Uno sguardo disincantato e polemico, se volete, alla editoria musicale italiana. Ne parliamo con Max Stefani.
Cerchiamo di essere pratici : quanti di voi non hanno mai trovato su scritti o libri dedicati sonore puttanate che facevano pensare tutto il peggio sulle fonti da cui l’autore aveva attinto ? Io ricordo articoli sui primi giornali di musica cui da ragazzo mi abbeveravo credendo di avere accesso al Verbo e che poi, riletti o ritrovati anni dopo, affinato un minimo di senso di lettura critica, mi facevano rabbrividire.
Informazioni casuali, dedotte o immaginate dalla fantasia dell’autore, traduzioni deliranti segnale di una conoscenza dell’inglese men che scolastica, scoop trovati su fanzine (magari avverse) che diventavano notizia. Almeno da noi. Noi che guardavamo all’Inghilterra come se fosse un pianeta ignoto e alla America come una sperduta landa nel cosmo. Noi che vivevamo di musica riflessa, tradotta e riproposta come se fosse stata “nostra” e che ci illuminavamo al sabato sera con lo spettacolo di Rai “primo canale”; Mediaset e le televisioni private sarebbero arrivate dopo l’ondata del nuovo metal… tanto per inquadrare il fenomeno da un punto di vista temporale. Non parliamo della radio, dove i programmi con musica alternativa erano due, forse, e obbligati a un manuale Cencelli della politica discografica che doveva tener conto delle nostre produzioni locali.
In tutto questo organizzato e vuoto caos, galleggiavano i giornali musicali, unica fonte cui noi affamati potevamo rivolgerci e stralciando una intervista a Morandi ed una a Claudio Villa, leggere qualcosa sulla scena pop anglosassone. Chi aveva la possibilità di pubblicare aveva lo scettro in mano, nel senso che era per noi fonte unica e certa. Continuo a ricordarlo per i non boomer…ma non esistendo la rete non esistevano fonti. Così potevamo leggere che Zappa aveva mangiato merda sul palco…una traduzione occasionale di una intervista a Lou Reed, quel gentiluomo, che affermava, in realtà, che “Zappa pur di vendere avrebbe mangiato merda su un palco”… come se lui fosse stato un filantropo che distribuiva musica gratuitamente…
Leggevamo che la traduzione di Grateful Dead era “Morto pieno di grazia”… segno che non solo non si conosceva l’inglese, ma neppure la leggenda del Morto Riconoscente. Leggevamo che Keith Emerson distruggeva una tastiera ogni concerto accoltellandola, quando in realtà pugnalava sempre lo stesso moog modificato nel legno superiore… e di Jimi Hendrix che bruciava una chitarra a notte… i Blue Oyster Cult erano nazifascisti con iconografie sanguinarie solo perché si era visto,male, la copertina di Secret Treaties e la si era interpretata insieme al segno del Caos, simbolo del gruppo… sempre Zappa era un comunista sfegatato (i testi di Holiday in Berlin non erano noti) e Lennon un agente della Cia o in alternativa investigato dalla medesima.
Potremmo andare avanti per ore, ma sarebbe un esercizio inutile di recupero di idiozie dimenticate. Abbiamo letto per decenni cazzate, questo va detto. Ovunque. Anche in quei giornali che nacquero in seguito, stanchi di leggerne scritte da altri, scelsero di scriverne in proprio. Mi spiego meglio : se prima si trattava di vera e propria mancanza assoluta di informazione – per costoro l’unica fonte era la lettura dei giornali stranieri di cui si capiva poco o nulla – in seguito ci si gettò a promuovere filoni musicali che erano stati, fino a quel momento, tenuti colpevolmente da parte. Se con Ciao Amici, poi Ciao 2001, e Big la musica era sostanzialmente solo il pop inglese e il nascente progressive, con quasi tutti i giornali a seguire l’America divenne la Terra Promessa e poco importava se dopo Woodstock le cose fossero parecchio cambiate : per noi, novelli scopritori delle Americhe, gli hippies erano ancora vivi e vegeti. Gli stravolgimenti sociali, culturali, artistici già sepolti o in via di degenerazione erano per noi il nuovo mondo da scoprire.
