Gli MC 5 con Wayne Kramer in primo piano
Nell’aprile dell’anno scorso, presentavo sul Blog “Non è ROCK AND ROLL da Top Ten, ma mi piace!”, un omaggio personale a dieci favolosi brani di R&R americano degli anni ’70 che non svettarono in classifica…Non era affatto casuale che la foto a cornice del titolo, rappresentasse gli MC 5 durante una delle loro infuocate esibizioni dal vivo.
Certo non era prevedibile che dieci mesi dopo, il 2 febbraio 2024, un tumore al pancreas avrebbe posto fine all’avventurosa e turbolenta vita del 75enne Wayne Kramer, chitarra solista e cofondatore, ricongiungendolo così ai membri del gruppo che l’hanno preceduto nell’Aldilà delle glorie rock: il cantante Rob Tyner, il chitarrista gemello Fred “Sonic” Smith ed il bassista Michael Davis. Oggi dunque il ritmo della batteria scandito dall’unico superstite, Dennis “Machine Gun” Thompson, risuona nel silenzio. I leggendari Five della Motor City restano un’istituzione inviolabile nella storia del rock a tutto volume, indipendentemente dai giudizi di parte. Ma loro una scelta di schieramento l’avevano fatta, nella seconda metà degli anni ’60: tempi duri per chi contestava al sistema americano l’apocalisse della guerra in Vietnam, addirittura affiancandosi ad un gruppo radicale chiamato White Panther Party, presieduto dal loro manager John Sinclair, poeta ed intellettuale della controcultura hippie.
Fin da allora le forze dell’ordine U.S.A. non andavano certo sul velluto, quando si trattava di reprimere forme di protesta anti-governativa. Molti anni prima della rivolta di Los Angeles (1992), Wayne ed i suoi compagni avevano assistito nel luglio 1967 ad uno dei più violenti scontri razziali nella storia americana del secolo scorso; mentre altrove si celebrava la Summer Of Love, a Detroit interi quartieri, paragonati a “lager” per le condizioni di vita disumane, venivano dati alle fiamme, con un impressionante consuntivo di morti e feriti fra la popolazione.
Nell’agosto 1968, gli MC 5 furono l’unica formazione rock ad esibirsi alla Convention nazionale democratica nel Lincoln Park di Chicago, nonostante il sabotaggio dell’impianto elettrico sul palco e l’atteggiamento scopertamente intimidatorio della polizia, che caricò il pubblico presente appena finito il concerto.
A dispetto della fama di “band più arrabbiata” dell’epoca, gli MC 5 furono scritturati dall’Elektra grazie al futuro impresario dei Ramones, Danny Fields. Il portentoso album d’esordio dal vivo, “Kick Out The Jams” (febbraio 1969, di cui riferiamo in seguito) raggiunse un onorevole 30° posto nella classifica americana; ma l’incitazione del titolo stesso seguita dall’esplicito Mothefuckers! è subito censurata ed il disco viene bandito da Hudson’s, la catena di grandi magazzini di Detroit. Rob Tyner, in rappresentanza del gruppo, reagisce duramente alla proibizione su un paio di giornali anarchici/underground, e per tutta risposta Hudson’s ritira dalla vendita l’intero catalogo Elektra, che a quel punto licenzia il quintetto! Perdono anche la guida del loro mentore Sinclair, intrappolato da una poliziotta in borghese a cui aveva offerto un paio di joints di marijuana e condannato a quasi dieci anni di detenzione, poi ridotti a due.
La furiosa insurrezione R&R degli MC 5 non aveva ancora perso il suo appeal commerciale, infatti l’Atlantic li mette sotto contratto, affidando il nuovo album – primo di studio – “Back In The U.S.A.” (1970) alle cure di un rinomato critico musicale: Jon Landau diventerà ben più famoso come produttore di Bruce Springsteen. L’incendiaria attitudine dell’esordio viene risolta nel ritorno al primigenio rock’n’roll, e svelata dalle cover di “Tutti-Frutti” (Little Richard) e “Back In The USA” di Chuck Berry; c’è persino la ricerca di una maggior accessibilità nelle melodie dinamiche di “Teenage Lust”, “High School”, nella già decantata “Shakin’ Street” e nell’inesorabile “Looking At You”; ma gli MC 5 riescono ad assestare altri durissimi colpi in “Human Being Lawnmover” e nel testo tagliente di “American Ruse”, una spavalda requisitoria contro il Sogno Americano: “Ti hanno parlato a scuola di libertà, ma quando cerchi di essere libero te lo impediscono; hanno detto “E’ facile, niente da fare!” E ora l’esercito è pronto ad arruolarti. L’America ’69 in stasi terminale, l’aria è così densa che è come annegare nella melassa, ne ho abbastanza di pagare queste quote, e sono stufo dello “stratagemma americano!”
