divulgazione del Metal:
https://www.bnrmetal.com/v5/band/band/BG
Sarebbe simpatico creare una serie di scherzi “situazionisti” simpatici ai fissati delle rarità oscure;
e poi mescolarli a recensioni-monografie di grandi gruppi dimenticati (penso ai nsotrani Procession o agli inglesi Andormeda, per restare nel prog oscuro).
Chi scrive di musica si prende troppo spesso sul serio…come ho detto, leggere che uno che scrive di rock si definisca “divulgatore musicale” lo trovo estremamente comico… giocare con l’ambiente è cosa che qualcuno , ogni tanto, decide di fare. Gli Spinal Tap ed il loro film sono una delle cose più ironiche che abbia visto in questo campo. Ovvio che mi sono permesso di scherzarci sopra, ma con gli indizi finali ho voluto lasciare un dubbio, che rilancio : siete davvero sicuri che fosse uno scherzo ? 🙂