Un mezzo disastro. La vendetta dei fan della California, dove il rock veniva accuratamente scartato a favore della sola San Francisco e dove le altre città non esistevano come non esistevano i loro fenomeni locali, portò l’Italia a una visione distorta, di parte, su tutto quello che accadeva altrove, fuori dai confini di quell’impero che noi abbiamo sempre visto da parecchio lontano.
Posso dire che se non ci fosse stato il Bertoncelli a scrivere di Zappa, in Italia non se ne sarebbe quasi parlato; come non si parlò per decenni dell’heavy rock (E se in quest’ultimo caso vorrete ringraziare qualcuno, sapete a chi guardare…) … salvo poi recuperare in modo talvolta assolutamente approssimativo negli ultimi lustri.
Questa situazione in cui le opinioni, i gusti, le simpatie personali finirono per condizionare il mercato indirizzando coloro che non avevano modo di formarsi un pensiero diventò anche peggiore quando chi imperversava su giornaletti di vario genere ritenne di accrescere il proprio ego dedicandosi alla scrittura di tomi e libercoli i cui contenuti erano formati dal proprio gusto, dalla personale interpretazione della Storia, da notizie recuperate su giornali stranieri (…cosa sarebbe stato di molti senza una accurata lettura dei medesimi…) o peggio ancora locali ed in tempi più recenti direttamente dalla rete.
Imparata ad usare la quale sarebbe stato facile evitare scivolate, ma non lo si fece. E con la nascita di quel fenomeno autoreferenziale e manustupratore del “libro rock” purtroppo la vicenda finì con l’intorbidirsi di nuovo. Non è qui che vorremmo fare una critica generalizzata alla… critica locale, ma limitarci…limitarci dico…a dare uno sguardo al fenomeno del libro specializzato eseguito a cura…di chi non c’era e non c’è mai stato. Se ci pensate bene, con un paragone banale, vi fareste mai voi difendere da un avvocato che avesse letto e visto certi codici stranieri da lontano e cercasse di applicarli alla nostra poco amata terra ? Io, no. Vorrei l’originale, non la copia locale.
Senza andare a fare nomi, ci limiteremo quindi a uno sguardo su un fenomeno che pare non avere crisi : il libro dedicato a un artista, a un filone, a un genere, a determinati contenuti, ai…Dio perdonami per non essermelo dimenticato... ai cento, cinquecento, mille dischi da isola deserta. Che poi, detto fra noi, tutto sarebbe anche molto, ma molto interessante per un appassionato… se solo il contenuto fosse sempre credibile. Lo ammetto : sarà colpa mia che ho perso fiducia dopo troppe letture, ma un libro sulla nascita del nuovo metal inglese datato 1980, scritto da un ragazzo di 25 anni che non ha mai visto né potrà mai più farlo la scena di quel tempo con gruppi di cui il 60% non esistono più, mi mette tristezza. Dove e come si sarà formato ? Leggendo giornaletti ? Chi e cosa potrà giudicare senza aver toccato con mano ? Oppure un libro sulla editoria specializzata scritto da chi confonde la persona del collaboratore con quella del redattore, cosa peraltro assolutamente comune, se guardate ai tamburini dei siti web o dei periodici…
Chi mi parlerà della scena californiana dove sarà stato tra i sessanta ed i settanta e perché oggi fa il dentista o lavora alla Conad invece dell’enciclopedico ?
