Ricordate la prima volta che avete ascoltato una canzone importante ?
Vi hanno mai fatto la classica domanda : dov’eri quando vennero giù le Torri Gemelle ? O quando assassinarono Kennedy? O quando vi vennero a dire che la vostra squadra aveva vinto una partita data per persa oppure quando un avvenimento veramente speciale era accaduto ? Non so voi, ma io ricordo perfettamente dove mi trovavo. Perché la mente è strana : vi alzate per andare in cucina a prendere qualcosa, fate un’altra azione, tornate in sala e vi rendete conto di non aver fatto quello per cui vi eravate alzati dal divano : ve lo siete dimenticato. Però, l’undici settembre del 2001 ero a casa a Milano, insieme a un amico e collega, a guardare la CNN. Quando uccisero John Kennedy, mia madre mi mostrò un vecchio settimanale con foto sbiadite e a me tanto incomprensibili quanto tragiche mentre quando spararono a Bob ero stato buttato fuori di classe, in terza media, e sentii il bidello parlare a una insegnante…
Dunque, ripeto la domanda cambiando argomento : dove eravate quando avete sentito per la prima volta una canzone che ha cambiato la vostra vita ? Siete in grado di ricordarlo ? Io ne ho fin troppe di canzoni o brani musicali che hanno cambiato il mio modo di ascoltare la musica, di percepirla e di giudicarla. Ma di alcune non posso non avere un ricordo vivido, nitidissimo, come se fosse accaduto ieri.
Di molte canzoni possiamo dire che rappresentino per noi “il riff”, le fondamenta di un genere, l’inizio di un amore viscerale per un artista; ognuno ha la sua, ne sono certo. Per me, che avevo scoperto gli Zeppelin solo pochi mesi prima ed ero ancora sotto shock nell’ascoltare quel primo 33 giri che, peraltro, fu uno dei primi che riuscii a comprarmi con la paghetta, ascoltare Whole Lotta Love per la prima volta fu una esplosione di note che non dimenticherò mai. Nel 1969 la mia ingenua convinzione era che ogni gruppo o artista, fosse in grado di partorire un LP ogni… tot anni… Non riuscivo a comprendere come si potesse registrare e pubblicare dischi ogni pochi mesi. Al massimo potevo accettare l’uscita dei 45 giri, che sapevo far tutti parte di un medesimo album. Avevo da poco in casa l’immagine dello Zeppelin in fiamme e consumavo su un radio-grammofono Grunding, cui oggi non farei nemmeno avvicinare i miei vinili, quel disco, quando, sette, otto mesi dopo, mi piombò addosso il seguito.
Dove abitavo nel 1969 era quasi piena campagna, a Viareggio. Dietro casa dei miei, dei palazzi sul lungomare costruiti qualche anno dopo la mia nascita, c’era una strada, le cinque ville residue dei gerarchi fascisti al tempo già divenute proprietà di terzi privati, subito dopo qualche villetta sparsa nella pineta e poi campi coltivati che portavano fino ai paesini sotto monte. Tre o quattro cascinali coltivavano i campi a grano, orti e viti. Lungo il fiume era pieno di piccoli uccelli acquatici e nei primi pini dove terminava la pineta i residui di capanni da caccia ai colombi selvatici, abbandonati per l’espansione della città. Sull’angolo delle due vie che tagliavano la città, ciondolava ancora un cartello in legno con su scritto “Vietata la caccia”, segno che lì, fino a poco prima, si poteva cacciare.
Dall’altra parte del Fosso dell’Abate che separa Viareggio dal Lido di Camaiore, c’era una villa immensa di un notabile locale, la cui proprietà arrivava molto lontano rispetto alla mia fantasia. Roba di alcuni chilometri. Io, ragazzino con la passione per la caccia, vagavo inutilmente come Bart Simpson con una fionda in tasca, nella speranza di trovare una preda. Nell’ultimo palazzo prima della campagna viveva un compagno di scuola, di un anno più anziano, che aveva la passione per la chitarra. Quella mattina gironzolavo sotto casa, prima che la scuola ricominciasse; ai tempi si andava a scuola i primi di ottobre e le estati non finivano mai.
Riccardo, questo il suo nome, ascoltava, fortunello, il secondo disco dei Led Zeppelin, accompagnandolo con la sua chitarra a finestra aperta. Affacciandosi mi urlò cosa cavolo stessi facendo a testa in su, sotto i pini e mi invitò a salire.