A livello di vendite “Back In The U.S.A.” è però un fallimento, finendo distante dai Top 100 di Billboard, e gli MC 5, giocano le ultime carte con il terzo “High Time”, un album spesso sottovalutato per la sua tendenza hard rock seppur polivalente, ma che include altri classici, dall’iniziale tour de force di “Sister Anne” (oltre i 7 minuti, ben più estesa rispetto ai brani a fuoco rapido del precedente LP) e la conclusiva “Skunk (Sonicly Speaking)”, introdotta da un’orgia di percussioni e registrata con i musicisti di colore del Contemporary Jazz Quintet di Detroit. Anche l’ultimo atto della discografia ufficiale dimostra come incapsulare gli MC 5 quali capostipiti di un solo genere (punk, metal, neo-garage rock anni ’90) sia profondamente limitativo. Ad esempio, nella citata “Skunk” preconizzavano il crossover stilistico multirazziale che emergerà dalla seconda metà degli Eighties; pura materia sperimentale era la cover spiritual-cosmica di “Starship” (del jazzista Sun Ra) con la quale gli MC 5 conclusero “Kick Out The Jams” in un’orgia di feedback e declamazioni “poetiche”. Sempre dal vivo, i Five esibivano una “Black To Comm” (reperibile solo su bootlegs postumi legalizzati), l’equivalente musicale di un acid trip di massa, che riduceva il pubblico in uno stato di totale sottomissione. Era una sorta di totem psichedelico a base di sonorità distorte e volumi a picco, frutto di totale improvvisazione, ed ogni volta era suonato in modo differente.
Alle origini, per sottolineare la differenza, il loro stile di musica era chiamato Avant-rock. In tempi recenti le chiavi degli archivi segreti di MC 5 sono finite nelle mani del redivivo John Sinclair; secondo lui, il quintetto ha sempre invocato origini rhythm’n’blues; tracce omesse dalla discografia di studio, in particolare “Revolutionary Blues” e la versione heavy di “I Believe My Soul” di Ray Charles, attestano come si rifacessero alla lezione della black music, parallelamente a quanto accadeva in Inghilterra sulla spinta di Rolling Stones, Yardbirds e Animals. A posteriori, John ha confutato il luogo comune che li liquidava come “ingenui rockers di periferia manipolati da un manager con idee di sinistra” (lui stesso). I ragazzi si erano invece apertamente schierati contro la politica reazionaria degli USA, ed il più radicale di tutti era il vocalist Rob Tyner, il vero leader “ideologico”. Sinclair dichiarava di esserne stato a sua volta profondamente influenzato. Ha negato inoltre l’ipotesi che fossero portavoce di qualsiasi “etica proto-punk”. Orgogliosamente, sosteneva che i Cinque erano motivatissimi compositori e musicisti, non un branco di distruttivi nichilisti, e che pertanto il loro stile non aveva “alcuna somiglianza con il punk rock”. Anche se questa presa di posizione non smentisce la loro accertata influenza sul movimento punk.
Ma a dispetto delle ragioni storiche che ne determinarono la grandezza, gli MC 5 hanno concluso la parabola discografica dopo soli tre album, boicottati dalle radio americane e con l’Atlantic che ha presto rinunciato a mostrare i suoi muscoli “promozionali” a loro beneficio. Nonostante il tentativo di rilanciarsi con un tour europeo all’inizio del 1972, i musicisti cadevano sotto gli strali dell’insuccesso e delle droghe.
Il simbolo di questo crollo finale fu lo stesso Kramer, il chitarrista che brandiva la sua Fender Stratocaster come un’arma puntata contro il Sistema…Wayne è pur sempre stato eletto da Rolling Stone nei migliori 100 chitarristi di sempre, il che non è poco (!) ed era apparso in una serie di “duelli fra solisti” organizzati dall’istrionico Ted Nugent, ai quali avevano partecipato altri campioni del ruolo come Frank Marino (Mahogany Rush) e Mike Pinera (Iron Butterfly).