Per tagliar corto siamo riusciti e lo stiamo ancora facendo a dar credito a una moltitudine di topi da discoteca, da scaffale di dischi e cd che da Aosta a Barcellona Pozzo di Gotto ci raccontano come è nato un disco che hanno acquistato trent’anni dopo la sua uscita, come è andato un tour o una sessione di registrazione di Tizio o Caio, le vicende della nascita di un pezzo di storia della musica contemporanea. E tutto questo senza essersi mai mossi dal salotto di casa o aver mai incontrato uno solo dei soggetti cui il libro è dedicato.
Mi direte che sono crudele e prevenuto, saccente e cattivo, ma la realtà è che quando ho avuto – per fortuna o per lavoro – la possibilità di toccare con mano, sono sempre rimasto sorpreso di come le cose fossero andate veramente, di come la storia si fosse sviluppata in tutt’altro modo da come ce la avevano raccontata. Ed ho benedetto l’essermi trovato davanti a chi ha avuto la pazienza e la voglia di spiegarmela. Ma non per questo ne ho mai fatto un libro e già averlo raccontato a certi amici in certe serate mi è quasi parso una violazione di una sorta di patto cui mi ero sentito inconsapevolmente legato.
Dunque per questo rifuggo le profferte di chi, credendo di avere qualcosa da dire, ti approccia ai suoi scopi, ti coinvolge e poi ti mette di mezzo utilizzando le tue parole come se fossero proprie…sì, accade pure questo… pur di stampare cento copie di un nulla che niente apporterà alla visione dei racconti della nostra musica. Vorrei ricordare alcuni episodi tristissimi di certi sedicenti divulgatori musicali ma sarebbe come dare un minuscolo palcoscenico a chi meriterebbe solo di essere sepolto dall’oblio insieme ai propri parti.
Però… c’è sempre, grazie all’Altissimo, un però. Esistono alcuni soggetti che almeno sanno scrivere o meglio sanno raccontare, persone che comunque la loro cultura si sia formata, sanno trasmetterla con amore e competenza nel rispetto di una lingua difficile come l’italiano. A loro, a quei pochi, va il mio rispetto e la mia simpatia, il mio tempo nel leggere le loro righe, scorrevoli, ben costruite, intelligenti.
E l’ultimo aggettivo, intelligente, è quello più importante; perché solo chi scrive con semplicità e intelligenza è in grado di lasciarvi qualcosa dentro. A quei pochi dico grazie per avermi appassionato e accresciuto.
Un mio amico, uno che ha una storia divisiva, che ha lettori che lo amano e colleghi che proprio non lo sopportano, uno che volenti o nolenti, la storia della editoria italiana l’ha fatta con il Mucchio Selvaggio, ha avuto una intelligente idea. Certamente, si è messo a scrivere e vendere libri musicali, ma avendo anche lui compreso la difficoltà dell’essere credibili parlando di cose che proprio non ci appartengono per cultura, lingua, storia e trascorsi, ha fatto tesoro della sua ultima passione editoriale, il defunto mensile Outsider cui collaborai per quel che riuscii a produrre, inventando una linea di libri dedicati che recuperano come un puzzle molte cose scritte e raccontate da chi c’era veramente dando vita a un prodotto anomalo dove all’autore spetta lo spazio del ricucitore di storie altrui. Sembrerebbe facile ma proprio non lo è perché ciò che viene proposto spesso va a cozzare con la vulgata, con il Vangelo secondo Tizio che da tempo ce l’ha messa sotto il naso, ma in modo sbagliato.
Un percorso intelligente…ripeto l’aggettivo… che permette di guardare finalmente con il binocolo a fuoco la musica e le sue storie che tanto amiamo coccolare.