Era solo in casa ed aveva il disco su un giradischi economico ma mille volte migliore del mio e una chitarra nera attaccata a un coso con una griglia grigia con dei tasti. Mi disse : “Cazzo perdi tempo rincorrendo gli uccellini, senti che meraviglia questo pezzo…”. E rimise su Whole Lotta Love, a volume altissimo. Lui suonava una ritmica che smise di suonare sull’assolo… “perché rovinerei tutto”, mi ricordo perfettamente che mi disse. Ecco, quello fu il momento in cui mi innamorai perdutamente del suono della chitarra e mantenni quel riff dentro fino ad oggi. Una esplosione di suoni, di voce, di batteria, di chitarra distorta che non potrò mai e poi mai dimenticare. Come l’omicidio di Bob.
Ai tempi non potevamo sapere del riff ripreso da Muddy Waters per cui Willie Dixon l’aveva scritto, non sapevamo nemmeno che esistessero, non immaginavamo che la scena rock inglese fosse derivata dal blues nero statunitense e se pure l’avessimo saputo non ce ne sarebbe fregata una mazza. Quel riff, forse uguale nelle note, ma mutato, appesantito dai distorsori, reso come un maglio che si schianta su una incudine, era devastante. Non fummo i soli a pensarlo, dato che da allora i riconoscimenti e gli onori che quel brano ha avuto sono dozzine, incluso l’esser stato la base su cui la sigla di Top of the Pops, il più famoso programma televisivo britannico, veniva introdotto.
Non avevo i soldi per comprare il 33 giri, per cui ricordo che misi da parte le 700 lire necessarie al singolo e mi comprai il 45, che aveva Living Loving Maid sul retro. Un pezzo che trovai così inferiore all’altro, che, chissà perché, da allora non ho mai particolarmente amato. Troppo violenta la passione per il primo.
Da quel giorno in cui Riccardo, il ragazzo dai bellissimi occhi blu, come diceva sempre la mia mamma, mi presentò Led Zeppelin II è passata una vita. Credo di aver registrato centinaia di cassette per amici includendo quel brano, di aver cercato e spesso esserci riuscito, a convincere molti della sua bellezza, della sua forza. Poi , giunta la professione, di averlo visto eseguire dal vivo , di averne parlato con un paio degli interpreti, di essermi chiesto con il massimo del mio stupore, come avesse potuto un prete ospitarlo nel proprio programma… già, perché c’è stato un tempo in cui un prete…dico un prete… venne messo a condurre un programma musicale in tv, in questo paese. E per scherzo del destino…ricordate le porte scorrevoli?… il regista di quel programma era non solo un amico, ma il signore che ci ha impaginato questo blog e ci confessa quotidianamente con perle livornesi di saggezza, Ruggero Montingelli, un tizio buffo, di cui non mancheremo di raccontarvi, più in là. Quel programma era per me, che lavoravo in una rete concorrente, un obbligo da seguire per capire ed incazzarmi, professionalmente parlando, come certe anteprime potessero finire in mano a un Don… Ed una sera, questo Don Gelmini ebbe come ospite Robert Plant, che, sono assolutamente certo, non sapesse nemmeno chi fosse.
Ruggero potrà confermare, ma quella sera, qualcuno aveva detto al Don che il brano più famoso di quel signore si chiamava Tutto quel po’ d’amore e lui, nella sua caprina ignoranza, colpito dalla parola Amore, chiese al Plant di eseguirla. Senza domandarsi a cosa la frase “I’m gonna give you every inch of my love” si riferisse esattamente. Quella sera non sapevo se ridere o disperarmi. Fu così che Robert Plant, credendo di essere in mezzo a uno scherzo ben organizzato, cantò a Don Gelmini che avrebbe dato a una donna… ogni centimetro del suo cazzo. Guardate sul video di Plant la sua faccia poco convinta, come Ruggero mi suggerì di fare.
Whole lotta love, comunque la si ascolti, resta una delle pietre su cui il rock and roll è stato eretto. Vorrei sapere dove si trovi oggi Riccardo, per ringraziarlo di aver fatto scorrere una porta che ha cambiato la mia vita… perché, come disse un giorno la mia mamma, cercando di calmare le richieste di studi giurisprudenziali del mio saggio padre… “Giancarlo ha fatto satanicamente di una passione un lavoro, lascialo fare…”.
Quell’avverbio, satanicamente, così poco consono alla figura di mamma, mi turba ancora.