Ma ha pagato il conto di un’esistenza difficile fin dall’infanzia, quando il padre, reduce della Seconda Guerra Mondiale e vittima di alcolismo, aveva abbandonato la famiglia; la madre si era risposata facendo una scelta ancor peggiore, perché il patrigno abuserà del giovane Wayne Stanley Kambes (questo il vero nome). Infrante le aspirazioni degli MC 5, Wayne va allo sbando, subendo nel 1975 una condanna di quattro anni per “associazione nel traffico di cocaina”. Un’esperienza che lo marchierà profondamente, ma sarà fonte d’ispirazione di un suo personale riscatto. Infatti, circa 30 anni dopo la riconquistata libertà, il musicista ha istituito un fondo benefico, “Jail Guitar Doors U.S.A.” per donare istruzione e strumenti musicali ai detenuti ai fini di una loro futura riabilitazione sociale: a condividerlo con lui e la moglie Margaret Saadi, anche il cantautore inglese Billy Bragg, mentre il nome della fondazione è lo stesso di un brano dei Clash che iniziava proprio citando Wayne e i suoi problemi di droga. Infatti Kramer non si è perso d’animo in prigione, tornando subito attivo nei Gang War, fugace e leggendaria formazione con Johnny Thunders dei New York Dolls, oltre a suonare nell’omonimo album dell’eccentrica formazione rock/disco di Detroit, Was (Not Was), dell’81.
Negli anni ’90, trasferitosi a Los Angeles, Kramer ha stretto alleanza con l’etichetta punk Epitaph per affrontare una carriera solista; il suo rinvigorente album “The Hard Stuff” (1995), esibiva una presentazione di Henry Rollins, che fin dai tempi dei Black Flag, si dichiarava profondamente ispirato da MC 5 e Stooges, ma anche da Ted Nugent e Black Sabbath. Rilanciandosi fra i riveriti testimoni della cosmogonia rock, il chitarrista non ha mai fatto mancare il suo sostegno a giuste cause, partecipando ad innumerevoli concerti benefici o celebrativi. In memoria degli MC 5, immortalato sul DVD “Sonic Revolution” (2001), vale la pena ricordare un concerto al 100 Club di Londra, con i suoi compagni storici Michael Davis e Dennis Thompson, e fra gli special guests: Lemmy, Ian Astbury (The Cult), Dave Vanian (Damned) e Nicke Andersson (The Hellacopters, anche nei Lucifer). Nel 2018, Kramer si è impegnato nell’allestimento del tour MC50, a celebrazione dei 50 anni di “Kick Out The Jams”, capitano di un formazione che comprendeva membri di Soundgarden, King’s X, Faith No More etc. Nel frattempo pubblicava anche la sua autobiografia “The Hard Stuff: Dope, Crime, the MC5, and My Life of Impossibilities”.
Il suo ultimo grande contributo, come chitarrista e compositore, è stato offerto a “Detroit Stories” (2021), album decisamente ispirato di un altro monumento storico del Michigan Rock, Alice Cooper.
MC 5 erano davvero candidati al titolo di più pericolosa R&R band del mondo e potevano vantarsi di essere più famosi dei Beatles a Detroit, nei loro anni ruggenti.
Ma voglio infine ricordare Wayne Kramer per queste sue parole consegnate alla pubblicazione di “Total Assault”, che raccoglieva la trilogia discografica degli MC 5 in vinile colorata: “Sentivamo di avere un legame con la nostra generazione e sapevamo come comunicare con la medesima perché ne facevamo parte…Non eravamo semplicemente una rock band venuta a suonare qualche canzone. Abbiamo portato con noi un modo di vivere completamente nuovo. Eravamo lì per convincere la gente ad unirsi a noi in questo meraviglioso, libero stile di vita.”
R.I.P. Wayne Kramer.
"Kick Out The Jams", un classico assoluto del rock (Elektra, 1969)
Gli MC 5 dalla sessione fotografica di “Kick Out The Jams”
Liberamente tratto da Metal Shock (Relics) n.2, maggio 1987
Quando incontrai Lemmy nell’81, durante un tour promozionale successivo all’album “Ace Of Spades”, rimasi piacevolmente impressionato dall’entusiasmo con cui rievocava gli MC 5: “Una vera Dynamite R&R band!” li definiva il leader dei Motorhead. Orbene, è impresa ardua commisurare la forza scardinatrice di un LP rispetto ai tempi in cui è stato realizzato, ma forse si è dovuto attendere proprio “Overkill” dei Motorhead per subire un’offensiva sonica paragonabile a “Kick Out The Jams” degli MC5.