A Massimo “Max” Stefani, questo l’amico coinvolto, chiedo perché ha scelto di andarsi a cercare le fonti originali per i suoi libri…
“ Ho deciso di recuperare la maggior parte dei contenuti dalle fonti originali perché sono più autentiche e più vissute. Noi in italia non ci abbiamo mai capito un cazzo di rock, vale per i giornalisti (fatto salve pochissime eccezioni) e per gli appassionati. Se pensi solo a quanto è stato penalizzante per tutti non capire mai i testi…
Conscio dunque della mia ignoranza e comunque dell’impossibilità di non poter avere lo stesso approccio di un inglese o di un americano che quelle cose le ha vissute veramente e non lette su i libri… mi astengo volentieri. Naturalmente questo mio approccio fa girare a tutti i coglioni, specie ai miei colleghi che scrivono testi sul punk o sul rock australiano, senza aver vissuto quegli anni perchè troppo giovani o senza mai essere andati in Australia. è solo un esempio.
Giustifico invece i testi sugli artisti italiani.”.
Beh con un po’ meno di colore direi che siamo sulla medesima lunghezza d’onda. Ma dato che la maggior parte degli scrittori di libri provengono…anche se forse con il metal si rasenta l’eccezione, dato che in quel caso parecchi autori si alzano alla mattina e scelgono di scrivere un libro su vicende che hanno vissuto da casa e non dentro una redazione… dalla stampa specializzata, quale il tuo parere sulla fine, triste, dei periodici ?
“La fine dell’editoria è semplice : conseguenza di internet. Che senso ha più comprare giornali italiani quando trovi tutto e di più, scritto meglio e molto prima nonché gratis sui siti americani o inglesi? Anche se non si sa l’inglese ci sono i traduttori istantanei.
Inoltre aggiungerei che è proprio la filiera che è saltata, distributori e edicole stanno sparendo. Questa cosa la scrivo sovente su i social e certo non mi faccio amici nei giornali.”.
Che riscontri hai ai tuoi libri che iniziano ad essere una collana abbastanza variopinta e concreta ?
“Sono libri che faccio per hobby. avendo sempre fatto l’editore non vedo perchè farmi stampare un libro dall’Arcana regalandoglielo. Facendolo da solo ho piena libertà sul contenuto e sulla copertina; certo, c’è una percentuale di rischio finanziario e ti fai un discreto mazzo a spedirlo, tenere i file etc. Diciamo che ne vendo 300 e con il passare del tempo piano piano arrivo alle 500 copie… per scelta politica non vendo su i vari Amazon. Non aiuto dai giornali musicali che evitano accuratamente di recensire i miei libri. per il discorso di prima e perché essendo stato per decenni il leader della stampa musicale (e tutti venivano a bussare per scrivere) non vedono l’ora di farmela pagare. Quando cadi le iene ti saltano addosso, succede sempre così.
Non sono certo sorpreso. Conosco la storia e la psicologia umana. In ogni caso ormai i giornali non spostano più una copia, vendono talmente poco….
Inoltre i giovani non leggono libri e gli anziani sono troppo stanchi, miopi e privi d’entusiasmo e di voglia di scoprire o approfondire. Hanno già dato. se li comprano stanno lì sul comodino ad ammuffire. 500 sono già una bella cifra. mi sta bene.”.
Sul serio Max non ti piacerebbe ricominciare con una rivista ? In fondo ci sono editori artigianali – quelli che raccontano ai collaboratori che non guadagnano una lira, non li pagano ma tirano fuori altre testate – che in qualche modo il famoso “punto di pareggio” lo devono per forza raggiungere…
“Ricominciare con un giornale sarebbe un suicidio. L’unica idea plausibile sarebbe proseguire con il progetto che stava dietro a Outsider ma ci vorrebbero almeno 100 mila euro. “.
Sei quasi più deluso di me e di questo mondo di guerre tra poveri…forse è proprio per questo che lo abbandonai passando alla televisione… almeno un po’ di musica la ascolti ancora ?