Fantastico articolo! Whole Lotta Love è un pezzo eccezionale, e le versioni live, da TSRTS ai vari bootlegs, sono impareggiabili. Certo che per una 23enne come me, figlia di baby boomers con la passione per il rock dei Sixties e dei Seventies e che ascolta le migliaia di vinili che circolano per casa con un impianto degli anni ‘70, è difficile destreggiarsi tra i tanti coetanei che spesso deridono la mia passione, etichettando “quella musica” come vecchia e noiosa. Per fortuna ci siete voi con questi articoli! Grazie!
Annalisa…i tuoi coetanei sono da compatire : non sanno quello che si perdono. Se tu, nuova generazione, riesci ad afferrare la forza compositiva e musicale, i contenuti, la cultura, il cambiamento che la “nostra” musica ha portato alla mia generazione, beh…forse c’è ancora una speranza che qualcuno riesca a portare avanti quello che noi abbiamo avuto nel cuore fin da poco più che ragazzini. Goditi i dischi che hai in casa, continua a sorprenderti, impara strade nuove, sii curiosa. C’è un mondo musicale infinito di cui noi conosciamo solo una parte minima. Vedrai che il tuo cuore batterà con quella musica vecchia e noiosa molto più forte e a lungo. Lascia le schifezze che si ascoltano i tuoi coetanei a chi non ha testa per capire. Grazie per l’apprezzamento, continua a seguirci, se ti va.
Caro Giancarlo, lettura piacevolissima, ho iniziato da quelli che anche per me restano i migliori, i fari da seguire nella notte.. gli Zeppelin. Il primo disco che mi ha cambiato la vita… Così di botto mi viene Appetite for destruction… Quello è stato quello che in gioventù ha squarciato il velo e permesso di affacciarsi sul grande mare musicale sorvolato ancora oggi in modo inarrivabile dal dirigibile.
Amico mio…gli Zeppelin sono odiati da molti perché rappresentano la perfezione artistica e le completezza compositiva. In pochi anni ed album sono riusciti a toccare tutte le sfaccettature di quel rock che era, allora, davvero creativo e stimolante. Ci tornerò sopra con un lungo articolo, prima o poi, perché gli amori vanno coltivati. Grazie.
Omicidio Kennedy?? Urca noi dovevamo persino essere concepiti molti anni dopo…. dai Gian, non invecchiarti/ci troppo, altrimenti il blog diventa OLDaroundtheblog!
Cazzeggio a parte, ottimo articolo ed esilarante il passaggio su Don Gelmini di cui nulla ricordavo sinceramente, idem di quella ospitata trash di Plant. Oggi Gelmini è nell’immaginario collettivo solo l’occhialuta suora laica di FI che bazzica tra Parlamento e i vari salotti TV… qualcuno la trova persino arrapante!
Alla prossima
Max
Beh…quello di Bob lo ricordo perfettamente…tanto per citare il titolo di una sezione di questo blog. Quello di John l’ho subito da bambino… d’altra parte, così come Sting…we were born in the fifties, c’è poco da fare. L’importante è star giovani dentro, ché fuori ci pensa il tempo… 🙂 Gelmini e Plant alla convention di Comunione e Liberazione, come da video, è stato un esempio di come noi italiani non abbiamo davvero idea di cosa sia il rock e che forza dirompente si porti dietro. Non dispero di potere, quando ne avrà voglia, riportare il ricordo, tra i tanti, proprio di Ruggero, che di quella trasmissione era il regista. Non so quanto contento.
Caro Giancarlo, ti leggo sempre volentieri, incuriosito per i termini figurativi sempre molto efficaci ed inorgoglito dagli argomenti che sapientemente cercherai di trattare.
Provo a risponderti per una domanda che allora ti facevi: lavoravi per una emittente 100% musicale che per tantissimi anni ha avuto una unica sede ubicata in un posto molto bello ma quasi impossibile da raggiungere. Voila’
Amico mio…grazie. Sei sempre molto affettuoso con le tue parole. Evidentemente, aver lavorato…dall’altra parte di quella prima linea ai tempi in cui esisteva una tv molto speciale ha lasciato in entrambi qualcosa. Sì, ho lavorato per anni in un bel posto anche se non sono riuscito a godermi i risultati di un lavoro molto pesante e di responsabilità… ma questa è un’altra storia. Meglio portarsi dietro altri ricordi. Un abbraccio.