All’epoca in cui i Five registravano dal vivo questo primo album alla Grande Ballroom di Detroit (ottobre ’68), in America c’erano già i Blue Cheer a soffocare l’audience sotto quintali d’amplificazione, ma se il suono del loro “Vincebus Eruptum” risulta anacronistico (rispetto al metal anni ’80, ma tornerà d’attualità con il grunge – N.d.a.), quello di “Kick Out The Jams” è ancora miracolosamente vivo, il taglio è netto ed affilato, i musicisti lucidi seppur lanciati sulla cresta dei ritmi assassini. Se i fans del thrash-metal volessero costruirsi un background storico ed informativo, impossibile davvero ignorare questo disco, che rappresentò uno scoglio insuperabile per gli stessi “5” della Motor City; infatti, i successivi LP “Back in the U.S.A.” e “High Time”, pur professando rock’n’roll d’alto lignaggio soffrirono perennemente l’accostamento alla smisurata opera prima. Portavoce di un’ideologia rivoluzionaria, affiancati alla comunità sovversiva delle White Panthers – il leader John Sinclair divenne loro manager – gli MC 5 erano l’avanguardia della “generazione più dura d’America”, i rockers del Michigan: Stooges, Amboy Dukes, Frost, gli stessi Grand Funk. Il centro catalizzatore è Detroit, la “città dei motori” perché letteralmente invasa dalle catene di montaggio delle industrie automobilistiche: i tassi d’inquinamento e di criminalità sono fra i più alti negli States, l’ambiente suburbano scandito in modo desolante da successioni di fabbricati operai. Tutto questo si riflette nel rock durissimo, metropolitano ed alienante degli MC 5, che sembra scaricare addosso all’establishment il cumulo di contraddizioni e di angoscia esistenziale generato da una precisa realtà socio-politica.
L’irruenza del censurato inno “Kick Out The Jams” resterà l’exploit più riconoscibile, rivisitato dai grandi Blue Oyster Cult nel live “Some Encanted Evening” e dai modernisti Rage Against The Machine di Tom Morello, dichiarato fan di Kramer e compagni d’avventura.
La performance inizia però sotto il torchio delle chitarre sferraglianti di “Ramblin’ Rose”, in contrasto con la voce in falsetto di Kramer, e raggiunge i massimi livelli d’intensità in “Come Together” (niente a che fare con Lennon-McCartney): dietro lo spettro vocale di Rob Tyner si intuisce il dramma, il senso di oppressione continuo e frustrante che il disordine urbano riversa sull’uomo… Sembra che non ci sia scampo al di fuori di questo suono che vomita esasperazione e trasmette brividi liberatori di traumatica energia. “Rocket Reducer n° 62” è un killer che conduce all’annientamento finale nel gorgo delle chitarre di Wayne Kramer e Fred “Sonic” Smith, e “I Want You Right Now” è un anthem sessualmente oltraggioso, che rimastica il riff di “Wild Thing” dei Troggs. “Borderline” manifesta un’inestinguibile linea melodica, con la vena evocativa di Tyner che sorvola l’assordante stridore delle cataste di metallo.
L’atto finale è impressionante space-rock al di fuori di ogni cliché, “Starship”, una composizione dell’innovatore jazz Sun Ra, rielaborata fra mille tormenti.
Le cronache degli anni ’70 riporteranno a più riprese notizie dei membri della band, sciolta nel 1972: le più clamorose riguardavano la condanna al carcere di Wayne Kramer per detenzione di stupefacenti, e il…matrimonio di Fred “Sonic” con Patti Smith nel 1980. Ai nostalgici allora non restava che un pregevole album-cassetta postumo, “Babes In Arms”, tratto dalle prime sessioni di studio, edito dalla ROIR nell’83 (e ristampato su CD nel 1998).
Caro Beppe, grazie ancora una volta.
Migliore omaggio al grande Wayne Kramer ed a quella meravigliosa band che furono gli MC5 non poteva essere.
La cosa che più appare … è la distanza tra la presunta attitudine trasgressiva di plastica di tanti pseudo punkettini che fanno pop o peggio Trap e vanno a Sanremo e/o dei soliti Uber Metal che non sanno più quali immagini violente evocare per dimostrare di essere i più cattivi e stanici del mese … e poi gente come Wayne e gli MC5, il loro coraggio di protestare per i diritti, di non fingere, di portare loro stessi attraverso il loro muro sonoro e la loro forza e esplosione di giovanile energia ….. veri trasgressori, veri radicali rockers.