“Musica nuova ne ascolto davvero poca. Seguo su you tube i consigli dei vari siti americani, siano Pitchfork, Popmatters, americanaUK, no depression… materialmente compro solo qualche ristampa anche perché le mie finanze sono al minimo…
Più che un giornale mi sarebbe piaciuto fare un programma tv. Nell’anno trascorso a parlare di musica su RAI1 Mattina (esperienza comunque formativa pur non essendo il mio orto visto il target) ho cercato di convincere Teresa De Santis a darmi un po’ di spazio ma non era la Rete giusta. L’idea era un’ora il sabato e 15 minuti gli altri giorni. una figata
Ho provato a proporla a RAI5 ma anche lì niente. o meglio non mi hanno neanche ascoltato. In RAI senza qualcuno dietro non vai da nessuna parte. e ormai da quanto Teresa è stata sostituita da uno del PD, ho perso il treno. Mi piacerebbe molto anche fare radio. ma anche lì, solita storia, solite raccomandazioni…”.
Beh Max, a dire il vero qualcosina di come funziona la televisione l’ho imparata. La musica non fa share, dicono, per cui non porta pubblicità, senza numeri. Sanremo, per farlo, si è oramai più dedicato alle polemiche false e ai baci omo, ai vestiti o alle tette che sbucano dai medesimi, alle filippiche da tre soldi. Nessuno canta più le canzoni il giorno dopo, ammesso che siano da cantare… ma di format nel cassetto ne ho una mezza dozzina, ma la “scuola romana” è quella che partorisce un programma di una ragazzina con un anziano, senza domandarsi il target cui ti stai rivolgendo… e gli inserzionisti credono alle belinate che gli vengono raccontate. Quando sono riuscito a proporre musica di qualità, ben confezionata e gestita, i numeri ci sono stati. Forse il problema sta lì : nel non cercare i professionisti ma nel dare spazio solo agli amici degli amici, alle ganze, agli amanti, ai parenti stretti, a quelli con la tessera.
Una delle più belle battute che sentii dire tempo addietro fu : fuori i partiti dalla Rai... incredibile…
L’ultimo libro di Massimo è una vera e propria collana di sette volumi, un sorta di enciclopedia, interamente dedicata agli album live : Love You Live. Una raccolta di artisti che hanno fatto la storia o che avrebbero dovuto farla; c’è di tutto, davvero. Una interessante e utile guida a chi sul serio avesse idea di comprare ancora musica su supporto tangibile.
“Ho pensato di fare questa enciclopedia perché ho visto che non esiste niente del genere (su i dischi live) neanche all’estero. Poi mi sono fatto prendere la mano. Perché non parlo solo dei dischi dal vivo. ma c’è anche una breve storia per inquadrare gli artisti. Storia che è solo in parte mia perché sono stato ben attento a leggere quanto scrivono in UK e USA in modo da dare il loro punto di vista che è completamente diverso dal nostro, filtrato com’è dal fatto di vivere ai confini dell’impero. Se Roma era il centro del mondo è come se noi fossimo vissuti in Tracia e nella nostra supponenza volessimo dire la nostra su fatti di cui non sappiamo niente se non voci di corridoio o di qualche viaggiatore ritornato in patria.”.
Non resta che credere in quei pochi che con onestà e competenza, senza supponenza o ego da soddisfare. Pochi, onestamente, troppo pochi.
Concordo in pieno, noi babyboomers non abbiamo più voglia di leggere libri musicali, vista anche la scarsissima quantità che ci ha sommerso negli ultimi vent’anni e i giovani hanno una soglia d’attenzione di circa due, tre minuti.
Bella , come sempre la disamina sulla stampa, poi non tutti hanno avuto la voglia e la fortuna di farsi spiegare i segreti dei Dead da Bob Weir.
Posso permettermi di dire che se i contenuti del 90% dei libri dedicati fosse credibile e ben scritto, anche i boomers se li leggerebbero ? In fondo la passione è anche informazione. Ma buona. Weir non mi raccontò i segreti dei Dead, fece di più : mi raccontò la California… quasi due ore di lezione che non dimenticherò mai.