Per tacere delle loro qualità sonore: Kick Out The Jams è vero Hard Rock ad Altissima Energia; così impattanti musicalmente c’erano solo poche band in quei giorni ….. ma come dici anche gli LP successivi hanno tantissime chicche …. io ho un personale amore per Looking At You … che si presta poi a diventare un’orgia chitarristica live (da ricordare la mitica versione degli australiani New Race del 1986) …. solo long …. Wayne, e grazie ancora Beppe.
Ciao Fabio, dopo il tuo intervento sugli Stooges mi aspettavo una replica qui, e mi fa piacere averci azzeccato. Leggo talvolta opinioni qualunquiste/ottimiste che sentenziano che c’è del nuovo e del bello un pò ovunque, in ambito rock. Capisco la volontà di osservare con interesse gli emergenti, e non è nemmeno corretto semplificare dicendo che “i classici restano comunque i migliori”. Bisogna saper comunque distinguere, cogliere le differenze, e ad esempio, la storia degli MC 5 è istruttiva: quando il rock era veramente uno strumento per scuotere le coscienze di massa, con un fervore creativo impareggiabile. Non mi interessa avere tanti lettori che sprecherebbero aggettivi per “campioni” che non lo meritano. Non avendo interessi commerciali, preferisco avere un seguito più limitato ma competente. Grazie dunque di contribuire alla causa.
Ciao Beppe, un’ altro epitaffio eccellente per un musicista che la storia della musica popolare l’ ha fatta davvero…ma che ai giorni nostri nessuno ricorda tranne i veri appassionati come noi che hanno visto il Rock come mezzo anche di cambiamento non solo d’intrattenimento… musica per scuotere le coscienze e far pensare rifuggendo il solito cliché Sex&drugs &R’n’roll,ma capace di esprimere dissenso verso l’ipocrisia del sistema guidato dal cosiddetto potere istituzionale, politico o religioso che sia capace unicamente di dividere le masse,alienarne le menti e condurre i loro giochi sporchi a discapito delle vite umane…Kory Clarke cantava di”Rock culture” nell’ inno “We cry out” profetizzando un ruolo decisivo della musica Rock come strumento per un cambiamento per le nuove generazioni… fallendo miseramente… oggi la trasgressione plastificata delle band,e l’ oltraggiosità delle pose e degli atteggiamenti dei personaggi della musica Rock è studiata a tavolino da discografici e manager e sicuramente l’impatto che potevano avere gli Mc5 all’ epoca non sortirebbe lo stesso effetto oggi purtroppo… ciò non toglie che la loro importanza storica non sia sbiadita a chi abbia recepito il loro messaggio di ribellione ed una cultura musicale ce l’abbia davvero ..
Roberto, ciao. Approvo decisamente la tua visione della “musica come mezzo per scuotere le coscienze” che oggi non si ritrova certo in gruppi rock da messinscena, resi “trasgressivi” dagli stilisti e che rimasticano lezioni altrui. Kory Clarke è uno che ci ha provato, ma come lui stesso cantava, il secolo scorso andava ormai alla deriva ed oggi i fenomeni di crisi sono macroscopici. Noi non facciamo politica, ma almeno lasciateci celebrare chi, come gli MC 5, in altri tempi credeva e lottava davvero per una società diversa, e fermiamoci qui. A te, grazie, mi piace avere lettori che sanno cogliere le differenze.
Grandissimo ed esaustivo tributo ad una figura leggendaria che, con gli MC5, ha posto le basi per miriadi di gruppi, cadenzando regolarmente i trend musicali nei decenni a venire. Dal punk al power pop, fino al garage rock degli anni 90. Rispetto a quanto hanno seminato, hanno raccolto relativamente poco, almeno a livello di pubblico “generalista”. Diverso il discorso per gli “esperti” (autentici o sedicenti), che ne hanno sempre riconosciuta l’importanza storica.
Ciao Beppe, grazie!
Ciao Alessandro, spesso mi viene chiesto: perché non tratti questo piuttosto che quello…Bisogna considerare che Rock Around…è un Blog, non una rivista da riempire, e gli argomenti vanno selezionati. Alcuni sono più sentiti di altri. Non mi sembra proprio il caso di trattare prevalentemente i nomi più in vista: se mi va di dire la mia ok, ma ritengo più importante un mio contributo verso artisti o gruppi che non sono approfonditi da molti, anche per una questione generazionale. Gli MC 5 sono stati idoli della mia gioventù, li ho seguiti con entusiasmo. Voglio trasmettere le mie emozioni a chi mi legge. Grazie